Cass. 1 aprile 2005, n. 6894

Cass. 1 aprile 2005, n. 6894.

 

Responsabilità civile – Prova – Sci – Incidente occorso fuori pista – Capacità di testimoniare – Ausiliario di forze di polizia – Sussiste – Valore probatorio dei rapporti composti dalle forze dell’ordine nell’immediatezza del sinistro

 

L’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, a norma dell’art. 246 c.p.c., è solo quello – giuridico, personale, concreto – che comporterebbe, in ipotesi, la legittimazione del teste alla proposizione dell’azione ovvero all’intervento o alla chiamata in causa, e non può, pertanto, farsi discendere dalla mera eventualità che, in caso di rigetto della proposta domanda di accertamento della mancanza di titolarità del rapporto controverso, il soggetto possa essere chiamato in causa a fini di rivalsa dalla stessa parte che ne abbia invocata la escussione (nell’affermare il principio di diritto che precede, la corte di cassazione ha così confermato la sentenza di merito secondo la quale era da escludere che un assistente della polizia di stato, escusso come teste in relazione ad una vicenda risarcitoria per danni subìti da uno sciatore caduto «fuori pista», potesse ritenersi «soggetto portatore di un interesse che ne legittimava la chiamata in causa», attesone il precipuo compito di segnalare al gestore delle sciovie la eventuale mancanza di cartelli o la presenza di ostacoli sulla pista).

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 5 settembre 1995 WUCHER Erwin ha convenuto in giudizio, innanzi al pretore di Tirano, la Nottolino s.p.a., già società per il Turismo di Livigno Livitur s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento, in favore di esso attore, della somma di lire 16.212.032 o quella somma maggiore o minore accertata, oltre rivalutazione, interessi e spese.

Tale importo era reclamato dal WUCHER a titolo di risarcimento dei danni patiti da esso attore in occasione di un sinistro avvenuto il 9 marzo 1992 sulla pista da sci gestita dalla società convenuta, allorchè era caduto in una buca della profondità di 4 o 5 metri non visibile per gli sciatori neanche a distanza ridotta, buca presumibilmente predisposta, per la sistemazione di una macchina innevatrice.

Costituitasi in giudizio la società convenuta ha resistito alla avversa pretesa, deducendone la infondatezza.

Svoltasi la istruttoria del caso il pretore adito ha rigettato la domanda, sul rilievo che il sinistro si era verificato fuori dalla pista.

Gravata tale pronunzia dal soccombente WUCHER il tribunale di Sondrio con sentenza 8-14 novembre 2000 ha confermato la pronunzia del primo giudice in punto rigetto della domanda attrice, compensando, peraltro, in riforma della prima sentenza, le spese di quel grado del giudizio nonchè di quelle di appello.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso, affidato a 4 motivi il WUCHER.

Resiste, con controricorso, illustrato da memoria, la Nottolino s.p.a., già società per il Turismo di Livigno Livitur s.p.a..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I giudici di secondo hanno escluso, in limine, la nullità della deposizione, raccolta nel corso del giudizio di primo grado, del teste BRIGHENTI, evidenziando come lo stesso (al pari degli altri testi escussi) non è portatore “di interesse giuridico in causa, tantomeno di un qualsiasi interesse di fatto: egli è assistente della Polizia di Stato il cui ruolo è del tutto neutrale rispetto ai fatti di causa e, anzi, gode di una particolare credibilità, sia per l’esperienza alpina di cui è portatore, sia per la conoscenza dei luoghi, che frequentemente pattugliava, sia per il suo ruolo ufficiale che giustamente parte convenuta pacifica a quello di un agente della Polizia Stradale”.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia:

– da un lato, “ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione di norme di diritto, in specie dell’art. 246 c.p.c, per il mancato accoglimento dell’eccezione di incapacità del teste BRIGHENTI Carlo e di nullità della sua deposizione” primo motivo, prima parte;

– dall’altro, “ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.; omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in specie l’individuazione del luogo dell’incidente in o fuori pista, con riferimento all’eccezione di incapacità del teste BRIGHENTI Carlo e di nullità della sua deposizione” primo motivo, seconda parte.

Si osserva, infatti (nella prima parte del motivo), che erroneamente la sentenza gravata ha affermato che detto teste non era “portatore di interesse giuridico in causa”, in violazione dell’art. 246 c.p.c..

Il detto teste, in particolare, ha dichiarato “è nostro compito segnalare alla soc. MOTTOLINO la mancanza dei cartelli o la presenza di ostacoli sulla pista”, si che eventuali responsabilità, per i fatti denunziati in causa, erano e sono ascrivibili anche al medesimo, potendo egli, per una eventuale inosservanza dei suoi doveri di controllo e di informativa, essere parte della presente causa non solo quale soggetto responsabile in solido con la convenuta, ai sensi dell’art. 2055, comma 1, c.c., ma anche quale soggetto nei cui confronti questa potrebbe rivalersi, ai sensi dell’art. 2055, comma 2, c.c..

Alla luce del materiale istruttorie prodotto dall’attore in primo grado – evidenzia ancora il ricorrente – con il primo motivo, seconda parte, i giudici di merito avrebbero potuto agevolmente ricostruire il fatto in contestazione con accertamento che l’incidente si era verificato all’interno della pista da sci, come raffigurato dalle fotografie e dalla relazione di intervento 9 marzo 1992.

Con il secondo motivo – intimamente connesso al precedente e da esaminare congiuntamente a questo – il ricorrente lamenta “ai sensi dell’art. dell’art. 360 n. 5 c.p.c.: mancanza e comunque insufficienza della motivazione circa un punto decisivo della controversia, in specie l’individuazione del luogo dell’incidente in o fuori pista, con riferimento alle prove documentali in atti: a) fotografie raffiguranti il luogo del sinistro; b) relazione d’intervento dd 09 marzo 1992”.

Connessi ai precedenti e, pertanto, da esaminarsi congiuntamente a questi sono altresì il terzo e il quarto motivo con i quali il ricorrente denunzia: B – da un lato, “ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., mancanza e comunque insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, in specie l’individuazione del luogo dell’incidente in o fuori pista, con riferimento alle prove testimoniali di parte attrice in primo grado” terzo motivo;

– dall’altro “ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., mancanza e comunque insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, in specie l’individuazione del luogo dell’incidente in o fuori pista, con riferimento alle prove testimoniali di parte convenuta in primo grado” quarto motivo.

3. I riassunti motivi non possono trovare accoglimento, sotto nessuno dei molteplici profili in cui si articolano.

3.1. Quanto, In primis, alla denunziata violazione, da parte del giudice del merito, dell’art. 246 c.p.c., deve ribadirsi – in termini opposti rispetto a quanto del tutto apoditticamente affermato e invocato dalla difesa di parte ricorrente, che il giudizio sulla capacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., sull’attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle deposizioni involge apprezzamenti di fatto, ed è conseguentemente rimesso al giudice del merito, il quale è tenuto ad indicare in modo congruo e logico le ragioni del proprio convincimento in ordine al contenuto di tali deposizioni e alla qualità di chi le ha rese, non anche relativamente al mero rapporto esistente tra il teste escusso e la parte che l’ha indicato (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232).

Comunque, l’interesse che da luogo ad incapacità a testimoniare a norma dell’art. 246 c.p.c. è solo quello giuridico, personale, concreto, comportante la legittimazione a proporre l’azione ovvero ad intervenire in un giudizio (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232, cit., secondo cui l’incapacità a testimoniare non può a tale stregua farsi discendere dalla mera eventualità che, in caso di rigetto della proposta domanda di accertamento della mancanza di titolarità del rapporto controverso, il soggetto possa essere chiamato in causa a fini di rivalsa dalla stessa parte che l’ha indicato; Cass. 21 agosto 2003, n. 12317; Cass. 16 giugno 2003, n. 9652; Cass. 16 giugno 2003, n. 9650).

Applicando i riferiti principi al caso di specie è di palmare evidenza che correttamente la sentenza gravata ha escluso che il teste BRIGHENTI, assistente della Polizia di stato, che – all’epoca – prestava servizio nei luoghi in cui si è verificato il sinistro, sia, portatore di un interesse che ne legittimi la chiamata in causa, nel presente giudizio.

Irrilevante, e non pertinente al fine del decidere, e di pervenire a una diversa conclusione è l’assunto di parte ricorrente allorchè si invoca che era obbligo di detto teste anche “segnalare alla soc. Nottolino la mancanza dei cartelli o la presenza di ostacoli sulla pista”.

La circostanza, infatti, non è sufficiente, da sè, a far sorgere alcuna responsabilità, in capo al teste per incidenti comunque verificatisi sulla “pista” (intesa l’espressione in senso ampio e con riferimento, pertanto, anche alle aree circostanti la zona destinata alla discesa degli sciatori).

Diversamente opinando, atteso che a norma dell’art. 11, del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285, costituiscono servizi di polizia stradale, tra l’altro, oltre che “la rilevazione degli incidenti stradali”, “la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale” dovrebbe pervenirsi alla singolare conclusione che gli addetti a detta polizia, in caso di incidente, sono privi della capacità di testimoniare su quanto accertato, dovendosi ritenere “corresponsabili” del sinistro per essere venuti meno al loro dovere di “prevenire” la violazione in materia di circolazione, causa dell’incidente.

3. 2. Quanto al secondo profilo del primo motivo di ricorso e ai restanti motivi di ricorso, tutti incentrati sulla denunziata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360 n, 5 c.p.c., gli stessi sono inammissibili.

Si osserva, infatti, – in termini opposti, rispetto a quanto presuppone la difesa della ricorrente e alla luce di quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che in questa sede non può che ulteriormente ribadirsi – che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (In argomento, tra le altre, Cass. 7 agosto 2003, n. 11936; Cass. 7 agosto 2003, n. 11918; Cass. 14 febbraio 2003, n. 2222).

L’art. 360, n. 5 – infatti – contrariamente a quanto suppone l’attuale ricorrente non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.

Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, ai può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non già quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Certo quanto sopra si osserva che parte ricorrente lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si limita – in buona sostanza – a sollecitare una diversa lettura, delle risultanze di causa preclusa in questa sede di legittimità.

Il tribunale, infatti, ha valutato sia le fotografie prodotte dalle parti sia il rapporto dell’incidente, ampiamente e logicamente motivando, le ragioni alla luce delle quali da queste non potevano trarsi argomenti di giudizio a favore degli assunti di parte ora ricorrente.

Quest’ultima, anzichè discutere la motivazione del giudice del merito o evidenziare vizi logici giuridici da costoro posti in essere, totalmente trascurando gli elementi di fatto opportunamente valorizzati dalla sentenza gravata come ad esempio allorchè ha affermato

che giusta l’assunto di parte ricorrente esisteva una buca di circa sei metri di profondità proprio in mezzo alla pista, destinata agli sciatori, ma nel corso di quella giornata, pur essendo passati in quel punto circa 5000 sciatori, nessun altro incidente è avvenuto si limita a opporre alle loro conclusioni la propria, soggettiva, interpretazione delle stesse risultanze ed è palese, sotto il riferito profilo, la inammissibilità della censura.

3.3. Quanto al “rapporto di incidente” i giudici del merito lo hanno adeguatamente valutato accertando, in linea di fatto, come lo stesso non contenga elementi, di sorta, da cui possa trarsi la conclusione che l’incidente per cui è controversia non si è verificato – come dichiarato dal teste BRIGHENTI – “fuori pista” ma “in pista” sul rilievo – assolutamente pacifico e in alcun modo contraddetto dalla difesa del ricorrente – che “proprio sulla base” del detto “rapporto di incidente” “il procedimento penale intrapreso è stato archiviato”.

3.4. Oppone parte ricorrente che la “relazione d’intervento” cui la stessa intende fare riferimento è ancorchè nella stessa data 9 marzo 1992 del “rapporto di incidente” documento diverso, rispetto a quello tenuto presente dalla sentenza gravata.

La deduzione è – per più versi – inammissibile.

3.4.1. Nel proprio controricorso la Nottolino s.p.a. afferma che è, in atti, un “unico” rapporto redatto dalla Polizia di Stato in data 9 marzo 1992, e, in particolare, quello tenuto presente dai giudici del merito.

Non solo parte ricorrente non ha in alcun modo replicato a tali precisazioni, ma allorchè la stessa invoca che la sentenza gravata è incorsa in vizio di motivazione, avendo tenuto presente, al fine del decidere, unicamente “il rapporto di incidente” e non anche la diversa “relazione di incidente” la stessa prospetta un vizio della sentenza non deducibile sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c..

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. – in particolare – le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per revocazione qualora la sentenza stessa si “l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”.

“Vi è questo errore – in particolare – quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa”.

Pacifico quanto sopra e non controverso che la denuncia di un travisamento di fatto quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c, importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità (cfr. Cass. 27 marzo 1999, n. 2932), è palese la inammissibilità – come anticipato – della censura in esame.

Nella specie, infatti, parte ricorrente denunziando che i giudici del merito avrebbero posto a fondamento della propria decisione solo uno dei due documenti, redatti nella stessa data, dalla Polizia di Stato, imputano a costoro un travisamento dei fatti che – in quanto tale – non può costituire motivo di ricorso per cassazione.

Il denunciato travisamento, in particolare, risolvendosi nell’inesatta percezione da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. (tra le tantissime, Cass. 28 novembre 1998 n. 12089, nonchè Cass., 23 giugno 1998 n. 6235; Cass. 2 marzo 2001 n. 3023, specie in motivazione e, ancora, recentemente, Cass. 1 giugno 2002 n. 7965; Cass. 9 agosto 2002 n. 12087; Casa. 30 gennaio 2003 n. 1512).

3.4.2. Anche a prescindere da quanto precede, ove si ritenga – per ipotesi – che in effetti sia in atti, oltre al “rapporto di incidente” valutato dal tribunale anche la “relazione d’intervento” deve escludersi che sia sufficiente la prospettazione della sua “esistenza” per giungere alla cassazione della sentenza impugnata.

Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, infatti, ha l’onere, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (Cass. 1 giugno 2001, n. 74349), evidenziando, in particolare, in cosa consistessero le circostanze che formavano oggetto della prova e quale ne fosse la rilevanza, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (Cass. 13 settembre 2000, n. 12080; Cass. 10 marzo 2000, n. 2802, Cass. 25 marzo 1999, n. 2838).

Certo quanto precede è palese che parte ricorrente doveva trascrivere, integralmente, in ricorso, il contenuto della più volte “relazione d’intervento” al fine di dimostrare che in questa era stato accertato che il sinistro si era verificato “in pista” – cioè sulla parte riservata agli sciatori – e non “fuori pista”.

Palesemente irrilevante a non pertinente, al fine di suffragare una tale conclusione è la circostanza, come trascritto in ricorso, che in detto documento la Polizia di Stato che nella stessa data, a mezzo degli stessi funzionari ha redatto altro documento affermando espressamente che l’incidente era avvenuto “fuori pista” abbia affermato che l’intervento era stato effettuato sulla “pista Mottolino – località parte iniziale”.

È evidente, infatti, che l’espressione “pista Mottolino – località parte iniziale” indica, genericamente il luogo dell’intervento, senza alcuna precisazione circa il luogo preciso in cui l’incidente stesso si è verificato e, in particolare, se nella parte della detta Pista, in senso lato, destinata agli sciatori senza ombra di dubbio, come accertato in linea di fatto in sentenza e in alcun modo contestato dalla parte ricorrente, “segnalata da paletti e da cartelli” o in quella non destinata agli sciatori.

3.5. Pur se nella intestazione del terzo e del quarto motivo si denunzia la sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (secondo cui le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”), con le deduzioni in esame – in realtà – il ricorrente, ancora una volta contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di legittimità, lungi dall’indicare carenze o illogicità presenti nella motivazione fatta propria dai giudici di secondo grado per giungere alla definizione della lite, sollecitano una nuova valutazione, da parte di questa Corte – la quale non è un giudice di merito di terzo grado – del materiale probatorio in atti.

Come noto, e già anticipato sopra, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, con l’avvertimento, peraltro, che al fine di adempiere all’obbligo della motivazione il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata, avendo la Corte di cassazione non il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice del merito (in questo senso, ad esempio, Cass. 25 febbraio 1998, n. 2033, nonchè Cass., 13 gennaio 1999, n. 287, specie in motivazione).

La sentenza impugnata, pertanto, non è suscettibile di cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice di merito siano, secondo l’opinione della parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione, conforme alla tesi da lui sostenuta, al di fuori delle dimostrazione che la valutazione fattane da quel giudice è illogica contraddittoria ovvero che egli avrebbe dovuto considerarne altri insufficiente (Cass., 25 febbraio 1998, n. 2008).

Pacifico quanto sopra si osserva che nella specie parte ricorrente – lungi dall’evidenziare la presenza, nella motivazione della sentenza gravata, di alcuno dei vizi indicati sopra, unici rilevanti al fine di una censura sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. cioè la deduzione di una obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice alla formulazione del proprio convincimento, ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e a individuare con chiarezza la ratio decidendi – si limita a denunciare una difformità rispetto alle attese e deduzioni delle parti, sul valore e sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l’apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri di esso giudice di merito.

È palese, sotto tale profilo, la inammissibilità della deduzione, atteso – come osservato sopra – che nel giudizio di legittimità non si può sollecitare un nuovo esame, da parte della Corte di cassazione, del materiale probatorio acquisito agli atti.

3.6. Per completezza, infine, si osserva che in materia di procedimento civile, i rapporti ed i verbali della polizia giudiziaria fanno fede fino a querela di falso per quanto concerne i fatti che il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuto o constatato (salvo il potere – dovere del giudice di valutare liberamente, ai fini del proprio convincimento, l’esattezza delle operazioni effettuate ed i relativi risultati) (Cass. 16 giugno 2003, n. 9620; Cass. 27 ottobre 2004, n. 20814).

Non potendosi dubitare, da un lato, che il “rapporto di incidente” (ricordato nella parte motiva della sentenza gravata) proviene dalla Polizia di Stato, cioè dalla polizia giudiziaria e, dall’altro, che lo stesso ha accertato che l’incidente si è verificato “fuori pista” (come accertato dalla sentenza gravata tenuta presente l’archiviazione del procedimento penale intrapreso sulla base dello stesso) è palese che parte ricorrente non poteva limitarsi, al fine di superare un tale accertamento, a invocare quanto dichiarato da alcuni testi, ma doveva proporre querela di falso, avverso il detto documento.

4. Risultato totalmente infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in euro 100,00 per spese e euro 3.000,00 per onorari e oltre rimborso forfetario delle spese generali e accessori come per legge.


 

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