CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 15 GIUGNO 1956, N. 2092.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 15 GIUGNO 1956, N. 2092.

Contratto di appalto – Vizi e difetti dell’opera – Registro navale – art. 1669 c.c. – Colpa

Il pericolo di rovina o i difetti gravi, per essere coperti dalla garanzia legale, di cui all’art. 1669 c.c., a carico dell’appaltatore, devono essere rapportabili direttamente ai vizi della costruzione e non essere la conseguenza della condotta colposa del committente, che avesse aggravato dei difetti, invece di denunziarli all’appaltatore, ai fini di una tempestiva riparazione.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OGGIONI Luigi – Presidente
Dott. LANGARA Arrigo – Consigliere
Dott. VISTOSO G. Battista – Consigliere
Dott. BRICARELLI Ignazio – Consigliere
Dott. ALBANESE Carmelo – Consigliere
Dott. PECE Luciano – est. Consigliere
Dott. PRATO Ambrogio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:
Soc. p. Az. La Paraggina in liquidazione in persona del liquidatore M.G., elett.te domiciliata in Roma, via Federico Cesi 72 presso l’avv. Tempesta Emilio che unitamente all’avv. Prezioso Sergio di Milano la rappresenta e difende per delega in calce;
– ricorrente –
contro
Soc. Gardano e Giampieri in persona dell’Amministratore unico G.G. elett.te domiciliata in Roma, Lungotevere Mellini 17 presso l’avv. Podaliri Guido, rappresentata e difesa dall’Avv. Barranti Alberto di Ancona per delega in calce;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Registro Italiano Navale R.I.NA. in persona del Presidente Ammiraglio B.P., elett.te domiciliato a Roma via G. Salicato 4 presso l’avv. Vismara Currò Gian Luigi che unitamente all’avv. Campora (Ndr: testo originale non comprensibile) Pietro lo rappresenta e difende per delega in calce;
– controricorrente –
per l’annullamento della sentenza 20.10/11.12.53 della Corte di Appello di Milano;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19.12.1955 dal Sig. Consigliere Dott. Pece;
uditi gli avv.ti Tempesta, Campora e Barranti.
Udito il Pubblico Ministero Sost. Proc. Generale Dott. Berri che chiedeva il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con citazione 7 giugno 1949, la Soc. Paraggina conveniva innanzi al Tribunale di Milano la Soc. Gardano e Giampieri (Società per costruzioni navali), per sentirla condannare al pagamento, in proprio favore, della somma di L. 5.225.000, per danni e spese conseguenti alla difettosa costruzione del motopeschereccio “(OMISSIS)”, da essa Paraggina commessa alla Gardano e Giampieri. Quest’ultima, in giudizio, eccepiva la prescrizione biennale dell’azione ex art. 240 c.n., nonchè la decadenza della Paraggina dalla garanzia per vizi e difetti, per mancata denunzia degli stessi entro il termine (sessanta giorni dalla scoperta o dalla consegna della cosa) previsto dall’art. 1667 c.c..
Con citazione 13 gennaio 1950, la Paraggina citava ad intervenire in causa il Registro Navale (R.I.NA.), il quale aveva rilasciato il certificato di navigazione al motopeschereccio; e ciò per la ipotesi in cui, durante l’istruttoria, fossero state accertate ragioni di responsabilità a carico del R.I.NA..
Quest’ultimo, in giudizio, respingeva ogni richiesta della Paraggina nei propri confronti, assumendo che il suo intervento nel rilascio del certificato di navigabilità, ha carattere esclusivamente tecnico ed è inteso a dare una generica certificazione di idoneità della nave, con riferimento al momento in cui la nave stessa viene sottoposta ad esame.
Il Tribunale, con sentenza 11 maggio – 18 ottobre 1951, rigettava la eccezione di prescrizione avanzata dalla Gardano e Giampieri e, con separata ordinanza, disponeva l’acquisizione, agli atti di causa, della relazione di un accertamento tecnico preventivo, già ordinato dal Presidente del Tribunale di Chiavari, nonchè l’espletamento di prove per testi, dedotte dalla Paraggina e dalla Gardano e Giampieri.
Con sentenza definitiva 8 maggio – 20 ottobre 1952, il Tribunale condannava la Gardano e Giampieri a versare alla Paraggina L. 80.000 a titolo di saldo di debiti e crediti per altri rapporti, ma respingeva ogni ulteriore richiesta della Paraggina, sia nei confronti della Gardano e Giampieri, sia nei confronti del R.I.NA..
Avendo la Paraggina impugnata la sentenza definitiva, la Corte di Milano, con pronunzia 20 ottobre – 11 dicembre 1953, respingeva l’appello affermando: a) che i vizi e i difetti accertati non integravano gli estremi della inadempienza contrattuale ex art. 1669 c.c.; b) che tutti i vizi e difetti denunciati dalla Paraggina non erano tali da doversi ritenere necessariamente riconosciuti e riconoscibili da parte della Paraggina medesima, la quale aveva seguita la costruzione del motopeschereccio attraverso propri dipendenti tecnici e specializzati, sicchè l’avvenuto pagamento senza riserva o poteste esauriva la possibilità di ogni ulteriore doglianza da parte della Paraggina; c) che, qualora fosse stato possibile parlare di vizi o difetti occulti, la Paraggina era decaduta dalla relativa garanzia per non avere fatta tempestivamente la denunzia degli asserti vizi o difetti; d) che andava respinta ogni istanza della Paraggina verso il R.I.NA., sia sotto il profilo contrattuale, perchè nessun rapporto negoziale era intervenuto tra la Paraggina ed il RINA; sia sotto il profilo extra-contrattuale, per non essere risultata alcuna condotta colposa o dolosa a carico del RINA e per non essere, in ogni ipotesi, i danni, lamentati dalla Paraggina, conseguenti al rilascio, da parte del RINA, del certificato di navigabilità, ma – in ipotesi – ai vizi e difetti intrinseci di costruzione del motopeschereccio e dei quali era stato già trattato a proposito dei rapporti tra la Paraggina e la Gardano e Giampieri.
Da tale sentenza ha ricorso la Paraggina, proponendo sei mezzi di annullamento; resistono, con controricorso, la Gardano e Giampieri nonchè il R.I.NA.. La Paraggina ha presentato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo mezzo, la ricorrente Paraggina imputa alla decisione impugnata una concezione giuridicamente inesatta della garanzia, cui era tenuta la Soc. Gardano e Giampieri, costruttrice della nave.
La censura dev’essere disattesa.
L’art. 241 c.n. richiama, per il contratto di costruzione di nave, le norme che regolano il contratto di appalto. Per identificare la portata di tale richiamo, agli effetti della garanzia legale dalla quale è onerato l’appaltatore e quindi il costruttore di nave, giova richiamare che già in relazione all’art. 480 cod. comm. veniva in rilievo il contrasto tra la dichiarata natura mobiliare della nave ed il regime giuridico cui gli articoli successivi assoggettavano la nave stessa e che importavano, invece, la cosiddetta immobilizzazione giuridica della nave. Il vigente art. 245 c.n., affermando che le navi sono soggette alle norme sui beni mobili “in quanto non sia diversamente stabilito”, rispecchia il particolare carattere giuridico della nave, la quale, pur essendo un bene mobile dal punto di vista fisico, è sottoposta, sotto alcuni aspetti, ad un regime analogo a quello immobiliare (n. 139 rel. al c.n.). Stante ciò, la possibilità di ipoteca sulla nave ( art. 565 c.n.); l’obbligo della pubblicità, mediante trascrizione nella matricola e nell’atto di nazionalità, degli atti costitutivi, traslativi ed estintivi di proprietà o di altri diritti reali su navi maggiori e loro carati ( art. 256 c.n.); l’obbligo della pubblicità (ai fini della attribuzione della proprietà) del contratto di costruzione ( art. 238 c.n.); nonchè altre disposizioni particolari concorrono – stante il rinvio dell’art. 241 c.n. alle regole sull’appalto – ad attrarre il contratto per la costruzione di nave nell’orbita dell’appalto per la costruzione di immobili. Donde l’applicabilità dell’art. 1669 c.c., ai fini della disciplina della garanzia legale da parte dell’impresa costruttrice della nave.
Questa Corte Suprema ha già, altra volta, mezzo in evidenza (sent.
N. 1690 del 1949; n. 1034 del 1951) come, ai fini della garanzia di che all’art. 1669 c.c., il concetto di rovina attiene, oltre che al perimento dell’opera in tutto o in parte, anche ad una modificazione profonda e sostanziale degli elementi essenziali dell’opera stessa;
che il pericolo di rovina attiene alla ipotesi in cui segni evidenti ed esteriori testimoniano che l’opera, o parte di essa, rovinerà.
Può aggiungersi che anche per la ipotesi dei “gravi difetti”, aggiunta dal vigente art. 1669 rispetto al c.c. del 1865, deve pur sempre trattarsi di difetti che incidano profondamente sugli elementi essenziali della costruzione e, conseguentemente, sulla stabilità della stessa. Il giudizio sul concorso degli estremi suddetti e, in particolar modo e per quanto attiene ai difetti, sulla gravità degli stessi, nei sensi sopra specificati, sono devoluti alla valutazione insindacabile del giudice del merito.
Nella specie, la Corte di Appello ha tenuti presenti i criteri giuridici sopra enunziati; ha considerati partitamene i difetti lamentati dalla Paraggina (longheroni più corti del dovuto, perni passanti per il fasciame, mancanza di puntelli sotto il verricello, lesione al diritto dell’elica) ed ha escluso che gli stessi presentassero gli estremi richiesti dall’art. 1669 c.c., osservando che la nave era stata classificata, varata ed aveva navigato per circa un anno e mezzo senza inconveniente di sorta. La sentenza su è anche richiamata alla relazione del RINA in data 7.2.1949, nella quale venne precisato che la lesione al diritto dell’elica (sulla quale particolarmente insiste la ricorrente) era originariamente di lieve entità, tanto che non ne era stata necessaria la riparazione, ma era bastato un semplice tamponamento e che solo l’esercizio della nave per un anno e mezzo da parte della Paraggina, nonostante la consapevolezza dell’inconveniente, aveva aggravata la lesione. E al riguardo, va precisato che il pericolo di rovina o i difetti gravi, per essere coperti dalla garanzia legale a carico dell’appaltatore, devono essere rapportabili direttamente ai vizi della costruzione e non essere la conseguenza della condotta colposa del committente, che avesse aggravato dei difetti, invece di denunziarli all’appaltatore, ai fini di una tempestiva riparazione.
Ne consegue che il difetto lamentato dalla Paraggina, secondo cui la nave aveva cassato di essere perfettamente stagna per la lesione al diritto dell’elica al di sotto della linea di immersione, giustamente è stato valutato, dalla sentenza impugnata, con riferimento allo stato del natante prima che il difetto stesso si aggravasse a seguito dell’ultrannale utilizzazione della nave da parte della Paraggina nonostante la consapevolezza di detto difetto.
Con il secondo mezzo, la ricorrente lamenta che la Corte del merito avrebbe, con violazione dell’art. 168 c.n., attribuito efficacia “decisiva” alla relazione del RINA, laddove le attestazioni tecniche di quest’ultimo fanno fede solo fino a prova contraria.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha espressamente richiamato (pag. 13) il principio che la ricorrente afferma violato e dal complesso della motivazione si ricava che la relazione del RINA non fu, nella economia della motivazione stessa, l’elemento esclusivo e determinante la decisione della Corte, ma solo una delle ragioni che concorsero a formare il convincimento della Corte stessa.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la omessa decisione, da parte della impugnata sentenza, sul punto che, in virtù del contratto di costruzione, garanzia per i difetti della nave avrebbe avuta una regolamentazione patrizia discostatesi dalle regole legali.
Anche tale censura va disattesa.
E’ pacifico che la eccezione relativa ad un’aperta garanzia patrizia (il cui contenuto, secondo le affermazioni in questa sede della resistente, era invece limitato a determinati pezzi di materiali a fornirsi dai terzi ed ai quali materiali la ditta costruttrice estendeva la propria garanzia, ma sempre secondo i limiti di legge) venne avanzata dalla Paraggina solo con la comparsa conclusionale di appello e quindi tardivamente. E’, infatti, giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. N. 3800 e n. 697 del 1954) che al Collegio non possono essere sottoposte conclusioni diverse da quelle formulate innanzi all’istruttore all’udienza di rimessione della causa al Collegio. Tale divieto è restato inalterato anche dopo la legge di riforma n. 531 del 1950, che non ha modificato, per questa parte, gli artt. 189 e 190 c.p.c.. E, nella specie, trattatasi, principalmente, non già di una ragione illustrativa di conclusioni già prese, ma di nuova eccezione idonea – in astratto – a spostare il thema decidendi, dal piano della garanzia legale dell’appaltatore, su quello contrattuale, attraverso una clausola contrattuale abbisognevole, prima di tutto, di essere ricostruita (specie per il suo tenore estremamente generico) nel proprio contenuto secondo la intenzione delle parti contraenti. Tale processo di interpretazione non avrebbe potuto farsi mentre la parte, contro cui la enezione avrebbe dovuto operare, non aveva potuto interloquire al riguardo, stante la proposizione della enezione stessa solo nella comparsa conclusionale per il Collegio. Nessun obbligo di decisione e di motivazione incombeva quindi alla Corte del merito, in relazione all’enazione suddetta.
Con il quarto mezzo, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo che il difetto del diritto di propria non avrebbe potuto essere rilevato neppure dopo lo smontaggio del motore, fino a che non fossero state tolte le sovrastrutture che costituivano il basamento per il motore stesso.
Anche tale censura non ha ragione di essere.
La Corte di Appello ha chiaramente enunciata la ragione – base della propria decisione nella considerazione che la Paraggina aveva fatto controllare il corso dei lavori da tecnici di propria fiducia, ai quali non poteva essere assolutamente sfuggita la filatura al diritto di poppa, così come non sfuggì – nel secondo momento della classificazione della nave – ai tecnici del RINA, che ne disposero la tamponatura.
E la Corte del merito ne ha esattamente dedotto che la ricezione del motopeschereccio, da parte della Paraggina, ed il pagamento dello stesso senza alcuna riserva, mentre le condizioni del natante erano note ad essa Paraggina, importava la decadenza dalla garanzia a carico della impresa costruttrice. Il che rende anche irrilevante il quinto mezzo del ricorso, con il quale la Paraggina lamenta che erroneamente la Corte di Appello ritenne applicabili, al contratto per costruzione di nave, i termini di decadenza fissati, per la denuncia dei vizi occulti, dall’art. 1667 c.c., comma 2, in tema di appalto comune.
Il rilievo è esatto sul piano tecnico. Infatti, il rinvio dell’art. 241 c.n. alle regole dell’appalto comune vale solo per quanto non disposto specificamente dal c.n. in tema di costruzione di nave. Ora, l’art. 240 cit. codice, nello stabilire che l’azione di responsabilità verso il committente, per le difformità e per i vizi occulti, si prescrive con il decorso di due anni, e nello specificare che il committente, che sia convenuto per il pagamento, può far valere in via di eccezione la garanzia purchè egli abbia denunziata la difformità o il vizio entro il predetto termine di due anni, chiaramente indica che, in relazione alla costruzione di nave, vi è coincidenza tra il termine di prescrizione dell’azione e quello di denunzia dei vizi e tale coincidenza, pacificamente riconosciuta in dottrina, trova la propria spiegazione logica nella considerazione che, al momento della scoperta del difetto, la nave può trovarsi in navigazione, anche a molta distanza dalla residenza del costruttore, con la conseguente impossibilità di una immediata constatazione tecnica del difetto stesso.
La esattezza del rilievo della ricorrente si addimostra, però, non influenzate nella specie perchè assorbita, nella economia della motivazione della Corte del merito, dalla considerazione della decadenza della Paraggina dalla garanzia a seguito dell’avvenuta accettazione dell’opera senza riserve, nonostante la consapevolezza dei difetti, poscia da essa Paraggina valorizzati in giudizio.
Con il sesto mezzo, la ricorrente lamenta la mancata affermazione della responsabilità del RINA sul piano extra contrattuale, per la concessa classificazione della nave.
Anche tale censura è infondata.
E’ risaputa la discussa natura giuridica del RINA, opinandosi da alcuni che trattisi di ente pubblico autonomo e da altri, invece, che, per determinate attività (quali quelle inerenti alla classificazione delle navi), cui esso è legislativamente autorizzato, il RINA sia un ente privato che esercita, con l’autorizzazione legislativa, un’attività tecnica meramente privata, mentre acquisterebbe la veste di incaricato di un pubblico servizio solo per determinate attività di collegamento con l’estero (accordi per scambi e prestazioni con istituti di classificazione straniera, per la costruzione all’estero di comitati di classificazione).
Sembra a questa Corte che la larga partecipazione statale nella organizzazione e nella vita del RINA (approvazione ministeriale dello statuto e degli organi dell’ente, partecipazione diretta ai funzionari statali al consiglio di amministrazione ed al comitato tecnico) e, soprattutto il carattere pubblicistico delle funzioni legislativamente demandategli ( artt. 138, 166, 167, 235, 236 e 622 c.n.; R.D. n. 719 del 1932; D.L. n. 340 del 1947) e tendenti alla tutela della sicurezza della navigazione e della vita umana in mare, depongano per il carattere unitariamente pubblicistico del RINA, in applicazione del criterio finalistico, inteso quale mezzo, sostanzialmente più sicuro, per la identificazione degli enti pubblici rispetto alle persone giuridiche private. Per il ritenuto carattere di ente pubblico autonomo del RINA, concorre anche il particolare che molte delle funzioni di accertamento e di controllo, ad esso spettanti, erano in precedenza esercitate direttamente, in via esclusiva o concorrente, da organi statali; nonchè l’altro particolare che – a sua volta – il Registro Aeronautico Italiano R.A.I. è legislativamente dichiarato ente pubblico; il che è particolarmente significativo, stante la similarità fra le funzioni attribuite al RAI in ordine agli aeromobili ( artt. 766, 767, 768 e 769 c.n.) e quelle attribuite al RINA per le navi (dalle disposizioni più sopra richiamate), nonchè per il fatto che le attribuzioni del RAI erano precedentemente esercitate dalla Direzione Aeronautica del Registro Italiano Navale ed Aeronautico e furono poi trasferite al RAI con il D.L. 24 novembre 1938, n. 1912, in occasione della separazione dei due Registri (navale ed Aeronautico). Ed è opportuno aggiungere che il carattere pubblicistico del RINA non può essere contrastato dalla norma dell’art. 168 c.n. (così come, dal corrispondente art. 770 c.c.), postochè la limitata efficacia probatoria attribuita ai certificati ed alle attestazioni del RINA (fino a prova contraria) è espressamente limitata, ricevendone la spiegazione, ai giudizi tecnici del RINA. La ritenuta natura pubblicistica del RINA, unitamente al carattere tecnico – discrezionale dei suoi accertamenti diretti a tutelare, in via primaria, interessi di carattere generale (e non anche lo specifico interesse privatistico, dell’armatore committente, al rispetto del contratto da parte dell’impresa costruttrice della nave) fanno sì che una responsabilità del RINA nei confronti dell’armatore, per conto del quale la nave fu costruita, ed in conseguenza del controllo spettante al RINA sulle costruzioni navali ( art. 235 c.n.), possa essere configurata solo nella ipotesi di dolo e di colpa grave da parte dei funzionari del RINA. Nella specie, invece, la Corte del merito, con giudizio di fatto, ha escluso qualsiasi ipotesi di dolo o di colpa a carico del RINA. Non senza rilevare che la stessa Corte ha anche esclusa la possibilità di una doglianza della Paraggina verso il RINA, avendo ritenuto, come già detto, che la Paraggina aveva ricevuto e pagato la nave senza alcuna riserva e l’aveva fatta navigare per circa un anno e mezzo, pur essendo consapevole di quei difetti che poi pose a base della propria azione giudiziaria, ed alcuni dei quali (come la filatura al diritto dell’elica) si era aggravato proprio in dipendenza della navigazione voluta dalla Paraggina nonostante la consapevolezza dei difetti.
Concludendo, il ricorso va rigettato; la ricorrente va condannata alla perdita del deposito ed alle spese ed onorari di questo grado.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto, con atto 8 – 21 aprile 1954, dalla Soc. “La Paraggina” avverso la sentenza della corte di Appello di Milano in data 20 otto – 11 dicembre 1953; condanna la ricorrente alla perdita del deposito ed alle spese di questo grado, liquidate in l. 6595 – oltre L. sessantamila per onorario di avvocato nei confronti della Soc. Gardano e Giampieri e in L. 5690 – oltre L. sessantamila per onorario di avvocato nei confronti del R.I.NA.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 1955.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 1956.

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