Cassazione civile, Sez. III; sentenza 18 agosto 2011, n. 17343

Cassazione civile, Sez. III; 18 agosto 2011, n. 17343; Pres. Preden, Rel. Chiarini, C.O.N.I. (avv. Cecinelli) contro Funivie Alpe Cermis S.P.A. (avv.ti Ricci e De Finis) e O.G., O.M., N.M. Conferma App. Trento 26.06.2006.

 

Responsabilità civile – Federazioni sportive – Sci – Omologazione di una pista da sci da parte della F.I.S.I. – Imputazione relativa al Coni – Configurabilità – Omologazione avvenuta in contrasto con norme regolamentari di sicurezza e in difetto di prescrizioni di tutela – Gara di sci sulla pista omologata – Incidente a gareggiante determinato dalle carenze delle prescrizioni di tutela – Responsabilità del Coni – Sussiste

 

L’emanazione del regolamento gara, l’accertamento ed il controllo della regolarità della pista in cui si svolge una gara, con il conseguente rilascio della apposita certificazione, sono attività svolte dalla FISI coincidenti con gli interessi generali perseguiti dal C.O.N.I. – organizzare e potenziare lo sport nazionale ­– su cui pertanto grava il dovere di controllare le attività svolte dalle federazioni nazionali. Pertanto, il C.O.N.I. risponde dei danni occorsi a un atleta durante l’espletamento di una gara su pista omologata ove risulti che i tecnici della FISI abbiano omologato la pista in contrasto con norme regolamentari di sicurezza e in difetto di prescrizioni di tutela.

 

(Nel caso di specie, un atleta sciatore in gara impattava contro un albero e perdeva la vita. Gli eredi convenivano in giudizio il tracciatore del percorso, il giudice arbitrio, il C.O.N.I. e il gestore della pista ove si era verificato l’incidente mortalela pista su cui si era svolta la competizione. In primo grado, il Tribunale condannava i convenuti in solido al risarcimento del danno; in secondo, veniva riformata esclusivamente la statuizione in merito al quantum. La Cassazione, rigettando i ricorsi promossi, rileva come nei confronti del C.O.N.I. gravi un obbligo di vigilanza sull’operato di ogni organismo che esercita attività sportiva. Pertanto  conferma la condanna del C.O.N.I., affermata in base al rilascio di un attestato di conformità della pista da sci ai regolamenti tecnici federali cui non faceva riscontro l’effettivo rispetto delle prescrizioni regolamentari, e che dunque non era omologabile senza che nel relativo certificato fossero prescritte concrete regole e cautele idonee a prevenire il prevedibile incidente poi verificatosi).

 

 

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                          

Dott. PREDEN Roberto                           – Presidente   –

Dott. UCCELLA Fulvio                            – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita           – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo                  – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio                                    – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:                                        

sentenza

sul ricorso proposto da:

 

CONI – COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO (OMISSIS), in persona del Presidente pro tempore Dott. P.G., elettivamente domiciliata   in ROMA, P.ZZA A. MANCINI 4, presso   lo   studio dell’avvocato CECINELLI GUIDO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

                                                       – ricorrente –

contro

FUNIVIE ALPE CERMIS S.P.A. (OMISSIS), in persona del   suo Presidente e legale rappresentante Geom. M.L., V.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PREMUDA 18, presso lo studio dell’avvocato RICCI EMILIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE FINIS LUIGI giusta delega a margine del controricorso;

                                                 – controricorrenti –

 

e contro

        

O.G., O.M., N.M. (OMISSIS), S.O.;

                                                         – intimati –

sul ricorso 30202-2006 proposto da:

O.M.,O.G., N.M., elettivamente domiciliati   in   ROMA, VIA GERMANICO 107,   presso   lo   studio dell’avvocato GELERA GIORGIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAL LAGO UGO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

                                                       – ricorrenti –

contro

V.E., FUNIVIE ALPE CERMIS S.P.A., in persona del suo Presidente   e   legale   rappresentante Geom. M.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PREMUDA 18, presso lo studio dell’avvocato RICCI EMILIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato   DE   FINIS LUIGI giusta   delega   a   margine   del controricorso;

                                                – controricorrente –

e contro

CONI, S.O.;

                                                         – intimati –

 

avverso la sentenza n. 207/2006 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, SEZIONE   SECONDA CIVILE, emessa il 23/05/2005,   depositata   il 26/06/2006 R.G.N. 164/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato CECINELLI GUIDO;

udito l’Avvocato DAL LAGO UGO;

udito l’Avvocato VENETTONI ROBERTO (per delega dell’Avv. RICCI EMILIO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO   Rosario   Giovanni   che   ha concluso   previa   riunione, inammissibilità primo motivo ricorso principale, rigetto degli

altri, anche del ricorso incidentale.

                

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26 giugno 2006 la Corte di appello di Trento premetteva: 1) N.M., M. e O.G., nella rispettiva qualità di madre e fratelli di O.D., deceduto il (OMISSIS) essendosi schiantato contro un albero mentre partecipava ad una gara di sci, convenivano dinanzi al Tribunale di Trento V.E., tracciatore del percorso, O. S., giudice arbitro, il Coni e la s.p.a. Funivie Alpe Cernis di Cavalese, gestrice della pista in cui si svolgeva la competizione, chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 1.169.335,43;

 

2) i convenuti contestavano la loro responsabilità ed in particolare la predetta società rilevava che l’organizzazione della gara era stata effettuata dallo sci club Alfonsine di (OMISSIS);

 

3) il Tribunale condannava i convenuti a pagare Euro 115.000,00 a favore di N.M., Euro 40.000,00 a favore di M. O. ed Euro 30.000,00 a favore di O.G., con gli interessi dal 3 maggio 2005 al saldo;

 

4) il C.O.N.I., insistendo sul difetto di giurisdizione del g.o. a favore del TAR per il sindacato sul provvedimento di omologazione della pista su cui si era svolta la gara, in ogni caso indicava come responsabile la F.I.S.I. a cui la L. n. 91 del 1981 aveva riconosciuto autonomia tecnica, di gestione ed organizzativa modificando i rapporti con il C.O.N.I., al quale non competono compiti di vigilanza sulla concreta organizzazione sportiva, ed infatti non era stata mai affermata la sua responsabilità per incidenti verificatisi nel corso di manifestazioni sportive;

 

l’ O. il giorno dell’incidente utilizzava sci sciancrati che, in caso di perdita di controllo, seguono traiettorie imprevedibili; tra la porta (OMISSIS), dove si era verificato l’incidente, ed il limite della pista, vi erano 20 metri e addirittura 31 sino al limite del bosco e tra il punto ove l’ O. aveva perso il controllo degli sci e gli alberi su cui aveva terminato la corsa vi erano 61 metri; la presenza di un solo materassino antiurto, non prescritto nel documento di omologazione, a protezione di un tronco d’albero vicino ai tre esistenti sul luogo del sinistro, significava la consapevolezza del pericolo verosimilmente da parte della s.p.a. Cermis, che aveva messo per la gara una pista omologata dalla FISI a disposizione del club Alfonsine, con cui si era obbligata a predisporre il complesso organizzativo, coadiuvata dal V., tracciatore dello slalom e suo collaboratore, che aveva l’obbligo di assicurare la sicurezza dei concorrenti a norma del regolamento FISI e che poteva chiedere alla Cermis di proteggere anche le altre due piante allorchè piazzò le porte in quel punto del tracciato, non scagionato dall’arbitro S., che a norma dello stesso regolamento aveva peraltro il potere – dovere di controllare il tracciato di gara ed imporne i cambiamenti necessari per ragioni tecniche e di sicurezza;

 

5) la s.p.a. Funivie Cermis lamentava la condanna ultra petita ai sensi dell’art. 2049 c.c. poichè gli attori avevano invocato la sua responsabilità ai sensi degli artt. 1218, 2043 e 2051 c.c. e comunque il V. non era assimilabile ad un dipendente o commesso ed era stato incaricato dal club Alfonsine di tracciare il percorso di gara;

 

6) N.M., M. e O.G. interponevano appello incidentale contestando la liquidazione dei danni secondo le tabelle del Tribunale di Trento ed in particolare l’inadeguatezza del danno esistenziale iure proprio ed hereditatis poichè D. O. abitava con la madre vedova.

 

La Corte di merito accoglieva parzialmente l’appello di N. M. liquidando il danno in Euro 140.000,00 e rigettava gli altri appelli sulle seguenti considerazioni:

 

1) il C.O.N.I. era stato convenuto in giudizio non già per carenze organizzative della gara dello sci club Alfonsine, ma per aver omologato la pista su cui venne disputata avvalendosi della FISI, suo organo tecnico degli sport invernali, nell’emanazione di tale provvedimento amministrativo, avendo l’obbligo, a norma della L. n. 426 del 1942, art. 3 di coordinare e disciplinare l’attività sportiva da chiunque esercitata;

 

2) la FISI, in base ai poteri pubblici ad essa trasferiti, aveva emanato un regolamento di natura tecnica stabilendo le regole per le singole competizioni ed i requisiti di sicurezza delle piste, la cui conformità è accertata con l’omologazione che vale per un certo periodo di tempo e non per la singola gara e quindi, anche se il provvedimento è di fatto rilasciato dalla FISI, è riferibile al C.O.N.I., che ne deve rispondere per ogni irregolarità in rapporto causale con gli incidenti che si verifichino;

 

3) la gara non era amatoriale, ma FISI nazionale, riservata a cittadini B a cui partecipavano atleti che avevano basse penalizzazioni;

 

4) la pista non era omologabile perchè contrastante con le norme regolamentari di sicurezza e priva di prescrizioni involte ad eliminare situazioni di pericolo, a causa delle quali si era verificato l’incidente mortale e quindi il provvedimento è stato rilasciato in violazione di norme tecniche emanate dalla Federazione poichè:

 

a) a norma del paragrafo 802.6 del regolamento FISI gli ostacoli nel tracciato di una pista di slalom gigante devono trovarsi a distanza di sicurezza ed essere adeguatamente protetti;

 

b) le piste riservate a tali competizioni, a norma del paragrafo 901.2.1, devono avere una larghezza di almeno trenta metri per consentire una sufficiente via di fuga, mentre dalle foto prodotte emergeva un marcato restringimento della pista determinato da un pilone della seggiovia a sinistra e piante a destra, contro una delle quali, uscito da una curva di destra, si era schiantato l’ O., come testimoniato da alcuni presenti;

 

c) trattandosi di una gara di slalom gigante le porte direzionali non potevano esser allineate al centro della pista, lungo la linea di massima pendenza, ma dovevano disegnare delle curve che si avvicinassero ai margini;

 

d) la non omologabilità e pericolosità della pista trovava una conferma obbiettiva nel mortale incidente in corrispondenza del restringimento di essa, e perciò, se comunque si fosse voluta concedere l’omologazione, occorreva imporre misure di sicurezza come reti o altri rimedi che avrebbero scongiurato l’evento mortale, e che invece non erano state adottate nonostante la prevedibilità, per i tecnici che hanno proceduto all’omologazione, della fuoriuscita di pista da parte dei concorrenti, soprattutto quando la pista è deteriorata,come nel caso dell’ O. che indossava il numero 190 e perciò l’incidente ancor di più non è attribuibile al tipo di sci utilizzato, la cui funzione è di agevolare la curva e di mantenerne la traiettoria;

 

5) circa il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rispettivo figlio e fratello, mentre le somme liquidate a favore di costoro che avevano le rispettive famiglie erano congrue, doveva esser aumentata la somma a favore della madre sessantacinquenne che viveva, vedova, con il figlio 34enne il cui decesso aveva inciso sulle sue condizioni di salute, da liquidare complessivamente in Euro 120.000,00 oltre interessi dall’evento; il danno biologico psichico doveva esser escluso in base alla C.T.U. e quello patrimoniale era da ritenere nella misura del 25% del reddito per altri quattro anni di presumibile convivenza con la madre e così aumentando ad Euro 20.000,000 il relativo importo; anche il danno tanatologico doveva esser escluso poichè era accertato che l’ O. era morto immediatamente e quindi nessun danno iure hereditatis era riconoscibile in mancanza di un lasso di tempo tra la Lesione mortale e la morte sì da configurare la perdita di utilità del bene salute.

 

Ricorre in via principale il C.O.N.I ed in via incidentale N. M. e M. e O.G., cui resistono la s.p.a. Alpe Cermis ed il V.. I ricorrenti hanno depositato memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- A norma dell’art. 335 cod. proc. civ. i ricorsi vanno riuniti.

 

1.1 – Con il primo motivo il C.O.N.I. deduce: “Inammissibilità della domanda attrice nei confronti del C.O.N.I. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione a quanto disposto dagli artt. 100 – 101 c.p.c.” e correda la doglianza sulla carenza di legittimazione passiva con il seguente quesito di diritto: “se le decisioni del Tribunale di Cavalese e della Corte di appello di Trento costituiscano violazione degli art. 100 – 101 c.p.c. e se è stato violato il principio di carattere generale secondo il quale il processo deve svolgersi nei confronti della giusta parte”.

 

Il motivo, pur essendo corredato da un quesito che non ha riferimento alcuno alla regola di diritto applicata dal giudice alla concreta fattispecie, sì che non consente di individuare l’error iuris commesso dal giudice (Cass. S.U. 26020/2008, 4044/2009), può tuttavia esser esaminato unitamente al motivo che segue.

 

2.- Con il secondo motivo deduce: “Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5; violazione della norma costituzionale ex art. 111 Cost. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5” e conclude con il seguente quesito di diritto: “Il fatto controverso consiste nella impugnata condanna del C.O.N.I. al risarcimento provocato da un terzo – FISI – per attività privatistica (omologazione pista da sci) che, in quanto tale, non può essere ricollegata al controllo pubblicistico ed alla relativa attività a questo devoluta per legge. Le Federazioni Sportive Nazionali sono organi del C.O.N.I. solo in quanto esercitano attività pubblicistica; in tutte le altre ipotesi le Federazioni rispondono in proprio, quali associazioni riconosciute di diritto privato”.

 

I motivi sono infondati.

 

La L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 14, comma 2, nel riconoscere alle federazioni sportive nazionali l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del Coni, si coordina con la L. 16 febbraio 1942, n. 426, art. 3 che, nell’istituire tale ente, gli ha attribuito il potere di coordinare e disciplinare l’attività sportiva comunque e da chiunque esercitata. Ne consegue che l’omologazione di una pista da sci, provvedimento di abilitazione volto a consentire una determinata attività per il futuro e per un numero, indeterminato di volte verificando la conformità di essa ai requisiti tecnici posti da norme regolamentari a tutela dell’integrità fisica dei partecipanti nell’espletamento di un’attività per sua natura pericolosa, rientra tra tali poteri.

 

Infatti sia l’emanazione del regolamento, sia l’accertamento ed il controllo della regolarità della pista, con il conseguente rilascio della apposita certificazione, sono attività della FISI coincidenti con gli interessi generali perseguiti dal C.O.N.I.- organizzare e potenziare lo sport nazionale (L. n. 426 del 1942, art. 2), S.U. 3092/1986 – che deve controllare ogni organismo che esercita attività sportiva (S.U. 14530/2002). Dunque l’attività svolta dalla FISI, di cui si discute nella presente causa, non attiene alla organizzazione di una singola gara, onde non può essere invocato il principio – S.U. 7640/1995 – secondo cui il CONI non ha alcuna competenza nella organizzazione delle singole gare sportive, certamente rientranti nella autonomia tecnico-organizzativa delle federazioni, poichè la responsabilità del C.O.N.I. è stata affermata in base al rilascio di un attestato di conformità della pista da sci ai regolamenti tecnici federali benchè invece, per mancanza del rispetto delle prescrizioni regolamentari innanzi evidenziate dalla Corte di merito, non fosse omologabile o quanto meno nel relativo certificato dovessero esser prescritte concrete regole e cautele idonee a prevenire il prevedibile incidente verificatosi, di cui è responsabile detto ente (Cass. 6400/1999). A tali principi si è attenuta la Corte di merito e quindi le censure vanno respinte.

 

3.- Con il ricorso incidentale la madre e i fratelli della vittima lamentano: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione e/o falsa applicazione delle norme degli artt. 69, 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c., con particolare riguardo al mancato risarcimento del danno catastrofico” per il negato riconoscimento del danno biologico terminale intercorso tra il momento in cui l’ O. ha perso il controllo degli sci, è caduto, è scivolato verso l’impatto mortale contro l’albero non protetto e la morte, e specificano: “il fatto controverso su cui è stata completamente omessa la motivazione è la richiesta ci risarcimento del danno biologico terminale e del danno morale terminale patiti dalla vittima negli istanti precedenti la sua morte e ricompresi nella richiesta di risarcimento del danno catastrofico avanzata dagli a.d. O. iure hereditatis”; quindi chiedono di affermare il seguente principio di diritto: “agli eredi della vittima di sinistro mortale spetta il risarcimento del danno biologico terminale e del danno morale terminale patiti dalla vittima negli istanti precedenti la sua morte e ricomprendibili, nel caso di morte verificatasi a minima distanza dal fatto lesivo, nella categoria del danno catastrofico”.

 

3.1- Con il secondo motivo deducono: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione e/o falsa applicazione delle norme degli artt. 69, 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c. con particolare riguardo al mancato risarcimento del danno tanatologico” ovvero “come perdita di chance, ossia perdita attuale della speranza futura di vita in cui incipit genetico è nello stesso atto lesivo”, e concludono chiedendo di affermare il seguente principio di diritto: “agli eredi della vittima di sinistro mortale spetta il risarcimento del danno consistente nella perdita della vita, altrimenti detto danno tanatologico”.

 

motivi, congiunti, sono infondati.

 

Ed infatti questa Corte ha recentemente stabilito che (Cass. 6754/2011) la risarcibilità sia del pregiudizio biologico terminale che morale terminale – rispettivamente danno tanatologico e catastrofico – è condizionata, quanto alla prima voce di danno non patrimoniale, dalla permanenza in vita del soggetto lesionato perchè spentasi la persona cessa anche la sua capacità di acquistare che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un soggetto di diritto., e, quanto alla seconda, dalla permanenza della coscienza perchè, se invece la morte sopravviene senza che la vittima abbia la possibilità di sentire la massima sofferenza dell’imminenza della morte o della gravissima entità delle lesioni subite, nessun danno morale terminale è riconoscibile ai suoi eredi perchè non è entrato nel patrimonio della vittima al momento della sua morte e poichè la natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, sono tutele che non possono più esser attuate a favore del defunto. A questi principi si è attenuta la Corte di merito avendo escluso, con accertamento di fatto non censurato, che tra l’incidente e la morte dell’ O. sia intercorso qualsiasi lasso di tempo: ” ..nel caso specifico la vittima venne raggiunta subito dopo l’incidente e ne fu constatata la morte immediata” (pag. 29, primo cpv.), sì che correttamente la Corte di merito ha escluso sia che le lesioni mortali fossero suscettibili di degenerare in patologia e così configurare il danno biologico, stante l’assenza di intervallo tra esse e la morte, sia lo stato di sofferenza della vittima, il cui decesso sul colpo ha escluso la percezione del trapasso.

 

Concludendo i ricorsi vanno respinti.

 

Si compensano le spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, riconvocatasi il 24 febbraio 2011.

 

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2011

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