Cassazione civile, Sez. III, sentenza 6 dicembre 2011, n. 26220

Cassazione civile, Sezione III; 6 dicembre 2011, n. 26220; Rel. Pres. Finocchiaro, S.A. (avv. Manfredi e Caterina) contro Ras s.p.a. e C.A. Conferma App. Torino, 01.02.2006.

 

Assicurazione – Sci – Scontro tra sciatori – Giudizio di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. – Giudizio di manleva nei confronti dell’assicurazione – Riunione di cause – Autonomia dei giudizi – Sussiste.

 

Assicurazione – Sci – Scontro tra sciatori – Giudizio di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. – Giudizio di manleva nei confronti dell’assicurazione – Riunione di cause – Confessione giudiziale – Effetti in entrambi i giudizi – Non sussiste.

 

 

La riunione di cause connesse lascia inalterata l’autonomia dei giudizi per quanto concerne la posizione processuale assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono sull’altro processo sol perché questo è stato riunito al primo.

 

La sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise: in altri termini in caso di litisconsorzio facoltativo, pur nell’identità delle questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce – sebbene formalmente unica – consta in realtà di tante pronunzie quante sono le cause riunite.

 

(Nel caso di specie, il ricorrente durante una discesa sciistica aveva impattato un altro sciatore, provocandogli lesioni. Ammessa la propria responsabilità nel giudizio risarcitorio, egli con separato giudizio chiamava in causa la propria assicurazione, affinché fosse tenuto indenne dalle conseguenze pecuniarie della condanna. Quest’ultima, resistendo, asseriva che le ammissioni di responsabilità del ricorrente, quanto alla modalità di verificazione del sinistro, non le erano opponibili e che pertanto su costui gravava l’onere di provare i presupposti del proprio diritto, nonché del quantum del proprio credito risarcitorio. In particolare – come sottolineato dalla sentenza impugnata – mentre nella causa proposta dal danneggiato nei confronti del ricorrente investitore le dichiarazioni di quest’ultimo, o del suo difensore, possono valere come ammissione dei fatti invocati dal danneggiato, le medesime dichiarazioni sono prive di qualsiasi valore nell’ambito dell’autonoma e distinta causa promossa dal ricorrente nei confronti della Ras s.p.a che era stata successivamente riunita alla causa promossa dal danneggiato).

 

 

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(per il testo integrale della sentenza vai a “Leggi tutto”)

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE TERZA CIVILE

 

 

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                          

 

Dott. FINOCCHIARO Mario                         – rel. Presidente  –

 

Dott. GIACALONE Giovanni                         – Consigliere –

 

Dott. DE STEFANO Franco                           – Consigliere –

 

Dott. LANZILLO Raffaella                             – Consigliere –

 

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana             – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:                                        

 

 

 

sentenza

 

 

 

sul ricorso 3880/2007 proposto da:

 

 

 

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

 

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MANFREDI Brunello, CATERINA FRANCESCO, con studio in 10122 TORINO, Corso San Martino n. 2, giusta delega in atti;

 

                                                       – ricorrente –

 

contro

 

RAS SPA (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti Dr.   R. G. e Dr.ssa M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA Giorgio, che

 

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

 

                                                – controricorrente –

 

e contro

 

C.A.;

 

                                                         – intimato –

 

 

 

avverso la sentenza n. 142/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 01/02/2006; R.G.N. 1435/2004; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto.

 

                

 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto 19 ottobre 1999 C.A. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Aosta, S.A., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti patiti da esso attore in occasione del sinistro verificatosi il (OMISSIS) allorchè esso C. – mentre si trovava fermo sul lato destro della pista di sci n. (OMISSIS) – era stato investito dal S. che scendeva a valle con gli sci.

 

 

 

Ha esposto l’attore che dal sinistro aveva riportato un danno biologico permanente nella misura del 4% nonchè una invalidità temporanea parziale di giorni 60 (trenta massima e trenta minima) e un danno patrimoniale di L. 47.184.000 avendo dovuto interrompere la propria attività di autotrasportatore con affidamento delle commesse già assunte a altro autotrasportatore, pur di non perdere la clientela.

 

 

 

Costituitosi in giudizio il S. ha ammesso la propria responsabilità, facendo presente di essere assicurato per la responsabilità civile presso la Ras s.p.a. che ha chiesto fosse chiamata in causa perchè lo tenesse indenne da ogni pretesa avversaria.

 

 

 

Chiamata in causa la Ras si è costituita in giudizio resistendo alla avversa pretesa.

 

 

 

Ha fatto presente, in particolare, la terza chiamata di avere riscontrato stranezze nella istruttoria della pratica avendo il S. tenuto un comportamento reticente, in merito al sinistro stesso, e avendo accertato essa concludente: da un lato, che il danneggiato non era un conoscente del danneggiante – assicurato, ma un suo affine, dall’altro, che il S., mentre in sede di denunzia del sinistro non aveva indicato alcun nominativo di eventuali testimoni, all’atto della chiamata in causa di essa Ras aveva dichiarato che terzi avevano assistito all’incidente, da ultimo che le commesse asseritamente subappaltate a un terzo autotrasportatore risultavano, invece, direttamente affidate a detto terzo, cosi che si era in presenza di una strana situazione di doppia fatturazione (al terzo e al C.) dei medesimi trasporti.

 

 

 

Tutto ciò premesso la terza chiamata ha concluso facendo presente che le ammissioni del S. – quanto alle modalità di verificazione del sinistro – non le erano opponibili e che l’attore era gravato dell’onere di provare i presupposti del proprio diritto nonchè del quantum del proprio credito risarcitorio.

 

 

 

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 8 maggio 2003 mentre, da una parte, ha condannato il S. al risarcimento dei danni arrecati al C., liquidati in Euro 12.456,00, dall’altra, ha rigettato ogni domanda del S. nei confronti della Ras s.p.a..

 

 

 

Gravata tale pronunzia dal S., nel contraddittorio della Ras Assicurazioni s.p.a. nonchè del C. che, costituitisi in giudizio hanno chiesto la prima il rigetto dell’avverso gravame, il secondo oltre che il rigetto del gravame la condanna – in via di appello incidentale – del S. al pagamento delle spese del primo grado del giudizio, di cui il primo giudice aveva disposto la compensazione, la Corte di appello di Torino, con sentenza 1 febbraio 2006 ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale e, compensate anche quanto al giudizio di appello le spese di lite nei rapporti tra il S. e il C., ha condannato, l’appellante principale al pagamento delle spese del grado in favore della Ras s.p.a..

 

 

 

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso – affidato a due motivi – S.A..

 

 

 

Resiste, con controricorso, la Ras Assicurazioni s.p.a..

 

 

 

Non ha svolto attività difensiva in questa sede C.A..

 

 

 

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. I giudici di secondo grado hanno rigettato il gravame proposto dall’appellante principale S. evidenziando che la causa promossa dal danneggiato contro il responsabile per ottenere la condanna al risarcimento e quella del responsabile nei confronti del proprio assicuratore per ottenerne la condanna a rifondergli quanto dovuto al danneggiato sono processualmente riunite ma mantengono la loro distinta entità e i lodo distinti oneri probatori.

 

 

 

Ne deriva – hanno evidenziato quei giudici – che bene può il giudice, nella prima causa, ritenere che le (ammissioni contenute negli atti difensivi del S., unitamente alla prove documentali che le confortano (dichiarazioni rese dallo stesso S. al proprio assicuratore in sede di denunzia di sinistro) porti a escludere che nei rapporti con il danneggiato il danneggiante possa validamente contestare la propria responsabilità (che ammette in causa in pieno) e, al contempo – stante la diversa natura del rapporto che lega assicuratore e assicuratore – ritenere che le ammissioni dell’assicurato siano del tutto irrilevanti dal punto di vista probatorio nei confronti dell’assicuratore.

 

 

 

Insomma, hanno concluso quei giudici “il C. ha l’onere di provare il sinistro e la responsabilità del S.: se questi in causa, sia pure tramite il proprio legale, ammette la verificazione del sinistro così come lo descrive l’attore, e da tale descrizione emerge anche la sua colpa, non può che conseguirne l’accoglimento della domanda attorea. Se poi, nel distinto, ancorchè riunito procedimento promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore l’assicurato sostiene che i presupposti contrattuale della obbligazione dell’assicuratore sono insorti, ebbene egli ha l’onere di rovare non solo l’esistenza del contratto, ma anche i fatti che comportano l’insorgere della obbligazione della controparte contrattuale e tale prova non può scaturire nè dalle proprie asserzioni di tale causa, nè dalle identiche asserzioni rese di diversa causa”.

 

 

 

2. Il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando, nell’ordine:

 

 

 

– da un lato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo della causa laddove la Corte di appello di Torino omette di prendere posizione sulla sussistenza o meno nel giudizio de quo come prova legale di una intervenuta valida confessione da parte del S.. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. come richiamati dall’art. 359 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. primo motivo;

 

 

 

– dall’altro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo della causa laddove la Corte di appello di Torino ritiene, ammettendo che a nessun presupposto confessorio avente valore di prova legale possa essere dato accesso nel giudizio, che lo stesso giudice nelle due cause connesse, per cui vi è esigenza di un solo processo possa diversamente convincersi nell’una o nell’altra causa sulla valutazione dell’unico thema probandum. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione anche dell’art. 106 c.p.c. con riferimento all’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c. secondo motivo.

 

 

 

3. I due motivi – intimamente connessi e da esaminare congiuntamente – non possono trovare accoglimento, atteso che appaiono sotto molteplici profili inammissibili e, per altri, manifestamente infondati.

 

 

 

Alla luce delle considerazioni che seguono.

 

 

 

3.1. A norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – nel testo applicabile nella specie ratione temporis è stata impugnata con ricorso per cassazione una sentenza pubblicata anteriormente al 2 marzo 2006 – le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnata con ricorso per cassazione, tra l’altro “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”.

 

 

 

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi fatti controversi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

 

 

 

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso fatto controverso, contemporaneamente omessa, nonchè insufficiente e, ancora contraddittoria è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost.

 

 

 

e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice, come invece pare pretenda parte ricorrente (Cfr., tra le tantissime, Cass. 27 settembre 2011, n. 19748; Cass. 25 gennaio 2011, n. 1747; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626; Cass. 19 gennaio 2010, n. 713, specie in motivazione).

 

 

 

3.2. Giusta quanto da lustri ripetutamente affermato da una giurisprudenza decisamente maggioritaria (ancorchè non totalitaria) di questa Corte regolatrice, in sede di ricorso per cassazione la violazione di una norma processuale deve essere denunciata, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 e non, pertanto, sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5 (tra le tantissime, Cass. 21 marzo 2011, n. 6468, specie in motivazione; Cass. 4 giugno 2007, n. 12952; Cass. 19 maggio 2006, n. 11844; Cass. 14 febbraio 2006, n. 3190; Cass. 26 luglio 2004, n. 14003; Cass. 18 giugno 2003, n. 9707).

 

 

 

Certo quanto sopra è palese la manifesta inammissibilità della seconda parte di entrambi i motivi sopra riassunti ove si denunzia, sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 la presunta violazione, da parte del giudice del merito degli artt. 112, 106, 115 e 116 cod. proc. civ..

 

 

 

3.3. In margine all’art. 2697 cod. civ., la giurisprudenza di questa Corte regolatrice non dubita che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cfr., ad esempio, Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 22 luglio 2004, n. 13618; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. 9 dicembre 1993, n. 11949).

 

 

 

Pacifico quanto precede è palese che nella specie – assumendo – in buon sostanza – la sentenza ora oggetto di ricorso che nel giudizio promosso dal S. (attore) nei confronti del proprio assicuratore (convenuto) era onere del primo dare la prova oltre che della esistenza del contratto, anche della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, prova a parere della sentenza impugnata assolutamente mancata – stante la inidoneità degli elementi invocati – deve decisamente escludersi sia prospettabile una violazione dell’art. 2697 cod. civ..

 

 

 

3.4. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice:

 

 

 

– la riunione di cause connesse lascia inalterata l’autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono sull’altro processo sol perchè questo è stato riunito al primo (Cass. 13 luglio 2011, n. 15383);

 

 

 

– la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise (Cass. 13 luglio 2006, n. 15954; Cass. 25 marzo 2011, n. 6951): in altri termini in caso di litisconsorzio facoltativo, pur nell’identità delle questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce – sebbene formalmente unica – consta in realtà di tante pronunzie quante sono le cause riunite (Cass. 22 gennaio 2004, n. 1103; Cass. 18 aprile 2006, n. 8956).

 

 

 

Pacifico quanto precede è palese che la sentenza impugnata – che puntualmente si è adeguata a tali principi – non è in alcun modo censurabile.

 

 

 

In particolare – come puntualmente sottolineato dalla sentenza impugnata – mentre nella causa proposta dal C. attore nei confronti del S. convenuto le dichiarazioni di quest’ultimo, o del suo difensore possono valere come ammissione dei fatti invocati dall’attore cioè dal C., le stesse dichiarazioni sono prive di qualsiasi valore nell’ambito della autonoma, e distinta, causa promossa dal S., nei confronti della Ras s.p.a..

 

 

 

In questa distinta – ancorchè connessa – controversia, infatti, il S. ha la veste e la qualità di attore, mentre la Ras s.p.a.

 

 

 

ha la posizione di convenuta ed è palese – alla luce dei principi generali del nostro ordinamento e, in particolare, proprio dell’art. 2697 c.c., che in tale diverso giudizio le dichiarazioni della parte attrice (e del suo difensore), al pari dei documenti ammissivi della propria responsabilità provenienti dallo attore sono assolutamente privi di qualsiasi efficacia probatoria ai danni del convenuto (e al fine di dimostrare la fondatezza degli assunti dello stesso attore).

 

 

 

Recita l’art. 2730 cod. civ., comma 1 “la confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti a essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte”.

 

 

 

Deriva da quanto sopra pertanto, che la confessione produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale (cfr., ad esempio, Cass. 14 febbraio 2011, n. 4486).

 

 

 

Certo quanto sopra è evidente che è sfornito di qualsiasi supporto normativo l’assunto di parte ricorrente allorchè invoca che la confessione resa da esso S. abbia effetti di prova legale nei confronti della Ras, senza ombra di dubbio persona diversa dal confitente (e, anzi, nella specie, suo diretto contraddittore nel giudizio da esso S. promosso nei confronti della stessa Ras per ottenere di essere manlevato delle conseguenze dell’esito negativo dell’altro giudizio promosso dal C.).

 

 

 

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese anche di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

LA CORTE rigetta il ricorso;

 

 

 

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, e oltre spese generali e accessori come per legge.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2011.

 

 

 

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

 

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