CASSAZIONE PENALE, sez. VI, sentenza 8 settembre 2015 – dep. 18 aprile 2016, n. 15957.

CASSAZIONE PENALE, SEZIONE VI, sentenza 8 settembre 2015 – dep. 18 aprile 2016, n. 15957.

Responsabilità penale – Esercizio abusivo di professione – Maestro di sci – Insussistenza – Assoluzione

La configurabilità del reato previsto e punito dall’art. 348 c.p., integrato dallo svolgimento, da parte di un soggetto non abilitato, di attività rientranti tra quelle tipiche o comunque riservate ad una specifica professione, per il cui esercizio occorre essere muniti di un titolo abilitante, richiede, altresì, la verifica, in termini di pregiudizialità, della sussistenza e della commissione in concreto di un atto professionale tipico e, soprattutto, delle specifiche ed effettive modalità con cui lo stesso risulta posto in essere. Di talché, il delitto in parola non può intendersi integrato ove non vi sia prova che l’agente abbia concretamente svolto uno o più atti tipicamente propri di una determinata condotta professionale (nella specie quella di maestro di sci), quanto piuttosto un’attività agevolmente praticabile da qualunque persona dotata di semplice ed elementare esperienza in materia (nella specie accompagnamento di alcuni bambini su una pista da sci).

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente –
Dott. PAOLONI Giacomo – rel. Consigliere –
Dott. CARCANO Domenico – Consigliere –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 26/11/2014 della Corte di Appello di Trento;

esaminati gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste;
udito per la parte civile Collegio provinciale Maestri di Sci del Trentino l’avv. Massimo Viola, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Luigi Villa, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 29.4.2013 il Tribunale di Trento, sezione distaccata di Cavalese, ha dichiarato B.A. colpevole dl reato di cui all’art. 348 c.p. per avere (in (OMISSIS)) esercitato abusivamente la professione di maestro di sci “senza apposito titolo abilitativo e senza essere iscritto nello speciale albo professionale” della Provincia Autonoma di Trento e per l’effetto, concessegli le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 140,00 di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Il Tribunale ha ritenuto che il ricostruito comportamento dell’imputato (“notato il 1.2.2011 sulle piste di sci di (OMISSIS) mentre istruiva dei bambini che indossavano le pettorine proprie di una scuola di sci ed erano incolonnati come avviene nelle lezioni:
l’imputato mimava le condotte da tenere e verificava che gli allievi lo seguissero”) fosse integrativo della contestata fattispecie criminosa ex art. 348 c.p. sulla base di due rilievi: a) assenza di un titolo abilitativo italiano, non surrogabile dal titolo di maestro di sci (“non riconosciuto in Italia”) pur conseguito in Romania dal B. (che pacificamente svolgeva e svolge attività professionale affatto diversa da quella di maestro di sci); b) irrilevanza della domanda di autorizzazione all’esercizio della predetta attività non professionale rivolta dall’imputato all’Ufficio dello Sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, domanda non idonea ad elidere la competenza della Provincia di Trento, cui il prevenuto avrebbe dovuto rivolgere espressa richiesta all’espletamento temporaneo dell’attività di maestro di sci.

2. Adita dall’impugnazione dell’imputato, la Corte di Appello di Trento con sentenza del 26.11.2014 ha assolto il B. dal reato ascrittogli con la formula del fatto non costituente reato.
Muovendo dal presupposto storico che l’imputato il 1 febbraio 2011 “stesse impartendo una vera e propria lezione di sci” ad un gruppetto di sette/otto bambini, i giudici del gravame hanno ritenuto infondata la tesi difensiva del B., secondo cui alla stregua del D.Lgs. n. 206 del 2007, art. 9 e L. Prov. Trentino n. 20 del 1993, art. 47 – il titolo abilitativo di maestro di sci conseguito in Romania lo legittimasse all’esercizio temporaneo dell’attività anche in assenza di iscrizione in un albo italiano ovvero di specifica autorizzazione, a tal fine non potendo bastare la previa comunicazione all’Ufficio dello Sport di (OMISSIS) (ancorchè erroneamente individuato in luogo del competente organo provinciale trentino). Ciò perchè, afferma la Corte territoriale, l’esercizio temporaneo e occasionale di un’attività professionale, conforme ai connessi principi comunitari di “libertà di stabilimento” e di “libera prestazione di servizi” negli Stati della U.E., è sottoposto alla condizione che l’interessato sia “legalmente stabilito” in un Paese U.E. o dimostri di avervi esercitato la specifica attività per almeno due anni negli ultimi dieci. Condizione da escludersi per il B., poichè questi (che non ha provato di aver svolto l’attività di maestro di sci in Romania o in altro Stato U.E.) non può qualificarsi soggetto “legalmente stabilito” in Romania (per la Corte il cittadino italiano che abbia conseguito la sola abilitazione professionale in uno Stato U.E., senza esservisi stabilito per l’esercizio della professione di maestro di sci, non è assimilabile a un lavoratore legalmente stabilito in detto Stato).
Nondimeno la Corte di Appello di Trento ha ritenuto di mandare comunque assolto il B., pur privo di “autorizzazione” all’esercizio dell’attività di maestro di sci del Collegio provinciale di Trento, in base al rilievo che – a fronte della indiscussa “effettiva complessità della normativa extrapenale di riferimento che implica difficoltà interpretative di un certo spessore”- del ragionevole assunto che lo stesso sia caduto in errore scusabile, da valutarsi ai sensi dell’art. 5 c.p. (come interpretato dalla nota sentenza costituzionale n. 364 del 1988).

3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.A., invocandone l’annullamento sulla base di un duplice ordine di rilievi, di natura normativa e probatoria, dimostrativi dell’erronea applicazione della disciplina regolamentare (comunitaria, nazionale e regionale) della attività di maestro di sci e dell’illogicità e contraddittorietà manifeste della decisione impugnata.
3.1. Sotto il primo aspetto il ricorso contesta, con meticolosa analisi e con richiami giurisprudenziali, l’assunto giuridico della Corte territoriale incentrato sulla necessità da parte del B. di conseguire specifica autorizzazione all’esercizio pur temporaneo dell’attività di maestro di sci del Collegio provinciale dei maestri di sci trentino. Posto che (nel coacervo di norme di varia forza precettiva) – al contrario di quanto implicitamente ipotizzato nella sentenza di appello – proprio la evocata legge provinciale trentina n. 20/1993 opera una sostanziale equiparazione tra i maestri di sci iscritti in altri albi italiani (regionali o provinciali) e i maestri di sci legalmente stabiliti in altro Stato U.E., nessuno dubita che l’imputato ha conseguito il titolo abilitativo alla professione di maestro di sci in Romania, sì da doversi ivi reputare legalmente stabilito, l’unica condizione prevista dal D.Lgs. n. 2206 del 2007, art. 9 ai fini dell’esercizio della corrispondente prestazione di servizio, temporale e occasionale, essendo costituita dall’invio di una anteriore dichiarazione o comunicazione all’autorità nazionale indicata dall’art. 5 del citato decreto legislativo. Adempimento osservato dal B., che non aveva bisogno di ulteriore specifica autorizzazione dell’organo collegiale professionale trentino. In ogni caso – in tesi e a tutto concedere – la mancata comunicazione del B. della sua temporanea attività di maestro di sci al Collegio provinciale trentino giammai integrerebbe un abusivo svolgimento della professione sanzionabile ai sensi dell’art. 348 c.p.. Ma al più una semplice omissione censurabile con sola sanzione amministrativa (in vero, al pari di quanto sarebbe accaduto a un maestro di sci iscritto in altro albo italiano sorpreso ad esercitare occasionalmente in provincia di Trento, “il B. era certamente già abilitato all’esercizio della professione di maestro di sci, possedendo il relativo titolo; avendo inviato la dichiarazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non al collegio provinciale di Trento, è incorso in un vizio di comunicazione e, dunque, in una semplice violazione amministrativa”).
3.2. Sotto il secondo aspetto il ricorso censura l’applicabilità dell’art. 348 c.p. per difetto del requisito della “professionalità” della prestazione (di maestro di sci) ascritta al B. (titolare, nella vita quotidiana, di una farmacia in provincia di Bergamo), atteso che dall’istruzione dibattimentale non sono emerse idonee prove di siffatto connotato i della condotta del prevenuto oggetto della regiudicanda.
A differenza di altre attività che richiedono cognizioni tecniche specialistiche e il cui abusivo esercizio è sufficiente per integrare la fattispecie criminosa di cuiall’art. 348 c.p., in guisa da rendere punibile (per la riconosciuta natura istantanea del reato de quo) anche un solo atto “tipico” di una di quelle determinate attività espletato in assenza della prevista abilitazione di pertinenza, l’esercizio della attività di maestro di sci ricade nell’alveo dell’art. 348 c.p. nei soli casi in cui lo stesso sia svolto con caratteri di professionalità. Non a caso, infatti, la L. 8 marzo 1991, n. 81, art. 2, legge quadro per la professione di maestro di sci (presupposto dall’art. 348 c.p.), valorizza al ridetto fine la sola attività di insegnamento di tecniche sciistiche qualificata da una sua intrinseca natura professionale, definendo maestro di sci chi insegni “professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo”, le tecniche sciistiche a singoli e a gruppi di persone. Ora non appare revocabile in dubbio che il B., imputato in ragione di un solo episodio asseritamente accertato da terzi sulle piste di sci di (OMISSIS), al momento del fatto non vestisse alcuna divisa o “pettorina” che potesse davvero individuarlo come maestro di sci; pettorina, indossata dai presunti suoi giovani allievi al solo fine di renderli immediatamente riconoscibili sui campi di sci anche in occasione della “pausa” tra la lezione mattutina e quella pomeridiana loro impartita (dato incontroverso) dai veri (e ovviamente abilitati) mastri della scuola di sci di (OMISSIS) (in conformità ai “pacchetti” turistici offerti dalle strutture alberghiere dell’area montana agli ospiti e ai loro bambini).

4. Il ricorso è basato su motivi fondati e deve, per ciò, essere accolto.
Senz’altro corrette e aderenti alle evenienze probatorie desumibili dalla ricostruzione dell’intera vicenda offerta dalle due sentenze di merito si delineano le considerazione critiche sviluppato con il secondo tema di censura enunciato in ricorso.
4.1. Profilo che assorbe e rende ultroneo un approfondito vaglio del primo tema di censura afferente alla disamina della peculiare disciplina dell’attività dei maestri di sci in vigore per la Provincia autonoma di Trento. Ciò pur non facendosi velo alla linearità e coerenza delle notazioni formulate con l’impugnazione in ordine alla latitudine applicativa dei principi di ascendenza sovranazionale comunitaria dettati dal più volte citato D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206 (emesso in attuazione di direttive della U.E. sul riconoscimento delle qualifiche professionali e sull’adeguamento di tali direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione alla U.E. di più Stati tra cui la Romania).
In proposito non può non rimarcarsi, da un lato, la singolare precisazione contenuta nell’impugnata sentenza di appello, secondo cui (a conferma della viscosità e dei dubbi interpretativi fatti palesi dalla c.d. disciplina extrapenale di riferimento) perfino l’Ufficio Professioni per il Turismo di Trento, cui si era rivolto per ottenerne un parere l’originario coimputato ( C.A.) dell’attuale ricorrente B., non aveva esitato a “rassicurarlo verbalmente sulla possibilità di esercitare temporaneamente la professione di maestro di sci nella Provincia” (proprio perchè munito, come B., di titolo abilitativo di maestro di sci rilasciato dall’autorità rumena). Nè, d’altro lato, appare agevole superare – come semplicisticamente concluso dai giudici di appello trentini – il rilievo in base al quale la L. Prov. Trentina 23 agosto 1993, n. 20, che pure equipara le posizioni di maestri di sci (italiani o non) iscritti in altri albi italiani e di maestri di sci (italiani o non) legalmente “stabiliti” in altro Stato Europeo per avervi ivi conseguito il corrispondente titolo abilitativo, indurrebbe ad un differente deteriore trattamento per i secondi (rendendoli punibili ex art. 348 c.p.), imponendo loro condizioni (per lo svolgimento di attività temporanea nella provincia trentina) ulteriori rispetto alla semplice comunicazione preventiva al collegio provinciale dei maestri di sci trentino (non essendo irragionevole ritenere, secondo quel che si sostiene in ricorso, che il concetto di “stabilimento” in uno Stato U.E. nel quale sia regolamentato, come in Romania, l’esercizio della professione per cui è stato rilasciato titolo abilitativo, prescinde dall’esercizio effettivo o attuale della professione in quello Stato).
4.2. In realtà, come diffusamente esposto nell’odierno ricorso, difettano concrete e affidabili prove per concludere che il B. – ove davvero abbia svolto attività di insegnamento di tecniche sciistiche allo sparuto gruppo di bambini che l’1.2.2011 lo seguivano sulle piste di (OMISSIS) – abbia ciò fatto per effetto di una condotta espletata con caratteri di professionalità, dal momento che è dato pacifico in atti che l’imputato (che nessuna remunerazione ha, tra l’altro, percepito per siffatta ipotetica attività), tale condotta ha svolto in modo puramente occasionale e per puro spirito collaborativo con l’associazione dei maestri di sci di (OMISSIS), chiarendo la stessa sentenza di appello che tale collaborazione è avvenuta in modo affatto gratuito e a titolo di semplice cortesia. Senonchè a monte di tali notazioni resta il dato per cui le fonti probatorie richiamate dalle due sentenze di merito non permettono di attingere elementi di certezza sulla effettività o meno dei presunti insegnamenti tecnici che il B. avrebbe impartito (o, meglio, sarebbe stato in procinto di impartire) ai bambini o non si sia piuttosto limitato unicamente a farsi seguire a fondo pista dagli stessi bambini.
In ogni caso l’unicità dell’episodio attribuito al ricorrente (non è inutile segnalare che la sentenza di primo grado, che aveva affermato la penale responsabilità del B., evoca semplici “sospetti” alimentati dalla “osservazione” di un maestro di sci presente sulle piste di (OMISSIS), correlandola alla pure presunta scarsa disponibilità di maestri di sci della scuola locale per fronteggiare la richiesta turistica di lezioni), se – in via teorica e in adesione alla giurisprudenza di questo giudice di legittimità – alimenta l’astratta configurabilità del contestato reato ex art. 348 c.p., essendo a tal fine sufficiente il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione in ipotesi abusivamente esercitata (cfr.: Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, Cani, Rv. 251819;
Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013, dep. 2014, Tosto, Rv. 259490), si delinea in tutta evidenza non sorretta dall’irrinunciabile presupposto o condizione della valenza professionale del medesimo episodio.
Ne discende che, se non è dubitabile che il reato di cui all’art. 348 c.p. è realizzato dallo svolgimento da parte di soggetto non abilitato di attività rientranti tra quelle tipiche o c.d. riservate di una specifica professione per il cui esercizio occorra essere muniti di un titolo abilitante, è non meno indubbio che – ai fini penali – si rende sempre necessario verificare, in termini di palese pregiudizialità, la sussistenza e la commissione reali di un atto professionale “tipico” e soprattutto delle specifiche ed effettive modalità con cui lo stesso è stato posto in essere. E’ proprio questo secondo aspetto di valenza storica e comportamentale che nell’impugnata decisione di appello si mostra privo di adeguata motivazione dimostrativa nonchè scandito da palesi discrasie logiche. Non vi è prova, in altri termini, che il B. con il suo comportamento sia incorso, come dedotto in discussione dallo stesso concludente Procuratore Generale, nella “illiceità speciale” ascrittagli. O, più esattamente, che egli abbia davvero svolto uno o più atti tipicamente propri della condotta professionale di maestro di sci, avendo piuttosto (e a tutto voler supporre) attuato – per quanto emerso ex actis – una semplice opera di conduzione o accompagnamento di alcuni bambini su una pista di sci, di per sè agevolmente praticabile da qualunque persona dotata di semplice ed elementare esperienza sciistica.
Di tal che nel caso di specie il contegno dell’imputato non ha integrato la fattispecie di cui all’art. 348 c.p. (tipica norma penale in bianco, rinviante alla disciplina giuridica qualificante l’attività “professionale” di maestro di sci). Con la logica conseguenza che nella vicenda oggetto della regiudicanda difetta in radice l’elemento materiale del reato, giacchè la condotta posta in essere dall’imputato non ha assunto peculiare rilevanza esterna, palesandosi non caratterizzata dalla “tipicità” degli atti compiuti, riferibile all’attività professionale di maestro di sci, per la quale è richiesta speciale abilitazione (di cui, per altro, come non è superfluo ribadire, il B. era comunque munito, avendo conseguito il relativo titolo in uno Stato della U.E.).

Di conseguenza la sentenza della Corte di Appello di Trento impugnata dal B. deve essere annullata per insussistenza del fatto reato ascritto al ricorrente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2016

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