CASSAZIONE PENALE, sezione IV, 13 dicembre 2018 – dep. 25 febbraio 2019, n. 8110.

CASSAZIONE PENALE, sezione IV, 13 dicembre 2018 – dep. 25 febbraio 2019, n. 8110. Annulla CORTE APPELLO VENEZIA, 25 gennaio 2016.

Responsabilità penale – Omicidio colposo – Gestore area sciabile – Colpa omissiva – Sussiste – Prescrizione reato

In tema di colpa omissiva, la posizione di garanzia che assume il gestore di un impianto sciistico in ordine all’incolumità degli sciatori prevede l’obbligo di recintare la pista ed apporre idonee segnaletiche e protezioni, o, in alternativa, rimuovere possibili fonti di rischio, in presenza di una conformazione dei luoghi che renda altamente probabile un’uscita di pista dello sciatore (fattispecie relativa al decesso di uno sciatore determinato dall’impatto con un masso in conseguenza della sua uscita dalla pista in corrispondenza di una scarpata idonea a generare l’impressione di una diversa traiettoria della pista stessa).

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 25.1.2016 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha ridotto la pena e le sanzioni civili irrogate in primo grado e per il resto ha confermato la dichiarazione di responsabilità di M.G. in ordine al reato di omicidio colposo del giovane F.M. il quale, mentre stava sciando sulla pista “(OMISSIS)”, usciva dal tracciato e, cadendo, batteva il capo contro un masso, perdendo la vita (fatto dell'(OMISSIS)).

All’imputato, nella sua qualità di responsabile della sicurezza delle piste da sci gestite dalla S.p.a. Fiorentini Folgaria, è stato addebitato di non aver fatto segnalare in maniera adeguata – stanti anche le condizioni di ridotta visibilità presenti il giorno dell’incidente – il margine battuto della pista (tramite rete di protezione di tipo B ovvero intensificazione del numero di paline e di segnalazione del pericolo), in maniera tale da impedire l’uscita di pista della vittima e la conseguente caduta sul masso con esito fatale.

In particolare, è stato accertato che il giovane Ma., all’epoca quattordicenne, stava sciando insieme a due amici ( Re.Ma. e N.C.) – tutti sciatori esperti – in un tratto quasi piano della pista, di poco successivo ad un tratto in più forte pendenza; a causa della scarsa visibilità dovuta ad un banco di nebbia, in prossimità di una curva a destra, la vittima usciva dal tracciato dal lato sinistro della pista, a valle della curva, e dopo un breve tratto in volo, andava a cadere contro un grosso masso, battendo il capo ed affondando inerte nella neve fresca, seguito in rapida successione dall’amica N.C., che a sua volta si fratturava una gamba, e da R.M., il quale invece rimaneva illeso.

A valle della curva è stata ravvisata una situazione di pericolo costituita dalla presenza di una “scarpata”, intesa come superficie inclinata la cui pendenza cambia gradualmente a seconda del punto di uscita della semicurva destrorsa; quindi una zona scoscesa in cui i giovani sciatori si sono imbattuti improvvisamente una volta usciti dal tracciato battuto.

La Corte di appello ha respinto i motivi di appello tesi a dimostrare la ragionevolezza di una lettura alternativa, finalizzata ad attribuire ad una condotta dolosa o gravemente colposa di F.M. il ruolo di causa eccezionale ed imprevedibile tale da escludere il nesso causale, ed ha avallato la ricostruzione del Tribunale quanto alla circostanza che i tre ragazzi fossero usciti involontariamente dalla pista in una situazione di ridotta visibilità dovuta alla nebbia e alla ridotta distinguibilità del tracciato, il cui margine battuto non era segnalato in maniera idonea.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando i motivi di seguito sinteticamente illustrati.

I) Violazione di legge, vizio di motivazione ed erronea valutazione delle prove acquisite.

Secondo il ricorrente, i giudici hanno accertato che i tre ragazzi hanno affrontato il tratto di pista che precede la leggera curva destrorsa ove si è verificata l’uscita di pista in posizione “a uovo”, che notoriamente consente limitata visibilità; le condizioni ambientali sconsigliavano l’adozione di questo assetto di sciata, atteso che la scarsa visibilità mal si conciliava con la posizione “a uovo” finalizzata a guadagnare velocità con una traiettoria rettilinea; il giovane R.M., visto distintamente uno dei paletti di delimitazione della pista, stava per curvare a destra ma, notando che gli amici andavano dritto, ha deciso di seguirli; non vi è sicurezza sull’aspetto della volontarietà o meno dell’uscita di pista; non è lecito immaginare che i ragazzi volessero deliberatamente sciare fuori pista e tagliare la curva destrorsa per ricongiungersi a valle con la pista stessa.

Rileva la contraddittorietà della motivazione laddove, per un verso, la Corte territoriale accetta l’assunzione della posizione “a uovo” alla ricerca della massima velocità, pur precisando che era solo la seconda volta che i ragazzi percorrevano la pista (in condizioni meteo non favorevoli); per altro verso i giudici respingono la tesi della discesa volontaria fuori pista.

Poco più avanti la Corte ritiene che la posizione “a uovo” non integra una condotta pericolosa e che il gestore doveva prevederla perchè comunemente adottata dagli sciatori: ciò che contrasta con il fatto notorio che non si tratta di un’andatura comune e che si configura anzi come pericolosa. Le norme di comportamento e quelle di comune prudenza degli sciatori consigliavano, nell’occorso, particolare cautela, diversamente dall’atteggiamento adottato dai ragazzi. Anche l’accenno alla caduta dei ragazzi “dopo un breve tratto in volo” non è comprovato dalle risultanze processuali. Allo stesso modo il richiamo alla problematica delle “paline” (di delimitazione della pista) è formulato in sentenza in maniera troppo generica e imprecisa e non considera che la cd. “scena del crimine” si è certamente modificata rispetto al momento del sinistro. In ogni caso le paline di segnalazione erano sicuramente presenti sul posto.

La pista in questione è connotata ancora oggi da un’autorizzazione definitiva all’esercizio rilasciata dalla Provincia di Vicenza che, oltre a non prevedere reti in quel punto, non impone alcuna prescrizione in merito al posizionamento delle “paline”.

In ordine alla distanza fra bordo pista e il sasso coperto di neve, riscontrata fra i 20 e i 28 metri, secondo il ricorrente appare azzardato sostenere che potesse rientrare nelle aspettative dello sciatore medio la possibilità di disporre di uno spazio di sicurezza, libero da ostacoli, per una distanza esterna alla pista così estesa.

Il ricorrente contesta la ritenuta pericolosità della scarpata dove è caduto lo sciatore, tenuto conto della riscontrata pendenza media pari a circa 20 gradi, che ritiene non pericolosa.

II) Violazione di legge in relazione alla L.R. Veneto n. 18 del 1990, art. 12.

Deduce che in tema di progetto e di autorizzazione alla realizzazione della pista si sostiene, nell’impugnata sentenza, che l’obbligo del collaudo era previsto anche nella precedente L.R. n. 18 del 1990, all’art. 12. Tale affermazione è errata: l’art. 12 riguarda il collaudo degli impianti di risalita, non il collaudo della pista.

La pista è stata aperta al pubblico con tutte le autorizzazioni e i controlli del caso, senza la necessità per l’ing. M. di interloquire o assumere iniziative di qualche genere.

III) Violazione dell’art. 589 c.p. in relazione alla posizione di garanzia del ricorrente.

Deduce che il “piano segnaletica e misure di protezione” redatto dall’imputato nel dicembre 2010 resta un semplice atto interno alla società di gestione degli impianti, di nessun rilievo “esterno”: una sorta di relazione di cortesia priva di giuridica valenza. Del resto, le misure di sicurezza della pista non sono cambiate dopo l’incidente: a tutt’oggi non esiste alcuna rete di protezione nel punto in cui è incorso l’incidente.

Il difensore delle parti civili ha depositato memoria in cui confuta specificamente le censure del ricorrente, chiedendo l’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso.

Con memoria pervenuta in Cancelleria il 3.12.2018 il ricorrente eccepisce l’insussistenza di un obbligo di garanzia per il gestore al di fuori della pista battuta, in assenza di una situazione di pericolo, come nel caso concreto, in cui i ragazzi sono usciti in un tratto quasi piano della pista.

Invoca, comunque, l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

La difesa delle parti civili ha depositato il 7.12.2018 memoria di replica, insistendo per l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Si deve preliminarmente rilevare l’intervenuta estinzione del reato per cui si procede per intervenuta prescrizione, posto che il termine massimo di sette anni e sei mesi risulta decorso il 8.7.2018, in data successiva alla sentenza di appello.

Nel caso, tuttavia, stante la presenza delle parti civili, permane l’esigenza di valutare compiutamente i motivi di censura dedotti dal ricorrente ai fini delle statuizioni civili, con possibili effetti anche sulla decisione ai fini penali, qualora venga riscontrata l’insussistenza dei presupposti oggettivi o soggettivi del reato, e quindi sia accertata la mancanza di responsabilità penale, anche per insufficienza o contraddittorietà delle prove (secondo il noto insegnamento di Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427301).

I motivi dedotti sono infondati ed in parte inammissibili, con particolare riguardo alle doglianze articolate nel primo motivo di ricorso, in cui il ricorrente si dilunga su varie tematiche attinenti alla vicenda in esame, a suo giudizio frutto di una asserita erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura dei fatti secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nèi precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901).

Va, inoltre, rammentato che nel caso che occupa ci si trova di fronte ad una c.d. “doppia conforme” di riconoscimento della responsabilità del ricorrente in ordine all’omicidio colposo oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come in casi qual è quello che ci occupa, i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep. 2012, Valerio, Rv. 25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).

In presenza di una “doppia conforme”, inoltre, lo stesso vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 27201801). Si tratta di evenienze che non ricorrono nel caso di specie.

Il ricorrente contesta, in primo luogo, la ricostruzione dei giudici di merito secondo cui gli sciatori non avevano deliberatamente scelto di uscire dalla pista per “tagliare” la curva destrorsa, ricongiungendosi con la pista più a valle. Al contrario, secondo il ricorrente, ciò sarebbe dimostrato proprio dalla posizione “a uovo” adottata dai ragazzi nel tratto di pista interessato, nonostante le condizioni di scarsa visibilità non consigliassero un simile assetto di sciata, ritenuto particolarmente pericoloso in quanto finalizzato alla ricerca della massima velocità.

Si tratta di considerazioni di merito che attengono alla interpretazione delle prove e come tali non consentite in sede di legittimità, a fronte di una motivazione che ha adeguatamente e plausibilmente ricostruito i fatti sulla scorta dei dati probatori processualmente acquisiti.

Sul punto, in particolare, la Corte territoriale ha spiegato che nessun teste diretto ha mai affermato che i tre sciatori avessero avuto intenzione di andare fuori pista e neppure che procedessero a velocità elevata. La giovane età degli sciatori e la loro confidenza con lo sport dello sci non sono stati ritenuti elementi idonei e sufficienti ad inferire che i tre avessero scientemente e arditamente adottato la scelta del “fuori pista”, anche in considerazione del fatto che la pista in questione era un percorso nuovo, aperto nel comprensorio da pochi giorni. I ragazzi, prima dell’incidente, avevano sciato su quella pista una sola volta, e quel giorno insistevano nella zona condizioni di scarsa visibilità per la presenza di banchi di nebbia.

Anche i rilievi del ricorrente secondo cui la posizione di sciata “a uovo” integrerebbe un’andatura “non comune” e pericolosa, e che nell’occorso gli sciatori avrebbero dovuto assumere un comportamento di maggiore cautela, oltre ad essere inconsistenti e congetturali, si scontrano con le esaurienti e logiche argomentazioni di segno contrario dei giudici di merito, i quali hanno sottolineato quanto riferito dai testi oculari F.M., N. e R., secondo cui gli sciatori, e quindi anche il povero F.M., nell’occasione non stavano procedendo sulla pista a velocità elevata, in quanto attenti a schivare i sassolini presenti sul pianoro per non rovinare gli sci; spiegazione che i giudici hanno ritenuto corroborata dal fatto che i lavori sulla pista non erano stati ultimati, per cui sotto la neve non si era ancora consolidato il manto erboso: allo scopo sono state richiamate le foto nn. 6 e 9 dei Carabinieri, intervenuti nell’immediatezza, dalle quali è stata notata la presenza di alcune tracce di terra sul tratto di pista in questione e tracce di roccia a bordo pista.

L’incidente è stato complessivamente ricostruito dai giudici di merito secondo una attenta ed accurata valutazione delle risultanze processuali, dando il giusto risalto alle deposizioni dei testi oculari presenti sulla pista al momento del sinistro, ma avvalendosi anche del parere degli esperti sentiti in dibattimento e della documentazione versata in atti.

Dalle deposizioni di R.M. e di N.C. (i due giovani che stavano sciando insieme alla vittima e che sono anch’essi usciti inconsapevolmente dalla pista battuta) è stato adeguatamente desunto che l’unica “palina” di segnalazione scorta dal R. (e non dalla N.) non era idonea a segnalare con sufficiente chiarezza l’andatura del tracciato, in una situazione di ridotta visibilità indotta dall’incedere della nebbia a banchi.

E’ stato, quindi, plausibilmente affermato che i tre sciatori non si erano accorti della curva destrorsa, proseguendo dritti nella convinzione di rimanere all’interno del tracciato battuto.

E’ stato precisato che lo stesso R.M., l’unico ad avere intravisto una “palina” di segnalazione indicativa dell’esterno della curva, avendo visto gli amici andare dritti li aveva seguiti, senza però immaginare che di lì a poco si sarebbe trovato di fronte quello che lui stesso ha definito un “dirupo”.

Proprio con riguardo alla pericolosità del tratto di pista in questione, i giudici di merito l’hanno desunta in maniera congrua e logica dalle riscontrate condizioni di improvviso cambio di pendenza della zona a sinistra della semicurva destrorsa in cui sono confluiti (e caduti) gli sciatori, al di là della esatta misurazione della pendenza in termini di percentuale media e di gradi della stessa.

In questa prospettiva, la Corte territoriale ha coerentemente desunto la pericolosità di quel tratto posto al margine esterno della pista battuta, descrivendolo – secondo quanto sintetizzato dal consulente tecnico P. ed obiettivamente riscontrato dagli sciatori sopravvissuti alla caduta e dai carabinieri L.P. e Ni. intervenuti sul posto – come una vera e propria “scarpata”, e quindi come una zona scoscesa caratterizzata da un piano inclinato con graduale aumento dell’angolatura tra il piano sciabile e il pendio sottostante,

In definitiva, i giudici di merito hanno accertato – secondo una valutazione che sfugge a rilievi di incongruenza o manifesta illogicità, come tale insindacabile in questa sede – che la zona attigua al tracciato in cui erano fuoriusciti gli sciatori, dove in origine era prevista una rete arancione di tipo B, costituiva un tratto assai critico della pista, sia perchè il declivio era idoneo ad ingenerare l’impressione di una diversa traiettoria o di un tracciato alternativo, sia per la persistenza del grosso masso – fatale per il giovane sciatore deceduto – derivato dallo sbancamento dei lavori di cantiere, la cui presenza era tale da costituire un’insidia.

Si tratta di considerazioni logiche e plausibili, che rendono prive di pregio le doglianze del ricorrente – ribadite nei “motivi nuovi” formulati nella memoria depositata il 3.12.2018 – secondo cui la zona della pista da cui erano fuoriusciti gli sciatori non sarebbe stata pericolosa e che la stessa conformazione dei luoghi non avrebbe potuto determinare una elevata probabilità di uscita di pista dello sciatore (in ciò richiamando l’orientamento di questa stessa Sezione, in punto di responsabilità del gestore di impianti sciistici in relazione ai c.d. pericoli esterni, circa inesigibilità per il gestore di recintare tutta la pista o di rimuovere tutti i pericoli, salvo nei punti in cui la fuoriuscita dalla pista sia “altamente probabile”: cfr. Sez. 4, n. 14606 del 15/02/2017, Seber, Rv. 26985101).

Per contro, entrambi i giudici di merito hanno riconosciuto, con argomentazioni congrue e prive di aporie logiche evidenti, la criticità del tratto di pista in questione – in considerazione delle caratteristiche morfologiche della scarpata posta al margine sinistro della curva destrorsa, che faceva seguito ad un tratto rettilineo in piano, e delle condizioni meteorologiche-ambientali (nebbia) presenti quel giorno nella zona sciistica in riferimento – e la conseguente necessità, in termini di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, di delimitare quel tratto di pista in maniera più adeguata e visibile, quantomeno con un numero maggiore e più ravvicinato di paline di segnalazione del limite esterno della pista, idoneo ad una più serrata e chiara tracciatura del percorso da seguire, in maniera tale da consentire agli sciatori di avvedersi della curva destrorsa posta alla fine del tratto rettilineo, onde evitare di finire involontariamente nel “dirupo” e contro il grosso masso posto a valle del margine della pista, ad una distanza non minima (20-30 metri) dal bordo ma comunque facilmente raggiungibile da uno sciatore che esca di pista inconsapevolmente, come accaduto nel caso di specie; fra l’altro, è stato accertato – dalle deposizioni dei carabinieri L.P. e Ni. in relazione alle tracce degli sci di F.M. presenti sulla neve non battuta (foto n. 8) – lo “stacco” degli sci della vittima dal piano sciabile, e quindi il salto nella scarpata sottostante proprio verso la zona dove affiorava dalla neve la parte superiore del masso sul quale il F. andava a sbattere, a dimostrazione della repentinità dell’incidente e della sostanziale irrilevanza della distanza del masso dal bordo-pista in rapporto alla pericolosità della situazione concreta che ha contribuito a determinare l’incidente mortale in disamina.

Sotto questo profilo, il citato orientamento di questa Sezione va sì richiamato, ma su presupposti diversi da quelli pretesi dal ricorrente, nel senso di ribadire che, in tema di colpa omissiva, la posizione di garanzia che assume il gestore di un impianto sciistico in ordine all’incolumità degli sciatori prevede l’obbligo di recintare la pista ed apporre idonee segnaletiche e protezioni, o, in alternativa, rimuovere possibili fonti di rischio, in presenza di un pericolo determinato dalla conformazione dei luoghi che determini l’elevata probabilità di un’uscita di pista dello sciatore (Sez. 4, n. 14606/2017, sopra citata).

Nè pare seriamente discutibile che la presenza di una “scarpata” posta a margine di un tratto di pista in curva richieda particolari accorgimenti di sicurezza (di segnalazione e protezione) idonei a ridurre al minimo il rischio derivante da sempre possibili e non volute (per errore, stanchezza, incapacità tecnica ecc.) uscite di pista da parte dello sciatore medio.

La circostanza, pure prospettata dal ricorrente, che la pista in questione è connotata ancora oggi da un’autorizzazione definitiva all’esercizio rilasciata dalla Provincia di Vicenza che, oltre a non prevedere reti in quel punto, non impone alcuna prescrizione in merito al posizionamento delle “paline”, non assume alcuna rilevanza rispetto alla posizione di garanzia del prevenuto ed al concreto rimprovero mosso nei suoi confronti di non avere adottato, nel caso specifico, tutte le cautele imposte dalle condizioni di luogo e di tempo dianzi accennate al fine di impedire il verificarsi dell’evento mortale.

Da questo punto di vista, appare privo di pertinenza il secondo motivo di ricorso, che censura il ragionamento seguito dal giudice di merito in ordine alla violazione di una norma – la L.R. Veneto n. 18 del 1990, art. 12 in tema di collaudo degli impianti di risalita – che non ha avuto particolare incidenza sul giudizio di responsabilità del prevenuto, che nel caso si fonda, piuttosto, sugli evidenziati profili di colpa generica inerenti alla negligente e imprudente valutazione della concreta situazione di pericolo esistente nel tratto di pista in cui si è verificato l’incidente.

Il terzo motivo di ricorso è parimenti infondato.

La posizione di garanzia del ricorrente è stata correttamente e coerentemente desunta dalla sua qualifica di responsabile della sicurezza delle piste da sci gestite dalla S.p.a. Fiorentini Folgaria, e quindi dalla sua qualità di soggetto specificamente preposto da tale società alla gestione della sicurezza delle aree sciabili, come previsto dalla L.R. Veneto n. 21 del 2008, art. 53; d’altra parte, la Corte territoriale ha osservato che l’interessato non ha mai contestato l’effettiva assunzione dell’incarico affidatogli, di cui aveva anche la necessaria competenza in virtù del titolo di studio posseduto, in conformità al disposto del citato art. 53.

Per quanto attiene al “piano segnaletica e misure di protezione” redatto dall’imputato nel dicembre 2010, che secondo il ricorrente costituisce un semplice atto interno alla società di gestione degli impianti, privo di rilevanza esterna, e quindi non indicativo del suo ruolo di garanzia, è appena il caso di rilevare che la Corte territoriale ha già fondatamente spiegato che quel piano non assume rilevanza decisiva ai fini dell’effettiva assunzione della posizione di garanzia in capo al M., che trova fondamento negli obblighi derivanti dalla citata L.R. n. 21 del 2008 e nel Contratto da costui stipulato con la S.p.a. Fiorentini Folgaria, giuridicamente rilevante agli effetti degli obblighi di protezione degli utenti delle piste da sci gestite dalla ridetta società.

In conclusione, l’infondatezza dei motivi di ricorso giustifica, ai fini penali, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato oggetto di imputazione. Per il resto, il ricorso va rigettato agli effetti civili, cui segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, secondo quanto indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili F.N., C.M.G., F.L., F.E., C.L. e D.V.E.V., liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2019

 

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