CORTE APPELLO L’AQUILA; sentenza 27 giugno 2019 – dep. 25 settembre 2019, n. 1419.

CORTE APPELLO L’AQUILA; sentenza 27 giugno 2019 – dep. 25 settembre 2019, n. 1419. Riforma TRIBUNALE AVEZZANO 31 maggio 2017, n. 340.

In tema di condotte colpose di più titolari della posizione di garanzia il nesso di causalità va accertato in relazione alla condotta e al ruolo di ciascun garante stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta fosse stata realizzata (Nel caso di specie uno sciatore collideva in modo violento contro un cannone innevatore installato in un punto critico, ai margini di una pista, decedendo in seguito alla frattura della base cranica).

 

MOTIVAZIONE

Con sentenza n. 340/2017 Reg. Sent. in data 31-5-2017 il Tribunale di Avezzano, in composizione monocratica, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, articolatasi nell’escussione dei testi dell’accusa pubblica e privata e delle difese degli imputati, con acquisizione di documentazione di riferimento, e nell’esperimento di perizia medico-legale, ha assolto gli imputati B.G., B.M. e S.M. dal reato di omicidio colposo loro ascritto con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Nella parte motiva della sentenza il Tribunale ha in primis limitato le condotte colpose rubricate da valutarsi astrattamente in nesso causale con l’evento a quelle costituite da:

– la mancata installazione di segnali che avrebbero dovuto avvisare gli sciatori della presenza degli innevatori,

– il collocamento in posizione assolutamente pericolosa del rubricato innevatore, ossia quasi al centro dell’area ove si incrociano le due piste “Settebello” e “Canalone” e assolutamente centrale rispetto al muro terminale della pista nera “Settebello”, percorsa da S. E.,

– la mancata protezione degli innevatori mediante adeguati sistemi di sicurezza in grado di evitare in maniera assoluta l’eventuale contatto tra lo sciatore e le strutture dell’impianto,

– l’inosservanza delle disposizioni cautelari contenute nel manuale relativo all’innevatore.

Il Tribunale ha quindi ricostruito l’incidente sciistico occorso al S. sulla scorta delle acquisite deposizioni testimoniali, dando atto del contenuto della deposizione testimoniale e della relazione di consulenza tecnica del et. nominato dalla difesa degli imputati B.G. e B.M., dott. G.S., sulla cui scorta si appalesava assai più probabile che le lesioni che avevano cagionato l’evento morte del S. si fossero verificate al momento della caduta del medesimo sul manto nevoso piuttosto che al momento del suo impatto con l’innevatore, e, valutate dette conclusioni “non dissimili” da quelle cui era approdato lo stesso et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., in sede di accertamento irripetibile, ha ritenuto necessario l’esperimento di una perizia medico legale, nominando perito il dott. prof. E.M.

All’esito dell’esperimento della perizia, il Tribunale ha quindi evidenziato come dalle risultanze della stessa le lesioni valutabili eziologicamente connesse con l’evento morte di S. E. erano “fortemente riconducibili, sotto il profilo eziopatogenico, a una caduta al suolo del capo e del collo di rotazione” del S..

Quanto, poi, alla diversa ipotesi ricostruttiva formulata dai consulenti tecnici delle difese delle parti civili, dott. L.C., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, e dott. prof. M.A., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, il Tribunale ha ritenuto che la stessa non fosse suffragata da inconfutabili elementi probatori che potessero attribuirle il crisma della certezza, valutandola quale ipotesi probabile non idonea a dissolvere il ragionevole dubbio, ossia il dubbio che l’evento potesse essersi verificato secondo la ricostruzione fornita dal perito e dal et. della difesa, saldamente ancorata ai costituti probatori evidenziati in sede della ricostruzione della dinamica dell’incidente.

Avverso la sentenza ha proposto tempestivo appello il Procuratore della Repubblica chiedendo che questa Corte, in totale riforma della stessa, “voglia affermare la penale responsabilità per tutti e tre gli imputati in riferimento al reato descritto in imputazione per cui i medesimi sono stati assolti, condannandoli alla pena che sarà richiesta in udienza dal Procuratore Generale”.

A sostegno della richiesta l’appellante ha in primo luogo stigmatizzato il fatto che il Tribunale avesse ritenuto incompatibili con l’evento le ulteriori condotte omissive rubricate, in quanto erroneamente le regole violate erano state ritenute quali volte ad evitare la collisione tra sciatori anziché tout court a preservare l’incolumità dello sciatore.

L’appellante, quindi, sottolineato che il Tribunale aveva del tutto omesso l’analisi delle risultanze dell’autopsia eseguita dal et. del Pubblico Ministero, arrestando la sua valutazione all’esame esterno della salma, ha evidenziato che le risultanze processuali non supportavano la ricostruzione dell’incidente effettuata dal Tribunale, ricostruzione che peraltro contrastava con le stesse leggi della cinetica.

In particolare è stato dedotto che non solo non risultavano in maniera certa dagli atti le modalità della caduta sul manto nevoso del S., caduta che, comunque, nessun teste aveva qualificato come “rovinosa”, ma era di contro risultato che il S. aveva preso velocità a seguito di detta caduta e aveva impattato con l’innevatore in maniera violenta, tanto da cagionare l’oscillazione del medesimo e un forte rumore. Doveva pertanto ritenersi che solo il forte impatto della base del cranio del S. con l’asta dell’innevatore avrebbe potuto cagionarne una frattura con infossamento.

L’appellante ha inoltre evidenziato:

– che non corrispondeva al vero che non era dato conoscere il momento esatto in cui si era verificata la morte del S., atteso che la teste S.F. era riuscita a sentirne il polso dopo la sua collisione con l’innevatore;

– che dall’istruttoria dibattimentale era emerso chiaro che la neve sulla quale era caduto il S. non fosse stata “ghiacciata” ma semplicemente “compatta”;

– che doveva escludersi che il S. fosse caduto “in avanti”, come sostenuto dal perito del Tribunale, atteso che tutti i testi lo avevano veduto cadere all’indietro.

L’appellante ha inoltre stigmatizzato il fatto che il Tribunale neppure aveva indicato sulla scorta di quali elementi avesse preferito aderire alla ricostruzione del perito piuttosto che a quella dei consulenti tecnici delle parti civili, anche tenuto conto delle note critiche dei medesimi consulenti tecnici a detta perizia.

Ritenuto, pertanto, il nesso causale tra l’impatto del capo del S. con l’innevatore e l’evento morte, l’appellante ha ribadito che l’innevatore si trovava in una zona in cui non doveva essere posizionato e che era altresì delle prescritte protezioni.

Concludendo è stato evidenziato come l’evento morte non avrebbe potuto verificarsi qualora:

– l’innevatore non si fosse trovato nel punto dove si trovava e dove non avrebbe invece dovuto essere installato,

– l’innevatore fosse stato protetto integralmente dal materassino nonché da una rete, presidi antinfortunistici che avrebbero sicuramente attutito l’impatto del corpo del S. sulla superficie metallica.

Avverso la sentenza hanno proposto altresì tempestivo appello i difensori delle parti civili chiedendo in via istruttoria la rinnovazione del dibattimento mediante esperimento di nuova perizia medico-legale, se del caso collegiale, al fine di accertare le cause del decesso del S., nonché, ove ritenuto necessario, mediante esame del perito, dei consulenti delle parti civili e dei consulenti degli imputati.

Nel merito gli appellanti hanno invocato, in riforma della gravata sentenza, una declaratoria di penale responsabilità degli imputati ai fini civili e la loro condanna, in solido tra loro e con il responsabile civile Società Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese legali del primo e del secondo grado di giudizio in favore dei rispettivi assistiti.

A sostegno delle richieste sono state formulate argomentazioni e deduzioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle oggetto dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica, con precipuo riferimento all’erronea esclusione della rilevanza causale delle condotte omissive colpose inerenti la mancanza di segnaletica sulla pista e all’erronea ricostruzione delle cause del decesso del S. sulla scorta delle acquisizioni probatorie.

***

In sede dell’udienza del 4-10-2018, su conforme richiesta del Procuratore Generale, delle difese di parte civile e delle difese degli imputati, ritenutane la necessità ai fini del decidere, la Corte ha disposto procedersi a perizia medico-legale collegiale, nominando periti il dott. prof. A.T., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, e il dott. M.D., medico chirurgo specialista in neurochirurgia, rinviando all’udienza del 26-11-2018, ove sono stati formulati i seguenti quesiti:

“Letti gli atti del processo n. 126/2018 R.G.C, a carico di B.G. B.G. e S.M., e, in particolare:

* la sentenza del Tribunale di Avezzano, in composizione monocratica, in data 31-5-2017, con specifico riferimento alla ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico occorso a S. E. e alle argomentazioni medico-legali poste a fondamento della pronuncia assolutoria degli imputati;

* il ricorso in appello proposto avverso detta sentenza dal Procuratore della Repubblica di Avezzano, con specifico riferimento alla ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico occorso a S. E. e alle argomentazioni medico-legali poste a fondamento della richiesta di declaratoria di penale responsabilità degli imputati;

* il ricorso in appello proposto avverso detta sentenza dalle parti civili, con specifico riferimento alla ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico occorso a S. E. e alle argomentazioni medico-legali poste a fondamento della richiesta di risarcimento danni;

* il verbale di ricognizione cadaverica in data 22-1-2012 a firma della dott.ssa P.A., in servizio alla ASL n. 1 di Avezzano-Sulmona (Dipartimento Prevenzione-Servizio Igiene Pubblica);

* il verbale in data 23-1-2012 di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose inerenti l’incidente sciistico occorso a S. E., svolti, ex art. 345 c.p.p., da personale del Servizio Sicurezza e Soccorso in Montagna, Distaccamento di Ovindoli, della Polizia di Stato, e relativa documentazione fotografica;

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. del Pubblico Ministero, R.N., con particolare riferimento alle caratteristiche dell’impianto sciistico e del cannone innevatore in questione;

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. della difesa degli imputati, dott. prof. E.R., con particolare riferimento alle caratteristiche dell’impianto sciistico e del cannone innevatore in questione e alla ricostruita dinamica dell’incidente sciistico occorso a S. E.;

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., volta ad acclarare, previo esame esterno e autoptico della salma di S. E., “cause e mezzi” del decesso di S. E. (priva di documentazione fotografica);

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. di parte civile, dott. prof. M.A., volta ad acclarare la ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico e le cause del decesso di S. E.;

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. di parte civile, dott. L.C., volta ad acclarare la ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico e le cause del decesso di S. E.;

* la relazione di consulenza tecnica a firma del et. dell’imputato B.G., dott. G.S., volta ad acclarare la ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico e le cause del decesso di S. E.;

* la relazione di perizia a firma del perito del Tribunale, dott. prof. E.M., volta ad acclarare la ricostruzione della dinamica dell’incidente sciistico e le cause del decesso di S. E.;

* i verbali di trascrizioni relativi alle acquisite deposizioni testimoniali e all’acquisito esame del perito;

– descrivano i periti le lesioni esterne ed interne riportate da S. E. all’esito dell’incidente sciistico, con particolare riferimento alla “frattura della 2° vertebra cervicale” (v. verbale di ricognizione cadaverica) ovvero alla “frattura di vertebre cervicali” (v. la relazione di consulenza tecnica a firma del et. del Pubblico Ministero, dott. P.A. sotto la voce “esame esterno”);

– dicano i periti quale o quali delle lesioni riportate da S. E. ne sia o ne siano state la causa della morte;

– dicano i periti se le lesioni ritenute in nesso causale con l’evento morte siano compatibili, esclusivamente o primariamente, con l’impatto del S. sul manto nevoso ovvero contro il cannone innevatore;

– riferiscano, inoltre, i periti quanto altro ritenuto utile ai fini della decisione”.

Su richiesta del difensore degli imputati B.G. e B.M., avv. A.R., veniva inoltre formulato ai periti l’ulteriore quesito relativo all’attualità dell’azione dell’acclarata assunzione di sostanza stupefacente (THC) da parte del S. all’atto della sua caduta sul manto nevoso, e la sua eventuale influenza ai fini del determinismo del suo decesso.

Quindi, all’udienza del 27-5-2019, si è proceduto all’esame dei periti della Corte dott. prof. A.T. e dott. M.D., e si è reiterato l’esame del perito del Tribunale, dott. prof. E.M., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, trattandosi di prova dichiarativa sulla quale sostanzialmente fondava la sentenza assolutoria (cfr. Cass. Pen. S.U., Sentenza n. 14426 del 28-1/2-4-2019, Rv. 275112-01, PavanDevis).

Infine, all’udienza odierna, previa acquisizione di memorie ex art. 121 c.p.p. a firma del difensore degli imputati B.G. e B.M., avv. A.R., dei difensori dell’imputato S.M., avv. F.P. e avv. L.M., e del difensore del responsabile civile Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., avv. A.S., le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni di cui in epigrafe.

Va preliminarmente constatato il decesso dell’imputato B.M. in data 2-9-2018 (v. certificato di morte rilasciato il 20-9-2018 dall’ufficiale di stato civile del Comune di Ovindoli).

In costanza di sentenza assolutoria, l’intervenuta morte dell’imputato B.M. e il conseguente venire meno del rapporto processuale impongono una declaratoria di inammissibilità, in parte qua, degli atti di appello proposti dal Procuratore della Repubblica e dai difensori delle parti civili.

Quanto, invece, alle posizioni degli imputati B.G. e S.M., rileva la Corte la fondatezza degli atti d’appello.

E invero i numerosi elementi emersi in sede di verifica dibattimentale a carico degli imputati, complessivamente esaminati, confluiscono in un’unica ricostruzione plausibile del fatto e nella conseguente responsabilità dei medesimi.

In particolare, rileva la Corte che il contenuto delle deposizioni testimoniali dei soggetti che ebbero ad assistere, anche se parzialmente, all’infortunio sciistico occorso a S. E., valutate nella necessaria sintesi logica con la documentazione in atti e, in particolare, con le risultanze della esperita perizia medico-legale collegiale, inducono ad una ricostruzione dei fatti in concordanza con la tesi accusatoria, oltre ogni dubbio che possa qualificarsi ragionevole.

Va premesso che in data 22-1-2012, in località Monte di Magnola, sita in territorio extraurbano del Comune di Ovindoli, in zona posta all’incrocio tra le piste da sci denominate “Settebello” (classificata come pista “nera”) e “Canalone” (classificata quale pista “rossa”), costituente uno spazio sciabile di sostanziale raccolta degli sciatori provenienti da dette piste e diretti sia lungo la parte terminale della pista “Canalone” sia verso l’impianto di risalita “Campetto degli Alpini Montefreddo”, S. E. nel percorrere la parte terminale della pista “Settebello” ebbe a perdere l’equilibrio, a cadere sul manto nevoso e a scivolare fino ad impattare la base dell’innevatore, ubicato in detto spazio, decedendo nell’immediatezza.

Al riguardo, pertanto, va in primis acclarato se l’evento morte, dovuto al severo trauma cranio-encefalico patito dal S., con conseguente terminale insufficienza cardiorespiratoria, sia eziologicamente ricollegabile all’impatto del capo di questi con il manto nevoso ovvero con la base dell’innevatore.

Sul punto rileva in primo luogo la Corte che il Tribunale ha disposto perizia medicolegale dando atto che il contenuto della relazione di consulenza tecnica del et. nominato dalla difesa degli imputati B.G. e B.M., dott. G.S., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, sulla cui scorta appariva assai più probabile che la morte del S. fosse ricollegabile alla caduta del medesimo sul manto nevoso piuttosto che al suo impatto con l’innevatore, fosse coerente con le conclusioni (definite testualmente “non dissimili”) della relazione tecnica a firma del et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., dalla quale, invece, non può assolutamente trarsi alcun elemento di giudizio al riguardo.

E invero il dott. P.A. – non escusso in giudizio in quanto deceduto nelle more – quanto “ai mezzi del decesso” del S., ha lapidariamente e genericamente concluso come segue: “in ordine ai mezzi che hanno determinato il decesso, questi si identificano, tenuto anche conto degli elementi di specifica, in un incidente sciistico”, né nel corpo della relazione di consulenza si evidenziano elementi volti ad orientare il giudizio relativo verso l’una o l’altra delle suindicate alternative, elementi che, difatti, neppure il Tribunale ha indicato.

Ciò posto e procedendo alla ricostruzione del sinistro vanno in primis riportate, nelle parti di interesse, le deposizioni rese dalle persone presenti in loco all’atto dell’infortunio e che ebbero ad assistervi, almeno in parte, ovvero M.C., S.F., D.E. e C.A., evidenziandosi al riguardo che nessuna valutazione di attendibilità dei medesimi è stata espressa dal Tribunale nel pervenire alla decisione assolutoria.

Testimone d’accusa M.C. (teste indifferente).

Il teste M.C., presente in loco in quanto aveva accompagnato il proprio figlio minore a sciare, ha testualmente riferito: “mi sono girato per controllare la fila di bambini in cui c’era mio figlio e mi è caduto l’occhio su un ragazzo che scendeva ad una discreta velocità insomma. Almeno per il mio giudizio, per le mie capacità. Ho visto che perdeva il controllo e andava a sbattere contro un cannone. Ho abbandonato, ho lasciato la fila di bambini con il maestro e sono andato ad assisterlo….mi è caduto l’occhio su quell’incidente…non aveva conoscenza ed aveva perdite di sangue dalla testa e, mi ricordo, in particolare, dall’orecchio. Era fuori conoscenza. Abbiamo provato a parlargli a svegliarlo in qualche maniera ma non rispondeva insomma…abbiamo aspettato. E arrivato un altro ragazzo c’era una ragazza e abbiamo aspettato che arrivassero i soccorsi, poi mi sono allontanato”.

Il teste ha riferito altresì che il ragazzo proveniva dalla pista nera “Settebello”. Alla domanda se avesse notato le modalità con cui lo stesso aveva urtato il cannone innevatore, ossia con quale parte del corpo fosse andato ad urtarlo, il teste ha testualmente riferito: “… parole inintelligibili…quando l’ho visto io mi ricordo che ho come aspettato mentalmente che mi sbucasse dall’altra parte subito, passando il cannone, invece ho notato che si fermava immediatamente. La parte con cui ha colpito perfettamente il cannone non l’ho potuta vedere dalla mia posizione, però era già caduto il ragazzo quindi non era in piedi era già caduto insomma…. La parte del corpo ho la sensazione era, ripeto forse perché sono stato condizionato dalla vista del sangue eccetera, che fosse la testa. Però non so”.

A seguito della seguente contestazione “tengo a precisare che lo sciatore ruotava contro il cannone inizialmente con la parte alta del corpo ruotando successivamente intorno lo stesso” e della successiva domanda “quindi è la parte alta del corpo che andava sbattere per prima dopo di che si è verificata la rotazione?” il medesimo ha risposto “assolutamente si”.

Alla successiva domanda: “senta lei ha visto se il cannone era protetto completamente o solo in parte?”, il teste ha risposto “assolutamente si…assolutamente sì ed è stato il motivo per cui sono andato spontaneamente alla polizia. Perché sono rimasto impressionato dal fatto che il cannone fosse protetto solo dal lato del canalone mentre invece almeno metà della parte il cannone non era assolutamente protetta. Sporgevano dei bulloni delle parti in ferro come delle piastre eccetera. Diciamo mi aveva incuriosito il fatto che dalla parte, ovviamente sono ignorante, non sono un esperto in materia, però mi incuriosiva che dalla parte della pista più pendente eccetera non fosse protetto. Da niente, da nulla”.

Alla successiva domanda: “quindi era proprio la parte dov’era andato a sbattere la persona se ho capito bene”, il teste ha risposto: “penso di si”.

Alla successiva domanda: “senta, ha visto se la scatola elettrica posta alla base del cannone era scoperta?”, il teste ha risposto: “era scoperta ed era…si era scoperta”. Alla successiva domanda volta ad acclarare “se questo cannone innevatore era protetto da una rete o da uno o più materassini”, il teste ha risposto: “allora non ricordo con il passare del tempo nessuna rete all’incrocio e neanche vicino al cannone e c’era un tappetino un tappetino verso il Canalone, un solo tappetino verso il Canalone”. Alla successiva domanda: “quando ha visto il S., aveva già perso il controllo degli sci secondo lei?” il teste ha risposto: “secondo me sì lo ripeto secondo me prima dell’impatto aveva già perso la conduzione degli sci aveva perso il controllo era già in fase di caduta quindi ci è arrivato a mia memoria eccetera in scivolata quindi non in piedi sugli sci”, precisando successivamente, in sede di controesame: “Quindi era già caduto stava scivolando quindi a mia memoria mi sembra di ricordare che avesse già perso tipo uno sci. Devo essere sincero non ho focalizzato la memoria su questo… Io l’ho visto proprio volare se devo essere sincero è come se avesse preso un avvallamento e si fosse un po’ staccato dal suolo quindi non era più in posizione verticale l’ho visto in posizione orizzontale era quasi staccato dal suolo.

Alla successiva domanda: “quindi anche in questa fase oltre che durante la fase di discesa manteneva a suo avviso una velocità considerevole, importante?” Il teste ha risposto “Si”. Alla successiva domanda: “ha visto lo sciatore cadere a terra ed in quale punto?” Il teste ha risposto: “allora non l’ho visto cadere, l’ho visto mentre scivolava giù cadendo e ho visto l’istante della collisione sulla…”. Proseguendo nel riferire, su domande volte ad acquisire dettagli al riguardo, il teste ha precisato: “Io l’ho trovato subito dopo il cannone ruotato con la parte del corpo… era a valle rispetto al cannone… per cui ho visto la persona che scivolava con la coda dell’occhio, avendo qua il cannone. Mi aspettavo di vederlo proseguire giù verso valle… invece l’ho visto proprio che si fermava e lì ho capito, cioè è come se la macchina si ferma troppo rapidamente senza ammortizzare il colpo quindi ho immaginato subito la…”.

Alla successiva domanda: “rispetto al suo punto di vista lo ha visto ruotare o è ruotato dal lato opposto al cannone?” il teste ha risposto: “dal lato opposto al cannone”.

Quanto alla deposizione resa dal teste d’accusa M.C., ne va rilevata l’assoluta attendibilità, non solo in ragione della sua terzietà e della sua precisione, ma anche in ragione del suo elevato senso civico, essendosi il medesimo recato spontaneamente, come da lui stesso dichiarato, a rendere alla P.G. le proprie dichiarazioni nell’immediatezza del fatto.

Teste d’accusa S.F. (teste indifferente).

La teste S.F., medico chirurgo che il 22-1-2012 si trovava in loco quale utente dell’impianto sciistico, ha dichiarato che nell’occasione stazionava sulla “pista rossa” (“Canalone”), in prossimità del quadrivio, e stava aspettando da circa cinque minuti quando vide scendere due ragazzi a velocità sostenuta, distolse lo sguardo e riportando lo sguardo sulla pista “nera” notò testualmente quanto segue: “c’era un ragazzo che era praticamente alla fine della nera ed è caduto proprio nel punto in cui la nera incontra un piano che poi si ricongiunge con la rossa. In questo punto il ragazzo ha perso l’equilibrio, non so se ha perso prima lo sci o prima l’equilibrio, comunque è caduto, sono volati gli sci, le racchette ed è scivolato prendendo molta velocità portandosi nella rossa e purtroppo la sua corsa è finita addosso ad un palo”, precisando, quindi: “l’impatto è stato molto forte da quello che ho potuto vedere e io ho il ricordo del rumore, quindi un impatto molto forte”.

Quanto poi alla posizione e alle condizioni del S., la teste ha riferito: che questi era “rimasto praticamente sotto al palo sul fianco”; che nell’occasione ebbe a sentire il polso del ragazzo che era tachicardico; che il ragazzo era comunque privo di coscienza e non ebbe mai a riacquistarla; che dopo qualche minuto lo stesso cominciò perdere sangue dall’orecchio, “dall’orecchio di sinistra se non sbaglio”; che fu lei a richiedere l’intervento del Servizio 118.

Su domanda del difensore di parte civile in ordine al fatto se prima che il ragazzo avesse impattato il palo “la sua caduta sembrava così rovinosa ovvero sembrava una normale caduta anche se a velocità o meno”, la stessa ha testualmente risposto: “sembrava una normale caduta si…uno sciatore che perde l’equilibrio”, quindi precisando: “lui è caduto anche a una distanza, ad una notevole distanza dal palo. Poi ha preso tanta velocità e ha preso il palo”.

La teste, pur avendo dichiarato di non aver veduto quale parte del corpo avesse impattato contro il palo, ha tuttavia riferito con certezza che l’impatto avvenne “alla base del palo”, precisando sul punto: “era proprio accanto al palo è come se il palo lo avesse frenato, lui era, guardando il palo, era sulla destra del palo. Se io mi metto guardando il palo e la nera, quindi ad ore sei, lui era rimasto alla destra del palo, sul fianco di destra”. La teste è stata altresì molto chiara nella descrizione del cannone innevatore, rispondendo alla domanda postale al riguardo dal Pubblico Ministero “lei ha verificato se il palo era protetto in qualche modo?”, testualmente come segue: “Si, c’era un rivestimento di gommapiuma o similare che però si trovava a circa ottanta centimetri, un metro da terra”, e, alla successiva domanda: “quindi non copriva completamente il palo?”, testualmente come segue: “non copriva completamente il palo”.

Quanto alla deposizione resa dalla teste d’accusa S.F., ne va del pari rilevata l’assoluta attendibilità, in ragione della sua terzietà e della sua precisione e non ravvisandosi elementi dagli atti da cui poter desumere la non veridicità di quanto affermato anche solo in ragione della mera erroneità dei suoi ricordi.

Teste d’accusa D.E. (già dipendente della società). Il teste D.E., all’epoca dei fatti dipendente della Monte Magnola Impianti S.r.l. in qualità di “macchinista” presso la seggiovia Montefreddo, ha riferito quanto segue: “…l’ho visto di sfuggita più che altro… praticamente io quel giorno ero in servizio…quando con la coda dell’occhio ho notato questo ragazzo che scendeva diciamo a forte velocità lungo la pista Settebello diciamo in maniera rettilinea alla pista e muove le braccia in maniera scoordinata come se stesse in difficoltà. Dopo di che ho realizzato quello che poteva accadere, il tempo di girarmi il ragazzo aveva già impattato contro l’asta ho notato quest’asta che si muoveva in maniera diciamo…, oscillava in maniera forte”.

Il teste ha altresì dichiarato che “rispetto agli altri utenti lui aveva, assumeva una velocità abbastanza sostenuta, mantenendo una traiettoria rettilinea (“rettilinea si, cioè non ha fatto curve, ed è andato dritto diciamo”), e che lo stesso ebbe a perdere l’equilibrio, perdendo uno sci dove “finisce la pista e inizia il tratto pianeggiante”. Il teste ha poi dichiarato di non aver veduto la parte del cannone innevatore contro cui il S. ebbe a impattare e, su precisa domanda del difensore di parte civile, avv. R.B., se avesse udito il S. pronunciare frasi o imprecazioni, ha risposto nettamente “no”, quindi precisando, “no perché mi trovavo all’impianto. comunque sia l’impianto fa rumore, non riesco a sentire”.

Quindi, alla successiva domanda del difensore degli imputati B.G. e B.M., avv. A.R., “e ci sa dire quale parte del corpo ha urtato l’asta, e se ha urtato il materasso o altre parti dell’asta?”, lo stesso ha testualmente risposto: “La parte del corpo non le so dire. Comunque, ho sentito che lui batteva contro il materasso”, ribadendo quindi più volte “ho sentito l’impatto al materasso, quello l’ho sentito”, “ho sentito che andava contro il materasso”.

Il teste ha comunque dichiarato e ribadito di non avere notato il momento dell’impatto del S. con il cannone innevatore essendo con il volto rivolto verso l’impianto della seggiovia ed avendo notato lo sciatore con “la coda dell’occhio” perdere l’equilibrio ma di non aver notato il momento successivo: “quello non l’ho visto. Ho sentito l’impatto al materasso quello l’ho sentito”, precisando, sulla domanda “quindi, dal punto in cui lei era, non era in condizione di vedere?”, “No, non riuscivo a vederlo” “non l’ho vista la caduta, no… La parte del corpo non lo so dire, comunque ho sentito che lui sbatteva contro il materasso. Però “non” ho visto che cosa impattava”.

Quanto alla deposizione resa dal teste d’accusa D.E., se lo stesso può ritenersi attendibile laddove ha ricostruito la perdita dell’equilibrio da parte del S. in quanto non in contrasto con le già riportate dichiarazioni e se non vi sono motivi di dubitare che lo stesso non sia stato nelle condizioni di notare l’impatto del medesimo con il cannone innevatore, rileva tuttavia la Corte che non può affatto ritenersi plausibile che lo stesso, come dichiarato e più volte ribadito, abbia udito il rumore del corpo del S. contro il materassino apposto sul cannone innevatore.

Al riguardo, premesso che il teste in sede di sommarie informazioni, allorquando era ancora dipendente della Monte Magnola impianti S.r.l. aveva testualmente riferito “…lo stesso (il S.) perdeva uno sci e bastoncini e andava a impattare violentemente il materasso di protezione dell’asta”, come si evince dalla contestazione effettuatagli dall’avv. F.P., difensore dell’imputato S.M., non può che rilevarsi che in sede dibattimentale il medesimo teste ha cambiato la propria versione dei fatti, non riferendo più di aver veduto il S. impattare il materasso di protezione del cannone innevatore ma limitandosi a riferire di avere “udito” l’impatto del corpo del S. contro il cannone innevatore, in ciò appalesandosi all’evidenza non attendibile, avendo poco prima lui stesso riferito di non essere stato in grado di udire eventuali urla del S. a causa del rumore dell’impianto della seggiovia cui era addetto (“no perché mi trovavo all’impianto, comunque sia l’impianto fa rumore, non riesco a sentire”).

Peraltro non può essere sottaciuto al riguardo che, come appresso sarà precisato, il materasso di protezione lasciava scoperta proprio la parte del cannone innevatore rivolta verso la pista nera “Settebello”.

Teste d’accusa C.A. (amico di S. E.)

Il teste C.A., che il 22-1-2012 si era recato in località Monte di Magnola unitamente a S. E., alla domanda del Pubblico Ministero “allora, mi racconti dove vi trovavate e cosa è successo” ha testualmente riferito: “io ero sceso per primo da questa pista nera e mi ero fermato in vicinanza di questo innevatore per aspettare E. che scendesse. Ho visto tutto il tragitto di E., aveva percorso tutte le curve, grandi. Alla fine di questa pista nera c’era un dislivello, dalla pista nera alla pista rossa, in questo pezzo ha perso il controllo ed è scivolato, è caduto così per terra.

Prima di impattare aveva detto “Oddio” ed è impattato a questo palo”.

Lo stesso, sempre su domande del Pubblico Ministero, ha quindi dichiarato che l’impatto era stato molto violento e che il S. non andava a forte velocità nel percorrere la pista.

Su detto ultimo punto è stato contestato al teste che in sede di sommarie informazioni aveva invece dichiarato che il S., “sbilanciandosi indietro per la forte velocità perdeva uno sci e cadeva rovinosamente a terra”. A fronte di detta contestazione il teste ha dichiarato di non confermare quanto già riferito (“No…non confermo, no quel giorno ero sotto choc”), quindi precisando che il S. “è scivolato a terra, roteando su se stesso e ha impattato questo palo” e che, pertanto, non era caduto a causa della forte velocità ma a causa “dell’intersezione tra le due piste”.

Il teste ha negato altresì di aver dichiarato in sede di sommarie informazioni di avere veduto il S. “scendere a forte velocità, assumendo una traiettoria rettilinea” (“no, non lo confermo”).

Il teste, ancora, ha dichiarato di non saper precisare con quale parte del corpo il S. avesse impattato il cannone innevatore in quanto lui non era in grado di vederlo (“non potevo vederlo”) essendo la sua visuale coperta dallo stesso cannone, ma di essere certo che il suo amico avesse impattato contro l’asta del cannone innevatore.

Il teste, ancora, ha riferito che il S. era “pratico” dello sport dello sci, sebbene in sede di sommarie informazioni avesse riferito che lo stesso era “uno sciatore di medio, di basso livello tecnico, con poca padronanza degli sci”, precisando, a fronte della relativa contestazione, “ripeto, quel giorno ero sotto choc”.

Il teste, ancora, ha riferito che la parte finale dell’asta del cannone innevatore non era coperta dal “cuscino” e vi erano pezzi metallici che sporgevano.

Il teste, ancora, ha riferito che all’atto della caduta il S. stava effettuando curve regolari, mentre, in sede di sommarie informazioni, come da contestazione, aveva testualmente dichiarato: “E., fatte alcune curve sul muro del “Settebello”, assumeva una traiettoria rettilinea e all’improvviso perdeva il controllo degli sci, forse dovuto alla forte velocità acquisita”.

II teste, ancora, a domanda del difensore degli imputati B.G. e B.M. che gli chiedeva se “caduto all’indietro vuol dire che è caduto con la testa all’indietro? Con la nuca?” ha risposto “sì però ha impattato prima la schiena”.

Quindi all’ulteriore domanda se avesse visto il S. nel cadere a terra “sbattere prima la schiena e poi la testa”, ha testualmente risposto “la testa l’ha impattata sul palo”.

Ebbene, le plurime contraddizioni del teste C.A. tra quanto già dichiarato in sede di sommarie informazioni e quanto oggetto di deposizione testimoniale, il fatto che lo stesso abbia riferito che il S. avrebbe urlato “Oddio” mentre scivolava verso il cannone innevatore, circostanza non riferita in sede di sommarie informazioni, il fatto di aver il Ciarlo dapprima dichiarato di non essere in condizioni di riferire con quale parte del corpo il S. avesse impattato il cannone innevatore per poi dichiarare “la testa l’ha impattata sul palo”, evidenziano la scarsa attendibilità del medesimo, con la conseguenza che le sue dichiarazioni non saranno valutate da questa Corte ai fini del decidere.

Come sopra compendiate, per le parti d’interesse, le deposizioni rese dai testi che ebbero ad assistere all’infortunio sub judice, deve pertanto ritenersi che il S. nel percorrere la parte terminale della pista “Settebello” ebbe a perdere l’equilibrio proprio all’altezza del cd. “muro”, ossia nel punto in cui la pista viene a perdere la propria pendenza, ebbe a cadere sul manto nevoso e a scivolare fino ad impattare la base del cannone innevatore.

Non vi è pertanto prova agli atti del fatto che il S. abbia urtato violentemente il capo sul manto nevoso – “gelato” ma non “ghiacciato” per come risultato dall’istruttoria dibattimentale – circostanza su cui invece fonda la tesi difensiva.

E infatti, pure a non voler dare credito, per le ragioni suindicate, alla dichiarazione resa dal C. che, alla domanda del difensore degli imputati B.G. e B.M. “la caduta è stata una caduta rovinosa, di forte impatto?” ha risposto testualmente “no”, negando altresì che il S. avesse battuto direttamente il capo sul manto nevoso e dando atto che lo stesso aveva impattato prima la schiena, non può non rilevarsi che la teste S.F., sicuramente attendibile per quanto sopra rilevato, ha dichiarato che la caduta a terra del S. le era parsa una caduta “normale” di uno sciatore che perde l’equilibrio, quindi precisando che lo stesso aveva preso “tanta velocità” dopo la caduta.

Di contro deve ritenersi che l’impatto del S. con il cannone innevatore sia stato sicuramente violento, come dichiarato dalla teste S.F. (“l’impatto è stato molto forte da quello che ho potuto vedere e io ho il ricordo del rumore, quindi un impatto molto forte”) e tenuto conto che sia detta ultima teste che il teste M.C. – del quale anche non si ha motivo di dubitare, come sopra evidenziato – hanno riferito che il S. aveva assunto dopo la caduta una forte velocità, nonché del fatto che il teste D.E. ha riferito di aver notato l’asta del cannone innevatore “che si muoveva in maniera diciamo…, oscillava in maniera forte”, precisando quindi “a seguito dell’impatto si muoveva quest’asta”, punto su cui lo stesso nessun motivo avrebbe avuto di mentire.

Del pari deve ritenersi che l’impatto del corpo del S. sia avvenuto con la parte dell’asta del cannone innevatore non protetta dal materassino.

Al riguardo va in primo luogo evidenziato che, contrariamente a quanto asserito dalle difese degli imputati, deve ritenersi certo che tutta la parte finale (metallica) del cannone innevatore non fosse protetta dal materassino, il quale, peraltro, non proteggeva proprio la parte dell’asta del cannone innevatore rivolta verso la pista nera “Settebello” fino a una apprezzabile altezza – e non pertanto solo nella sua parte finale – come puntualmente riferito dalla teste S.F. f”Si. c’era un rivestimento di gommapiuma o similare che però si trovava a circa ottanta centimetri, un metro da terra”).

Convergono al riguardo:

– la appena citata deposizione della teste S.F.;

– la deposizione resa dal teste M.C.;

– la deposizione resa dal et. del Pubblico Ministero N.R.;

– infine ma non certo da ultimo, la esplicita acquisita documentazione fotografica, agli atti del fascicolo per il dibattimento e riportata anche nella relazione di consulenza a firma del predetto N.R. alle pagine 18 del 26, che rende evidente anche come le parti metalliche sporgenti poste alla base del palo del cannone innevatore – costituite da una ghiera metallica e da una cassetta metallica – fossero ben al di sopra del livello del manto nevoso e non, pertanto, al di sotto di esso, come sostenuto contro ogni evidenza dalle difese degli imputati, e che il materasso lasciasse completamente scoperta proprio la parte del cannone rivolta verso la pista nera “Settebello” (v. foto n. 13 riportata nella relazione di consulenza a firma del predetto N.R.)

Appare poi chiaro a questa Corte che proprio su detta parte scoperta del cannone innevatore sia andato ad impattare il corpo del S., atteso che, come riferito dal teste M.C., lo stesso giunse sul luogo dell’impatto scivolando orizzontalmente sul manto nevoso, e che, come riferito dalla teste S.F., l’impatto avvenne “alla base del palo”.

Ebbene, le perizie medico-legali esperite in primo e secondo grado vanno valutate non solo di per se stesse ma anche in sintesi logica con tutti i suddetti elementi, al fine di acclarare se le lesioni che hanno causato la morte di S. E., come vedremo dovute all’urto del capo del medesimo su di un ostacolo di apprezzabile durezza, siano riferibili all’impatto del cranio con il manto nevoso “gelato” o con la parte terminale metallica del cannone innevatore, rilevandosi fin d’ora che questa Corte intende aderire alla ricostruzione di cui alla perizia medico-legale collegiale esperita nel presente grado di giudizio.

Preliminarmente alla valutazione delle esperite perizie deve valutarsi la documentazione medica già acquisita agli atti, su cui le stesse si sono fondate, in difetto di escussione dei relativi estensori e di acquisizione di documentazione fotografica inerente l’autopsia eseguita sulla salma di S. E.. Detta documentazione è costituita:

– dal certificato di constatazione del decesso di S. E. a firma della dott.ssa Angela Perrozzi (prodotto dal Pubblico Ministero all’udienza del 24-6-2015) in cui, nella parte descrittiva delle lesioni patite dal S. si legge: “ferita lacero-contusa in sede occipitale, rinorragia, otorragia sinistra, (sospetta) frattura base cranica e 2° vertebra cervicale” – con apposta una riga di cancellazione sulla parola “sospetta” – frattura spalla sinistra e gomito sinistro”.

Per quanto concerne la causa di dette lesioni, la dott.ssa A.P. scrive “impatto accidentale contro l’ostacolo fisso”, barrando quindi la casella riportante la dicitura “non è richiesto riscontro autoptico” piuttosto che quella riportante la dicitura “si richiede riscontro autoptico non essendo possibile determinare l’esatta causa del decesso”. La dott.ssa A.P., pertanto, pur avendo ritenuto che il S. avesse riportato la frattura della 2° vertebra cervicale, ne ha all’evidenza ricollegato la morte all’impatto del capo contro la base del cannone innevatore con convincimento tale da non ritenere necessario neppure l’esame autoptico.

– dalla relazione di consulenza a firma del et. del Pubblico Ministero, dott. P.A. inerente gli accertamenti tecnici svolti (esame esterno della salma di S. E., autopsia oltre alle analisi tossicologiche di cui appresso), nella quale, per quanto d’interesse in questa sede:

* con riferimento all’esame esterno della salma si legge: “rigidità cadaverica risolta artificialmente…abrasione di forma irregolarmente rettangolare di cm. 4 x cm. 3 alla base del mento. In regione parieto temporale destra ferite escoriate di piccole dimensioni. In base occipitale ferita lacero-contusa interessante a tutto spessore il cuoio capelluto, a forma di C rovesciata lunga cm. 8 larga mediamente cm. 3 margini pesti e infiltrati di sangue. La palpazione in detta sede lascia apprezzare le irregolarità dell’osso sottostante, motilità preternaturale del collo come per frattura di vertebre cervicali… Motilità preternaturale della spalla sinistra come per frattura, frattura scomposta del braccio sinistro al terzo medio”.

* Con riferimento alla eseguita autopsia si legge: “…in sede occipitale frattura dell’osso in parola sostanzialmente lineare con margini introflessi. Meningi indenni interessate da una diffusa infiltrazione emorragica più evidente in corrispondenza dell’occipite. Encefalo… interessato da vasta infiltrazione emorragica; al taglio il parenchima è traslucido ed alquanto congesto in presenza di diffuse petecchie emorragiche. Emoventricolo sinistro. Una infiltrazione ematica interessa pressoché totalmente il parenchima cerebrale. Frattura lievemente diastasata della base cranica a forma di Y in cui la branca maggiore misura cm. 8,5, la branca minore cm. 6. Nulla a carico delle pareti e degli organi del collo esplorabili.

Il et. ha pertanto concluso la propria relazione nei seguenti termini: “quanto alla causa della morte di S. E. non vi è dubbio che essa è da riferire ad un severo trauma cranio-encefalico, terminale inefficienza cardio-respiratoria”.

Detta relazione, come già rilevato, non involge la problematica della ricostruzione dell’infortunio, affermando, quanto ai mezzi che hanno determinato il decesso, che “questi si identificano, tenuto anche conto degli elementi di specifica, in un incidente sciistico”.

L’esigenza da parte del Tribunale di esperire una perizia medico-legale è stata riferita al contenuto della relazione di consulenza tecnica (le cui conclusioni sono state ritenute erroneamente quali “non dissimili” da quelle del et. del Pubblico Ministero) redatta dal et. della difesa degli imputati, dott. G.S., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, il quale, premesso, tra l’altro, che dall’esame autoptico eseguito sulla salma del S. era emersa la “frattura di diverse vertebre cervicali (non specificato il numero)” e che il numero e la natura delle complessive lesioni patite dal S. indicavano che lo stesso aveva impattato contro più superfici dure costituite dal manto nevoso, particolarmente duro e compatto, e da una superficie più ristretta, aveva ritenuto “assai più probabile che le lesioni che hanno causato la morte dello sciatore si siano verificate al momento della caduta al cambio di pendenza”.

Il perito del Tribunale, dott. prof. E.M., ha ricostruito l’infortunio in esame ritenendo che il trauma sulla neve avesse prodotto il movimento di accelerazione del cranio con frattura della seconda vertebra, frattura che il medesimo ha dato per scontata, e ha ritenuto che sia il tipo di ferita, sia il tipo di frattura cranica, sia il tipo di danno encefalico fossero da ricondurre a una caduta al suolo con un capo in rotazione inerte. Il perito ha dato anche conto di ritenere inverosimile l’ipotesi contraria evidenziando:

– che qualora il S. avesse impattato con il cranio sull’asta del cannone innevatore la ferita avrebbe dovuto presentare la caratteristica di ferita “a scoppio” e non un decorso “semilunare”;

– che l’impatto con un’asta mobile non avrebbe potuto provocare lo sfacelo del parenchima cerebrale così come descritto e rilevato dall’esame autoptico;

– che nel caso in cui l’impatto del cranio fosse avvenuta con il cannone innevatore il tipo di frattura avrebbe dovuto essere non lineare ma presentare più rime di frattura;

– che l’impatto del capo sull’asta non giustificava “pienamente” la frattura delle vertebre cervicali perché in questo caso il capo e il collo si sarebbero dovuti comportare come un corpo unico.

In sostanza il perito ha ritenuto che l’unica lesione patita dal S. compatibile con l’impatto con l’asta dell’innevatore fosse l’abrasione sul mento.

Il perito ha dato anche atto del fatto che la già citata ferita a C rovesciata dovesse ritenersi proprio legata a un meccanismo lesivo combinato, in cui prevale la trazione o lo strappamento del tessuto, compatibile con la caduta al suolo.

Quanto sopra è stato ritenuto dal perito, supponendo nella sua relazione che il S. non fosse caduto “ali’indietro”, come ipotizzato dal consulente del Pubblico Ministero, R.N., ma “in avanti”, come ipotizzato dal consulente della difesa degli imputati B.G. e B.M., prof. E.R.

In sede di esame reso nel primo grado del giudizio il perito ha precisato che l’elemento portante nella propria ricostruzione era costituito dalla frattura cervicale.

A fronte delle domande rivoltegli, ha poi affermato: che, comunque, la caduta all’indietro piuttosto che in avanti del S. non solo non avrebbe cambiato le proprie conclusioni ma sarebbe stata ancor più compatibile con esse; che nel corso dell’esame autoptico è impossibile evidenziare una frattura a livello cervicale, dando atto di ritenere pertanto che il et. del Pubblico Ministero in sede autoptica non verificò il collo del S.; che la sua fu una scelta logica (“questi sono gli elementi ma a mio avviso uno deve fare una scelta anche logica”).

I periti della Corte dott. prof. A.T. e dott. M.D., hanno invece concluso la propria relazione di perizia come segue: “alla luce di quanto sopra esposto è possibile affermare che le lesioni ritenute in nesso causale con l’evento morte siano compatibili in prima istanza con l’impatto del S. contro il cannone innevatore, risultando che un impatto sul manto nevoso avrebbe, con elevata difficoltà, potuto produrre la lesività di cui si discute”.

Gli stessi, hanno premesso che non poteva ritenersi certa, dovendosi anzi escluderla, la frattura delle vertebre cervicali, non essendo la stessa diagnosticabile mediante un esame esterno della salma e tenuto altresì conto che il et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., pur avendola ipotizzata in sede di esame esterno, in sede di autopsia aveva affermato “nulla a carico delle pareti e degli organi del collo esplorabili”. Doveva quindi ritenersi “impensabile” che lo stesso, dopo averla ipotizzata, avesse poi “trascurato di eseguire una sezione completa a tale livello” e doveva ritenere “inammissibile” che lo stresso, riscontrata tale frattura, ne avesse omesso la descrizione.

I periti, quindi, hanno in sostanza ritenuto che le lesioni, l’una all’altra collegata, che avevano condotto alla morte del S. – 1) frattura della regione occipitale destra e frattura della base cranica, 2) diffusa infiltrazione encefalica e cerebellare ed emoventricolo sinistro – fossero maggiormente compatibili con l’impatto sull’asta del cannone innevatore.

In particolare, per quanto riguarda il danno “da impatto”, hanno evidenziato che lo stesso implica due componenti: quella delle cd. lesioni focali (lesioni ossee, lesione dei vasi arteriosi o meningei e cerebrali, contusioni cerebrali) e quella delle ed. lesioni cerebrali, da accelerazione e decelerazione, legate allo sviluppo di forze inerziali. Sul punto, premesso che in un traumatismo cranico “severo” sono presenti entrambe le suddette componenti, i periti hanno precisato che nel caso di specie nel determinismo del decesso aveva avuto peso preponderante il danno di tipo focale, rapidamente mortale. Quindi hanno evidenziato che le lesioni da impatto diretto con corpi contundenti circoscritti sono caratterizzate prevalentemente da lesioni focali, mentre le lesioni da accelerazione/decelerazione sono prodotte da movimenti di rotazione/di taglio, di tal che doveva ritenersi “verosimile” che il traumatismo cranico riscontrato sul cadavere del S. e individuato quale causa della morte fosse attribuibile a un impatto diretto piuttosto che a un meccanismo di accelerazione/decelerazione.

Quanto poi alla lesione esterna (ferita lacero-contusa a forma di C rovesciata con margini pesti e infiltrati di sangue, in diretta continuazione con la frattura dell’osso) i periti, premesso che “l’individuazione del mezzo produttore è assai arduo per il patologo forense”, hanno tuttavia evidenziato che una caduta dal livello del terreno sul manto nevoso, costituente una superficie di impatto ampia e priva di asperità da parte di un corpo in movimento in cui si impatta il capo con direzione tangenziale e non perpendicolare, avrebbe dovuto creare lesioni diverse ovvero lesioni cutanee di minore gravità, quali ecchimosi ed escoriazioni.

I periti hanno infine evidenziato che da un punto di vista percentuale è proprio la collisione contro un ostacolo che rappresenta la causa dei traumi cranici di severa entità.

Conseguentemente hanno dato atto che non solo il danno encefalico primitivo di tipo focale ma anche la natura della suddetta ferita fossero maggiormente riferibili all’impatto con il cannone innevatore.

La ricostruzione dei periti, in sintesi, è che il S. perso il controllo, abbia impattato prima sul manto nevoso, da cui sarebbero derivate le lesioni a carico dell’arto superiore sinistro, e, quindi, abbia impattato con il cannone innevatore, impatto che avrebbe cagionato il trauma mortale a livello cranio-encefalico.

In sede di esame nel giudizio in appello il perito del Tribunale, dott. prof. E.M., ha confermato le proprie conclusioni e, pertanto, di ritenere “molto poco probabile” l’ipotesi accusatoria.

In particolare il perito:

– ha dichiarato che nel caso contrario rispetto a quello da lui ipotizzato avrebbe dovuto ritenersi “strano” che non fosse rimasto materiale biologico sulla base dello innevatore;

– ha ribadito che le lesioni cerebrali furono sia focali sia diffuse e che quelle diffuse sono maggiormente compatibili con un impatto su di una superficie più ampia;

– ha ribadito che la ferita lacero-contusa in base occipitale interessante a tutto spessore il cuoio capelluto, a forma di C, fosse maggiormente compatibile con un impatto su di una superficie più ampia;

– ha ribadito che l’unica lesione da lui ritenuta compatibile con l’urto con il cannone innevatore doveva ritenersi essere quella localizzata nella zona del mento del S.;

– ha affermato che la diagnosi di frattura al 100% si fa radiograficamente e che una diagnosi clinica, una semeiotica adeguata, “possono lasciar supporre una frattura della seconda vertebra cervicale”;

– ha ammesso di essere stato “molto condizionato” nel proprio giudizio dal fatto di avere ritenuto la sussistenza della frattura della seconda vertebra cervicale del S. (“per me è uno spartiacque abbastanza importante”), dichiarando che nel caso in cui detta frattura non ci fosse stata, pur non ribaltando la propria opinione, le percentuali inerenti alla riferibilità del decesso del S. all’impatto del suo capo sul manto nevoso ovvero sul cannone innevatore sarebbero state diverse (da 90% e 10% a 70% e 30%);

– alla affermazione del difensore di parte civile “quindi la neve avrebbe provocato lo sfondamento, sostanzialmente, della teca cranica con conseguente emorragia massiva del cervelletto” ha testualmente riferito “per me non è da escludere”;

In sede di esame anche i periti della Corte dott. prof. A.T. e dott. M.D., hanno confermato le proprie conclusioni.

In particolare i periti hanno confermato di essere giunti alla conclusione che la morte del S. non poteva “essere il risultato di una ipotetica caduta sul manto nevoso, anche ghiacciato, perché non si producono lesioni di quel tipo se si impatta contro un’ampia superficie, e non c’è una lacerazione, c’è anche una sorta di ferita da scoppio di tessuti, come noi osserviamo normalmente, invece questa disposizione, il fatto che non ci fossero quindi i margini sollevati, scollati lascia ipotizzare che si tratti di un colpo secco che è stato dato in quella regione, precisando quindi, su domanda, che anche la sottostante frattura, a margini introflessi, conferma ulteriormente che si sia trattato di un colpo ricevuto dall’esterno e non corrisponde affatto all’impatto contro un’ampia superficie”.

I periti, poi:

– hanno ampiamente dato atto delle ragioni che li avevano indotti a escludere la sussistenza di fratture vertebrali: oltre a quanto già ipotizzato in sede di relazione di perizia, in particolare, premesso che non può porsi diagnosi certa di frattura cervicale in assenza di riscontro radiologico o anatomopatologico, gli stessi hanno chiarito che la “motilità preternaturale” del collo del S. che aveva indotto la dott.ssa A.P. prima e il et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., dopo, a ipotizzare la frattura di vertebre cervicali, era all’evidenza dovuta, rispettivamente, alla immediatezza della morte con conseguente rilascio della muscolatura e alla successiva risoluzione artificiale della rigidità cadaverica, precisando peraltro che nel caso in esame la frattura di vertebre cervicali doveva essere esclusa anche in ragione del fatto che in sede di autopsia avrebbe dovuto risultare una infiltrazione ematica che non era invece stata descritta dal et. del Pubblico Ministero, e precisando altresì che le fratture di vertebre cervicali in traumatologia sono ricollegabili a casi eccezionali e, in particolare, che deve ritenersi “praticamente impossibile” che una frattura cervicale segua a una caduta sugli sci su manto nevoso;

– hanno precisato che non è affatto vero che le lesioni lacero-contuse presuppongano il danneggiamento degli indumenti sovrastanti;

– hanno ritenuto che il cappello indossato dal S. ben avrebbe potuto impedire il sanguinamento all’esterno di esso;

– hanno ricollegato la frattura dell’omero e la lussazione o frattura della spalla alla caduta sul manto nevoso;

– hanno puntualmente confutato la ed. “regola del cappello”, di cui alla relazione di consulenza tecnica (allegata a quella di perizia) a firma del et. nominato dalla difesa degli imputati B.G. e B.M., dott.ssa P.M., medico chirurgo specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Criminologia Clinica, ritenendo detta regola non attinente al caso in esame ma a fattispecie di “precipitazione” (v. pagg. 22-23 del verbale di trascrizioni relativa all’udienza del 27-5-2019);

– hanno puntualmente confutato la documentazione prodotta in udienza dalla difesa degli imputati B.G. e B.M., dando atto che trattavasi di un “lavoro” inerente a incidenti sportivi nel corso di gare di super gigante, implicanti “velocità molto forti”, “salti”, “cambi di direzione” e, pertanto, non comparabili con il caso di specie, precisando, comunque, che detto lavoro aveva evidenziato solo sette casi di atleti che avevano riportato lesioni, di cui due soli casi di “trauma cranico medio”.

– hanno altresì evidenziato come il corpo del S. si trovasse “di fianco al cannone con le gambe a valle mentre la testa era rivolta verso la pista dalla quale proveniva” osservando come, sulla base dell’esperienza, nel caso di cadute su piste da sci, si tende a portare avanti il tronco e, pertanto, il capo e non le gambe che restano sempre più a monte, di talché la ricostruzione più verosimile doveva ritenersi quella sulla cui scorta il S. fosse “arrivato con il capo contro questa struttura fissa e poi ci sia stato questo movimento di rotazione nel momento in cui ha urtato”.

Benché i periti, correttamente e prudenzialmente, abbiano in sede di relazione di perizia usato termini di non certezza e il dott. prof. T. in sede di esame abbia dichiarato “io parlo di probabilità non posso parlare di esclusione, io ritengo molto probabile che ci sia stato un meccanismo che ho già detto ripetutamente”, va rilevato che tuttavia lo stesso, a seguito della domanda del difensore dell’imputato S.M., avv. F.P.: “io non voglio sapere quello che ritiene probabile professore, io le sto chiedendo una cosa diversa, si può escludere con una caduta di quel tipo una frattura…” ha risposto di getto: “allora se lo vuole sapere lo posso escludere”, così esprimendo d’impulso la sua intima convinzione.

Ciò, peraltro, in perfetta coerenza con quanto dal medesimo perito già affermato al fine di confutare la cd. “regola del cappello”, laddove si era espresso nei seguenti termini “se mi avessero detto c’è questo soggetto che ha riportato questo trauma cranico, si trova in questo punto della pista e lì intorno non ci fosse stata nessuna struttura solida contro la quale avrebbe potuto impattare io avrei detto o il corpo è stato spostato, è caduto da un’altra parte e lo avete portato qui, oppure guardate meglio lungo la pista perché ci devono essere dei massi, dei sassi, qualcosa contro cui il corpo ha impattato. Tutto il resto sono supposizioni ma, ecco, lasciano il tempo che trovano, perché i dati devono essere questi” (v. pag. 23 del verbale di trascrizioni relativo all’udienza del 27-5-2019).

Orbene, posto che nel corso del processo i cc.tt. delle difese degli imputati e del responsabile civile, dott. G.S., dott. prof. E.M. e dott. P.M., hanno sostenuto la tesi difensiva di cui alla relazione di perizia del dott. prof. E.M. e i cc.tt. delle parti civili, dott. prof. M.A., dott. L.C. e dott. prof. A.F., hanno sostenuto la tesi accusatoria dei periti dott. prof. A.T. e dott. M.D., questa Corte, come già detto, ritiene di dover aderire alle conclusioni rassegnate da detti ultimi periti.

Al proposito va in primo luogo rilevato che, a differenza del perito del Tribunale, del perito della Corte dott. prof. A.T., e di tutti i consulenti delle difese, specialisti in Medicina Legale e delle Assicurazioni (ad eccezione del et. delle parti civili dott. prof. A.F., medico chirurgo, associato in Neurochirurgia, affiancato al dott. L.C. in sede di appello), il perito M.D. è specialista in neurochirurgia, svolge la propria attività di Dirigente Medico di Neurochirurgia presso l’A.O.U. Ospedali Riuniti di Ancona, a rilevante casistica clinico-chirurgica, e, pertanto, deve ritenersi l’ausiliario tecnico maggiormente competente nella valutazione dei danni encefalici di tipo focale e, soprattutto, diffuso, e delle relative eziologie, e proprio per detta ragione, è stato nominato in affiancamento al perito dott. prof. A.T.

Ebbene i periti della Corte hanno ritenuto il nesso causale con l’evento morte in prima istanza compatibile con l’impatto del S. contro il cannone innevatore, precisando che un impatto sul manto nevoso avrebbe, “con elevata difficoltà”, potuto produrre il danno encefalico riscontrato in sede di autopsia.

In particolare i periti in sede della loro relazione, posto che le lesioni da impatto diretto con corpi contundenti circoscritti sono caratterizzate prevalentemente da lesioni focali, mentre le lesioni da accelerazione/decelerazione sono prodotte da movimenti di rotazione/di taglio, nel ritenere “verosimile” che il traumatismo cranico riscontrato sul cadavere del S. e individuato quale causa della morte fosse attribuibile a un impatto diretto piuttosto che a un meccanismo di accelerazione/decelerazione, hanno ben esplicitato che le lesioni da accelerazione/decelerazione, associate a lesioni di “tipo diffuso”, sono caratterizzate da coma sebbene a prognosi infausta, mentre la morte del S. era stata una morte pressoché immediata e, pertanto, coerente con un danno focale, invece “rapidamente mortale”.

Gli stessi, inoltre, hanno specificatamente e logicamente confutato le osservazione dei difensori degli imputati.

Dette conclusioni, già di per sé, come detto, vanno ritenute sicuramente condivisibili, a differenza di quelle cui è pervenuto il perito E.M., avendo questi:

– svalutato le lesioni focali e enfatizzato le lesioni da accelerazione/decelerazione che non avrebbero però potuto condurre alla morte immediata del S., come invece è stato;

– ritenuto la propria tesi ugualmente valida sia in caso di caduta all’indietro del S., sia in caso di caduta in avanti del medesimo nonché anche in caso di difetto di frattura delle vertebre cervicali, pur avendo in prima battuta valutato detta frattura “uno spartiacque abbastanza importante” al fine di pervenire alle proprie conclusioni.

– ha ritenuto che un’asta mobile non avrebbe potuto provocare lo sfacelo del parenchima cerebrale così come descritto e rilevato dall’esame autoptico, senza considerare che l’impatto del S. con l’asta è avvenuto con la base della stessa, la cui mobilità devesi logicamente escludere dalla stessa visione del materiale fotografico;

Inoltre, come già evidenziato, le conclusioni cui sono pervenuti i periti della Corte risultano sicuramente coerenti sia con le deposizioni testimoniali sopra riportate, sulla cui scorta non può neppure dirsi con certezza che il S. abbia fortemente impattato il capo sul manto nevoso – dovendosi di contro ritenere che lo stesso abbia fortemente impatto la parte bassa del cannone innevatore con la parte superiore del tronco – sia con la dinamica dell’infortunio ricostruita dal et. del Pubblico Ministero, R.N., il quale ha ritenuto, sulla scorta della posizione in cui fu rinvenuto il corpo del S. dopo l’impatto, che lo stesso avesse urtato contro il cannone innevatore esclusivamente con la parte superiore del corpo (cranio, spalle, braccio) e che quindi il corpo avesse ruotato orientandolo con i piedi a valle del canalone.

Ancora, non può non rilevarsi che il perito E.M. ha ricondotto alla caduta sul manto nevoso sia le lesioni riferibili al capo del S. sia le lesioni riferibili al braccio sinistro e alla spalla sinistra del medesimo, riferendo invece all’impatto di quest’ultimo con il cannone innevatore esclusivamente la lesione riportata nella regione mentoniera del S..

Ebbene, detta lesione, costituita da una mera “escoriazione” (con esclusione, pertanto, di ferite, contusioni o fratture), deve ritenersi logicamente incompatibile con il forte rumore percepito dalla teste S.F. e con la rilevante oscillazione del cannone innevatore riferita dal teste D.E. (“oscillava in maniera forte”), che necessariamente implicano un forte impatto del S. contro il cannone innevatore.

Concludendo sul punto, dalla congiunta valutazione, nella necessaria sintesi logica, di tutti gli elementi di prova suindicati, può affermarsi con certezza che la morte del S., riferibile al severo trauma cranio-encefalico, con conseguente insufficienza cardiorespiratoria, sia ricollegabile all’impatto del capo del medesimo con il cannone innevatore, come peraltro risultato di chiara evidenza in primis alla dott.ssa A.P., la quale, nel constatare la morte del S., come suddetto, l’ha riferita ad “impatto accidentale contro l’ostacolo fisso”, barrando quindi la casella riportante la dicitura “non è richiesto riscontro autoptico”.

Appare inoltre evidente da quanto già sopra rilevato che detto impatto avvenne proprio con la parte del cannone innevatore priva di ogni protezione, non potendo valere a indubbiare detta ricostruzione né la deposizione resa dal teste D.E. sul fatto di avere udito l’urto del corpo del S. contro il materassino, per quanto già sopra evidenziato in sede di valutazione della sua attendibilità, né il fatto che sull’asta del cannone innevatore non siano state rinvenute tracce di sangue del S. e che il copricapo del medesimo non sia risultato danneggiato, per quanto al riguardo osservato dai periti della Corte, i quali, inoltre, in sede di esame, hanno ritenuto di poter escludere che le lesioni riportate dal S. potessero essere compatibili con l’urto del medesimo contro un materasso di protezione.

Procedendo, quindi, alla individuazione delle condotte colpose omissive e/o commissive da ritenersi in nesso causale con l’evento morte, rileva la Corte che non possano considerarsi a detti fini le contestate condotte omissive inerenti la mancata apposizione sulla pista “Settebello” delle prescritte segnalazioni al fine di indurre l’utente a rallentare e di evidenziare il fine pista, l’incrocio, la presenza di cannoni innevatori.

Tanto deve opinarsi – indipendentemente dalle non condivisibili argomentazioni del primo giudice con riferimento ai segnali di rallentare – in quanto non può affatto ritenersi provato, dovendosi anzi ragionevolmente ritenere il contrario, che qualora dette segnalazioni fossero state tutte correttamente apposte il S. non sarebbe occorso nell’infortunio rubricato.

Ciò in quanto, pur a voler ritenere certa, anche a fronte dei contrasti probatori sul punto, la relativa condotta omissiva, tuttavia, come evidenziato dal teste S.F., il S. ebbe a patire una ordinaria caduta dagli sci conseguente alla perdita di equilibrio, acquistando sostenuta velocità all’esito della stessa fino ad attingere il cannone innevatore.

Inoltre, pur volendosi ritenere, il che non si ricava in maniera certa dagli atti, che il S. abbia tenuto una condotta imprudente, non potrebbe tuttavia ritenersi certo – tanto più che il medesimo aveva già percorso più volte la medesima pista avvedendosi quindi dello stato dei luoghi e del posizionamento del cannone innevatore – che lo stesso avrebbe usato maggiore prudenza in presenza dei rubricati segnali di pericolo.

Devono invece ritenersi sicuramente eziologicamente connesse all’evento morte:

1) la condotta consistita nel collocamento del cannone innevatore in posizione assolutamente non consentita e comunque estremamente pericolosa, ovvero quasi al centro dell’area ove si incrociano le due piste “Settebello” e “Canalone” e assolutamente centrale rispetto al ed. “muro” terminale della pista “Settebello”, qualificata pista nera;

2) la mancata adeguata protezione del cannone innevatore.

Quanto al primo punto si evidenzia che, come rilevato e ampiamente rappresentato, mediante documentazione fotografica e schemi manuali, dal et. del Pubblico Ministero, R.N. – Sostituto Commissario di P.S., Responsabile Nazionale del Coordinamento del Servizio Soccorso e Sicurezza in montagna della Polizia di Stato – il cannone innevatore che era stato originariamente ubicato “al vertice di una sottile striscia triangolare non battuta e fresata da qualificarsi quale margine della pista “Canalone” (comunque, da ritenersi un punto critico sebbene non contrastante con alcuna normativa), nel corso degli anni, a seguito di livellamento e preparazione con fresatura di un’area compresa tra la pista “Canalone” e un boschetto, interessante proprio la zona di immissione della pista “Settebello” con la pista “Canalone”, il cannone stesso si era venuto a trovare, “per oltre 20 metri, all’interno della pista” (intesa dal et. come “tutto ciò che viene battuto e reso disponibile agli sciatori”) e “sulla linea verticale della pista nera”, in contrasto con le più elementari regole di prudenza in quanto costituente un “pericolo atipico” non adeguatamente protetto (al riguardo v., in particolare, tra l’altro, la relazione di perizia a firma R.N., pagg. 15-19, la deposizione resa dal predetto, pagg. 19 ss. del verbale di trascrizioni relative all’udienza del 16-10-2013, la relazione di servizio a firma di P.F., Ass. C. in servizio al Servizio Sicurezza e Soccorso in Montagna, Distaccamento di Ovindoli, della Polizia di Stato, datata 21-3-2012, pag. 60 dell’incarto processuale, la deposizione resa dal predetto, pagg. 47 ss. del verbale di trascrizioni relativo all’udienza del 10-4-2013, la deposizione resa dal teste M.R., Ass. in servizio al Servizio Sicurezza e Soccorso in Montagna, Distaccamento di Ovindoli, della Polizia di Stato, pagg. 69 del verbale di trascrizioni relativo all’udienza del 10-4-2013).

Sul punto la contestazione individua quali norme cautelari violate le norme contenute nella legge n. 363/2003 (“Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo”) e nella legge regionale n. 24/2005 (“Testo unico in materia di sistemi di trasporto a mezzo di impianti a fune o ad essi assimilati, piste da sci e di infrastrutture accessorie”).

In particolare la contestazione individua quale norma cautelare violata l’art. 55 (“innevamento programmato”) della legge regionale n. 24/2005 che testualmente reca: “le attrezzature destinate all’innevamento programmato (cannoni fissi e mobili) non possono essere posizionate all’interno delle piste, e devono essere comunque gestite con i più appropriati sistemi di protezione ai fini della sicurezza degli utenti, secondo quanto disposto dai piani delle misure e degli apprestamenti di sicurezza”.

La descritta posizione del cannone innevatore è stata inoltre ritenuta in contestazione in contrasto con l’art. 3 (“obblighi dei gestori”) della legge n. 363/2003, che reca: “i gestori assicurano agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni. I gestori hanno l’obbligo di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l’utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazione della situazione di pericolo”, e con l’art. 10 (“generalità sugli obblighi dei gestori”) della legge regionale n. 24/2005, che alla lettera a) prescrive ai gestori di aree sciabili e attrezzate di “assicurare agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza…” e, alla lettera b), prescrive ai gestori di eliminare all’interno delle aree sciabili attrezzate tutti i “pericoli atipici” connessi con le caratteristiche intrinseche delle aree stesse, evidenziandosi al riguardo che ai sensi dell’art. 4 della medesima legge devono intendersi quali situazioni di “pericolo atipico” “tutte quelle situazioni, di carattere oggettivo, che espongono l’utente a un rischio che non può considerarsi connaturato alla pratica dello sci su piste battute e/o riconducibile a comportamenti dell’utente stesso e che quest’ultimo non è in grado di prevedere o individuare durante la permanenza all’interno delle aree sciabili e attrezzate”.

Orbene, anche qualora l’area di ubicazione di detto cannone innevatore, aderendo alle argomentazioni difensive, volesse ritenersi non qualificabile come “pista”, il che non si ritiene, detta area deve comunque ritenersi “sciabile” (v. sul punto anche le deposizioni rese dai testi R.A., Soccorritore Militare su Pista, in servizio al Reggimento degli Alpini di L’Aquila, P.D.F. e P.F., rispettivamente Isp. Sup. e Ass. C. in servizio al Servizio Sicurezza e Soccorso in Montagna, Distaccamento di Ovindoli, della Polizia di Stato) e anche qualora, del pari aderendo alle argomentazioni difensive, non si volessero ritenere i cannoni innevatori quali “pericoli atipici”, il che non si ritiene, va rilevato che il rubricato cannone era comunque posto alla fine di una pista qualificata “nera” (“Settebello”), sulla quale è prevedibile che gli sciatori possano acquisire maggiore velocità, e in un punto assolutamente centrale rispetto al fine pista, come evidenzia chiaramente l’acquisita documentazione fotografica già sopra menzionata.

Pertanto in ogni caso la posizione del rubricato cannone innevatore deve ritenersi integrante anche un profilo di colpa generica, da ritenersi parimente contestato, laddove nella imputazione detta posizione oltre che “non consentita” viene rettamente indicata quale “estremamente pericolosa” (sul che l’acquisita documentazione fotografica, si ripete, non lascia dubbi).

Quanto, poi, al secondo punto, deve sicuramente ritenersi che il rubricato cannone innevatore non fosse adeguatamente protetto.

Al riguardo, come rettamente osservato dal già citato et. del Pubblico Ministero, R.N.i, l’unico materassino di cui era munito il cannone innevatore era in sé inadeguato nonché mal posizionato (come del pari l’acquisita documentazione fotografica evidenzia senza alcun dubbio) ed inoltre il cannone innevatore non era munito di rete di protezione, così come invece indicato dalla stessa casa produttrice nel relativo manuale.

In particolare il et. ha evidenziato come il giorno dell’incidente l’unica protezione dell’innevatore fosse costituita da un materassino dalle dimensioni di centimetri 200 di altezza, centimetri 100 di larghezza e centimetri 15 di spessore e, pertanto, già di per sé, non idoneo ad assorbire l’urto di uno sciatore che vi avesse impattato ad alta velocità.

Lo stesso, inoltre, come già rilevato in sede della ricostruzione del sinistro, era mal posizionato, lasciando scoperta una parte rilevante della struttura metallica proprio nella parte rivolta verso la pista “Settebello” e fino al livello del piano innevato, ove deve ritenersi essere andato a impattare il S..

Da ultimo, è proprio il manuale relativo al funzionamento, caratteristiche, gestione, installazione, controllo e manutenzione del cannone innevatore, nella parte inerente la istallazione e, in particolare le precauzioni d’uso, a prevedere la delimitazione del cannone con una rete mediante la dicitura, evidenziata in neretto, “si dovrà delimitare un perimetro di sicurezza intorno all’innevatore al fine di evitare manipolazioni da parte di persone non autorizzate oltre a proteggere gli sciatori da eventuali collisioni”.

A riscontro di quanto sopra, se mai ve ne fosse bisogno, è agli atti una nota della Polizia di Stato in data 8-2-2012, indirizzata al Tribunale di Avezzano e per conoscenza alla Procura della Repubblica, con la quale si dà atto che, in ragione delle copiose nevicate dei giorni precedenti, ritenuto opportuno proteggere la parte in elevazione che fuoriesce dal manto nevoso del palo sotto sequestro, il responsabile delle piste di sci, S.M., aveva proceduto ad apporvi tre materassini di materiale spugnoso ricoperti di guaina in PVC.

Alla nota sono allegate foto da cui si evince chiaramente come avrebbe dovuto essere protetto il cannone innevatore, ovvero mediante tre materassini posizionati a “triangolo”, così evitando l’impatto sul medesimo da qualsiasi direzione fosse pervenuto uno sciatore, e fino ad oltrepassare alla base il livello del manto nevoso, nonché mediante rete di protezione. Ciò tenuto in particolare conto proprio della ubicazione altamente pericolosa del cannone innevatore.

Inoltre, come rilevato dal già citato et. del Pubblico Ministero, R.N., alcuni dei cannoni innevatori della Monte Magnola Impianti S.r.l., benché situati “fuori pista”, risultavano protetti non solo da materassini ma anche da adeguate reti di protezione.

Ebbene, senza alcun dubbio che possa valutarsi ragionevole, qualora il cannone innevatore oggetto dell’imputazione fosse stato munito di materassini idonei e rettamente posizionati e qualora la relativa area fosse stata delimitata da una rete di protezione, S. E. non avrebbe trovato la morte a seguito dell’impatto con il medesimo.

Procedendo, quindi alla riferibilità delle suindicate condotte colpose agli odierni imputati, rileva in primo luogo la Corte che qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia e, in particolare, qualora l’obbligo di impedire l’evento connesso ad una situazione di pericolo gravi su più persone obbligate ad intervenire, anche in tempi diversi, l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta.

Ciò posto si osserva che il gestore della pista da sci è titolare di una posizione di garanzia in forza della quale può essere chiamato a rispondere dei reati di omicidio o lesioni colpose, per non aver impedito il verificarsi di un evento lesivo che aveva l’obbligo giuridico di impedire, qualora sia possibile muovergli un rimprovero a titolo di colpa, derivante dalla violazione di una o più norme cautelari da individuare sulla base delle due direttrici di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 363/2003 – quindi riprese dalla legge regionale n. 24/2005 – rappresentate dall’obbligo di consentire lo svolgimento delle attività sportive e ludiche in condizioni di sicurezza, e dall’obbligo di utilizzare adeguate protezioni e segnalare situazioni di pericolo, che costituiscono regole cautelari cd. “elastiche”, i cui contenuti devono essere individuati sulla base della valutazione della fattispecie concreta, differentemente da quelle ed. “rigide”, che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 18333 del 18-1/3-5-2019, Rv. 275801 – 02).

Quindi, prescindendo dal rispetto dell’obbligo di segnalare situazioni di pericolo, in ragione dell’esclusione, come sopra precisato, della sussistenza di un nesso causale certo tra la relativa condotta omissiva e l’evento morte, rileva la Corte che, sulla scorta del disposto del già citato art. 3, comma 1, della legge n. 363/2003, devesi riferire, oltre che all’imputato deceduto B.M., anche all’imputato B.G., in qualità di amministratore unico della Monte Magnola Impianti, quantomeno la responsabilità inerente la struttura stessa degli impianti e, pertanto, il posizionamento del cannone innevalore de quo.

Ciò sia con riferimento al posizionamento iniziale, benché autorizzato, in quanto comunque il cannone innevatore era stato ubicato in un punto “critico”, ai margini della pista “Canalone”, in contrasto con l’obbligo di consentire lo svolgimento delle attività sportive e ludiche in condizioni di sicurezza, sia, comunque e in special modo, con il posizionamento che detto cannone innevatore aveva assunto a seguito degli eseguiti lavori, come sopra precisato, in contrasto con le più elementari norme di prudenza.

Trattasi di obbligo da cui l’imputato B.G. non può certo ritenersi esentato in ragione della qualità assunta dal proprio figlio B.M. di direttore generale e responsabile di esercizio della Monte Magnola Impianti S.r.l., dovendosi ritenere al riguardo la coesistenza di una posizione di garanzia dei due soggetti, gravando invece sul solo B.M. l’obbligo di manutenzione giornaliera della sicurezza delle piste e l’obbligo di segnalazioni di situazioni di pericolo, anche avvalendosi dell’attività svolta da S.M., quale capo servizio responsabile della sicurezza delle piste.

Quanto poi alla posizione di garanzia svolta da quest’ultimo, va rilevato che lo stesso deve ritenersi, come da contestazione, capo servizio e responsabile della sicurezza sulle piste, figura che discende dall’articolo 67 della legge regionale n. 24/2005 che, al comma 1, testualmente reca: “È fatto obbligo al titolare dell’autorizzazione all’esercizio della pista assicurare i seguenti servizi le cui modalità ed i cui contenuti sono disciplinati nel regolamento di esecuzione della presente legge: a) manutenzione dei tracciati e della segnaletica della pista, ordinaria e straordinaria, invernale ed estiva” omissis, e al comma 2 testualmente reca “Il Servizio competente, al fine di garantire l’adeguata preparazione tecnica degli addetti ai servizi di cui al primo comma, è autorizzata ad organizzare corsi di formazione professionale per la preparazione, il perfezionamento e l’aggiornamento, organizzandoli ed attuandoli direttamente, ovvero affidandone lo svolgimento ad enti od associazioni in base ad apposita convenzione”.

Detta qualità dell’imputato S.M. emerge formalmente dall’acquisito organigramma nonché, comunque, dagli atti, da cui si ricava che questi effettivamente operasse quale responsabile della sicurezza sulle piste, benché lo stesso in sede di interrogatorio reso il 7-6-2012, il cui verbale è stato acquisito a norma dell’art. 513 c.p.p., abbia riferito: di essere stato assunto quale capo servizio per gli impianti a fune e di essere stato nominato responsabile della sicurezza con esclusivo riferimento all’anno 1997 e alla prevenzione dei pericoli inerenti “neve e valanghe”, avendo frequentato dei corsi specifici al riguardo; di non avere comunque firmato con riferimento agli anni successivi “alcuna accettazione di delega ad essere responsabile di tale attività”; che il controllo dei materassini, in numero di circa 500 e mai rimossi, era effettuato giornalmente dagli addetti alla sicurezza (la difesa ha prodotto, a sostegno delle dichiarazioni dello S.M., una busta paga dalla quale Io stesso risulta inquadrato come operaio di secondo livello e due attestati di qualifica di “osservatore nivologico” e di “operatore ed assistente del distacco artificiale di valanghe).

Al riguardo, premesso che appare assolutamente non plausibile che a fronte di una indicazione in organigramma di S.M. quale capo servizio responsabile della sicurezza delle piste, la sua attività fosse limitata alla prevenzione dei pericoli inerenti “neve e valanghe”, rileva la Corte che l’attività svolta dallo S.M. quale responsabile della sicurezza sulle piste sino ed oltre alla data di consumazione del reato per il quale si procede, emerge chiara dagli atti utilizzabili per la decisione.

Al riguardo, in particolare, si evidenziano:

* la già citata nota della Polizia di Stato in data 8-2-2012 indirizzata al Tribunale di Avezzano e, per conoscenza, alla Procura della Repubblica, dalla quale emerge che, in ragione delle copiose nevicate dei giorni precedenti e ritenuto opportuno proteggere la parte in elevazione che fuoriesce dal manto nevoso del palo sotto sequestro, il responsabile delle piste di sci. S.M., aveva proceduto ad apporvi tre materassini di materiale spugnoso ricoperti di guaina in PVC;

* la deposizione resa dal succitato teste P.F., il quale ha testualmente riferito: “noi come pattuglia di polizia ci rifacciamo a diverse persone, nella maggior parte dei casi dal signor S.M.”;

* la deposizione del teste R.A., “soccorritore militare su pista” appartenente al Reggimento degli Alpini di L’Aquila, il quale ha testualmente riferito: “allora S.M. svolge servizio di capo servizio ed è sul posto il nostro referente, cioè qualora una squadra…abbia esaurito determinato materiale, qualsiasi problematica, noi siamo quelli che fanno riferimento al signor S.M.”, “noi come squadre di soccorso abbiamo come referente sul posto il signor S.M.”; lo stesso, alla domanda di cosa di specifico si occupasse lo S.M., ha testualmente riferito: “…del controllo se è presente un determinato materassino, rete, cartelli… una cosa che va effettuata tutti i giorni tutte le mattine prima dell’apertura. Qualora una pista necessitasse di manutenzione straordinaria e quant’altro lui applica la chiusura della pista, la messa in sicurezza della stessa, la riapertura”, “… ripeto, il nostro ordine impartito dalla Caserma era di andare sul posto e prendere accordi con il signor S.M. per quanto riguarda i materiali, la collocazione e qualsiasi necessità, e lui era nostro referente”, lo stesso, ancora, presa visione dell’organigramma, alla domanda “quindi sostanzialmente questo organigramma corrisponde alla realtà?”, ha testualmente risposto “per quanto a mia conoscenza si”, e ancora: “colui che passa al controllo della apertura e della chiusura abbiamo detto è il signor S.M. che poi renderà conto a chi di dovere”, e ancora, alla domanda “ma quindi vuol dire che il signor S.M. va lì sul posto e con i suoi stessi occhi fa questo controllo? Non lo delega a qualcuno quindi se ho capito?”, ha testualmente risposto: “no, no, no”; lo stesso teste ha inoltre precisato che, ad esempio, se notava che il toboga, ossia la barella con la quale vengono trasportati gli infortunati, si era rotto ed era pertanto da sostituire, lui si interfacciava con il signor S.M. il quale gli metteva a disposizione un toboga nuovo, rivolgendosi a B.M.;

* la deposizione resa dal teste C.G., il quale ha riferito che lo S.M. si occupava personalmente della segnaletica, dei materassi, e di tutte le protezioni necessarie in pista.

Emerge pertanto chiaro che l’imputato S.M. si occupava personalmente del controllo della sicurezza delle piste ed era al riguardo il punto di riferimento dei vari operatori.

E allora, pur non potendo riferirsi allo Scipione la responsabilità del posizionamento del cannone innevatore, egli va tuttavia sicuramente ritenuto responsabile della sua inidonea protezione, in quanto, pur se privo di potere di spesa, avrebbe dovuto informare B.M. del fatto che il rubricato cannone innevatore, in ragione della inadeguatezza della sua protezione, costituiva una situazione di pericolo per gli sciatori, esortandolo a provvedere al riguardo, così come B.M. risulta aver fatto per diverse ragioni inerenti la sicurezza delle piste su richiesta dello S.M. (mentre la tesi difensiva è volta a sostenere l’adeguatezza della protezione del cannone sparaneve).

Comunque e a tutto voler concedere, avrebbe dovuto quantomeno provvedere a posizionare l’unico materassino disponibile nella parte a fronte della più ripida pista “Settebello” e sino a coprire la parte bassa del cannone innevatore costituito da un’asta in metallo dotata di parti sporgenti.

Concludendo, in riforma della sentenza di primo grado, va dichiarata la penale responsabilità degli imputati B.G. e S.M. in ordine al reato loro ascritto, nelle qualità rubricate e con riferimento ai profili di colpa suindicati, ritenendo questa Corte superata da quanto sopra evidenziato ogni ulteriore argomentazione e deduzione difensiva ricavabile dagli atti.

Procedendo, quindi, alla dosimetria della pena, va in primo luogo esclusa la concedibilità agli imputati delle circostanze attenuanti generiche, non emergendo dagli atti elementi positivi di valutazione al riguardo.

La pena, poi, tenuto conto dei criteri tutti di cui all’art. 133 c.p. e, in particolare, del grado della colpa desunto dalla macroscopicità delle violazioni delle norme suindicate e delle regole di comune prudenza da parte degli imputati e dalla gravità del danno, per essere deceduto un ragazzo dell’età di ventuno anni, può essere equamente determinata in quella richiesta dal Pubblico Ministero di anni uno di reclusione, ricompresa tra il minimo e il medio edittale, per ciascuno di essi.

Possono essere concesse all’imputato S.M. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna in ragione del suo stato di incensuratezza e all’imputato B.G. il solo beneficio della sospensione condizionale della pena, in costanza dei presupposti di legge.

Gli imputati B.G. e S.M. vanno altresì condannati al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

Quanto alle questioni civili, osserva in primo luogo la Corte che non emergono dagli atti elementi certi inerenti al concorso di colpa di S. E. nella causazione dell’evento, dedotto dalle difese degli imputati.

In merito, quanto al fatto che S. E. sia risultato positivo all’analisi relativa alla ricerca della THC, devesi invero evidenziare che:

– il et. del Pubblico Ministero, dott. P.A., rilevato che gli esami tossicologici avevano indicato la presenza di THC in tutti i fluidi biologici del S., che l’analisi quantitativa del THC effettuata su campioni di sangue aveva indicato un valore di 22 mg/mi e, nell’urina di 228 mg/mi., ha ritenuto, peraltro con giudizio non espresso in termini di certezza, che la presenza di cannabinoidi nella misura sopra rilevata “può aver contribuito al verificarsi dell’incidente che ha determinato il decesso”;

– il dott. prof. E.M. ha concluso sul punto testualmente come segue: “il riscontro tossicologico sul de cuius, sig. E. S., può ragionevolmente assumere, sotto il profilo medico-legale, un significato trascurabile rispetto alla genesi del fatto traumatico letifero”, confermando quanto sopra in sede di esame;

– il dott. prof. A.T. e il dott. M.B. hanno concluso sul punto ritenendo l’acclarata presenza di THC nei fluidi biologici del S. nelle percentuali su indicate “ininfluente ai fini del determinismo del decesso”, non escludendo tuttavia che la stessa “possa aver avuto un ruolo nella performance psicofisica e comportamentale del S.”; in sede di esame tuttavia il dott. prof. A.T. ha escluso che la presenza di THC possa aver inciso nella causazione dell’evento (“che questo abbia un rilievo su quello che è successo penso di no”), significando che trattasi di sostanza che aumenta il grado di destrezza e non comporta invece un effetto soporifero.

In definitiva deve pertanto escludersi, o quantomeno non ritenersi provato, che l’assunzione di cannabinoidi da parte del S. abbia contribuito alla causazione dell’evento.

Neppure, dagli atti utilizzabili per la decisione, può ritenersi che sussista colpa del S. per aver affrontato una pista di difficoltà superiore alla propria abilità sciistica.

Al riguardo, invero, pur prescindendosi, per le ragioni già indicate, dalla deposizione resa dal teste C.A., che ha negato, anche a seguito di contestazione, di aver riferito che il S. fosse uno sciatore dalle scarse capacità sciistiche, riferendo di contro “lo vedevo pratico, sapevo che riuscisse a sciare, avevamo fatto tante piste, non avevo visto che aveva avuto difficoltà”, non può non rilevarsi che i testi di parte civile P.M. e P.M. hanno dipinto il S. quale un “bravo sciatore” capace di affrontare “tutte le piste”, anche, pertanto le piste “nere”, per averlo personalmente constatato.

Neppure, infine, può ritenersi certo che il S. abbia volontariamente e imprudentemente assunto eccessiva velocità e una traiettoria rettilinea a fine pista, non potendosi certo escludere che detta traiettoria e la velocità, non commisurati al tratto di pista finale che lo stesso stava percorrendo, siano stati dovuti proprio alla perdita di controllo degli sci culminata nella caduta, rilevandosi al riguardo che, come peraltro evidenziato anche dal et. del Pubblico Ministero, R.N., la caduta dagli sci deve considerarsi un’evenienza insita nella pratica sciistica, indipendentemente dalle capacità dello sciatore.

Ciò posto, B.G. e S.M. vanno condannati, in solido tra loro e con il responsabile civile Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (danno biologico, fisico e psichico, danno da sofferenza morale e cd. danno da perdita del rapporto parentale) in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, non essendone in questa sede emerso il loro esatto ammontare, con concessione di una provvisionale che si stima equo determinare pari a:

– € 100.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili S.G. e B.D., genitori di S. E.,

– € 75.000,00 in favore della parte civile S. D., sorella di S. E.,

– e 50.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili S.A., S.R., zii paterni senza figli di S. E. e con esso conviventi, S. C. A., nonna paterna di S. E. e con esso convivente;

Da ultimo gli imputati B.G. e S.M., in solido tra loro e con il responsabile civile Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., vanno condannati a rifondere alle parti civili le spese processuali del primo e del secondo grado di giudizio che si liquidano

– in base alle tabelle dei compensi spettanti agli Avvocati in materia penale per prestazioni svolte dinanzi al Tribunale e alla Corte di Appello allegate al D.M. 10-3-2014, tenuto conto della natura, complessità e gravità del procedimento, del conseguente impegno professionale profuso e dell’incidenza dell’attività defensionale sui risultati del giudizio:

– per il primo grado del giudizio, con riferimento alle fasi introduttiva, di studio e decisoria, in complessivi € 7.200,00 quanto alle parti civili S.G. e B.D. (€ 6.000,00 per la prima parte civile aumentati del 20%, pari ad € 1.200,00, per la seconda parte civile ex art. 12, comma 2°, del citato DM), e in complessivi € 9.600,00 quanto alle parti civili S.A., S.R., S. C. A. e S. D. (€ 6.000,00 per la prima parte civile aumentati del 20%, pari ad € 1.200,00, per ciascuna delle ulteriori parti civili ex art. 12, comma 2°, del citato DM), per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

– per il secondo grado di giudizio, con riferimento alle fasi di studio e decisoria, quanto alle parti civili S.G., B.D., S.A., S.R., S. C. A. e S. D., in complessivi € 12.060,00, come da richiesta, per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

P.Q.M.

Visto l’art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza n. 340/2017 Reg. Sent. in data 31-5-2017 del Tribunale di Avezzano, pronunciata nei confronti degli imputati B.G., B.M. e S.M. e appellata dal Procuratore della Repubblica e dalle parti civili S.G., B.D., S.A., S.R., S. C. A. e S. D.:

– dichiara inammissibili gli atti di appello quanto alla posizione di B.M. per intervenuta morte del reo;

– dichiara gli imputati B.G. e S.M. colpevoli del reato loro ascritto e li condanna alla pena di anni uno di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado del giudizio;

– concede all’imputato S.M. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e all’imputato B.G. il beneficio della sospensione condizionale della pena;

– condanna gli imputati B.G. e S.M., in solido tra loro e con il responsabile civile Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede, concedendo una provvisionale pari ad € 100.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili S.G. e B.D., pari ad € 75.000,00 in favore della parte civile S. D. e pari ad € 50.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili S.A., S.R., S.C.A.;

– condanna altresì gli imputati B.G. e S.M., in solido tra loro e con il responsabile civile Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., a rifondere alle parti civili costituite le spese di patrocinio del primo grado di giudizio, che liquida, per compensi, in complessivi € 7.200,00 quanto alle parti civili S.G. e B.D. ed in complessivi € 9.600,00 quanto alle parti civili S.A., S.R., S.C.A. e S.D., oltre accessori di legge; nonché a rifondere alle parti civili S.G., B.D., S.A., S.R., S.C.A. e S.D. le spese di patrocinio del secondo grado di giudizio, che liquida, per compensi, in complessivi € 12.060,00, oltre accessori di legge.

Motivazione entro novanta giorni (25-9-2019).

L’Aquila, 27-6-2019.

 

fb-share-icon