Corte di Cassazione, sez. III, sentenza 19 gennaio 2018, n. 1254

Corte di Cassazione, sez. III, sentenza 19 gennaio 2018, n. 1254, Pres. Di Amato; Rel. Frasca; P.V. (Avv. Manzione) c. T.I.

 

Responsabilità civile – Calcio saponato – Danno da cosa in custodia – Infortunio – Responsabilità del custode – Sussiste (Cod. civ., artt. 2051, 1227)

Responsabilità civile – Calcio saponato – Danno da cosa in custodia – Nesso causale Rischio elettivoInterruzione – Non sussiste (Cod. civ., artt. 2051, 1227)

La responsabilità del custode di un parco giochi ove si pratichi calcio saponato non è esclusa dalla scelta del danneggiato di utilizzare un’attrezzatura prevista dal regolamento come necessaria per lo svolgimento dell’attività sportiva, anche se il danneggiato possa averne percepito la sua inidoneità a svolgere la funzione protettiva richiesta dalla natura del gioco. (1)

 

La scelta di un giocatore di calcio saponato di utilizzare un casco rivelatosi inidoneo a fungere da protezione, non è riconducibile in modo certo a un c.d. “rischio elettivo”, e non è sufficiente ad interrompere il nesso eziologico tra la fornitura del casco al giocatore e le lesioni da quest’ultimo subite (nella specie, il ricorrente aveva rilevato che il casco fornitogli era “piccolo”, ossia che non era del tutto adatto alla misura della sua testa, tuttavia, secondo la Corte, indossare un casco percepito come “piccolo” è circostanza che si può prestare ad una duplice interpretazione, sia a giustificare una percezione di mera mancanza di comodità dell’attrezzatura protettiva, sia a percepire la sua inidoneità ad assolvere la funzione di protezione. Pertanto sul piano della logica comune, non è condivisibile la conclusione che il ricorrente, per il fatto di avere preso parte al gioco con un casco di taglia più piccola del dovuto, abbia colpevolmente accettato di giocare assumendosi il rischio di farlo in difetto di idonee protezioni). (2)

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio                           - Presidente   -
Dott. FRASCA   Raffaele                     - rel. Consigliere -
Dott. CIRILLO   Francesco Maria                   - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco                             - Consigliere -
Dott. TATANGELO Augusto                          - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26493/2014 proposto da:

P.V., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MASSIMO MANZIONE giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -

contro

T.I.;
- intimato -

avverso la sentenza n. 399/2014 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.         

Fatto

1. P.V. ha proposto ricorso per cassazione contro T.I. avverso la sentenza del 15 marzo 2014, con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il suo appello avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Paola, con cui era stata rigettata la domanda proposta dal ricorrente nel maggio del 2004, per ottenere – nel presupposto della sussistenza di una responsabilità del T. ai sensi dell’art. 2051 c.c., o in via gradata ai sensi degli artt. 2050 e 2043 c.c. – il risarcimento dei danni sofferti a causa di una caduta occorsagli in occasione di una partita di c.d. “calcio saponato” giuocata il (OMISSIS) sulla struttura addetta a tale gioco, esistente in un parco giochi di proprietà e gestito dal T. in (OMISSIS).

A sostegno della domanda l’attore assumeva che il convenuto aveva omesso di adottare le cautele e gli accorgimenti tecnici prescritti, sia relativamente allo stato di usura della struttura adibita al gioco, sia alle caratteristiche del casco protettivo.

2. Al ricorso per cassazione, che propone tre motivi, non v’è stata resistenza dell’intimato.

3. Per conto del ricorrente si è costituito con procura notarile un nuovo difensore, in sostituzione di quello originario, deceduto.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1 e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero e memoria dalla parte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. In via preliminare si deve rilevare che parte ricorrente ha prodotto una copia autentica della sentenza impugnata, nella quale manca la pagina 36. Ne consegue che, ai fini dello scrutinio dei motivi, occorrerà valutare se la mancanza di tale pagina lo renda impossibile.

Ciò, in conformità al consolidato principio di diritto, secondo cui “Viola il disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, rendendo improcedibile il ricorso per cassazione, il deposito in cancelleria, ad opera del ricorrente, di copia autentica della sentenza impugnata mancante di una pagina, qualora quest’ultima contenga allegazioni rilevanti per stabilire se i motivi di censura siano fondati o meno” (da ultimo, Cass. n. 22407 del 2016) e tenuto conto, altresì, che è stato statuito che “In tema di ricorso per cassazione, l’incompletezza della copia autentica della sentenza depositata dal ricorrente principale – vizio non suscettibile di sanatoria ancorchè una copia completa sia stata depositata dal ricorrente incidentale – non comporta l’improcedibilità dell’intera impugnazione ma impedisce soltanto lo scrutinio dei motivi relativi alle parti mancanti della sentenza impugnata” (Cass. n. 28460 del 2013).

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 5,1227,2051,2697 c.c.; art. 40 c.p.; artt. 2,32 Cost.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si censura la sentenza impugnata per avere escluso la responsabilità dell’intimato ai sensi dell’art. 2051 c.c., con una motivazione che viene riprodotta dopo avere dato atto che la sentenza ha, prima di enunciarla, riconosciuto: a) “incontestata la qualità del T. di proprietario e gestore del campo di gioco saponato dove si è verificato il sinistro”; b) l’essere “incontestato (….) inoltre che l’episodio lesivo si (era) verificato a seguito della caduta del P. nel corso della partita di calcetto” e che il T. non avesse adottato tutte le cautele previste per il gioco, in particolare che non avesse fornito ad alcuni giocatori caschi idonei al gioco.

Detta motivazione viene così riprodotta: “il fatto che il giocatore abbia accettato di giocare nonostante lui stesso abbia ritenuto quel casco visibilmente inidoneo alla specifica protezione (…) anche perchè “piccolo”…. (appariva) circostanza valida ad interrompere il nesso di causalità tra tale inidoneità e le lesioni dal momento che il giocatore ha acconsentito di affrontare la partita pur consapevole delle inidoneità del casco, o meglio, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto valutare che quel casco non era in grado di proteggergli la testa dalle cadute”.

2.1. L’illustrazione del motivo procede, quindi, nella critica a tale motivazione con le seguenti argomentazioni.

La corte territoriale avrebbe violato l’art. 2051 c.c., sia “riferendo alla norma una funzione diversa da quella che invece la legittima”, sia “omettendone l’applicazione sebbene nel caso concreto vi fosse piena ricorrenza di tutti i suoi elementi costitutivi” e ciò anche “sulla scorta di un’erronea distribuzione dei carichi probatori tra il gestore T. e l’utente P.” agli effetti dell’art. 2697 c.c..

Tale assunto è sostenuto adducendo che, una volta ritenuta indubbia la circostanza che i responsabili avevano consegnato ai giocatori i caschi protettivi e che al P. ne fosse stato consegnato uno inidoneo, la cui inidoneità aveva determinato le lesioni da esso subite, “per ritenere interrotto il nesso eziologico” il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare se il P. “avesse inteso assumere consapevolmente l’alta rischiosità dell’attività ludica (…) là dove praticata in mancanza di un efficace dispositivo di protezione della nuca” e ciò in base allo stesso precedente di questa Corte che la corte calabrese ha evocato a chiusura della motivazione resa nei ricordati termini, cioè Cass. n. 13681 del 2012.

2.1.1. Viceversa, non avrebbe quella corte considerato che il gestore non aveva dato prova di aver informato l’utente, prima che scendesse in campo, che il casco non era conforme alle prescrizioni dell’epoca, onde, in mancanza di adempimento di tale onere probatorio, non avrebbe potuto attribuirsi al P. l’elezione del rischio conseguente.

D’altro canto, la carenza di prova della consapevolezza del rischio non avrebbe potuto essere superata: a) nè per il fatto che il regolamento di gioco (come la Corte, con accertamento di fatto non sottoposto a critica, ha reputato), là dove prevedeva che il casco protettivo potesse appartenere all’utente, giacchè esso era stato fornito dal T.; b) nè per il fatto che, come risulta dalla pagina 40 della sentenza, il P. avesse lamentato che il casco fornitogli era di dimensioni ristrette, con la conseguente richiesta di sostituzione perchè esso era piccolo, giacchè l’invito che la direzione della struttura aveva rivolto ai giocatori a scambiarsi i caschi noleggiati aveva finito “col sincerare l’odierno ricorrente dell’idoneità tecnica del casco noleggiato presso la struttura ludica, riducendo il lamentato problema dimensionale al solo profilo della mera comodità del dispositivo”.

2.1.2. Si sostiene, di seguito, che su chi prende parte ad un’attività sportiva non potrebbe, d’altro canto, ritenersi incombere un “”dovere di controllo” per accertarsi che non vi siano elementi di pericolo nella ed intorno alla zona di gioco” e ciò sia per “ovvie considerazioni pratiche”, essendo “difficile immaginare che prima di ogni attività un normale sportivo abbia competenze tali da poter controllare la sicurezza dell’area”, sia in ragione dell’affidamento che chi utilizza una struttura sportiva gestita da un operatore professionale pone nelle sue condizioni di sicurezza, atteso che altrimenti sarebbe elisa la funzione dell’art. 2051 c.c. (così ravvisata dalle sentenze di questa Corte nn. 4278 del 2008, 22807 del 2009 e 20055 del 2013) di imputare la responsabilità a colui che si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti l’uso della cosa.

Ne discenderebbe che, scendendo in campo con il casco fornitogli dal T., il P. avrebbe fatto affidamento nella sua idoneità.

2.1.3. Inoltre, si sostiene, il medesimo, quale giocatore occasionale, “non avrebbe potuto rappresentarsi da solo e in maniera compiuta l’alta rischiosità insita nel praticare lo sport con un casco poi rivelatosi non omologato” e, del resto, lo stesso giudice di primo grado, decidendo senza disporre la c.t.u. poi disposta dal giudice d’appello (e che aveva accertato l’inidoneità del casco) aveva, affidandosi ad una valutazione di comune esperienza, considerato il casco inidoneo per essere simile a quelli usati dai ciclisti.

2.1.4. Si deduce ancora che, se anche il P. avesse avuto “una certa consapevolezza della reale alea del gioco” essa non avrebbe escluso il nesso causale, in quanto sarebbe stata illecita l’accettazione del rischio di esporre la propria integrità psicofisica a lesioni permanente come quelle riscontrate dalla c.t.u..

Quindi, si evoca un precedente di merito nel senso che nell’ambito sportivo occorrerebbe distinguere fra l’accettazione dei rischi di infortunio da contrasti di gioco ed i rischi derivanti dall’eventuale pericolosità delle strutture. E si evoca ancora giurisprudenza di questa Corte che ritiene che, una volta provato dal danneggiato il nesso eziologico fra la cosa e l’evento di danno, l’esistenza del caso fortuito, cioè di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, di un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato), debba presentare i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità e si sostiene che, giacchè il verificarsi del danno in conseguenza dell’uso del casco inidoneo era prevedibile e lo sarebbe stato da parte dello stesso gestore T. e si sarebbe potuto da lui impedire con la fornitura di un casco idoneo o con l’impedire la discesa in campo del P., anche per tale ragione la sentenza avrebbe a torto ritenuto che causa del danno fosse stata la condotta del medesimo.

2.2. In fine, si illustra la violazione dell’art. 1227, comma 1, adducendo che, quando pure fosse stata ritenuta esistente la scelta consapevole del P. di giuocare in assenza della idoneità del casco, la corte catanzarese avrebbe dovuto riconoscere esistente eventualmente un concorso di responsabilità solo ai sensi d quella norma.

3. Il motivo è fondato.

Lo è per ragioni che rendono superfluo approfondire se il principio di diritto di cui la corte territoriale ha fatto applicazione evocando la sentenza di questa Corte n. 13681 del 2012 sia condivisibile oppure non lo sia.

3.1. Infatti, nel caso di specie la lettura della motivazione evidenzia una situazione nella quale deve ritenersi che la corte calabrese abbia sussunto sotto la fattispecie astratta di applicazione della norma dell’art. 2051 c.c., emergente dal principio di diritto affermato da quella sentenza, una fattispecie concreta che, per come da essa stessa ricostruita in facto, non avrebbe potuto ad essa in alcun modo ricondursi.

Sicchè, emerge che vi è stato un errore c.d. di sussunzione della fattispecie concreta sotto la fattispecie astratta che quella corte ha ritenuto di desumere dal paradigma dell’art. 2051 c.c., per escludere l’esistenza della responsabilità sotto il profilo dell’elemento del nesso causale. Detto errore, comportando che tale fattispecie sia stata applicata ad un caso che non presentava le caratteristiche corrispondenti agli elementi della fattispecie astratta per come ricostruita dalla sentenza impugnata, palesa l’erroneità in iure della sentenza perchè quest’ultima fattispecie risulta falsamene applicata.

Nel contempo ed a monte si deve rilevare che lo scrutinio del motivo deve avvenire senza che si possa mettere in discussione la riconducibilità della vicenda all’ambito dell’art. 2051 c.c., atteso che la corte di merito l’ha espressamente affermata ed il relativo decisum non è stato posto in discussione, sicchè è coperto dalla cosa giudicata interna.

3.2. Tanto rende superfluo, come s’è anticipato, discutere se ed in che termini la fattispecie astratta sia stata correttamente individuata ed in particolare se lo sia stata nel paradigma dell’art. 2051 c.c., volta che si consideri che nella specie la “cosa” che per le sue caratteristiche avrebbe determinato il danno sarebbe stata il casco inidoneo e non l’impianto come tale e che il primo venne fornito nell’ambito della messa a disposizione del secondo per il gioco, che bene si sarebbe prestata ad un inquadramento di natura contrattuale. Messa a disposizione che, tuttavia, non può essere apprezzata nel quadro di una eventuale responsabilità contrattuale, perchè, come emerge dall’esordio della motivazione, la corte territoriale – con affermazione non impugnata e coperta, quindi, da cosa giudicata interna (che impedisce qualsiasi possibilità di apprezzare d’ufficio in iure la vicenda in modo corrispondente a detta qualificazione, fermi i termini fattuali di essa per come individuati dalla sentenza stessa) – ha espressamente ritenuto domanda nuova in appello l’invocazione di un simile titolo di responsabilità e, quindi, ha escluso che la fattispecie potesse esaminarsi a quella stregua.

Non meno superfluo appare l’interrogarsi: aa) sia sulle modalità che, con riguardo ad attività sportiva esercitata in una struttura e con attrezzature di gioco, possano rivelare, in presenza di inidoneità dell’una o delle altre, l’atteggiamento di consapevolezza al riguardo dell’utente ed in particolare se esso possa assumere la qualità di causa esclusiva dell’eventuale danno oppure solo di concausa con il comportamento del gestore, ovvero comunque escludere o limitare la responsabilità per ragioni di natura soggettiva; bb) sia e soprattutto sul modo in cui, tale consapevolezza debba manifestarsi per assumere quella rilevanza esclusiva o concorrente (oppure una rilevanza soggettiva).

3.2. Ciò premesso, si rileva che l’affermazione che la corte territoriale abbia ricondotto la situazione fattuale erroneamente alla fattispecie astratta (corretta o meno che sia stata) che ha dichiarato di applicare si giustifica per ragioni, la cui esposizione suppone preliminarmente il riferire la motivazione in parte qua della sentenza impugnata, avvertendo fin d’ora, che ai fini della valutazione di fondatezza non assume rilevanza ostativa alcuna la mancanza nella sentenza prodotta in copia autentica della pagina 37.

Essa risulta enunciata dalla corte territoriale dopo che essa ha motivato, con un accertamento che non è stato posto discussione in questa sede, sull’inesistenza delle condizioni di irregolarità del campo di gioco.

3.2.1. I termini della motivazione che interessano in questa sede sono anzitutto quelli nei quali la corte calabrese:

a) riferisce le risultanze istruttorie dell’interrogatorio formale del P., dicendo che egli affermò che: “è vero che mi fu dato un casco da protezione, ma quando lo indossai notai che era piccolo e diverso dagli altri. Chiesi subito, prima dell’inizio della partita, di poterlo cambiare. Mi fu risposto che non ve ne erano altri. Notai anche che il casco non aveva imbottitura, ma soltanto strisce di plastica”;

b) dice che “in sede di sommarie informazioni, davanti ai carabinieri della Stazione di Torre del Greco, il medesimo aveva sostenuto: “all’ingresso in campo ci vennero consegnati dei caschi di diversa forma… I caschi erano di diversa forma, a me capitò una misura piccola e formata a strisce di plastica molto sottili. Alla consegna dei caschi io ed i miei amici ci meravigliammo, in quanto nessuno ci aveva avvisato della pericolosità del gioco, nè tantomeno vi erano dei cartelli di avviso all’ingresso del campo”;

c) osserva di seguito che “quindi, il P. non ha parlato, in tale ultima sede, di richiesta di sostituzione del casco; nè la circostanza è stata menzionata nella querela denuncia”;

d) riferisce delle dichiarazioni testimoniali in questi termini: “La teste D.D.M., ha riferito: “i caschi che ci vennero consegnati erano di diversa forma e colore, tutti privi di imbottitura, con delle strisce di plastica da fissare sotto il mento. I caschi inoltre erano piccoli, somigliavano a quelli dei ciclisti, e giocatori tra cui il P. richiesero la sostituzione, ma ci fu risposto che c’erano solo quelli e che potevamo scambiare tra di noi. Preciso che i caschi erano formati da strisce di plastica che lasciavano scoperta la testa, in particolare, dietro la nuca. I caschi descritti furono consegnati a tutti i giocatori e non solo al sig. P..”. La teste M.A., ha dichiarato: “vidi che ai giocatori vennero consegnati caschi tutti diversi gli uni dagli altri. Vidi il P. andare in Direzione e al suo ritorno i giocatori si scambiarono i caschi. Notai che alcuni caschi erano più grande altri più piccoli: in particolare il P. ne indossava uno giallo e molto piccolo.”. Il teste F.C., ha riferito: “i caschi consegnati ai giocatori non erano idonei ma piccoli, privi di imbottitura, di colore diverso tra di loro, non sono quello che fu dato al P. ma anche tutti gli altri”.

3.2.2. Dopo tali riferimenti alle risultanza istruttorie, la sentenza, nelle pagine da 31 a 35 dà conto ampiamente delle risultanze della c.t.u. esperita, in occasione della quale venne visionato un filmato amatoriale della partita giocata dal ricorrente, e, sulla base di esse conclude (pag. 35 in fine e pag. 36 all’inizio) che “da tali accertamenti, certamente validi (…) si trae la conclusione che a causare le lesioni a P. sia stato l’uso di un casco inidoneo, tanto a prescindere dalla condizione di conformità o meno del campo in questione alla normativa all’epoca vigente(…)”.

3.2.3. Di seguito, tuttavia, la sentenza, valorizzando le valutazioni desunte dai c.t.u. dal detto filmato, afferma, sempre nella pagina 36, quanto segue: “Dagli stessi accertamenti e dalle complessive risultanze si traggono però elementi che portano ad escludere la responsabilità del T.. In primo luogo, diversamente da quanto riferito dai testi, i caschi non erano tutti diversi tra loro e privi di imbottitura, in quanto erano di due tipi, entrambi con imbottitura, sia pure minore quelli a fasce. Non risulta che tutti quelli che cadevano durante il gioco si facessero male, emergendo anzi il contrario dal filmato: i consulenti hanno invero rilevato che solo quelli che indossavano il casco a fasce lamentavano dolore alla testa. Da tale ultimo rilievo si desume che, al limite, si potrebbe ipotizzare che solo i caschi a fasce fossero in concreto privi di imbottitura. E tali considerazioni svolte confermano la scarsa attendibilità dei testi”.

Nelle ultime due righe la sentenza osserva, che “A prescindere poi dal fatto se in effetti i caschi fossero o meno privi di imbottitura e piccoli, si desume chiaramente dalla dichiarazioni rese dal”.

Poichè la successiva pagina 37 manca, la frase risulta spezzata e non se ne comprende il significato e si ignora, naturalmente il contenuto di detta pagina.

3.2.4. Dalla pagina 38 la motivazione prosegue con il seguente tenore: “….aver visto affisso alcun regolamento, la presenza dello stesso debba invece affermarsi oltre che per il fatto che tale regolamento era presente all’atto del sopralluogo da parte dell’ispettore A., sebbene con riferimento all’estate precedente, per la ragione che tale regolamento risulta espressamente menzionato nel contratto di affitto del campo presente negli atti del procedimento penale trasmessi al primo giudice, in cui si fa chiaro riferimento al “regolamento affisso all’ingresso del campo”: se effettivamente alcun regolamento fosse affisso alla struttura certamente non ne sarebbe stata fatta menzione nel contratto di affitto, parlando proprio di regolamento “affisso”. Orbene nel regolamento si legge: “i giocatori devono essere muniti di idoneo casco protettivo, il cui uso è obbligatorio durante il gioco. Non saranno ammessi a partecipare al gioco tutti coloro che verranno trovati privi del menzionato casco: quest’ultimo potrà essere fornito dietro corrispettivo dallo stesso proprietario del campo. Quindi, attesa la accertata presenza del regolamento, deve assumersi che i giocatori fossero da ritenere edotti della obbligatorietà dell’uso del casco, casco che peraltro avrebbe potuto essere diverso da quello fornito dal proprietario del campo. A prescindere dal regolamento, è indubbia poi la circostanza che all’ingresso del campo i responsabili hanno consegnato ai giocatori caschi protettivi, come espressamente dichiarato dal medesimo P. in sede di sommarie informazioni rese ai carabinieri. E la circostanza ha indotto o avrebbe dovuto indurre i giocatori stessi, e quindi il P., a ritenere che il gioco richiedesse che tale parte del corpo fosse protetta, in quanto non garantita dalla struttura del campo. Ed in effetti tanto si desume chiaramente dall’affermazione del P. ai carabinieri secondo cui egli stesso e i suoi amici si meravigliarono di tale consegna, in quanto nessuno li aveva avvisati della pericolosità del gioco: con quella consegna, tutti si resero conto che il capo doveva essere protetto dalle cadute, e quindi dell’importanza del casco. Consegue che la valutata inidoneità dei caschi loro consegnati avrebbe dovuto portare alla diligente decisione di non svolgere la progettata partita. E la considerazione vale a maggior ragione nella ipotesi in cui i caschi a fasce consegnati fossero effettivamente privi di imbottitura e piccoli: in particolare si evidenzia che è stato il medesimo P. ad affermare di avere avuto in consegna, come da lui notato, un casco di misura piccola (la circostanza è stata riferita dal P. sia ai carabinieri che al primo giudice) che “non aveva imbottitura, ma soltanto strisce di plastica. Ora, anche a prescindere dalla veridicità o meno della circostanza relativa alla chiesa sostituzione e della ulteriore, riferita dal P., circa la mancata sostituzione del casco perchè “non ve ne erano altri”, ritiene la Corte che il fatto che il giocatore abbia accettato di giocare nonostante lui stesso abbia ritenuto quel casco visibilmente inidoneo alla specifica protezione (a maggior ragione se in effetti, nel concreto, privo di imbottitura, ancorchè minima) anche perchè “piccolo”, soprattutto dopo aver percepito, per le ragioni di cui sopra, la “pericolosità del gioco” (senza casco), sia circostanza valida ad interrompere il nesso di causalità tra tale inidoneità e le lesioni, dal momento che il giocatore ha acconsentito di affrontare la partita pur consapevole della inidoneità del caso, o meglio, usando la ordinaria diligenza, avrebbe dovuto valutare che quel casco non era in grado di proteggergli la testa dalle cadute (tipiche del gioco). Addirittura risulta che il P. ha continuato a giocare dopo la caduta dal medesimo subita, incurante di quanto gli era già capitato, subendo ancora una seconda caduta ed una terza caduta (v. dichiarazioni dei testi e del medesimo P.). Quindi, ad avviso di questa Corte, pur ritenendo che il T. non abbia adottato tutte le cautele previste per il gioco, in particolare non abbia fornito ad alcuni giocatori caschi idonei al gioco, il comportamento imprudente del medesimo P. è da valutare idoneo ad interrompere il nesso causale e ad escludere la responsabilità del primo, essendo indubbio che la condizione del casco al medesimo consegnato, la particolarità del gioco, fatto di salute e scivolate, la scelta del medesimo, non solo di affrontare il gioco ma anche di continuarlo nonostante avesse avuto percezione della sua pericolosità con un casco inidoneo, vale di interrompere il nesso eziologico tra la fornitura di un casco inidoneo e le lesioni subite in quanto dovuta ad imprudenza dello stesso danneggiato (Cass. 31 luglio 2012, n. 13681)”.

3.3. Ritiene il Collegio che la motivazione con cui la corte territoriale ha ritenuto che il danno sia stato, sotto il profilo del nesso di causalità, cagionato da una condotta della vittima che avrebbe reso irrilevante lo stato di inidoneità del casco che gli era stato fornito, esprima un procedimento di sussunzione del tutto erroneo, della situazione fattuale per come ricostruita dalla stessa corte, sotto il principio di diritto affermato dalla evocata sentenza di questa Corte, secondo cui “la responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c., è esclusa in presenza di una scelta consapevole del danneggiato (c.d. rischio elettivo), il quale, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza della pericolosità della cosa, accetti di utilizzarla ugualmente”.

3.3.1. Senza che (come s’è anticipato) occorra prendere posizione sull’esattezza del detto principio di diritto e senza che occorra approfondire i termini in cui eventualmente, in presenza di una autorizzazione dell’utilizzazione di una cosa che per il suo stato è idonea a cagionare danno da parte del custode, tanto più concessa a titolo oneroso, debba esprimersi l’accettazione consapevole di tale inidoneità, per assumere valenza interruttiva del nesso causale fra il comportamento del custode che non abbia assicurato l’idoneità della cosa ed il danno cagionato da tale inidoneità, nell’attività di utilizzazione della cosa stessa, si deve rilevare quanto segue, che è sufficiente a giustificare la cassazione della sentenza: nel caso di specie, la situazione fattuale che, secondo la corte catanzarese, avrebbe evidenziato l’accettazione consapevole risulta, – pur assunta, si badi, nei termini da essa ricostruiti e, dunque, senza che si svolga un apprezzamento funzionale alla ricostruzione del fatto (che non competerebbe a questa Corte) – erroneamente e, dunque, falsamente sussunta in iure nella fattispecie astratta di detta accettazione per come ipotizzata dalla citata sentenza e fatta propria dalla sentenza impugnata.

E’ sufficiente osservare che l’avere il ricorrente avuto consapevolezza della pericolosità del gioco senza casco, in ragione del regolamento cui la sentenza ha fatto riferimento ed in ogni caso per la stessa circostanza che chi gestiva il campo gliene aveva fornito uno, nonchè la circostanza che la stessa funzione protettiva propria di ogni casco ne evidenziava la finalizzazione dell’uso a scongiurare danni, pur congiunte alla circostanza che lo stesso ricorrente aveva rilevato che il casco fornitogli era “piccolo” e, quindi, una situazione per cui il casco non era del tutto adatto alla misura della sua testa, non giustificano, sul piano della logica comune, la conclusione che, per il fatto di avere giuocato con un casco piccolo, il P. avesse accettato di giuocare in condizioni tali per cui il gioco risultava praticato con un casco inidoneo.

Invero, secondo massime di comune esperienza, si deve ritenere che il fatto di giuocare con un casco piccolo rappresenti un elemento che non giustifica automaticamente la conseguenza che esso fosse percepito come inidoneo alla protezione, sia perchè l’essere il casco piccolo non aveva impedito al P., evidentemente, di indossarlo, sia perchè l’essere il casco “piccolo”, proprio perchè tale piccolezza non aveva impedito di indossarlo, poteva indurre anche il convincimento di giuocare solo con una minore condizione di comodità e non di mancanza di idonea protezione.

In altri termini, l’indossare un casco percepito come “piccolo” è circostanza che, prestandosi sia a giustificare una percezione di sola mancanza di comodità dello strumento di preservazione dal pericolo, sia una percezione si inidoneità ad assolvere tale funzione. E poichè è elemento che si presta a questa duplice interpretazione, la corte catanzarese non poteva utilizzarlo per desumere che il P. aveva tenuto un comportamento di scarsa diligenza invece che un comportamento diligente. La possibilità della detta duplicità di apprezzamento rende priva di base logica, per difetto di idoneità dell’inferenza (se si vuole sotto il versante della gravità e precisione di cui all’art. 2729 c.c., comma 2 e, quindi, per erronea applicazione dei due paradigmi normativi), la sussunzione della vicenda sotto la fattispecie astratta del c.d. rischio elettivo.

E ciò anche se si considera la circostanza che il P. aveva percepito che il casco non aveva imbottitura, ma solo strisce di plastica e che taluni caschi invece avevano l’imbottitura. Questa percezione poteva suggerire un interrogativo sulla uguale idoneità dei due tipi di caschi ma non suggeriva automaticamente la percezione che quelli a strisce di plastica fossero inidonei, atteso che il gestore li metteva a disposizione indifferentemente. E ciò tanto più in ragione del tenore del regolamento, in cui non solo non vi era evidentemente traccia della tipologia di casco protettivo in modo idoneo, ma era espressamente previsto che lo potesse fornire, come lo aveva fornito, il gestore.

3.3.2. La sentenza impugnata ha dunque sussunto erroneamente la situazione fattuale sotto il principio di diritto che ha dichiarato di applicare, perchè essa non era riconducibile in modo certo alla figura della scelta consapevole del danneggiato (c.d. rischio elettivo), il quale, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza della pericolosità della cosa, accetti di utilizzarla ugualmente.

Va avvertito che la conclusione qui esposta non è impedita in alcun modo dalla mancanza della possibilità di lettura della pagina 37 della sentenza, giacchè il ragionamento con cui la corte territoriale ha ritenuto il c.d. rischio elettivo è fondato su elementi che si basano sulla consapevolezza da parte del P. della obbligatorietà dell’uso del casco, la quale nella pagina 38 rappresenta l’approdo del ragionamento che la sentenza doveva enunciare nella pagina precedente.

4. La sentenza è, dunque, cassata in accoglimento del primo motivo. Tale accoglimento rende superfluo esaminare gli altri due motivi.

La cassazione è disposta con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, che deciderà la controversia nella logica dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., ormai indiscutibile e lo farà escludendo – in dipendenza della censura dell’errore di sussunzione che determina la cassazione – che il danno sofferto dal P. sia stato causato in via esclusiva, con interruzione del nesso causale riconducibile alle condizioni del casco, da una sua scelta consapevole di utilizzarlo pur avendo percepito la sua inidoneità a svolgere la funzione protettiva richiesta dalla natura del gioco.

Al giudice di rinvio è rimesso di provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione. Dichiara assorbiti gli altri due. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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