Tribunale di Trento, sentenza 20 novembre 2015

Tribunale di Trento, sentenza 20 novembre 2015; Giud. Fermanelli; D.S., B.S., R.S. (avv. Eccher) c. Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val di Sole (avv. Amadori, Baggia), Soc. I.M. (avv. Sandri), C.R.I. (Avvocatura di stato), S.p.a. I.A. (avv. Rossi)

Responsabilità civile – Rafting – Organizzazione di competizione agonistica – Attività pericolose –  – Accettazione da parte degli atleti del rischio sportivo tipico – Sussiste – Responsabilità degli organizzatori – Non sussiste (Cod. civ., art. 2050)

Responsabilità civile – Rafting – Attività sportiva a livello agonistico – Condotta colposa dell’organizzatore della competizione – Morte dell’atleta – Non sussiste (Cod. civ., art. 2043)

L’attività di organizzazione di competizioni agonistiche di rafting non può considerarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., posto che ogni attività agonistica implica l’accettazione del rischio a essa inerente da parte di coloro che vi partecipano e sempre che risulti che gli organizzatori della competizione sportiva abbiano predisposto la gara in modo da contenere il rischio nei normali limiti confacenti alla specifica attività sportiva, apprestando le opportune cautele nel rispetto dei  regolamenti sportivi applicabili. (1)

L’organizzatore di una competizione di rafting a livello agonistico non risponde in via extracontrattuale del danno derivante dalla morte dell’atleta nel corso della gara, se il danneggiati non provano la condotta colposa tenuta dall’organizzatore e il nesso causale corrente tra la condotta colposa e la verificazione dell’evento dannoso. (Nella specie, il Comitato organizzatore del campionato europeo di rafting non risponde ai sensi dell’art 2043 del cod. civ. per il decesso di un’atleta durante la competizione dovuto al capovolgimento del raft e al trascinamento dell’atleta alla deriva, posto che la perizia dedotta in giudizio dai familiari della vittima non appare idonea a delineare una condotta colposa dell’ente organizzatore, che ha appaltato a un ente qualificato per il soccorso fluviale quale la C.R.I. e che ha offerto la prova che le misure di intervento e soccorso in caso di situazione di criticità erano state disposte con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste dal peculiare settore sportivo) (2)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

 

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Renata Fermanelli ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa civile iscritta al numero 164/2012 R.G., vertente 

TRA

D.S., B.S., R.S. rappresentati e difesi dall’avv. Eccher Lorenzo e, elettivamente domiciliati in Via (omissis…) 38100 Trento, 

Attori

E                    

COMITATO ORGANIZZATORE GRANDI EVENTI VAL DI SOLE, rappresentato e difeso dagli avv.ti Amadori Massimo e Baggia Monica, elettivamente domiciliato in Via (omissis…) 38100 Trento,

Convenuto

alla quale è stata riunita la causa sub. N. 1672/12 RG promossa da COMITATO ORGANIZZATORE GRANDI EVENTI VAL DI SOLE, rappresentato e difeso dagli avv.ti Amadori Massimo e Baggia Monica, elettivamente domiciliato in Via (omissis…) 38100 Trento

Attore

I.M., rappresentato e difeso dall’avv. Sandri Piergiorgio, elettivamente domiciliato in Via (omissis…) 38100 Trento,

Convenuto

E

C.R.I., rappresentato e difeso dall’Avvocatura di Stato e elettivamente domiciliato in LARGO (omissis…) 38100 Trento                                          

NONCHé              

I.A. rappresentato e difeso dall’avv. Rossi Stefano, elettivamente domiciliato in VIA (omissis…) 00197 Roma,

Terzo chiamato

 

OGGETTO: responsabilità per esercizio attività pericolosa – rafting

 

 

CONCLUSIONI

e discussione all’udienza del 10.06.2015 

                           

 

motivi della decisione e svolgimento del processo 

Con atto di citazione ritualmente notificato S.D., S.B., S.B., S.D., S.R., convenivano in giudizio dinanzi all’intestato Tribunale il Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val di Sole, in persona del legale rappresentante, esponendo che:

in data 4/6/2010 B.S. (rispettivamente figlia, sorella e nipote degli attori), la quale già in passato aveva preso parte ad altre competizioni agonistiche analoghe, aveva partecipato ad un campionato € peo di rafting, che si svolgeva lungo il fiume Noce in Val di Sole, organizzata dal Comitato convenuto:

a seguito del capovolgimento del gommone sul quale l’atleta si trovava, la stessa veniva trascinata a valle e perdeva la vita;

a seguito di tale avvenimento si era instaurato procedimento penale, definito con provvedimento di archiviazione, nel corso del quale veniva assunta una perizia disposta dalla Procura della Repubblica della quale risultava che vi erano stati degli errori nei tentativi di salvataggio di B.S., errori che avevano determinato il mancato recupero della stessa quando si trovava in acqua e ne aveva determinato il decesso;

ricorreva nel caso in esame l’ipotesi di cui all’articolo 2050 c.c.;

Chiedevano pertanto la condanna del Comitato convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

L’Ente convenuto si costituiva in giudizio rilevando che nessuna responsabilità poteva essere allo stesso attribuita circa l’evento dannoso dedotto in giudizio, come del resto era emerso in sede penale. Rilevava di aver introdotto autonomo giudizio nei confronti della soc. I., con la quale aveva stipulato polizza assicurativa per il rischio derivante dalla sua attività.

Chiedeva pertanto che il giudizio fosse riunito a quello promosso nei confronti della soc. I. e comunque il rigetto della domanda risarcitoria proposta dagli attori; in via subordinata, nel caso fosse riconosciuta la fondatezza di tale domanda, che risarcimento fosse contenuto in applicazione dell’articolo 1227,1 e 2 commi, c.c.

Con autonomo atto di citazione, il Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val Di Sole conveniva in giudizio la soc. I.M., e la C.R.I., esponendo di aver affidato a quest’ultima l’organizzazione dell’intero settore della sicurezza e del soccorso in relazione all’evento sportivo dedotto in giudizio, chiedendo che fosse accertato l’obbligo della soc I.M. di tenere indenne il Comitato stesso da ogni conseguenza pregiudizievole derivante dall’accoglimento delle domande proposte dagli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R., nel separato giudizio e, nell’ipotesi in cui fosse stata accertata una responsabilità del Comitato per attività del personale della C.R.I., che la stessa fosse obbligata a tenere indenne il Comitato da ogni conseguenza derivante dall’accoglimento delle domande proposte dai medesimi attori.

Si costituiva in giudizio la soc. I.M., chiedendo che la domanda proposta dagli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. nei confronti del Comitato fosse rigettata e che conseguentemente fosse rigettata la domanda proposta da quest’ultimo le suoi confronti. Rilevava che la polizza stipulata con il Comitato prevedeva una franchigia di € 5.000,00 per ogni sinistro ed un massimale di € 3.500.000,00.

Si costituiva anche la C.R.I., rilevando che nessuna responsabilità poteva essere attribuita ai propri operatori, come peraltro accertato in sede penale; specificava inoltre essere assicurata con la spa I.A..

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e di essere in ogni caso tenuta indenne dalla soc. I.A. (che provvedeva ritualmente a chiamare in causa) dalle conseguenze patrimoniali di tale domanda, in caso di suo accoglimento.

La spa I.A. si costituiva in giudizio, rilevando che nessuna responsabilità poteva essere attribuita al personale della C.R. in relazione l’evento dannoso dedotto in giudizio; specificava che la polizza stipulata con la C.R. prevedeva un massimale di € 1.500.000,00 per ogni sinistro.

Con Provv. del 7 maggio 2014 veniva disposta la riunione delle due cause.

Si procedeva all’istruzione probatoria mediante l’acquisizione dei documenti offerti.

Quindi la causa, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe precisate, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 10.6.15.

Gli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. hanno dedotto in giudizio una responsabilità ai sensi dell’articolo 2050 c.c. del Comitato organizzatore grandi eventi Val di Sole, sul rilievo che l’attività sportiva rappresentata dalla gara di rafting integrasse l’ipotesi di attività pericolosa, con ogni conseguenza in ordine all’onere della prova.

Con riguardo alla configurabilità in relazione a specifici ambiti dell’ipotesi di cui all’articolo 2050 c.c., la Suprema Corte ha più volte affermato che, se l’attività non è specificatamente qualificata come pericolosa del legislatore, spetta al giudice effettuare la valutazione in concreto al fine di accertare se essa possa essere considerata tale per sua natura o per la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, in base alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività (cfr da ultimo Cass. n. 10268/15).

Con riguardo all’esercizio l’attività sportiva agonistica, l’insegnamento di legittimità è costante nell’affermare che l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, sicchè i danni da essi eventualmente sofferti ad opera di un competitore, rientranti nell’alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi (Cass. n. 20908/05).

Ancora (Cass. n. 1564/99), nell’attività agonistica c’è accettazione del rischio da parte dei gareggianti, per cui i danni da essi sofferti nell’occasione rientrano nell’alea normale e ricadono sugli stessi, e gli organizzatori – al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità – debbono aver predisposto le cose in maniera regolare e cioè in maniera da contenere il rischio nei normali limiti confacenti alla specifica attività sportiva, apprestando le opportune cautele nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi. La pericolosità dell’attività esercitata deve essere valutata in base alle concrete circostanze di fatto in cui si è venuta svolgendo, tenendo conto insieme della specifica capacità di chi è chiamato a svolgerla e della potenzialità di danno che essa.

In particolare (Cass. n. 3528/09) l’atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che ne rendono prevedibile la verificazione, perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo proprio o degli altri atleti impegnati nella gara, come gli errori di manovra dei mezzi usati. E questo esclude che delle conseguenze di tali incidenti debbano rispondere i soggetti cui spetta predisporre e controllare il campo di gara. Ma è proprio tale insita pericolosità della attività di cui si assume l’organizzazione ad imporre che questa non sia aumentata da difetto od errore nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara, in modo da evitare che si producano anche a carico dell’atleta conseguenze più gravi di quelle normali. Sicché, l’attività di organizzazione di una gara sportiva, connotata secondo esperienza da elevata possibilità di incidenti dannosi, non solo per chi vi assiste, ma anche per gli atleti, è da riguardare come esercizio di attività pericolosa, ancorché in rapporto agli atleti, nella misura in cui li esponga a conseguenze più gravi di quelle che possono essere prodotte dagli stessi errori degli atleti impegnati nella gara.

Nel caso in esame è pacifico che la competizione alla quale partecipava B.S. avesse carattere agonistico; gli stessi attori espongono che la stessa aveva già partecipato ad altre gare anche di livello internazionale, sicché deve presumersi che la stessa avesse una certa esperienza nello specifico settore sportivo.

Verificando i requisiti indicati dalla Suprema Corte, deve escludersi che l’organizzazione della gara sia stata realizzata in modo tale da aumentare i rischi propri della specifica attività sportiva, così da esporre gli atleti a rischi e conseguenze più gravi rispetto a quelli che sono prevedibili nel peculiare settore.

Va subito detto che, tenuto conto delle caratteristiche dell’attività sportive di rafting, la possibilità che il gommone si rovesci e che gli atleti non riescano a guadagnare le sponde del fiume deve ritenersi prevedibile e insita nei generali rischi di tale attività, rischi che, avendo tali caratteristiche, devono ritenersi accettati dagli atleti.

Verificando l’organizzazione della sicurezza della gara realizzata nel caso concreto al fine di garantire il salvataggio degli atleti caduti in acqua, va escluso che la stessa sia avvenuta in modo tale da aumentare i rischi tipici di quel genere di attività. Dalla perizia effettuata in sede penale da D.A. (maestro della federazione italiana rafting), le cui risultanze sono invocate da tutte le parti in causa e che deve pertanto ritenersi pienamente utilizzabile a fini probatori nel presente giudizio, emerge che la sicurezza era curata dall’ente (Opsav-gruppo della C.R.) riconosciuto dal Ministero degli interni per il soccorso fluviale come ente, insieme ai soli Vigili del Fuoco, che può prestare servizi di assistenza alle gare (pag. 10 della perizia). Deve pertanto escludersi che il Comitato si fosse affidato a un ente privo di specifiche competenze e che il personale intervenuto non fosse preparato per intervenire adeguatamente.

Sempre dalla perizia emerge che, dall’esame del video amatoriale visionato dal perito, il team di sicurezza era bene equipaggiato e numericamente più che sufficiente (pag. 8 perizia).

Il perito ha infine rilevato che la scelta di far seguire la gara da un kayak, denominato safety, nel caso specifico non era consigliabile sia perché lo stesso viene utilizzato quando vi sono livelli di acqua più alti (intorno a livello di 100, mentre nel caso di specie il livello era 70) sia perché il kajak che si usa per garantire la sicurezza di persone che non conoscono le tecniche di autosoccorso, mentre per le gare che presuppongono l’esperienza e la capacità di un atleta a tal fine preparato di prassi è sufficiente la sicurezza effettuata da terra. Infine il perito seppure abbia ritenuto che un kajak di sicurezza avrebbe aiutato a seguire l’atleta lungo il fiume, fino a quando fosse rimasto cosciente, una volta che fosse divenuto incosciente era praticamente impossibile riportare a riva un corpo esanime (pag. 12 perizia).

Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che l’organizzazione della sicurezza sia stata corretta e conforme ai regolamenti (regolamento International rafting federation race rules delle 1 aprile 2010) e soprattutto non abbia determinato una situazione di rischio maggiore di quello insito nella specifica attività sportiva.

Deve pertanto escludersi che nel caso di specie sia applicabile l’articolo 2050 c.c. ha invocato da parte attrice S.D., S.B., S.B., S.D., S.R..

Negli scritti difensivi finali questi ultimi hanno invocato l’applicazione l’articolo 2043 c.c.. Deve escludersi che possa trattarsi di nuova prospettazione difensiva (quindi di una domanda nuova), posto che l’atto di citazione descriveva in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie di cui all’articolo 2043 c.c. (arg. Cass. n. 18520/09).

Tuttavia nessuna condotta colposa appare configurabile in capo al Comitato Organizzatore.

Risulta documentato che lo stesso ha provveduto ad appaltare alla C.R. il servizio rappresentato dalla intera attività di sicurezza della gara (doc. 4,5,7 parte convenuta comitato organizzatore).

Com’è noto (tra le altre Cass. n. 19132/11) l’appaltatore, poichè nella esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell’opera, salva (a parte l’ipotesi di una “culpa in eligendo”) l’esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di “nudus minister”, ovvero la sua corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l’autonomia dell’appaltatore.

Nel caso di specie deve escludersi che il Comitato abbia scelto con negligenza o imprudenza l’ente al quale affidare l’organizzazione della sicurezza. Come già detto, risulta dalla perizia espletata in sede penale che solo l’Opsav (gruppo della C.R.) e il SAF (i vigili del fuoco) sono le organizzazioni riconosciuto dal Ministero degli Interni ad operare come soccorritori fluviali.

Deve altresì escludersi (e nemmeno gli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. lo deducono) che il Comitato organizzatore abbia date indicazioni o direttive circa l’organizzazione dell’attività predisposta ai fini del soccorso.

Risulta dalla perizia che quale responsabile della sicurezza per l’evento era stato nominato F.B., il quale non aveva alcuna esperienza in tale settore; tuttavia deve escludersi che tale condotta del Comitato abbia carattere colposo, posto che risulta pacifico che tale persona non ha svolto nessuna attività al fine di predisporre le cautele opportune ai fini della sicurezza e che il Comitato ha scelto invece di affidare l’intero servizio alla C.R., particolarmente qualificata a tal fine.

Del resto, attesa l’elevata specializzazione richiesta dall’attività di soccorso fluviale (tanto che il Ministero dell’Interno riconosce come legittimati a svolgere tale attività solo due enti), deve ritenersi che l’autonomia decisionale della C.R. fosse pienamente garantita e che in ogni caso esponenti del Comitato organizzatore non avrebbero nemmeno potuto interferire nelle scelte di tale ente, sia perché il Comitato era dotato comunque di minore preparazione, sia perché il servizio era stato completamente appaltato, senza che residuassero altre competenze al riguardo in capo al comitato organizzatore.

Gli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. non hanno mai esteso la loro domanda nei confronti della C.R.; solamente il Comitato organizzatore ha proposto domanda nei confronti di tale ente, chiedendo di essere tenuto indenne da qualsivoglia pregiudizio conseguente all’ accoglimento delle domande svolte contro lo stesso, con condanna della C.R. a pagare al Comitato le medesime somme oggetto di eventuali condanne a suo carico.

Deve pertanto ritenersi applicabile l’insegnamento giurisprudenziale (Cass. n. 5400/13) secondo cui, diversamente dall’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (caso, questo, in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell’ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.

Ma anche a voler ritenere applicabile nel caso concreto l’insegnamento giurisprudenziale (Cass. n. 5057/10) secondo cui, nell’ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, la domanda risarcitoria deve intendersi estesa al terzo anche in mancanza di un’espressa dichiarazione in tal senso dell’attore, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non dà luogo a diverse obbligazioni risarcitone, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell’oggetto della domanda, ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio, la domanda proposta da S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. deve essere comunque rigettata.

Gli attori hanno dedotto in giudizio diverse tipologie di condotte colpose, che sarebbero state accettate dal perito A., idonee a determinare il decesso della loro congiunta, in quanto, tenendo diverse condotte, la stessa sarebbe stata riportata a riva.

In primo luogo vi sarebbe stata un errore posizionamento di colui che teneva la corda a riva, che deve posizionarsi a valle del soccorritore che si tuffa o comunque alla stessa altezza, ma mai a monte in quanto non appena il soccorritore si tuffa, la corda va subito in tensione, impedendo il raggiungimento dell’atleta in pericolo. Nel caso concreto, colui che teneva la corda era posto alla stessa altezza del soccorritore, tanto che il suo intervento era risultato inefficace.

In realtà il perito nella propria relazione ha rilevato che questa manovra non costituisce un errore determinante, posto che la tecnica di soccorso rappresentata dal fatto che una persona si tuffi per recuperare il canotto è molto efficace per il soccorso di una sola e specifica persona, ma inefficace se si effettua il recupero tirando a riva un raft con una o due persone attaccate (come nel caso di specie, posto che in un primo momento al canotto rovesciato erano attaccate sia la vittima che un’altra componente del team). Il perito ha infatti evidenziato che la forza esercitata dall’acqua sul raft, con uno o più persone attaccate, è difficilmente sostenibile da un solo soggetto che deve recuperarli e portarli arriva, tanto che il soccorritore deve lasciare la presa. Il perito ha verificato dal video che il soccorritore che stava in acqua non usciva portare arriva il raft e si sganciava dalla corda e lasciava infine la presa del gommone che continuava a scendere lungo il fiume.

Né può essere censurata la scelta di porre i soccorritori sulla sponda sinistra (seconda condotta colposa evidenziata dagli attori). Se in un primo tempo il perito rileva che sarebbe stato di aiuto porre più soccorritori sulla riva sinistra, in quanto la corrente era più forte verso la destra del fiume, successivamente evidenzia che, sulla riva sinistra, l’acqua era più profonda e di conseguenza il soccorritore che si fosse tuffato si trovava in una posizione svantaggiata per raggiungere l’atleta in pericolo in piena corrente, dovendo attraversare prima tutta la zona di acqua calma.

Quale un ulteriore condotta colposa il perito avrebbe individuato il fatto che il soccorritore che si era tuffato in acqua e aveva agganciato il gommone, per il fatto di essere vincolato da una corda tenuta da riva, aveva riportato anche il gommone verso la destra del fiume, dove la corrente era più forte e l’aveva così allontanato dalla riva sinistra, dove l’acqua è più calma e dove era più facile per le atlete portarsi sul greto del fiume (come del resto avevano fatto le altre componenti del team).

Al riguardo tuttavia il perito ha valutato che, tenuto conto del movimento delle correnti, era possibile evincere chiaramente che il raft sarebbe comunque ritornato verso la destra del fiume, posto che i corpi galleggianti vengono sempre riportati verso i punti di corrente più forte.

Infine il perito ha ritenuto che un buon soccorritore, se ha esperienza di rafting e non solo di soccorso fluviale generico, dovrebbe essere in grado di salire sul gommone rovesciato; lo stesso tuttavia precisa che ciò non sempre facile e quindi non può concludersi che anche un soccorritore con specifica esperienza di rafting avrebbe potuto effettuare tale manovra. Peraltro il perito non spiega se, una volta che il soccorritore fosse risalito sul gommone rovesciato, sarebbe stato per lui possibile far salire sul gommone anche le altre due atlete che allo stesso era attaccato ovvero spingerle verso la riva.

In relazione alle considerazioni sopra riportate (e sottolineato che spetta agli attori che agiscono per ottenere risarcimento del danno fornire prova idonea e convincente della sussistenza di condotte colpose idonee a cagionare l’evento dannoso) deve concludersi nel senso che non sia stata raggiunta la prova di condotte colpose poste in essere dagli operatori della C.R., caratterizzate da nesso causale rispetto all’evento dannoso.

Gli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. sostengono inoltre che gli operatori delle C.R. non si sarebbero accorti che la loro congiunta era rimasta attaccata al gommone e non avrebbero quindi tentato di raggiungerla per riportarla a riva.

Tale conclusione deve escludersi alla luce delle dichiarazioni rese ai Carabinieri nell’immediatezza dei fatti da P.F., il primo soccorritore intervenuto, il quale si era agganciato al gommone. Lo stesso ha dichiarato che era rimasto attaccato al gommone insieme all’ultima atleta rimasta alla deriva e che cercava un punto di ancoraggio; che tuttavia aveva perso la presa del gommone, che andava alla deriva con l’ultima atleta ancora attaccata. Posto che il soccorritore non usciva a raggiungere nuovamente il gommone, raggiungeva la riva e di lì continuava a seguire di corsa, via terra, in gommone, avvertendo un suo collega di attivare i soccorsi e di avvertirli circa ciò che era successo; che dopo circa 20 minuti di corsa raggiungeva la ragazza che era stata recuperata da altri soggetti che non facevano parte dell’organizzazione.

Il perito A. ha inoltre evidenziato l’importanza che gli atleti che praticano il rafting abbiano un’adeguata preparazione che consenta loro di gestire in autonomia ogni situazione; in particolare essi devono essere in grado di eseguire alcune manovre di rovesciamento del gommone e di risalita sullo stesso; tale manovra deve essere seguita appena possibile in quanto, più tempo passa, più al soggetto vengono a mancare le forze e l’agilità per la risalita.

Il perito ha evidenziato che, dalle immagini del video che raffigura i fatti, si evince chiaramente che B.S. non era sufficientemente preparata all’autosoccorso ed alla gestione del rovesciamento. Del resto anche B.S., atleta che faceva parte dello stesso team della vittima, sentita subito dopo i fatti dai Carabinieri, aveva dichiarato che S.B. era capitano dell’equipaggio in quanto era un leader, ma non aveva esperienza in fatto di condizioni critiche.

Sostengono i famigliari della vittima che tali dichiarazioni non siano mai state rese dalla B.S. e che le stesse siano frutto di una errata traduzione. A prescindere dal fatto che la traduzione delle dichiarazioni è avvenuta veniva dall’inglese, lingua straniera sufficientemente nota da far escludere errori, va detto che le dichiarazioni della B.S. coincidono con quanto ha verificato il perito attraverso l’esame del video.

Del resto nelle dichiarazioni prodotte dai predetti attori, a loro rese dalla medesima B.S., non viene affatto detto che l’atleta S.B. avevano fatto una specifica preparazione per risalire sul gommone qualora lo stesso si fosse rovesciato, ma ha detto che la S. era la più preparata, più equipaggiata e la più grande lottatrici della squadra. Ciò tuttavia non consente di superare le osservazioni del perito, il quale aggiunge nella sua relazione che spesso gli allenamenti vengono concentrati sulla preparazione atletica e sul risultato sportivo, con poca attenzione all’approfondimento delle tecniche di autosoccorso (pag. 13 della perizia).

Il perito ha evidenziato che, in caso di rovesciamento del gommone, oltre alla manovra di risalita, una delle opzioni è quella di abbandonare il raft e nuotare verso la riva in quanto rimanere attaccati al raft è pericoloso; infatti, qualora l’atleta si trovi in acqua a valle del raft, il soggetto rischia di essere spinto contro eventuali sassi, mentre se si trova a monte non ha cognizione di quello che succede a valle e, quando il raft si bloccherà contro qualche ostacolo, chi si trova in acqua rimarrà sotto al gommone.

Va rilevato che nel caso di specie S.B. non ha posto in essere nessuna delle manovre di autosoccorso esigibili da un atleta professionista: non ha tentato di risalire sul gommone e non ha lasciato la presa del raft per portarsi verso la riva (come del resto avevano fatto le altre componenti del team; anche la B.S. ha dichiarato ai Carabinieri che un certo punto, non avendo più le forze essendovi una forte corrente, viva lasciato la presa del gommone, riuscendo a sentire sotto di lei il terreno e lì veniva soccorsa da un atleta del team russo e riusciva a giungere a riva.

A fronte quindi della mancanza di prova di condotte colpose in capo agli operatori della C.R., sussiste invece prova di una impreparazione dell’atleta alle tecniche di autosalvamento, esigibili per coloro che partecipano a simili gare.

Pertanto la domanda proposta dagli attori S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. deve essere rigettata, con conseguente rigetto da domanda proposta dal Comitato organizzatore nei confronti della C.R. e della I.M. ed il rigetto della domanda proposta dalla C.R. nei confronti della spa I.A..

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte attrice nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto dei parametri contenuti nel Regolamento n. 55/14, trattandosi di liquidazione effettuata dopo la sua entrata in vigore (art. 28); ciò anche con riguardo alla posizione della C.R. e delle compagnie assicuratrici, posto che la loro citazione in giudizio e la loro chiamata in causa era giustificata dai titoli e dalle difese dedotti in giudizio dagli attori S.. Nella liquidazione si tiene conto del fatto che l’attività istruttoria si è limitata alla redazione delle relative memorie.

P.Q.M. 

Il tribunale di Trento, ogni diversa o contraria azione, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1) rigetta la domanda proposta da S.D., S.B., S.B., S.D., S.R. nei confronti del Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val di Sole, e conseguentemente la domanda proposta da tale Comitato nei confronti della soc. I.M. e dalla C.R.I. ed infine la domanda proposta da quest’ultima nei confronti della spa I.A.;

2) condanna S.D., S.B., S.B., S.D., S.R., in solido, al rimborso in favore del Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val di Sole, della soc. I.M., della spa I.A. e della C.R.I., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, delle spese di giudizio, liquidate, per ciascuna delle suddette parti, in € 3.375,00 per la fase di studio, € 2.227,00 per la fase introduttiva, € 4.500,00 per la fase istruttoria, € 5.870,00 per la fase decisoria, oltre a spese generali nella misura del 15%, all’I.V.A. ed al contributo C.N.A.P. nelle misure di legge, se ed in quanto dovuti.

Così deciso in Trento, il 3 novembre 2015.

Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2015. 

Dott. Renata Fermanelli

 

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