Tribunale Pisa, sentenza 6 giugno 2016

Tribunale Pisa, sentenza 6 giugno 2016, Giud. Maria Samm, M.M. (Avv. Fabrizio Tognato) c. E.T.C. srl (Avv. Andrea Mazzocchi), T. I. srl (Avv. Avv. Simona Di Dia) C. ass.ni (Avv. Alfonso Mazzantini).

 

Responsabilità civile – Acquapark – Infortunio – Responsabilità da cosa in custodia – Mancanza di nesso causale – Fattispecie (Cod. civ., art. 2051)

 

Il gestore di un acquapark  risponde quale custode ex art. 2051 c.c. per l’infortunio riportato da un utente del parco durante l’esecuzione di un’attrazione del parco acquatico, ma egli va esente da responsabilità per difetto di prova del nesso causale tra la condotta del custode e l’evento dannoso, ove il custode dia prova, non contrastata da prova contraria, della conformità della attrazione agli standard di sicurezza, senza che, per converso, alcuna dimostrazione sia offerta dal danneggiato della pericolosità della attrazione, tale da rendere prevedibile per il custode il verificarsi di eventi dannosi (nella specie l’infortunio al danneggiato era occorso fruendo di una attrazione denominata “Space Bowl”, una sorta di vortice ad imbuto con sbocco in un tunnel ed uscita finale in una piscina a bordo di un gommone a due posti).

 

 

  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PISA

SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Dott.ssa Maria Samm, ha emesso la seguente

 

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 980/2013 R.G., tra

M. M. rappresentato e difeso dall’Avv. Fabrizio Tognato

– attore

E

E.T.C. srl , rappresentata e difesa dell’Avv. Andrea Mazzocchi,

-convenuta

 

G. V. rappresentata e difesa unitamente dagli Avv.ti Ca. Ci. e Pa. Lu. Pu.

 -convenuta

Oggetto: responsabilità civile – cose in custodia ex art 2051 c.c.

 

Conclusioni

all’udienza del 21.01.2016

 

Motivi della decisione e svolgimento del processo

Occorre premettere che la presente sentenza, ai sensi dell’art. 132 c.p.c. come innovato dalla legge n. 69 del 2009 contiene solo la esposizione concisa delle ragioni in fatto ed in diritto che sorreggono la decisione, senza alcuna parte descrittiva delle attività processuali svolte.

Il procedimento è stato introdotto da M. M. per l’accertamento della responsabilità di Edil Tirreno Costruzioni SRL, quale gestore del parco Acquatico SUNLIGHT PARK, sito in Ti., nonchè proprietaria del marchio Sunlight, a titolo contrattuale ovvero extracontrattuale, nella determinazione di incidente in cui esso attore era incorso il giorno 1 agosto 2011 nell’utilizzare, con il figlio Fr. di anni otto, una attrazione denominata ” Space Bowl” (una sorta di vortice ad imbuto con sbocco in un tunnel ed uscita finale in una piscina a bordo di un gommone a due posti) per la quale contestava alla parte convenuta la assenza di protezioni, incidente a seguito del quale aveva riportato importanti lesioni alla testa;

parte convenuta, svolgendo istanza di autorizzazione alla chiamata dei terzi Compagnia Cattolica di Assicurazione e società TECNOPISCINE INTERNATIONAL SRL, costruttrice dell’impianto, ha respinto ogni pretesa avanzata nei suoi “confronti sotto il profilo degli obblighi di gestione delle attrazioni e di custodia degli stessi, allegando come la struttura ritenuta pericolosa è stata realizzata da azienda specializzata che si avvale delle più avanzate tecnologie nel settore dei giochi senza avere essa convenuta alcun potere di apportarvi modifiche di sorta;

peraltro il gioco era dotato di tutte le certificazioni di protezione e di collaudo e, di qui la necessità di chiamata in garanzia del produttore in relazione alla inesistenza, da parte del gestore, di potere di intervento sulla struttura incriminata;

resisteva alla pretesa anche in relazione al quantum della pretesa risarcitoria;

Tecnopiscine si è costituita eccependo che l’attore avrebbe utilizzato l’attrazione Space Bowl in maniera difforme rispetto alle prescrizioni indicate e pubblicizzate per l’utilizzo dei gonfiabili, inibito ai minori sotto i dodici anni;

tale comportamento aveva, secondo le allegazioni di detta parte, avuto efficacia causale esclusiva nella dinamica dell’infortunio in ragione dello squilibrio apportato dal peso di due persone sulla stabilità del gonfiabile, omettendo il M. di utilizzarlo rimanendo disteso all’ indietro, come dimostrato dall’uscita dallo scivolo con il volto ed il corpo rivolto in basso;

contestava inoltre di avere mai ricevuto, quale costruttore, dal gestore della struttura, segnalazione di sorta sulla pericolosità della attrazione;

Cattolica Assicurazioni si costitutiva all’udienza fissata ex art. 184 c.p.c.

facendo proprie le osservazioni di parte convenuta in merito alla assenza di responsabilità alla stessa riferibile per non potersi muovere, alcun rimprovero in merito alle caratteristiche dell’impianto, dovendosi, anche nell’esercizio delle attività ludiche, rinvenirsi un rischio, sebbene moderato, che richiede, perciò solo, una maggiore attenzione ed atleticità nell’utente;

solo in via di ipotesi al rigetto della domanda chiedeva, per il caso di accoglimento, la applicazione della franchigia prevista in 500,00 €;

ove la struttura fosse risultata non conforme alla normativa in tema di sicurezza, chiedeva poi il rigetto della domanda per la inoperatività della copertura assicurativa: in ogni caso, chiedeva il rigetto della domanda avanzata dal convenuto per la refusione delle spese legali sostenute.

La causa è stata istruita con documenti e prove testimoniali.

Sull’an della pretesa

Benchè la domanda svolta dall’attrice assuma, a suo sostegno, una responsabilità ” contrattuale o extracontrattuale” della parte convenuta, gestore dell’Acquapark, valuta il giudicante che la verifica di fondatezza della pretesa risarcitoria deve essere effettuata alla stregua della disciplina dell’art. 2051 c.c., vertendosi, nel caso che ci occupa, in ipotesi di responsabilità derivante dalla custodia del bene, con ciò che ne consegue in termini di ripartizione dell’onere della prova, la suddetta disposizione codicistica ponendo una presunzione di responsabilità a carico del custode, che opera quando sia provato, dal danneggiato, chiaramente, il nesso causale tra il pregiudizio lamentato e la res da altri custodita, senza dover provare che il danno stesso derivi dalla condotta commissiva o omissiva del custode produttrice del danno, salvo a quest’ultimo l’onere della prova del caso fortuito, ad esso equiparata la condotta colpevole del danneggiato o di un terzo, quando questa possa essere considerata causa esclusiva del danno, in quanto eccezionale ed imprevedibile (da ultimo Cass. Sez. III n. 21286 del 2011 ” il semplice rapporto con la cosa in custodia e il nesso causale tra la cosa ed il danno arrecato fa sorgere la responsabilità oggettiva di chi si trova in una relazione di fatto con la cosa che gli consente di prevedere e controllare i rischi ad essa inerenti, sempre che il danno sia provocato da essa. Sussiste però quale limite di responsabilità il caso fortuito; il danneggiato è tenuto soltanto a provare l’esistenza di un effettivo nesso causale tra cosa e danno, spettando invece al custode di provare positivamente il fatto estraneo alla sua sfera di controllo avente impulso causale autonomo rimanendo al responsabilità in capo al custode qualora persista l’incertezza sulla individuazione della causa concreta”.

Si ricorda tuttavia con Sez. 3, Sentenza n. 2660 del /2013, conforme a Sez. III n. 6306 del 2013 che, pur avendo la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, carattere oggettivo, ed essendo perciò sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio di una caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sè statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.

In particolare, Sez. 3, Sentenza n. 7276 del 06/08/1997, ha precisato, ed il principio appare ben valido nel nostro peculiare caso, come per il risarcimento del danno cagionato da cose in custodia, l’art. 2051 cod. civ., non richiedendo la prova della esistenza di una specifica, intrinseca pericolosità della cosa in sè, non prevede, peraltro, un esonero, per il danneggiato, dall’onere di dimostrare la esistenza di un efficace nesso causale tra la “res” e l’evento, pur esaurendosi tale attività probatoria nella dimostrazione che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, originariamente posseduta, o successivamente assunta, dalla cosa considerata nella sua globalità (e non anche nelle sue singole componenti specificamente pericolose), e senza che risulti, altresì, necessaria la dimostrazione della inesistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode e, quindi, per lui inevitabili (nella specie, la S.C. ha escluso la responsabilità del Comune convenuto ex art. 2051cod. civ., per la caduta di un minore dall’altalena dei giardini pubblici poichè questa, benchè risultasse separatamente strutturata con due tubi di ferro verticali ed uno orizzontale, senza seggiolino e catenella, aveva costituito soltanto l’occasione – e non la causa – dell’incidente, si presentava adeguata a manufatti consimili collocati nei gioco, presupponeva il suo uso in relazione alla concreta funzionalità e sotto la vigilanza di adulti, pur presentando, in astratto, qualche elemento di pericolosità).

Così stando le cose, nel caso in esame si deve anzitutto affermare come parte attrice sia venuta meno all’onere della prova sulla oggettiva pericolosità della cosa, non essendo emerso dalle sue allegazioni e dalle prove introdotte che l’attrazione della quale si parla fosse priva di specifiche protezioni (la cui natura neanche è stata indicata) e che, soprattutto, nel caso concreto potessero presiedere all’utilizzo, normale, del gonfiabile, predisposto per due persone;

ed invero non può essere tratto dalla circostanza, pur se provata, che dopo l’estate vennero apportate modifiche alla attrazione la prova diretta della pericolosità della attrazione stessa e della asserita responsabilità a titolo contrattuale della parte convenuta.

Basta solo osservare a tale proposito, che i testi che dell’intervento modificativo del gioco hanno parlato (testi B. e L.) hanno riferito -contrariamente all’assunto di parte attrice – che si è trattato di intervento minimale, proteso esclusivamente a rallentare la velocità di ingresso nell’imbuto e renderne più agevole l’entrata, avendo verificato il gestore che in tale momento (e non già in quello della discesa lungo il tubo che porta all’uscita nella piscina) talvolta gli utenti perdevano l’equilibrio nella fase in cui il gonfiabile si inoltra, per effetto del vortice di acqua, nell’entrata del tubo;

nè elementi utili a dimostrare l’efficienza causale nel determinismo dell’incidente della intrinseca pericolosità della struttura possono a livello indiziario inferirsi dal fatto che altri incidenti si siano potuti nella attrazione verificarsi, nessuna indicazione precisa e verificabile essendo stata dall’attore offerta diversa dalle mere ” voci degli utenti”;

inoltre la circostanza che due dei testi dell’attore abbiano riferito che quel giorno due ragazzi erano arrivati alla piscina dicendo di avere battuto la testa contro il tubo dimostra, al contrario di quanto dall’attore assunto, come l’uso del gioco si possa prestare a qualche infortunio, senza però che possa da tanto ricavarsi quale sia la specifica pericolosità del gioco, posto che l’attore si è limitato ad allegare di avere battuto la testa “all’ingresso nel tubo” e non già durante il giro nella parte alta dell’imbuto (quella all’aperto) dove l’intervento è stato eseguito.

Va poi rilevato come le dichiarazioni dei testi dell’attore sul fatto che non esistessero divieti ed indicazioni specifiche sull’utilizzo della attrazione (testi P., A., M. e L.) appare contrastata dalle risultanze documentali e dalle deposizioni dei testi B. e L., che hanno dichiarato come ad altezza uomo sono presenti i cartelli che indicano come il gioco deve essere utilizzato;

soprattutto parte attrice nessuna indicazione ha dato, salvo avere il sig. M., battuto la testa, in quale momento detto evento sia avvenuto, essendo affatto superfluo comprendere se l’incidente si sia verificato quando poteva essere, dagli addetti alla vigilanza, percepito il pericolo ovvero in un momento della corsa, il tragitto nel tunnel, che non consente nè intervento nè possibilità di avvistamento da parte del personale di sorveglianza e tanto meno del custode;

la circostanza poi che la attrazione sia fornita di ogni certificazione di collaudo e conformità e la struttura avesse esposti i cartelli indicanti il corretto utilizzo del gioco, è sintonica con il fatto che non si ha prova certa della ripetitività di incidenti quali quello sofferto dal M., non essendo per di più affatto chiarito dalle prove proposte da detta parte, come lo stesso sia avvenuto;

con ciò si vuole significare che, esclusa in astratto una oggettiva pericolosità della attrazione – non a caso i cartelli esposti (doc. 2-bis di parte convenuta riconosciuto dal teste B.) segnalano quali siano i rischi e le potenziali fonti di pericolo, tra cui l’uso per i minori (verosimilmente per la differenza di peso, ove il gonfiabile sia utilizzato da un adulto ovvero da un bambino) – nessuna prova ha offerto l’attore della reale causa dell’incidente, che potrebbe anche rapportarsi ad un malore ovvero ad una perdita di equilibrio per qualche movimento non proprio corretto, posto che i testimoni che al fatto hanno assistito hanno percepito solo che il sig. M. giunse al fine della corsa sul gommone e, solo quando il gonfiabile si tuffò nella piscina, mentre il figlio era subito riemerso il padre sembrava avere perso i sensi, poichè… galleggiava con il volto rivolto verso l’acqua a peso morto (così la teste P.);

Tanto considerato, e facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, avendo il custode dato prova, non contrastata da prova contraria, della conformità della attrazione agli standard di sicurezza, mentre, per converso, alcuna dimostrazione appare offerta della pericolosità della attrazione (smentita anche dall’utilizzo fattane dal figlio dell’attore), tale da renderlo oggettivamente talee e, dunque, prevedibile per il custode il verificarsi di eventi dannosi, per il difetto di prova del nesso causale tra la condotta del custode e l’evento dannoso, la domanda deve affermarsi infondata.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate secondo i parametri vigenti in favore di parte convenuta, tenuto conto della natura delle attività svolte e dell’impegno difensivo.

Le spese tra i chiamati e parte convenuta vanno compensate stante l’esito della lite.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pisa, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, o assorbita, provvede come segue:

rigetta la domanda proposta da M. M.;

condanna parte attrice a rifondere le spese di giudizio che liquida in favore di parte convenuta in € 4000,00 per compenso ed € 230,42 per spese vive, oltre spese generali Iva e Cpa se dovuti;

compensa le spese tra le altre parti;

Così deciso in Pisa, il 23/05/2016.

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