D. Dirett. 15 aprile 2002, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

D. Dirett. 15 aprile 2002, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (1)

 

Prescrizioni tecniche speciali per gli impianti elettrici delle funicolari aeree e terrestri (2) (3).

 

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 aprile 2002, n. 99, S.O.

(2) Emanato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

(3) Vedi, anche, il D.Dirett. 16 novembre 2012.

 

IL DIRIGENTE GENERALE

dei sistemi di trasporto ad impianti fissi

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1998, n. 202;

Visto il decreto ministeriale 4 agosto 1998, n. 400;

Visti i decreti ministeriali 8 marzo 1999;

Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300;

Visto il decreto legislativo 20 settembre 1999, n. 400;

Visto il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 443;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 2001, n. 177;

Visto il parere favorevole espresso dalla Commissione per le funicolari aeree e terrestri con il voto n. 15 del 14 novembre 1995;

Ritenuta la necessità di raccogliere in forma organica in un testo unico aggiornato le disposizioni tecniche relative agli impianti elettrici delle funicolari aeree e terrestri emesse da questa Amministrazione;

Espletata la procedura di informazione in ottemperanza agli obblighi posti dall’art. 12 della direttiva 83/189/CEE;

Vista la comunicazione della Commissione europea in data 22 marzo 2000;

Adotta le seguenti «Prescrizioni tecniche speciali per gli impianti elettrici delle funicolari aeree e terrestri».

Nota per la consultazione

Il testo delle presenti P.T.S. – I.E. viene redatto con una veste tipografica che intende aiutare il lettore nell’orientarsi a colpo d’occhio fra i diversi generi di informazioni contenute nel lavoro.

È redatto in stile normale (corpo 10) il testo nel quale si comprendono:

– definizioni;

– princìpi fondamentali;

– prescrizioni relative alla sicurezza;

– prescrizioni non relative alla sicurezza ma, in quanto tali, comunque obbligatorie (ad es., relative alla regolarità di esercizio quando imposte normative, alla documentazione del progetto, ecc.).

È redatto invece in stile italico (corsivo), in forma separata dal rimanente, il testo nel quale si comprendono:

– raccomandazioni (in quanto tali non cogenti), ed in particolare quindi i provvedimenti suggeriti riguardanti la sola regolarità di esercizio;

– i testi esemplificativi od applicativi, in genere;

– i testi esplicativi o di commento, in genere.

Il carattere MAIUSCOLO è impiegato per titolazioni all’interno degli articoli.

Parte 1

Definizioni e princìpi generali.

1.1 OGGETTO, SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE

1.1.1 OGGETTO

Le presenti Prescrizioni Tecniche Speciali per gli Impianti Elettrici delle Funicolari Aeree e Terrestri – nel seguito indicate per brevità P.T.S. – I.E. – riguardano l’impianto elettrico (1.2.1) per le funicolari aeree e terrestri in servizio pubblico destinate al trasporto di persone, così come definite nell’art. 1.1 del Reg. Generale e sinteticamente denominate, nel seguito, «FUNIVIE». In armonia con l’art. 1.2 del citato Reg., le presenti Prescrizioni non si applicano agli impianti elettrici delle sciovie, che restano disciplinati dalle disposizioni in vigore.

1.1.2 SCOPO DELLE PRESCRIZIONI E REQUISITI MINIMI

Le presenti P.T.S. – I.E. costituiscono una risistemazione organica della preesistente normativa, aggiornata allo stato attuale della tecnica ed in armonia con i pareri via via favorevolmente espressi dalla Commissione per le Funicolari Aeree e Terrestri. Esse vanno pertanto considerate come un «testo unico» rispondente allo «stato dell’arte», che riassume e sostituisce, annullandole, tutte le precedenti disposizioni emanate in materia, tranne quelle espressamente richiamate in questo testo.

Il progetto e la costruzione eseguiti nel rispetto del Reg. Generale, degli insegnamenti e dei princìpi delle opere di ingegneria, di queste P.T.S. – I.E. e di quelle relative agli specifici tipi di impianti, nonché, per quanto applicabili, delle norme del CEI, si ritengono condizioni sufficienti a ritenere la realizzazione degli impianti eseguita «a regola d’arte». Con ciò si intende che il livello di sicurezza conseguito dall’interpretazione ed applicazione corrette dei suddetti criteri si identifica con il livello accettato per la sicurezza delle persone e dei beni contro i pericoli ed i danni che possono derivare dall’esercizio degli impianti stessi nelle condizioni ragionevolmente prevedibili.

L’osservanza delle prescrizioni che investono l’esercizio dell’impianto (relative a prove, verifiche, manutenzione, ecc.) garantisce il mantenimento di un adeguato livello di sicurezza, sostanzialmente non dissimile da quello presente ad impianto nuovo.

L’osservanza delle prescrizioni che investono l’esercizio ha altresì influenza diretta anche sulla regolarità (continuità) del medesimo.

1.1.3 CAMPO DI APPLICAZIONE

Le presenti prescrizioni si applicano agli impianti di trasporto a fune («Funicolari Aeree e Terrestri») nuovi e alle trasformazioni radicali di quelli esistenti, nonché alle varianti costruttive, ai sensi del D.M. 2 gennaio 1985, n. 23. In particolare, esse si applicano all’impianto elettrico di funivia, così come definito nell’art. 1.2.1. Le presenti P.T.S. I.E. forniscono, peraltro, prescrizioni relative alla funzionalità di utenze diverse (1.2.10), considerate necessarie per il regolare esercizio dell’impianto a fune (1.2.10, pt.1; 2.8.8 e 2.8.9); forniscono altresì prescrizioni relative alla separazione da attuare tra i circuiti dell’impianto elettrico di funivia e quelli delle utenze diverse, sia del tipo citato che di altre eventuali (1.2.10, pt.2). Le presenti P.T.S. – I.E. costituiscono le disposizioni destinate a trattare le peculiarità dell’applicazione, come complemento alle norme CEI applicabili agli equipaggiamenti e ai componenti dell’impianto.

La parte dell’impianto elettrico di funivia (1.2.1) disposta a valle di tutti gli interruttori generali dell’impianto medesimo viene equiparata all’equipaggiamento elettrico di macchine e quindi deve rispondere, per quanto non esplicitato dalle presenti prescrizioni, ai requisiti della Norma CEI EN 60204-1.

Nella prefazione e nell’art. 1 della Norma CEI EN 60204-1 è specificato che essa può essere utilizzata come base per la regolamentazione degli impianti elettrici di funivie.

La parte dell’impianto elettrico di funivia equiparata all’equipaggiamento elettrico di macchine rientra nel campo di applicazione delle L. 18 ottobre 1977, n. 791 e L. 1 marzo 1968, n. 186; tale parte non rientra nel campo d’applicazione della L. n. 46 del 1990 (cfr. Reg. di attuazione della legge, art. 1, c. 3).

Altre parti dell’impianto elettrico di funivia, quali ad es. sorgenti interne e circuiti di distribuzione a monte degli interruttori generali, ed altri impianti compresenti, quali quelli di illuminazione e di erogazione di forza motrice per la manutenzione, nonché le utenze diverse (1.2.10), sono regolamentati, in generale, da altre Norme e Leggi; tali parti rientrano invece nel campo d’applicazione della legge n. 46 del 1990.

1.1.4 DEROGHE

Deroghe alle presenti P.T.S. – I.E. potranno essere accordate, purché il Progettista ne giustifichi la necessità e dimostri che non ne deriva una riduzione del livello di sicurezza.

1.1.5 CLAUSOLA DI MUTUO RICONOSCIMENTO E SOLUZIONI TECNICHE DIVERSE

Le presenti P.T.S. – I.E., al fine di garantire ad operatori ed utenti la massima tutela di diritti irrinunciabili, stabiliscono requisiti di sicurezza ritenuti adeguati a mantenere il livello di protezione della salute e della vita delle persone fino ad oggi assicurato dallo Stato italiane. Esse, parimenti, intendono agevolare la libera circolazione dei prodotti e dei materiali, in particolare provenienti dagli Stati membri della Comunità europea, come pure quelli provenienti dagli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo, nonché agevolare l’innovazione tecnologica; ammettono perciò soluzioni tecniche diverse, a condizione che il Progettista dimostri che il livello di sicurezza offerto sia non inferiore a quello conseguibile con l’applicazione delle P.T.S. – I.E. medesime, fornendo anche, se del caso, i dati di una probante sperimentazione.

1.2 DEFINIZIONI

PREMESSA.

È riportato di seguito un insieme di definizioni fondamentali riguardanti concetti peculiari degli impianti elettrici funiviari. I capitoli succ. riportano ulteriori definizioni relative a concetti localmente esposti.

1.2.1 IMPIANTO ELETTRICO DI FUNIVIA

È impianto elettrico di funivia comprende tutti e soli i circuiti a tensione nominale non superiore a 1000 V in c. a. ed a 1500 V in c. cc («bassa tensione»), assieme ai relativi dispositivi ed equipaggiamenti elettrici, strettamente necessari al funzionamento dell’impianto funiviario, ossia a realizzarne la trazione ed il controllo, e che si trovano a valle dei terminali di ingresso degli interruttori generali di funivia relativi alle sorgenti di energia esterne (1.1.1 e 2.8.3).

In particolare, l’impianto elettrico di funivia comprende i circuiti seguenti.

1) – CIRCUITI DI POTENZA, ovverossia:

1.1) – le sorgenti di energia interne,

1.2) – i circuiti di distribuzione (del solo impianto elettrico di funivia),

1.3) – i circuiti di smistamento,

1.4) – i circuiti di trazione,

1.5) – i circuiti ausiliari.

2) – CIRCUITI DI SEGNALE, ovverossia:

2.1) – i circuiti di comando e regolazione,

2.2) – i circuiti di sorveglianza (ossia di sicurezza e di protezione),

2.3) – i circuiti di segnalazione, misura e telecomunicazione.

I terminali di ingresso degli interruttori generali relativi alle sorgenti esterne costituiscono quindi la demarcazione tra l’impianto elettrico di funivia e gli impianti ad esso esterni. Tali interruttori devono trovarsi a valle ed all’esterno dell’eventuale cabina di trasformazione (2.8.3), la quale, a norma dell’art. 18.3 del Reg. Generale, non fa parte dell’impianto elettrico di funivia, quand’anche sia collocata all’interno della stazione.

Eventuali utenze diverse, non appartenenti all’impianto elettrico di funivia (impianti di innevamento, posti di ristoro, …) possono essere alimentate da sorgenti interne od esterne all’impianto elettrico di funivia, mediante linee dedicate (2.8.8) ed opportunamente protette.

Nei circuiti di potenza lo scopo prevalente è il trasferimento di energia, in quelli di segnale il trasferimento di informazioni.

1.2.2 SORGENTE DI ENERGIA

Sistema, esterno od interno all’impianto elettrico di funivia, in grado di fornire, anche temporaneamente, l’energia elettrica per il funzionamento complessivo della funivia.

Si denomina SORGENTE DI ENERGIA INTERNA ogni sorgente costituita da un sistema di autoproduzione locale, ossia collocata all’interno di una stazione od in locali attigui immediatamente raggiungibili e che si trovi sotto il completo controllo dell’Esercente e del personale tecnico dell’impianto.

Si denomina SORGENTE DI ENERGIA ESTERNA ogni sorgente che non sia interna all’impianto.

Si precisa che, in base a tale definizione, le batterie di accumulatori impiegate, ad es., per i gruppi di alimentazione di sicurezza non sono considerate sorgenti di energia dell’impianto ma semplici sistemi ausiliari di accumulo di energia (2.9.2). Costituiscono invece sorgenti di energia, interne all’impianto (e come tali devono trovarsi sono il completo controllo dell’Esercente), gli eventuali gruppi elettrogeni e le batterie di accumulatori impiegati per la trazione, in particolare – ai sensi dell’art. 18.6 del Reg. Generale – per quella di riserva, nonché i gruppi elettrogeni necessari nelle stazioni di rinvio ed intermedie per alimentare i relativi circuiti ausiliari.

1.2.3 CIRCUITI DI DISTRIBUZIONE

I circuiti di distribuzione appartenenti all’impianto elettrico di funivia sono costituiti dal complesso dei circuiti elettrici destinati a svolgere una delle seguenti funzioni:

1) – collegamento dei circuiti di trazione e di smistamento agli interruttori generali di funivia allacciati alle sorgenti di energia esterne all’impianto elettrico di funivia;

2) – collegamento dei circuiti di trazione e di smistamento agli interruttori generali di funivia allacciati alle sorgenti di energia interne all’impianto elettrico di funivia;

3) – collegamento degli interruttori generali di funivia di cui al pt. 2 alle sorgenti interne medesime.

I circuiti di cui ai pt. 1 e 2 costituiscono equipaggiamento elettrico di macchina e sono soggetti alle norme relative.

I circuiti che collegano gli interruttori generali di funivia alle sorgenti di energia esterne sono circuiti di distribuzione non appartenenti all’impianto elettrico di funivia.

1.2.4 CIRCUITI DI SMISTAMENTO

Complesso di circuiti elettrici destinati a diramare l’alimentazione proveniente dalla sorgente di energia selezionata alle utenze dell’impianto elettrico di funivia comprese nei circuiti ausiliari.

Negli impianti di semplice struttura, i circuiti di smistamento possono coincidere, in tutto od in parte, con i circuiti di distribuzione.

1.2.5 CIRCUITI DI TRAZIONE

Insieme dei circuiti elettrici destinati a gestire l’energia elettrica per la movimentazione delle funi di trazione.

1.2.6 CIRCUITI AUSILIARI

Circuiti destinati a gestire l’energia elettrica per scopi diversi dalla trazione, ossia per l’alimentazione delle utenze ausiliarie, necessarie per il funzionamento dell’impianto. Sono compresi tra questi, ad es.:

1) – i motori ausiliari, gli attuatori, gli alimentatori ed i convertitori impiegati per le linee di alimentazione di sicurezza, per le apparecchiature elettroniche e analoghe;

2) – gli equipaggiamenti relativi ad eventuali magazzini motorizzati per il ricovero dei veicoli.

1.2.7 CIRCUITI DI COMANDO E REGOLAZIONE

Circuiti elettrici che provvedono a comandare e a regolare la marcia dell’impianto (2.7.1, 2.3.1 e seg.) o il funzionamento di sue parti, ivi compreso il sistema di frenatura.

1.2.8 CIRCUITI DI SORVEGLIANZA

Circuiti elettrici appartenenti ai dispositivi di sorveglianza di cui all’art. 1.3.2.

1.2.9 CIRCUITI DI SEGNALAZIONE, MISURA E TELECOMUNICAZIONE

Circuiti elettrici che provvedono, rispettivamente, a:

– segnalare i principali stati di normalità e di anormalità dell’impianto;

– misurare le grandezze fisiche necessarie al controllo delle condizioni di funzionamento;

– consentire la comunicazione tra gli operatori e fra questi ed il pubblico.

1.2.10 UTENZE DIVERSE

Circuiti elettrici utilizzatori considerati non appartenenti all’impianto elettrico di funivia, in quanto non strettamente necessari al funzionamento dell’impianto funiviario (1.2.1 e 2.8.8).

Tali circuiti vengono suddivisi in:

1) – utenze necessarie al regolare esercizio dell’impianto e alla sua manutenzione, fra i quali si intendono compresi i sistemi di illuminazione normale e di emergenza (2.8.9) nonché le prese di forza per apparecchi ed utensili impiegati per le prove e la manutenzione;

2) – eventuali altre utenze, non appartenenti alla categoria precedente, quali ad es. gli impianti di innevamento artificiale, le alimentazioni per posti di ristoro e simili.

1.2.11 RIDONDANZA

Esistenza di più mezzi indipendenti ciascuno in grado di adempiere autonomamente ad una medesima funzione.

1.2.11.1 RIDONDANZA DIVERSIFICATA

Tipo di ridondanza nella quale i mezzi indipendenti disponibili ad adempiere ad una funzione specificata sono ottenuti con soluzioni realizzative diversificate tecnologicamente in modo sufficiente da poter ragionevolmente escludere guasti sistematici di modo comune interni al sistema (1.3.6).

1.2.11.2 RIDONDANZA ATTIVA

Tipo di ridondanza nella quale tutti i mezzi per adempiere ad una data funzione sono simultaneamente operativi.

1.2.11.3 RIDONDANZA IN ATTESA

Tipo di ridondanza nella quale i mezzi alternativi per adempiere ad una data funzione non sono operativi finché non sia necessario il loro intervento. Secondo il caso, i mezzi alternativi possono subentrare automaticamente in caso di necessità («RISERVA CALDA») oppure, pur essendo pronti all’impiego, possono richiedere un apposito comando di attivazione («RISERVA FREDDA»).

Ad es., il freno meccanico di emergenza subentra automaticamente a quello di servizio in caso di necessità; l’azionamento di recupero può considerarsi un caso di ridondanza in attesa, ma richiede una specifica attivazione.

1.2.12 GUASTO

Cessazione dell’attitudine di un oggetto ad adempiere alla funzione richiesta.

Cfr. Norma CEI EN 60204-1, art. 3.23. Si veda anche il testo in corpo ridotto dell’art. 1.3.9. I guasti sono classificabili in SISTEMATICI ed in CASUALI (13.6).

1.2.13 AFFIDABILITÀ

Attitudine di un oggetto a rimanere continuativamente in grado di adempiere alla funzione richiesta, in condizioni prefissate, per un periodo di tempo stabilito.

Si ricorda che, in termini affidabilistici, l’affidabilità R(t) (reliability) di un oggetto è definita come la probabilità che esso si mantenga atto ad adempiere alla funzione richiesta, in condizioni stabilite, a partire dall’istante iniziale (t = 0) e fino al tempo t.

1.2.14 DISPONIBILITÀ

Attitudine manifestata in un certo istante da un oggetto ad adempiere alla funzione richiesta, indipendentemente dal fatto che nella sua storia siano comparsi guasti, successivamente riparati.

Si ricorda che, in termini affidabilistici, la disponibilità A(t) (availability) di un oggetto è definita come la probabilità che, al tempo t, esso sia trovato atto ad adempiere alla funzione richiesta, in condizioni stabilite.

1.2.14.1 TEST E PROVE DI DISPONIBILITÀ

Procedure aventi lo scopo di verificare se un oggetto (dispositivo, circuito, sistema od altro) è disponibile a svolgere una funzione prefissata.

1.2.15 SICUREZZA

Attitudine di un oggetto a rimanere continuativamente in condizioni tali che il rischio derivante dal suo impiego permanga al di sotto di un livello prefissato.

Si osservi che la sicurezza di un oggetto è legata all’affidabilità delle parti di esso preposte a limitare i rischi derivanti dal suo uso; il livello prefissato e descritto in 2.1.1.

1.2.16 PERICOLO

Fonte di possibili lesioni o danni alla salute.

(Cfr. Norma UNI EN 292-1, art. 3.5).

1.2.17 SITUAZIONE PERICOLOSA

Situazione in cui una persona è esposta ad un pericolo o a più pericoli.

(Cfr. Norma UNI EN 292-1, art. 3.6).

1.2.18 DANNO

Potenziale conseguenza derivante da un evento rischioso (1.2.20), riconducibile, nel caso di una persona, a lesioni o alla menomazione dello stato di salute e, nel caso di un bene, alla riduzione del suo valore economico.

In generale, il verificarsi dell’evento rischioso può comportare come conseguenza un danno oppure no, in dipendenza da altre circostanze presenti nell’istante in cui l’evento ha luogo.

1.2.19 RISCHIO

Grandezza correlata alla probabilità che un evento rischioso si verifichi, producendo un danno, e all’entità del danno atteso medesimo.

Se la probabilità che l’evento rischioso si verifichi producendo un danno e la gravità del danno medesimo sono quantificate, il rischio è a sua volta quantificabile mediante il prodotto delle due grandezze.

Il rischio, nell’accezione qui definita, riguarda danni alle persone e/o ai beni; in altri àmbiti, vengono considerati solo i rischi derivanti da pericolo per le persone; ad es., la Norma UNI EN 292-1 definisce il rischio, all’art. 3.7, come «Combinazione di probabilità e di gravità di possibili lesioni o danni alla salute in una situazione pericolosa».

1.2.20 EVENTO RISCHIOSO

Evento tale da comportare un rischio (1.2.19), riconducibile ad una delle seguenti classi:

1) – circostanza o fatto previsto, di natura meccanica od elettrica, dovuto ad agenti esterni all’impianto o a guasti del medesimo, i cui rischi vengono ridotti mediante le funzioni svolte in modo automatico dal sistema di sorveglianza dell’impianto 1.3.1;

2) – situazione pericolosa od evento, dovuto a scorretto comportamento delle persone o comunque non rilevato mediante i sistemi di sorveglianza automatica, i cui rischi vengono ridotti mediante emissione di comandi manuali d’arresto da parte del personale preposto a gestire l’esercizio dell’impianto.

Si veda, al proposito, quanto riportato nell’introduzione al cap. 13, «Princìpi fondamentali di sicurezza», sulla riduzione dei rischi e sulla sorveglianza automatica.

1.2.21 FUNZIONE DI SORVEGLIANZA

Processo che conduce dal rilevamento di un previsto evento rischioso all’emissione di opportuni provvedimenti, classificabile, secondo il caso, come funzione di sicurezza (1.2.21.1) oppure come funzione di protezione (1.2.21.2).

1.2.21.1 FUNZIONE DI SICUREZZA

Processo che conduce dal rilevamento di un previsto evento rischioso per le persone (1.2.20) all’emissione di opportuni comandi agli attuatori di marcia e di arresto.

La funzione di sicurezza è svolta da un dispositivo di sicurezza (1.3.2.1), costituito da circuiti di sicurezza.

1.2.21.2 FUNZIONE DI PROTEZIONE

Processo che conduce dal rilevamento di un previsto evento rischioso per i beni (1.2.20) all’emissione di opportuni comandi o segnalazioni. Una funzione di protezione è svolta da un dispositivo di protezione (1.3.2.2), costituito da circuiti di protezione.

L’impiego di una funzione di protezione è basato sull’assunzione che il rischio di danni alle persone, determinata, anche non a breve termine, dal medesimo evento rischioso interessante la funzione stessa, risulti invece ridotto a livello accettabile ad es. per effetto di opportune misure progettuali o costruttive oppure di apposite funzioni di sicurezza.

1.2.22 FAMIGLIE DI FUNZIONI DI SORVEGLIANZA

Al fine di classificare e ripartire le funzioni di sorveglianza che devono essere poste in atto, si denomina famiglia di funzioni ogni gruppo di funzioni di sorveglianza omogenee tra loro in quanto caratterizzate dal fatto di riferirsi al medesimo evento rischioso oppure alla stessa grandezza fisica rilevata dal campo: le famiglie previste sono specificate nella tabella in allegato (cfr. all. n. 1).

In base a tale definizione, risultano ad es. costituire altrettante famiglie di funzioni i gruppi omogenei costituiti dalle sorveglianze di configurazione, di sovravelocità, di coppia massima, di efficienza delle morse, di anticollisione; si noti che, nella maggior parte dei casi, una famiglia comprende un numero esiguo di sorveglianze; non di rado, una sola di esse.

1.2.23. TELETRASMISSIONE LUNGO LINEA

Funzione preposta a trasmettere segnali (comandi, informazioni, ecc.) tra le stazioni, i veicoli ed eventualmente i sostegni, mediante circuiti di segnale (1.2.1) disposti lungo la linea (2.1.16).

1.2.23.1 TELETRASMISSIONE DI SICUREZZA

Teletrasmissione lungo linea, realizzata con opportuno livello di disponibilità, relativa a segnali connessi con la sicurezza.

Sono ad es. compresi tra tali tipi di segnali i comandi d’arresto emessi esternamente alla stazione motrice, nonché i segnali ivi inviati che, opportunamente elaborati dopo giunti in stazione, possono determinare comandi d’arresto.

1.2.23.2 TELETRASMISSIONE AUSILIARIA

Teletrasmissione lungo linea relativa a segnali non connessi con la sicurezza.

Possono ad es. essere compresi tra tali tipi di segnali comandi di selezione di modo di funzionamento o canali di comunicazione di servizio comunque non connessi con la sicurezza; per tale motivo la teletrasmissione ausiliaria può essere realizzata con livello di disponibilità inferiore a quello richiesto per la teletrasmissione di sicurezza.

1.2.24 PARZIALIZZAZIONE ED ESCLUSIONE DELLE SORVEGLIANZE

Comandi manuali che inibiscono la possibilità di intervento di uno o più canali di un dispositivo di sorveglianza oppure l’azione richiesta dall’intervento stesso. In particolare, si parla di parzializzazione quando ne consegue al più la degradazione del dispositivo, di esclusione quando ne consegue la compromissione (1.3.5).

1.2.25 LOCALE DI COMANDO

Locale presente in ciascuna stazione, chiuso e protetto dagli agenti atmosferici, in cui sono installati rispettivamente: alla stazione motrice, quanto meno, i banchi di manovra degli azionamenti principale e di soccorso; alle stazioni di rinvio ed intermedie i quadri ausiliari di comando relativi ai principali comandi locali.

1.2.26 QUADRO ELETTRICO

Involucro entro il quale sono installate apparecchiature elettriche relative a circuiti di potenza e/o di segnale.

1.2.27 BANCO DI MANOVRA

Quadro elettrico, collocato in idoneo locale della stazione motrice ed in posizione opportuna, nel quale sono installati, fra l’altro, gli organi di comando della marcia e dell’arresto di un azionamento determinato ed i dispositivi di segnalazione e misura più importanti per il controllo dell’impianto (3.1.7).

1.2.28 QUADRO AUSILIARIO DI COMANDO

Quadro elettrico, collocato nel locale di comando di una generica stazione, nel quale sono installati, fra l’altro, organi di comando e dispositivi di segnalazione cui l’operatore deve poter accedere rapidamente.

1.2.29 AZIONAMENTO A VELOCITÀ REGOLATA

Azionamento di trazione dotato di un sistema automatico di regolazione ad anello chiuso della velocità, in grado di correggere la velocità di marcia dell’impianto per portarla e mantenerla al valore richiesto da un segnale di riferimento variabile con continuità ed elaborato in base ai comandi manuali e/o automatici della velocità di marcia stessa.

1.2.30 AZIONAMENTO A VELOCITÀ NON REGOLATA

Azionamento di trazione di tipo diverso da quelli a velocità regolata; appartengono a tale categoria gli azionamenti a velocità fissa, sia pure dotati di sistemi per l’avviamento ed il rallentamento graduale, gli azionamenti con velocità variabile a gradini e gli azionamenti che consentono di variare con continuità la velocità di marcia ma che non sono in grado di correggere automaticamente le variazioni della velocità rispetto al valore di riferimento comandato, ad es. a causa di variazioni del carico.

1.2.31 AZIONAMENTO PRINCIPALE

Azionamento che consente l’esercizio continuativo dell’impianto, alla piena potenzialità.

1.2.32 AZIONAMENTO DI RISERVA

Azionamento che consente l’esercizio continuativo dell’impianto, in alternativa all’azionamento principale, a potenzialità eventualmente ridotta.

Si veda, a tale proposito, l’art. 18.6 del Reg. Generale.

1.2.33 AZIONAMENTO DI RECUPERO

Azionamento che consente, nei casi di avaria degli azionamenti principale e di riserva, il proseguimento della marcia per il recupero dei veicoli, in modo completamente autonomo.

1.2.34 AZIONAMENTO DI SOCCORSO

Azionamento e gruppo di trazione completamente autonomi, in grado di consentire, qualora risulti impossibile la movimentazione della fune traente principale, l’evacuazione dei passeggeri in linea mediante apposito veicolo ausiliario.

1.2.35 VELOCITÀ DI MARCIA

Velocità lineare istantanea della fune traente, ovvero portante-traente, rilevata alla stazione motrice.

1.2.36 VELOCITÀ NOMINALE DI UN AZIONAMENTO

Massima velocità di marcia ammessa in condizioni regolari, con l’impiego dell’azionamento considerato.

1.2.37 VELOCITÀ NOMINALE DELL’IMPIANTO

Massima velocità di marcia ammessa in condizioni normali specificate, con l’impiego dell’azionamento principale.

1.2.38 VELOCITÀ MINIMA

Valore della velocità di marcia, comunque inferiore al maggiore tra i valori di 0.3 m/s e del 5% della velocità nominale, corrispondente al passaggio tra lo stato di MARCIA dell’impianto (1.2.41) e quello di STAZIONAMENTO (1.2.42).

La velocità minima costituisce il valore di velocità sotto il quale la continuazione del processo di arresto (1.2.45) è in ogni caso demandata esclusivamente all’azione del freno di stazionamento (1.2.52 e 2.3.16).

Il valore della velocità minima è determinato a fronte dell’esigenza di limitare le sollecitazioni sull’impianto e sui passeggeri nella fase di chiusura del freno di stazionamento e di consentire ancora, d’altro canto, una sufficiente regolabilità della velocità di marcia.

1.2.39 COPPIA DI IMPIANTO

Coppia meccanica complessivamente erogata in un determinato istante dall’azionamento in uso, assunta pari alla somma algebrica delle coppie erogate dai motori dell’azionamento medesimo.

Ai fini delle funzioni di sorveglianza, si considerano la coppia di impianto in avviamento, fino al raggiungimento della velocità di marcia prevista, e quella a regime, comunque relativa a tutte le altre fasi (2. 4.3).

1.2.40 COPPIA NOMINALE DI IMPIANTO

Coppia di impianto, definita per i soli impianti a moto unidirezionale, sia continuo che intermittente, corrispondente al valore massimo misurato nelle più gravose condizioni di carico previste nel regolare esercizio con l’azionamento principale (1.2.31, 1.2.39, 2.1.30 e 2.4.3) durante la marcia a velocità costante (regime) e pari alla velocità nominale dell’azionamento medesimo.

Si ritiene opportuno non definire la coppia nominale di impianto per gli impianti a va e vieni, in cui l’escursione di coppia durante la corsa è di regola molto ampia anche a regime, in quanto né il valore quadratico medio né quello massimo sono significativi e sufficienti ai fini delle funzioni di sicurezza da esercitare. Si tenga inoltre presente che, negli impianti a va e vieni con motrice a valle, il massimo valore della coppia di impianto si ha generalmente quando la cabina che giunge alla stazione di rinvio, a velocità già bassa e costante, impegna il respingente di finecorsa.

Per gli avviamenti in linea in cui la velocità nominale è raggiunta nel punto di massimo squilibrio dei carichi, si veda l’art. 2.4.3.1.

1.2.41 MARCIA

Stato dell’impianto nel quale la velocità di marcia è superiore alla velocità minima.

Si individuano le seguenti specificazioni.

1) – MARCIA REGOLARE. Marcia dell’impianto in presenza del consenso marcia regolare, ottenibile in relazione alle condizioni di azionamento inserito e di freni aperti nonché di presenza dei consensi dei sistemi di sorveglianza (2.3.2.4).

2) – MARCIA A REGIME. Marcia regolare dell’impianto alla velocità stabilita per le condizioni di esercizio in atto.

La marcia a regime individua una condizione a velocità stabilizzata, che può essere la massima ammessa nelle condizioni di esercizio attuali oppure anche inferiore a questa, ad es. in seguito ad un comando di rallentamento.

1.2.42 STAZIONAMENTO

Stato dell’impianto, susseguente ad ogni arresto e precedente ad ogni avviamento, corrispondente alla condizione di impianto fermo, frenato e con flusso della potenza motrice interrotto.

Nella breve fase transitoria corrispondente alla transizione allo stazionamento dell’arresto (passaggio dalla velocità minima a velocità nulla, 1.2.45) l’impianto si considera comunque già in stazionamento.

1.2.43 AVVIAMENTO

Processo col quale l’azionamento conduce l’impianto a passare dallo stazionamento alla marcia a regime.

1.2.44 RALLENTAMENTO

Riduzione temporanea della velocità di marcia (2.3.3.7).

1.2.45 ARRESTO

Processo col quale il sistema di frenatura conduce l’impianto a passare, con i criteri di sicurezza stabiliti da queste prescrizioni, dallo stato di MARCIA REGOLARE (1.2.41) allo STAZIONAMENTO (1.2.42). Durante l’arresto si possono individuare la fase di DECELERAZIONE, corrispondente alla transizione dell’impianto dalla velocità iniziale di marcia alla velocità minima, e la successiva fase di TRANSIZIONE ALLO STAZIONAMENTO, corrispondente al passaggio dalla velocità minima alla condizione di stazionamento.

Si denomina ARRESTO CONTROLLATO un arresto attuato mediante un sistema di frenatura a ridondanza in attesa (2.5.2, 1.2.11.3) nel quale opportuni sistemi sorvegliano che la decelerazione ottenuta sia sufficiente (funzione di controllo di mancata decelerazione, 2.5.13), facendo altrimenti subentrare i mezzi alternativi a tal fine predisposti.

L’arresto non controllato, ossia attuato senza sorvegliare che la decelerazione ottenuta sia sufficiente, non è impiegato nelle funivie; pertanto, la definizione comporta l’obbligo che ogni arresto sia attuato mediante un sistema che sorvegli che la decelerazione ottenuta sia sufficiente; pertanto, i termini ARRESTO DI SERVIZIO, ARRESTO ed arresto controllato sono equivalenti.

La fase di riduzione del valore della velocità di marcia fino a quello di minima velocità, senza sorvegliare che la decelerazione ottenuta sia sufficiente, eventualmente ottenibile mediante il comando manuale di annullamento della velocità (2.3.3.9), non è considerata un arresto.

1.2.46 COMANDO DI ARRESTO

Comando manuale o automatico destinato a provocare l’arresto dell’impianto e ad impedirne l’avviamento, al fine, in particolare, di salvaguardare la sicurezza delle persone e l’integrità dell’impianto (2.3.4).

1.2.47 RELÉ FINALE

Relé riassuntivo dei comandi e dei consensi, relativi alla marcia e all’arresto, che agisce mediante i propri contatti normalmente aperti sulle catene finali degli attuatori della marcia e dell’arresto. Si considerano relé finali anche i relé riassuntivi dei comandi e dei consensi, relativi alla marcia e all’arresto, collocati nelle stazioni diverse dalla motrice e agenti sui relé o sulle catene finali di quest’ultima, tramite le teletrasmissioni di sicurezza.

1.2.48 CATENA FINALE

Successione di contatti normalmente aperti, appartenenti a relé finali o a pulsanti, che comandano direttamente gli attuatori della marcia e dell’arresto dell’azionamento e dei freni (ad es., elettrovalvole, contattori, sblocchi dei regolatori).

1.2.49 FRENO ELETTRICO DI SERVIZIO

Modalità di funzionamento dell’azionamento principale o di riserva, quando è impiegato per ottenere l’arresto dell’impianto.

1.2.50 FRENO MECCANICO DI SERVIZIO

Equipaggiamento di frenatura ad azione meccanica costituito da dispositivi agenti su un organo della trasmissione meccanica (2.5.2). Il freno meccanico di servizio può essere sinteticamente denominato «FRENO DI SERVIZIO», quando non vi siano ambiguità rispetto al freno elettrico.

1.2.51 FRENO MECCANICO DI EMERGENZA

Equipaggiamento di frenatura ad azione meccanica costituito da dispositivi agenti direttamente sulla puleggia motrice (2.5.2). Il freno meccanico di emergenza può essere sinteticamente denominato «FRENO DI EMERGENZA».

1.2.52 FRENO DI STAZIONAMENTO

Equipaggiamento di frenatura ad azione meccanica impiegato per decelerare l’impianto al di sotto della minima velocità (TRANSIZIONE ALLO STAZIONAMENTO) (1.2.45) e per mantenerlo frenato una volta raggiunto lo stazionamento (seconda missione) (2.5.3).

Esso può essere costituito fisicamente dal freno meccanico di servizio impiegato con azione a scatto oppure da entrambi i freni meccanici di servizio e di emergenza, sempre impiegati con azione a scatto.

1.2.53 FRENATURA ELETTRICA

Azione sviluppata dal freno elettrico di servizio per conseguire la decelerazione richiesta nell’arresto dell’impianto.

Si osservi che la decelerazione è definita come la fase dell’arresto corrispondente alla transizione dell’impianto dalla velocità iniziale di marcia alla velocità minima (1.2.45).

1.2.54 FRENATURA MECCANICA

Azione sviluppata dal freno meccanico di servizio oppure dal freno meccanico di emergenza per conseguire la decelerazione richiesta nell’arresto dell’impianto.

1.2.55 AZIONE MODULATA DI UN FRENO

Modalità di regolazione della frenatura (elettrica o meccanica) nella quale lo sforzo frenante di un freno viene regolato automaticamente in modo da mantenere la decelerazione il più possibile prossima ad un valore prefissato (2.5.26).

1.2.56 AZIONE DIFFERENZIATA DI UN FRENO MECCANICO

Modalità di attuazione della frenatura meccanica mediante la quale un freno, strutturalmente suddiviso in sezioni comandabili separatamente ciascuna con azione a scatto, viene impiegato applicandone lo sforzo frenante per quote costanti predeterminate, la cui selezione può variare in base alla configurazione del carico (2.5.23 e 1.2.41).

1.2.57 AZIONE A SCATTO DI UN FRENO MECCANICO

Modalità di attuazione della frenatura meccanica durante la quale lo sforzo frenante di un freno viene applicato completamente e senza regolazioni a partire dall’istante di attivazione di tale comando (2.5.22).

1.2.58 SPAZIO FUNE

Spazio percorso dalla fune traente o portante-traente in un intervallo di tempo determinato, misurato in corrispondenza di un prefissato punto della sua traiettoria.

1.2.59 SPAZIO L’ARRESTO

Spazio fune percorso dall’impianto a partire dall’istante di comando di un arresto.

Lo spazio entro il quale un veicolo si arresta coincide in ogni caso con lo spazio d’arresto (della fune) negli impianti a collegamento permanente del veicoli; in quelli a collegamento temporaneo, lo spazio d’arresto di un veicolo che, ad arresto compiuto, si troverà disaccoppiato dalla fune, differisce, in generale, dallo spazio d’arresto della fune. Laddove tale distinzione sia rilevante ai fini del contesto, se ne farà localmente distinzione.

1.2.60 SPAZIO ALL’ARRIVO DI UNA VETTURA

Si definisce spazio all’arrivo di una vettura di un impianto a va e vieni il valore istantaneo della lunghezza del tratto di fune traente compreso tra la vettura ed il suo punto di arresto normale nella stazione di arrivo, in corrispondenza del punto di finecorsa in stazione (2.3.15.6).

Si definisce spazio all’arrivo di un treno di veicoli di un impianto a moto unidirezionale intermittente la distanza, misurata lungo l’anello trattivo, tra l’inizio del treno ed il successivo PUNTO DI ARRIVO IN STAZIONE, definito come il punto di una stazione rispetto al quale deve essere computato lo spazio all’arrivo dei treni.

Durante la marcia, pertanto, lo spazio all’arrivo di una vettura o di un treno si riduce progressivamente, e si annulla nell’istante in cui la vettura di un impianto a va e vieni impegna il finecorsa in stazione oppure, rispettivamente, il treno di un impianto a moto unidirezionale intermittente attiva il sensore del punto di stazione. Nel caso di impianti a va e vieni in cui le vetture si trovano in movimento alternativo essendo vincolate all’anello trattivo in posizioni diametralmente opposte, gli spazi all’arrivo di entrambe le vetture si assumono coincidenti, essendo lecito trascurare le lievi differenze che possono presentarsi in funzione delle configurazioni finali degli archi di catenaria delle funi traente e zavorra (o traenti superiore ed inferiore). Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente, se gli spazi all’arrivo dei treni in avvicinamento alle due stazioni terminali si possono considerare eguali ai fini delle sorveglianze e delle regolazioni, come nel caso di veicoli con morse a collegamento permanente, si può ancora assumere e rilevare come unico spazio all’arrivo quello del treno in avvicinamento alla stazione motrice (vedasi, peraltro, l’art. 2.4.10).

1.2.61 SIMULATORE DI PERCORSO

Equipaggiamento meccanico, elettrico e/o elettronico che, mediante l’elaborazione di segnali di spazio fune (1.2.58) emessi da opportuni trasduttori, è in grado di fornire, nel corso della marcia, informazioni dettagliate relative alla posizione istantanea dei veicoli lungo l’intero percorso, rispetto ad un punto di riferimento prestabilito. In particolare, esso fornisce il valore dello spazio all’arrivo (1.2.60) delle vetture negli impianti a va e vieni ed in quelli a moto unidirezionale intermittente (2.7.11 e 1.2.64).

Un simulatore di percorso fornisce informazioni di posizione elaborate indirettamente per integrazione di segnali correlati al movimento della fune. In alcuni tipi di impianti a va e vieni (ad es., funicolari), invece, i valori di spazio all’arrivo possono essere determinati rilevando direttamente la presenza dei veicoli in opportuni punti del percorso mediante idonei sensori fissi; in tal caso, non si è in presenza di un simulatore di percorso.

1.2.62 DAZIO CONTINUO

Tipo di sorveglianza, relativa alla velocità di marcia negli impianti nei quali è previsto l’arresto dei veicoli in stazione e/o la variazione obbligatoria della loro velocità in tratti specifici del percorso, in grado di elaborare con continuità, in funzione del valore di spazio all’arrivo fornito da un simulatore di percorso, un opportuno limite superiore di velocità («CURVA DELLA VELOCITÀ DI DAZIO») e di verificare se la velocità istantanea effettiva si mantiene inferiore a tale limite, emettendo altrimenti un segnale di intervento (2.4.10.1).

La realizzazione della funzione di sicurezza di dazio continuo richiede che tanto l’informazione di spazio fornita dai sensori quanto il valore di spazio all’arrivo elaborato dal simulatore siano aggiornati in modo pressoché continuo; non è quindi ammissibile l’impiego di sensori che rilevino semplicemente il passaggio dei veicoli su punti fissi, in quanto non si può in tal modo ottenere una precisione sufficiente.

1.2.63 DAZIO A PUNTI

Tipo di sorveglianza, relativa alla velocità di marcia negli impianti nei quali è previsto l’arresto dei veicoli in stazione e/o la variazione obbligatoria della loro velocità in tratti specifici del percorso, in grado di selezionare, tra diversi valori costanti prestabiliti, opportuni limiti superiori di velocità («VELOCITÀ DI DAZIO») da impiegare come soglie di confronto al passaggio del veicolo in corrispondenza di opportuni punti del percorso, a distanze prefissate dalle stazioni, individuanti determinate SEZIONI. La sorveglianza emetterà un segnale di intervento qualora, al passaggio per ciascun punto, la velocità istantanea effettiva superi il valore di soglia prefissato per quella distanza dalla stazione (2.4.10.1).

Il passaggio delle vetture per i punti suddetti può essere rilevato direttamente mediante sensori fissi rispetto al terreno oppure indirettamente mediante un simulatore di percorso.

1.2.64 IMPIANTO A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE

Impianto del tipo monofune o bifune, nei quali i veicoli possono essere collegati alla fune mobile in modo permanente ovvero temporaneo; in generale i veicoli sono inviati in linea raggruppati in treni, composti da uno o più di essi, e ai fini del controllo del moto ciascun treno è considerato quale unico veicolo. In questo tipo di impianti i veicoli transitano da un ramo all’altro della linea passando all’interno della stazione: quindi, generalmente, per regolare l’ingresso, il giro stazione e la riaccelerazione all’uscita, la velocità della fune mobile viene fatta evolvere in modo prestabilito.

Risulta opportuno definire la seguente nomenclatura specifica.

INTERVALLO. Distanza misurata in linea, lungo l’anello trattivo, tra punti omologhi di due treni susseguenti.

PUNTO DI RIACCELERAZIONE. Punto della stazione nel quale viene rilevata la completa uscita di un treno dalla stazione medesima, ai fini della riaccelerazione automatica dell’impianto.

1.2.65 FUNIVIA AUTOFRENANTE

Funivia che, trovandosi a velocità di regime, anche nelle più sfavorevoli situazioni di squilibrio dei carichi e di minimo attrito, disalimentando il motore e a freni aperti rallenta gradualmente fino a fermarsi spontaneamente (2.7.11).

1.3 PRINCÌPI FONDAMENTALI DI SICUREZZA

PREMESSA.

RIDUZIONE DEI RISCHI. Un impianto di trasporto a fune è esposto, in quanto sistema tecnologico, alla possibilità che si verifichino circostanze o fatti, di natura meccanica od elettrica, i quali possono comportare o meno, a seconda dei provvedimenti presi e della loro tempestività, l’insorgere di eventi rischiosi, ossia potenzialmente dannosi, per le persone e per i materiali.

È compito dei progettisti dell’impianto funiviario esaminare tali circostanze, valutare l’entità dei rischi conseguenti e stabilire le misure necessarie a ridurre i rischi medesimi al livello accettato (1.1.2), tenendo presente che non sempre gli eventi rischiosi che investono la regolarità di esercizio sono nettamente separabili da quelli che investono la sicurezza. La procedura da seguire è sintetizzabile nei tre passi fondamentali seguenti.

1) – SCELTE PROGETTUALI E COSTRUTTIVE: i rischi devono anzitutto essere ridotti il più possibile mediante analisi e conseguente adozione di adeguate soluzioni di progetto e costruttive, in ogni parte dell’impianto.

2) – SORVEGLIANZA AUTOMATICA: si deve stabilire quali siano le circostanze ed i fatti i cui rischi residui devono essere minimizzati mediante azioni di sorveglianza automatica. In particolare, si deve riconoscere se i provvedimenti richiesti dalle presenti P.T.S. – I.E, e da quelle relative agli specifici tipi di impianti possono ritenersi sufficienti, oppure se particolari scelte costruttive impongono provvedimenti aggiuntivi.

3) – INFORMAZIONE: gli operatori e gli utenti devono essere informati dei rischi residui, che possono permanere nonostante le azioni precedenti, nonché dei comportamenti da tenere nelle diverse circostanze.

Normalmente, concorrono al progetto dell’impianto diversi tecnici progettisti, ciascuno nel proprio àmbito di competenza. I requisiti minimi generali relativi ai pt. 1 e 2 di cui sopra sono trattati in queste P.T.S. – I.E., limitatamente agli aspetti più usuali degli impianti elettrici di funivia. I progettisti devono eseguire le indagini suddette, in particolare al fine di ottenere una corretta analisi dei rischi all’origine (cfr. pt. 1) e residui (cfr. pt. 2), in modo da determinare le relative contromisure, con speciale riguardo per le peculiari esigenze dell’impianto. Il responsabile generale della progettazione dell’impianto funiviario (cfr. art. 3.2 e 3.3 del Reg. Generale) deve garantire il più efficace scambio di informazioni, in modo da conseguire adeguato coordinamento nell’effettuazione dell’analisi medesima.

1.3.1 SISTEMA DI SORVEGLIANZA DI IMPIANTO

Insieme dei dispositivi di sorveglianza (1.3.2) atti a provvedere, in modo automatico e tempestivo, che:

1) – l’impianto venga posto in uno stato sicuro in occasione del verificarsi degli eventi previsti, rischiosi per le persone (1.2.21.1);

2) – idonee contromisure e segnalazioni vengano attivate in occasione del verificarsi di eventi rischiosi per i beni, ma non, almeno a breve termine, per le persone (1.2.21.2).

In base a quanto sopra e alle definizioni di cui all’art. 1.2.21 e seg., il sistema di sorveglianza di impianto comprende pertanto l’insieme dei dispositivi di sicurezza (1.2.21.1) e dei dispositivi di protezione (1.2.21.2).

Affinché il sistema di sorveglianza possa garantire disponibilità, e quindi sicurezza nell’esercizio dell’impianto, risulta necessario cautelarsi nei confronti di determinati eventi previsti, di natura necessariamente elettrica, qui denominati guasti previsti (1.3.9), che possono verificarsi all’interno del sistema stesso, inficiandone la funzionalità.

Gli eventi rischiosi possono essere, come s’è anticipato, di natura meccanica (ad es.: accavallamento di una fune dell’anello trattivo su una portante) od elettrica (ad es.: corto circuito verso massa degli avvolgimenti di un motore). Gli eventi di natura elettrica previsti per l’impianto, comunque, comprendono, tra l’altro, tutti i guasti previsti per il sistema di sorveglianza, e quindi la diversa denominazione è impiegata solo laddove richiesta per chiarezza.

A titolo esplicativo, il termine «previsti» va inteso come «dai quali è previsto che ogni dispositivo di sicurezza sia protetto». Esistono altri guasti, quale il corto circuito tra conduttori attivi, il cui verificarsi è egualmente prevedibile, ma la cui probabilità è ritenuta irrilevante salvo che in casi particolari (2.1.37). Esistono poi guasti, quale l’impulso elettromagnetico derivante da fulminazione atmosferica penetrata nei circuiti (malgrado la rispondenza all’art. 3.1.4), contro i quali si ammette che nessuna protezione possa essere garantita.

1.3.2 DISPOSITIVO DI SORVEGLIANZA

Insieme di tutti i circuiti (elettrici, elettromeccanici e/o elettronici, ivi compresi i relativi componenti e collegamenti) che realizzano completamente una funzione di sorveglianza (1.2.21); i dispositivi di sorveglianza si distinguono nelle classi di cui ai due artt. segg.

Una funzione di sorveglianza si intende completamente realizzata quando sono state svolte tutte le operazioni fondamentali di cui all’art. 2.1.4. Tutti i circuiti a ciò necessari appartengo pertanto al dispositivo di sorveglianza.

Un circuito di sorveglianza (1.2.8) o un elemento hardware (2.1.9) possono svolgere operazioni fondamentali (2.1.4) di più dispositivi di sorveglianza, appartenendo così contemporaneamente a ciascuno di questi dispositivi. Ad es., una unità di controllo, un sensore impiegato per più funzioni di sorveglianza, un elemento hardware di una famiglia di funzioni appartengono a più dispositivi di sorveglianza.

Viceversa, al dispositivo di sorveglianza che realizzi una data funzione di sicurezza mediante due canali apparterranno necessariamente almeno due elementi hardware indipendenti.

1.3.2.1 DISPOSITIVO DI SICUREZZA

Dispositivo di sorveglianza che realizza una funzione di sicurezza (1.2.21.1).

Un dispositivo di sicurezza deve emettere segnali denominati CONSENSI fintantoché l’impianto rimane in condizione lecita; per contro, esso deve emettere segnali, denominati INTERVENTI, non appena l’impianto entra in condizione illecita per effetto della comparsa dell’evento rischioso sorvegliato dalla funzione di sicurezza che esso realizza.

Un dispositivo di sicurezza deve mantenere irreversibilmente l’intervento fino all’eliminazione dell’evento (o delle sue conseguenze) e fino al successivo comando di ripristino; all’intervento deve conseguire la tempestiva messa dell’impianto in uno stato sicuro. Salvo casi particolari prescritti, ciò richiede l’arresto dell’impianto, al fine di raggiungere e mantenere la condizione di stazionamento.

Ogni dispositivo di sicurezza va sottoposto almeno a prove e verifiche periodiche, con la modalità e la frequenza stabilite in base alle P.T.S. – I.E. presenti e a quelle specifiche dei singoli tipi di impianto.

1.3.2.2 DISPOSITIVO DI PROTEZIONE

Dispositivo di sorveglianza che realizza una funzione di protezione (1.2.21.2).

Un dispositivo di protezione deve emettere segnali di consenso o di intervento in modo analogo ai dispositivi di sicurezza; l’intervento del dispositivo comporta tuttavia, secondo le prescrizioni vigenti e, in mancanza di queste, secondo le valutazioni del Progettista, l’emissione di un comando d’arresto oppure una semplice segnalazione, con memorizzazione o meno, oppure azioni diverse.

Ogni dispositivo di protezione va sottoposto almeno a prove e verifiche periodiche, con la modalità e la frequenza stabilite anche in base alle P.T.S. – I.E. presenti e a quelle specifiche dei singoli tipi di impianto.

Si sottolinea l’importanza di tali prove, in quanto i dispositivi di protezione, per la loro struttura costruttiva, non necessariamente rendono manifesto, in modo autonomo, un loro eventuale malfunzionamento.

1.3.3 CLASSIFICAZIONE DELLE TECNOLOGIE REALIZZATIVE

Al fine di determinare le prescrizioni relative ai sistemi connessi con la sicurezza, viene introdotta la seguente classificazione delle tecnologie dei circuiti impiegati per realizzare le operazioni fondamentali di una funzione di sorveglianza, peraltro applicabile in generale a tutti i circuiti elettrici.

1) – CIRCUITI ELETTROMECCANICI. Un circuito elettrico è definito di tipo elettromeccanico se utilizza a tale scopo unicamente commutazioni attuate mediante contatti elettromeccanici (ad es., relé elettromeccanici, contattori, pulsanti, microinterruttori, selettori, ecc.).

2) – CIRCUITI AD ELETTRONICA SEMPLICE. Un circuito elettrico è definito di tipo ad elettronica semplice se impiega a tale scopo componenti elettronici (ossia realizzati con la tecnologia delle giunzioni a semiconduttore) ma non dispositivi programmabili facendo uso di software.

3) – CIRCUITI AD ELETTRONICA COMPLESSA. Un circuito elettrico è definito di tipo ad elettronica complessa se impiega a tale scopo dispositivi programmabili facendo uso di software

Allo scopo di distinguere in modo non equivocabile i circuiti elettronici semplici da quelli complessi, si considera di essere in presenza di software quando si impiegano dispositivi elettronici a larga scala di integrazione (microprocessori, gate arrays, ecc.) la cui logica di funzionamento è, di per sé, complessa ed estremamente variabile, e viene determinata mediante un opportuno insieme di istruzioni memorizzate (codice software), alterabile senza ricorrere a modifiche circuitali. In tale definizione si prescinde dal fatto che le reti logiche ottenute siano di tipo combinatorio o sequenziale. Vengono per estensione ritenuti ad elettronica complessa anche i circuiti contenenti dispositivi di memoria impiegati per la memorizzazione, volatile o permanente, del software medesimo; vengono invece ritenuti ad elettronica semplice i circuiti che impiegano dispositivi di memorizzazione discreti limitati a pochi bit, quali flip-flop, ecc.

Relativamente ad un dato circuito del sistema di sorveglianza, interessa determinare con quale tecnologia realizzativa siano costruite le sue parti connesse con la sicurezza; ad es., ai fini delle prescrizioni seguenti, un dispositivo di sicurezza che trasmetta i comandi d’arresto mediante relé e che sia dotato di un circuito integrato per pilotare led di segnalazione sarà senz’altro ritenuto di tipo elettromeccanico per quanto riguarda le operazioni fondamentali connesse con la sicurezza.

1.3.4 CONDIZIONI LECITA ED ILLECITA DELL’IMPIANTO

Si denomina condizione illecita ogni condizione dell’impianto conseguente all’accadere di un evento rischioso previsto (1.2.20) in relazione allo stato di funzionamento richiesto.

Si denomina condizione lecita ogni condizione dell’impianto non illecita.

1.3.5 DISPOSITIVO DI SORVEGLIANZA COMPROMESSO, DEGRADATO, EFFICIENTE

1) – DISPOSITIVI DI SICUREZZA. Un dispositivo di sicurezza (1.3.2.1) può assumere, in relazione alla sua disponibilità (1.2.14), uno dei tre stati seguenti.

1.1) – DISPOSITIVO DI SICUREZZA COMPROMESSO. Un dispositivo di sicurezza è detto compromesso se esiste almeno una condizione illecita nella quale non è in grado di intervenire, comandando le azioni previste.

1.2) – DISPOSITIVO DI SICUREZZA DEGRADATO. Un dispositivo di sicurezza è detto degradato se è in grado di intervenire in tutte le condizioni illecite previste ma può diventare compromesso per effetto di un primo guasto.

1.3) – DISPOSITIVO DI SICUREZZA EFFICIENTE. Un dispositivo di sicurezza è detto efficiente se è in grado di intervenire in tutte le condizioni illecite previste ed inoltre un primo guasto può, al più, degradarlo senza comprometterlo.

Per estensione, i medesimi stati si considerano assunti dalla funzione di sicurezza che il dispositivo svolge.

2) – DISPOSITIVI DI PROTEZIONE. Un dispositivo di protezione (1.3.2.2) può assumere, in relazione alla sua disponibilità (1.2.14), uno dei due stati seguenti.

2.1) – DISPOSITIVO DI PROTEZIONE COMPROMESSO. Un dispositivo di protezione è detto compromesso se esiste almeno una condizione illecita nella quale non è in grado di intervenire, comandando le azioni previste.

2.2) – DISPOSITIVO DI PROTEZIONE EFFICIENTE. Un dispositivo di protezione è detto efficiente se interviene in tutte le condizioni illecite.

Per estensione, i medesimi stati si considerano assunti dalla funzione di protezione che il dispositivo svolge.

In riferimento alla terminologia affidabilistica, i concetti di dispositivo di sorveglianza compromesso ed indisponibile sono equivalenti, in quanto un dispositivo compromesso non è più in grado di assolvere alla propria missione.

La definizione di dispositivo di protezione degradato, in analogia con l’omonima data per i dispositivi di sicurezza, non ha utilità ai fini delle presenti prescrizioni, in quanto normalmente, mancando in tali dispositivi ogni ridondanza, un guasto singolo è sufficiente a far transitare la funzione dallo stato efficiente direttamente a quello compromesso.

1.3.6 GUASTI

1) – GUASTI SISTEMATICI. Un guasto (2.1.6) è detto sistematico quando la sua causa è intrinsecamente riconducibile ad errori progettuali e/o costruttivi. Il «modo di guasto» (effetto che rende evidente il guasto) può manifestarsi a breve termine, oppure rimanere latente per un lasso di tempo anche lungo; tuttavia, il guasto sistematico compare certamente non appena si configurino determinate condizioni di funzionamento del dispositivo, regolari e prevedibili.

Esempi di guasti sistematici nell’hardware sono quelli derivanti dall’impiego di componenti al di fuori dei loro limiti di applicazione (fra cui si citano quelli di temperatura, tensione, corrente, vita prevista).

Esempi di guasti sistematici nel software sono gli errori di concezione che si rivelano non appena verrà sollecitata una certa sequenza o combinazione logica.

2) – GUASTI CASUALI. Un guasto (2.1.6) è detto casuale quando non è sistematico. La sua causa risulta o indeterminabile oppure riconducibile ad eventi aleatori che hanno portato il dispositivo al di fuori delle condizioni regolari di funzionamento. Nell’àmbito dei guasti a rischio non trascurabile, le presenti P.T.S. – I.E. individuano, sulla base dell’esperienza, un insieme di guasti previsti, di seguito considerati (1.3.9, 1.3.10 e 1.3.11).

Un componente hardware, sebbene impiegato correttamente, può essere interessato da un guasto casuale in quanto la probabilità di guasto non può essere annullata.

I guasti casuali non possono essere definiti per il software; tuttavia, i circuiti ad elettronica complessa che ne vengono programmati sono soggetti a guasti casuali.

3) – Si deve mirare, mediante progettazione, realizzazione e collaudo accurati ad evitare i guasti sistematici, al fine di minimizzarne i rischi conseguenti.

4) – I guasti casuali costituiscono una categoria estremamente ampia; molti di essi danno luogo a rischi trascurabili o perché comportano al più danni di lieve entità oppure perché la probabilità che il guasto si verifichi producendo il danno è ridottissima. In ogni caso, opportune misure devono essere prese al fine di evitare che conseguenze pericolose possano conseguire dai guasti casuali previsti.

5) – L’effetto di un guasto ad un dispositivo di sicurezza, manifestatosi ad es. con l’arresto automatico dell’impianto, il mancato superamento di un test, una segnalazione od altro, comporta l’obbligo, in conformità al Reg. di Esercizio, di risalire alla causa che lo ha determinato.

Qualora l’Esercente abbia il dubbio che si tratti di un guasto sistematico, è naturalmente tenuto ad avvisare il Costruttore del dispositivo, al fine di porlo nelle condizioni di determinare se lo sia effettivamente e, in tali ipotesi, di porvi rimedio.

6) – La definizione di guasto (singolo) comprende sia il guasto originario («PRIMO GUASTO») sia i guasti susseguenti eventualmente insorgenti in seguito come conseguenza diretta del guasto originario stesso. Guasti derivanti da cause di guasto indipendenti sono invece considerati guasti distinti ed indipendenti.

Talora, il guasto originario è in effetti una causa di guasto. A titolo di esempio, uno scostamento rilevante della tensione di alimentazione per eccesso, tale da provocare un corto circuito su un diodo di ingresso, costituisce una causa di guasto dovuta ad eventi esterni che comporta l’insorgenza di un guasto interno al sistema (1.3.9).

1.3.7 GUASTO LATENTE

Si definisce latente ogni guasto che compaia in un sistema dopo l’ultima verifica di efficienza (test o prova) del sistema stesso e che non si renda immediatamente manifesto attraverso l’emissione automatica di un comando d’arresto o di una segnalazione d’allarme.

Di conseguenza, un guasto non è più considerabile latente a partire dall’istante in cui si rende manifesto, né dal momento in cui è eseguita la procedura di test sul sistema; ciò, anche qualora il test fallisse nel diagnosticarlo. A titolo di chiarimento, nell’àmbito di un dispositivo di sicurezza i guasti singoli rimasti latenti sono considerati contemporanei tra loro e al primo guasto che risulti diagnosticato immediatamente alla sua comparsa oppure al primo test del dispositivo stesso. Il legame di contemporaneità tra guasti è quindi interrotto dalla rilevazione di uno di essi, ottenuta per informazione diretta oppure per risposta ad apposito test.

1.3.8 GUASTO PERICOLOSO

Un guasto ad un dispositivo di sicurezza è detto pericoloso quando, per effetto delle circostanze nelle quali si verifica, rende compromesso un dispositivo di sicurezza.

Si osserva che l’essere pericoloso non dipende dal guasto in quanto tale, ma dalle condizioni preesistenti del dispositivo colpito; il medesimo guasto è non pericoloso quando si verifica su un dispositivo di sicurezza efficiente (e lo degrada); diviene pericoloso quando, verificandosi su un dispositivo di sicurezza degradato, lo compromette.

1.3.9 GUASTI PREVISTI PER I COMPONENTI DELL’IMPIANTO ELETTRICO

I seguenti guasti casuali di natura elettrica od elettromeccanica sono da considerarsi guasti previsti per i componenti dell’impianto elettrico, secondo le specificazioni di seguito riportate.

1) – perdita o mancanza della tensione di alimentazione di un circuito;

2) – scostamento rilevante della tensione dal valore nominale;

3) – inversione di fase;

4) – interruzione della continuità di un conduttore;

5) – difetto di isolamento delle parti attive verso massa o verso terra (cfr. Norma CEI 64-8);

6) – corto circuito dei componenti elettrici od elettronici;

7) – interruzione dei componenti elettrici od elettronici;

8) – mancata attrazione o attrazione incompleta dell’equipaggio mobile di un contattore o di un relé;

9) – mancata caduta dell’equipaggio mobile di un contattore o di un relé;

10) – mancata chiusura di un contatto;

11) – mancata apertura di un contatto;

12) – scostamento delle grandezze caratteristiche di un componente elettrico od elettronico dal campo di tolleranza ammissibile per il corretto adempimento della sua funzione.

Il guasto di mancata apertura di un contatto, di cui al pt. 11, può non essere considerato tra i guasti previsti a condizione che l’elemento di commutazione sia del tipo ad azione positiva (3.1.11).

I guasti di cui al precedente elenco sono da considerarsi guasti previsti per tutti i componenti ed i circuiti dell’impianto, ad eccezione dei fusibili e degli interruttori automatici, per i quali – in ipotesi di corretto dimensionamento in relazione alle correnti di sovraccarico e di guasto e alle correnti di corto circuito – il guasto di mancata apertura, per mancata fusione o, rispettivamente, per mancato funzionamento delle protezioni magnetica, termica e differenziale o dello sganciatore di minima tensione, può non essere considerato.

I guasti considerati appartengono alla categoria 1 degli eventi rischiosi, di cui all’art. 1.2.20.

Per i guasti di cui ai pt. 1, 2 e 3, quando causati da alterazioni delle condizioni di alimentazione di una sorgente di energia dell’impianto (1.2.2), vanno inoltre considerate le prescrizioni di cui all’art. 1.3.10.

Nell’elenco che precede sono compresi, a rigore, modi di guasto (ingl. «failure modes»: effetti che rendono evidente il guasto; ad es. il corto circuito) e cause di guasto (ingl. «failure causes»: circostanze che hanno portato al guasto; ad es. la mancanza di tensione di alimentazione). In ogni caso, si è in presenza di un guasto, in quanto qualche parte dell’impianto ha perduto la sua funzionalità (è dunque passata dallo stato sano allo stato guasto). Si ricorda che, nella terminologia affidabilistica di lingua inglese, se la condizione finale di stato guasto («failure») è raggiungibile attraverso determinate combinazioni di guasti concomitanti, questi sono anche denominati «faults» (cfr. metodo di analisi ad albero dei guasti, ingl. «fault tree analysis»).

Per quanto riguarda il termine «previsto», si veda la nota dell’art. 1.3.1.

1.3.10 GUASTI ALLE SORGENTI DI ENERGIA

In relazione all’alterazione delle condizioni di alimentazione fornite da una sorgente di energia dell’impianto elettrico, esterna od interna al medesimo, si precisa quanto segue.

Gli eventi rischiosi di cui ai pt. 1, 2 e 3 dell’art. 1.3.9, quando derivanti dalla perdita della sorgente di energia in uso, sono da considerarsi guasti previsti solo fino alla conclusione dell’arresto dell’impianto, che dalla loro rilevazione deve immediatamente conseguire (1.3.13).

Lo stato (stazionario) di indisponibilità di una sorgente di energia, anche se esterna all’impianto, non va più riguardato come una condizione di guasto, ma solo come una condizione di servizio – irregolare in relazione a quella sorgente – e, se previsto, di esercizio.

Si precisa pertanto, al proposito, che il transitorio di perdita della rete, partendo da condizioni di funzionamento regolari, è riguardabile come primo guasto, ai sensi dell’art. 1.3.6. Compiuto che sia l’arresto conseguente, tuttavia, qualsiasi guasto previsto che compaia successivamente diviene, a sua volta, guasto originario.

1.3.11 GUASTI PREVISTI NEI CIRCUiTI AD ELETTRONICA COMPLESSA

Per i circuiti ad elettronica complessa (1.3.3), in aggiunta a quelli di cui all’art. 1.3.9, sono ritenuti peculiari, secondo il tipo di dispositivo, e quindi si considerano guasti previsti, i seguenti.

1) – DISPOSITIVI DI MEMORIZZAZIONE PERMANENTI. Perdita od alterazione di dati residenti in memorie permanenti ritenute soggette al rischio di perdita di dati sul lungo periodo (EPROM, EEPROM, ecc.) (2.2.8.1, pt. 1 e 2);

2) – DISPOSITIVI DI MEMORIZZAZIONE VOLATILI. Perdita od alterazione di dati allocati in memorie volatili (RAM, memorie di lavoro, ecc.) (2.2.8.1, pt. 3);

I programmi ed i dati di taratura relativi alle funzioni di sicurezza sono considerati maggiormente importanti ai fini della sicurezza. Stanti i guasti previsti citati, i dispositivi di memorizzazione relativi a tali tipi di dati devono essere sottoposti ai test di cui all’art. 2.2.8.1.

3) – DISPOSITIVI PROGRAMMABILI A FUNZIONAMENTO CICLICO. Rallentamento o blocco (con conseguente mancata ripetizione nel tempo corretto) nella scansione del programma ciclico di lavoro, dovuto ad avaria del generatore del segnale di sincronismo del dispositivo (clock) oppure a deviazioni rispetto alle sequenze di istruzioni corrette previste nell’elaborazione del programma, comprese quelle eventualmente conseguenti all’erroneo impiego degli «interrupt» (2.1.21.3).

Rientrano in tale categoria i dispositivi comunemente denominati «microprocessori».

4) – DISPOSITIVI PROGRAMMABILI A FUNZIONAMENTO NON CICLICO. Erronea o mancata configurazione iniziale di dispositivi che vengono riprogrammati automaticamente sul campo (ad es., ad ogni reinizializzazione del sistema), dovuta a d avaria dell’eventuale generatore del segnale di sincronismo della macchina o comunque di un elemento del circuito di inizializzazione.

Rientrano in tale categoria i dispositivi comunemente denominati «FPGA» (Field Programmable Gate Arrays) ed analoghi, che possono necessitare di una sincronizzazione in fase di precaricamento ma che una volta inizializzati costituiscono una rete combinatoria o sequenziale circuitalmente determinata e nei quali il software impiegato serve per la codifica circuitale ma non rappresenta in alcun modo istruzioni logiche da eseguire iterativamente secondo un programma ciclico.

1.3.12 RISCHIO ACCETTATO PER GUASTI A DISPOSITIVI DI SICUREZZA

La comparsa di due o più guasti latenti (1.3.7) nell’àmbito di uno stesso dispositivo di sicurezza può non essere considerata.

L’assunzione derivante dall’articolo è che il dispositivo di sicurezza deve essere concepito in maniera tale da sopportare gli effetti di almeno un guasto latente nell’intervallo compreso fra due test successivi. Il livello di sicurezza ottenuto è quindi legato alla validità della procedura di test, da cui qui si presume derivi la certezza di non avere guasti nell’istante immediatamente successivo alla conclusione di un test periodico; inoltre, alla frequenza con cui il test è iterato, che deve essere tale da rendere trascurabile la possibilità di incorrere in due guasti latenti; essa dovrebbe risultare proporzionale alla probabilità di accadimento del guasto.

1.3.13 REQUISITI DEI DISPOSITIVI DI SICUREZZA

Si dovrà assicurare, mediante progettazione, realizzazione, collaudo e manutenzione accurati, che un qualsiasi guasto previsto, di cui ai prec. art. 1.3.9 e 1.3.11, non sia pericoloso, ossia non possa arrivare a compromettere un dispositivo di sicurezza. Ciò implica che, qualora il guasto porti ad una degradazione del dispositivo (1.3.5, pt. 2), questa debba essere riconosciuta:

1) – immediatamente all’insorgere del guasto, ovvero, al più tardi,

2) – in occasione del successivo test o prova, qualora il guasto non si sia reso immediatamente manifesto (guasto latente) (1.3.7, 1.3.15, 2.2.1).

In particolare si richiede, tuttavia, che quando la perdita della tensione di alimentazione (guasto previsto di cui al pt. 1 dell’art. 1.3.9) viene ad interessare un circuito di un dispositivo di sicurezza, essa sia comunque da rilevare immediatamente al suo insorgere e pertanto comporti l’emissione subitanea di un opportuno comando d’arresto.

Il riconoscimento dello stato di degradazione di un dispositivo di sicurezza deve immediatamente comportare la caduta del consenso relativo, l’arresto dell’impianto e la segnalazione del dispositivo degradato. Ove possibile, devono ottenersi indicazioni che agevolino la diagnosi del guasto.

1.3.14 INTERVENTI INTEMPESTIVI DEI DISPOSITIVI DI SICUREZZA

Anche se la funzione primaria di un dispositivo di sicurezza è di intervenire in tutte le condizioni illecite previste, senza mai divenire compromesso, la sua attitudine a non intervenire in condizioni lecite, ossia ad evitare INTERVENTI INTEMPESTIVI, deve essere comunque perseguita, mediante opportuni criteri di progetto, costruzione e manutenzione.

Questo, non solo per ragioni di regolarità di esercizio ma anche di sicurezza, poiché un’elevata frequenza di interventi intempestivi potrebbe indurre il personale ad errori di interpretazione e a false manovre.

1.3.15 TEST PERIODICI

Affinché sia giustificato non considerare l’evenienza di due o più guasti latenti nei dispositivi di sicurezza, ossia affinché si possa ritenere sufficientemente probabile che la degradazione di un dispositivo sia resa manifesta prima che un secondo guasto lo renda compromesso, l’efficienza dei dispositivi di sicurezza deve essere verificata mediante test affidabili, opportunamente ravvicinati nel tempo e comunque eseguiti, quanto meno, nell’imminenza di ogni avviamento (2.2.1 e seg.).

1.3.16 MANUTENZIONE E PROVE PERIODICHE

La manutenzione e le prove periodiche effettuate sui dispositivi di sorveglianza (in particolare, sui sensori e sugli attuatori) vanno intese come test periodici a lunga scadenza e devono essere considerate fondamentali anche allo scopo di rilevare tempestivamente la possibile insorgenza di guasti non previsti (2.2.1 e seg.).

1.3.17 EMISSIONE DEI CONSENSI RIASSUNTIVI

Condizione necessaria per l’emissione dei consensi riassuntivi che autorizzano l’inizio o il mantenimento della marcia o di altra condizione di esercizio è che l’impianto si trovi, rispetto allo stato di servizio richiesto, in condizione lecita relativamente a tutti gli eventi rischiosi controllati dai dispositivi di sicurezza previsti per quello stato di servizio. Detti consensi saranno annullati non appena sopravvenga una qualsiasi condizione illecita. La trasmissione di ciascun consenso, sia esso riassuntivo o relativo ad una singola funzione, si farà in modo attivo, vale a dire con trasmissione continua di energia.

1.3.18 INTERVENTO DEI DISPOSITIVI DI SORVEGLIANZA

I dispositivi di sorveglianza devono essere realizzati in modo che la loro modalità di intervento, alla comparsa dell’evento rischioso sorvegliato, non possa essere alterata, ad es. a causa della memorizzazione del consenso oppure del permanere di un comando di ripristino.

1.3.19 IMMUNITÀ DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA

Le apparecchiature elettriche esterne al sistema di sorveglianza dell’impianto, ed in particolare quelle di potenza, non devono perturbare il funzionamento del sistema medesimo. Si devono adottare opportuni accorgimenti costruttivi atti a limitare i guasti eventualmente derivanti dagli effetti delle sovratensioni di rete e delle perturbazioni elettromagnetiche, ad es. derivanti dagli accoppiamenti induttivi e capacitivi.

1.3.20 CRITERI DI SICUREZZA PER CONDIZIONI DI SERVIZIO SPECIFICHE

Condizioni di funzionamento particolari richiedono l’adozione di specifici criteri di sicurezza, in parte indicati nelle presenti P.T.S. – I.E. Ciò avviene, ad es., in occasione di:

– parzializzazione od esclusione di uno o più dispositivi di sorveglianza (2.1.38);

– impiego degli azionamenti di recupero o di soccorso (2.4.18);

– corsa di manutenzione.

In ogni caso l’operatore, al fine di ottenere un livello di sicurezza sufficiente, dovrà attenersi alle disposizioni ricevute dal Direttore di esercizio e riportate nel Reg. di Esercizio nonché alle istruzioni riportate nel Manuale d’uso e manutenzione (4.2.2).

Parte 2

Criteri realizzativi.

2.1 APPLICAZIONE DEI PRINCÌPI FONDAMENTALI DI SICUREZZA

2.1.1 LIVELLO DI SICUREZZA IN RELAZIONE ALLE CONDIZIONI DI ESERCIZIO

1) – È definito LIVELLO DI SICUREZZA NORMALE quello fornito dalla presenza di CONDIZIONI DI ESERCIZIO NORMALI: queste sussistono se sono presenti simultaneamente i fattori di seguito definiti.

1.1) – STATO FUNZIONALE ED AMBIENTALE NORMALE. Lo stato funzionale ed ambientale è definito normale quando si mantiene entro il campo di ammissibilità prefissato in sede di progetto, avuto riguardo anche ai limiti di cui al cap. 3.2 delle presenti P.T.S. – I.E.

Si intende con questo che le prestazioni dell’impianto siano quelle normali di progetto, in relazione sia all’efficienza delle sue parti, sia all’ammissibilità delle condizioni ambientali (quali intensità del vento e temperatura) e di carico (compreso tra la marcia a vuoto ed i massimi carichi di esercizio previsti in salita ed in discesa). A titolo di esempio, un grado di carico inferiore al nominale rientra nel campo ammissibile; tale situazione, peraltro, non può essere considerata utile per compensare una riduzione del livello di sicurezza normale dovuta ad altre cause.

1.2) – MISURE TECNICHE NORMALI. Le misure tecniche sono definite normali quando i provvedimenti automatici posti in atto, al fine di ridurre i rischi, mediante i sistemi di sorveglianza e di frenatura dell’impianto sono disponibili e realizzati secondo quanto definito in sede di progetto per soddisfare i requisiti minimi disposti nelle presenti P.T.S. – I.E.

Come risulta dalle prescrizioni contenute negli art. succ., le misure tecniche normali sono in sostanza riconducibili, in relazione al sistema di sorveglianza, alla disponibilità di due vie indipendenti per ciascuna funzione di sicurezza e di una via per ciascuna funzione di protezione, nonché dei rispettivi test di disponibilità. Inoltre, tali funzioni devono risultare svolte, fra l’altro, da almeno una unità di elaborazione monofunzionale per ogni funzione di sicurezza e da almeno una unità di controllo a logica cablata (2.1.5, 2.1.9 e 2.1.11). In relazione al sistema di frenatura, le misure tecniche normali sono riconducibili alla capacità di quest’ultimo di adempiere alle tre missioni del sistema di frenatura (2.5.3) in presenza delle funzioni di controllo previste (2.5.12).

1.3) – MISURE ORGANIZZATIVE NORMALI. Le misure organizzate sono definite normali quando è svolta sull’impianto la vigilanza del personale addetto, con la cura e le modalità prescritte dalle vigenti Norme di Esercizio ed in particolare dal Reg. di Esercizio, in presenza dello stato funzionale ed ambientale normale e delle misure tecniche normali.

Tali provvedimenti riguardano ad es. la sorveglianza vigile delle diverse zone dell’impianto, la corretta esecuzione delle manovre manuali, ecc., secondo quanto previsto dalle Norme di Esercizio.

2) – Quando l’esercizio dell’impianto avviene con un livello di sicurezza non inferiore a quello normale di cui al pt. 1, si assume che ciascun rischio sia ridotto al valore accettabile, ossia che l’impianto sia esercito in modo sicuro (1.2.15). In tali ipotesi, l’impianto è esercibile al massimo livello di prestazione, ovverossia alla velocità nominale dell’azionamento in uso e, ove ricorra, impiegando il modo di comando automatico della velocità di marcia.

3) – Quando invece, durante il servizio, accade che uno o più dei fattori di cui ai pt. 1.1 ed 1.2, si modifichino in modo sfavorevole per la sicurezza rispetto al livello normale, si instaura una situazione che comporta l’aumento di alcuni rischi: in tal caso possono stabilirsi CONDIZIONI DI ESERCIZIO LIMITATE, per la cui effettuazione le misure organizzative di cui al pt. 1.3 devono modificarsi a favore della sicurezza e valgono comunque le due seguenti possibilità.

3.1) – L’esercizio può essere ripreso solo a condizione che i rischi siano ricondotti al valore accettabile, in modo da ottenere un livello di sicurezza equivalente a quello normale (2.1.39 e 2.8.10): a tal fine si devono applicare le misure organizzative adeguate al caso e comunque rispondenti alle prescrizioni di cui agli art. 2.1.38 e 2.1.39, secondo quanto dovrà essere previsto dal Reg. di Esercizio.

Ad es., la vigilanza del personale può compensare adeguatamente la perdita della misura tecnica data dalla sopravvenuta indisponibitità della sorveglianza di chiusura di un cancello d’imbarco in un impianto a va e vieni; la riduzione della velocità di marcia, in questo caso, ha il solo effetto di sollecitare il ripristino delle misure tecniche normali.

3.2) – Qualora il ripristino del livello di sicurezza equivalente a quello normale risulti inattuabile, pur adottandosi i provvedimenti possibili previsti (2.1.39 e 2.8.10), l’esercizio deve essere sospeso e la prosecuzione della marcia è consentita – se possibile – limitatamente al tempo richiesto per l’evacuazione della linea (2.8.11).

In talune condizioni, è possibile mantenere il ripristino del livello di sicurezza normale soltanto per un periodo di tempo limitato. Ciò avviene in particolare quando le misure organizzative richieste risultano particolarmente pesanti e/o in caso di indisponibilità di taluni test automatici. In tal caso, la prosecuzione dell’esercizio sarà comunque ammissibile solo per un periodo di tempo limitato.

PEGGIORAMENTO DELLO STATO FUNZIONALE ED AMBIENTALE RISPETTO A QUELLO NORMALE. Non è ammesso che alcuna condizione, relativa allo stato funzionale ed ambientale, sia considerata «migliore» rispetto a quelle definite normali, a titolo compensativo di altre che siano peggiorate; al proposito, si veda la nota di cui al pt. 1.1 del pres. art. Esempi di peggioramento di questo fattore, rispetto a quello normale, sono i seguenti:

– l’intensità del vento supera una soglia di allarme; l’aumento del rischio è compensabile adottando le misure organizzative consistenti nella riduzione della velocità e nella maggiore e specifica attenzione del personale nei confronti dell’assetto delle funi e dei veicoli;

– l’intensità del vento supera una soglia di massima; l’aumento del rischio, nonostante l’adozione dei provvedimenti citati, non può essere compensato e si deve ricorrere all’evacuazione della linea;

– la pedana mobile d’imbarco è indisponibile; l’aumento del rischio è compensabile con una riduzione della velocità e con altri provvedimenti organizzativi.

PEGGIORAMENTO DELLE MISURE TECNICHE RISPETTO A QUELLE NORMALI. Esempi di peggioramento delle misure tecniche, rispetto a quelle normali, sono dati da condizioni di guasto (degradazioni e/o compromissioni di dispositivi di sorveglianza) che comportano la parzializzazione o l’esclusione di una o più funzioni di sorveglianza o dei relativi test; altri esempi sono dati dall’indisponibilità di una o più azioni frenanti nonché di uno o più canali delle funzioni di controllo del sistema di frenatura.

VARIAZIONE DELLE MISURE ORGANIZZATIVE RISPETTO A QUELLE NORMALI. Non viene contemplata la possibilità che, durante il normale esercizio, le misure organizzative scadano a livello inferiore rispetto a quello normale, non essendo fra l’altro ritenuto possibile compensarne il peggioramento mediante azione su altri fattori. Le misure organizzative necessarie per operazioni fuori esercizio (corse di manutenzione o di prova, ecc.) saranno contemplate nel Manuale d’uso e manutenzione dell’impianto.

4) – Anche se le misure tecniche disponibili sono superiori a quelle normali, tale situazione non è di regola contemplata quale strumento per compensare il peggioramento delle condizioni di esercizio, se non in casi specifici opportunamente motivati in sede di progetto.

Ad es., una funzione di sicurezza di cui è prescritta la realizzazione a canale duplice può essere realizzata di fatto con tre canali; tale situazione tuttavia non serve quale strumento di compensazione di altri fattori.

Tuttavia, una qualsiasi riduzione delle misure tecniche, rispetto a quelle originariamente presenti ad impianto integro, ancorché consentano un livello di sicurezza non inferiore a quello normale, deve comunque comportare idonei provvedimenti di ripristino delle condizioni originarie.

5) – La riduzione della velocità di marcia costituisce provvedimento organizzativo obbligatorio, ai fini del prec. pt. 3, in quanto si ritiene possa comunque contribuire alla riduzione dei rischi, anche se in misura limitata o per via indiretta (2.1.39).

Ad es, la perdita di un azione frenante comporterà, di regola, una riduzione della velocità di marcia, tale da ricondurre lo spazio d’arresto entro i valori previsti.

2.1.2 SISTEMI DI SORVEGLIANZA DI STAZIONE E DI VEICOLO

Di regola, il sistema di sorveglianza di impianto è ripartito in più sottosistemi locali, ciascuno contenente i relativi dispositivi di sorveglianza, e precisamente:

i) – un sistema di sorveglianza di stazione per ciascuna stazione ed

ii) – un sistema di sorveglianza di veicolo per ciascun veicolo.

Si distingueranno pertanto il sistema di sorveglianza di stazione motrice, quello della stazione di rinvio e quello di ogni eventuale stazione intermedia, nonché quelli di ciascun veicolo.

I sistemi di sorveglianza delle stazioni diverse dalla motrice e quelli dei veicoli (2.1.15) trasmettono i comandi agli attuatori della marcia e dell’arresto (siti nella stazione motrice) non direttamente alle relative catene finali, ma per il tramite della teletrasmissione di sicurezza (2.1.16) e del sistema di sorveglianza di stazione motrice.

Comunque, nelle stazioni e/o nei veicoli in cui sia esiguo il numero di dispositivi di sorveglianza ivi richiesti e non vi sia necessità di comandare tipi di arresto diversi, non viene individuato un sistema di sorveglianza locale, limitandosi a considerare tali dispositivi come un’estensione del sistema di sorveglianza della stazione motrice.

In genere, quest’ultima situazione si configura nel caso delle stazioni di rinvio od intermedie di impianti a va e vieni od unidirezionali a collegamento permanente dei veicoli.

Le prescrizioni seguenti, relative al sistema di sorveglianza dell’impianto, si applicano, secondo le indicazioni di volta in volta specificate, ad alcuni o a tutti i sistemi di sorveglianza sopra definiti.

2.1.3 REQUISITI DI UN SISTEMA DI SORVEGLIANZA

1) – Ciascun sistema di sorveglianza (di stazione o di veicolo) deve essere realizzato in modo che tutte le funzioni di sicurezza e di protezione richieste dalle P.T.S. – I.E. presenti (cfr. cap. 2.4), relative ai singoli tipi di impianto, nonché quelle ulteriori eventualmente previste dal Progettista, siano sviluppate secondo i princìpi fondamentali di sicurezza (cfr. cap. 1.3) e secondo i criteri applicativi specificati nel presente capitolo. In particolare, in base agli art. 1.3.2.1, 1.3.2.2, 2.1.6 e 2.1.8, dovrà essere presente un dispositivo di sicurezza per lo svolgimento di ciascuna funzione di sicurezza ed un dispositivo di protezione per lo svolgimento di ciascuna funzione di protezione.

Relativamente alle funzioni di sicurezza, ciò si traduce nel fatto che a ciascuna famiglia prevista di funzioni deve corrispondere almeno una coppia di unità di elaborazione indipendenti fra loro (principio della ridondanza), periodicamente testate secondo quanto stabilito nei rispettivi art.; resta fermo il fatto che, se e solo se non viene fatto uso di elettronica complessa, è data facoltà di impiegare una sola unità di elaborazione, sottoposta a test, purché sia dimostrato e documentato che il livello di sicurezza così ottenibile non è in alcun caso inferiore a quello derivante dall’applicazione del metodo della ridondanza accompagnata dal test periodico (2.1.8).

2) – L’integrazione dei molteplici dispositivi di sorveglianza nel sistema di sorveglianza dell’impianto deve garantire comunque il rispetto dei requisiti per essi richiesti nell’art. 1.3.13.

A tal fine, in occasione di ciascun guasto previsto al sistema di sorveglianza (1.3.9 e 1.3.11), che colpisca un canale (2.1.6) di un qualsiasi dispositivo di sorveglianza (di sicurezza o di protezione), determinandone il malfunzionamento, il sistema nel suo complesso dovrà reagire in modo da far rimanere sempre disponibile almeno un canale per ciascuna delle funzioni di sicurezza, oppure in modo da comandare immediatamente l’arresto dell’impianto.

Tale comportamento è ottenibile solo a condizione che ogni canale di ciascun dispositivo di sorveglianza (sia di sicurezza che di protezione) sia indipendente da almeno un canale di tutti i dispositivi di sicurezza presenti nel sistema di sorveglianza. Ad es., il guasto del canale «massima coppia 1» dovrà, quanto meno, non avere ripercussioni sulla funzionalità dei canali «massima coppia 2», «massima velocità 2», ecc.

3) – I criteri di ripartizione fra i diversi elementi hardware (2.1.9) delle funzioni proprie del sistema di sorveglianza e di quelle ad esso estranee (comando e regolazione) devono essere improntati al principio generale di separazione ed indipendenza tra sistemi «controllati» e sistemi «controllanti».

Per i requisiti applicativi che consentono di impiegare un elemento hardware del sistema di sorveglianza anche per svolgere funzioni attinenti la regolazione, facendo salvo ogni criterio di sicurezza, si veda l’art. 2.1.17.

2.1.4 OPERAZIONI FONDAMENTALI DI UN DISPOSITIVO DI SORVEGLIANZA

L’attività esplicata da un dispositivo di sorveglianza è in generale costituita dalla sequenza delle seguenti operazioni fondamentali, le prime quattro delle quali svolte per ciascuna singola funzione e l’ultima a scopo riassuntivo.

i) – RILEVAMENTO. Rilevamento sul campo di grandezze fisiche, stati e sequenze, per l’ottenimento, tramite i sensori di campo, dei relativi segnali elettrici (SEGNALI DI CAMPO) che li rappresentano, allo scopo di disporre di un’osservazione sullo stato istantaneo dell’impianto.

ii) – CONDIZIONAMENTO. Condizionamento dei segnali di campo, per il necessario adattamento delle caratteristiche elettriche dei segnali stessi e per la determinazione indiretta di grandezze derivate.

iii) – RICONOSCIMENTO. Riconoscimento dell’evento rischioso e conseguente emissione di un segnale di ESITO indicante l’avvenuta comparsa o meno dell’evento stesso (segnale di PRESENZA / ASSENZA EVENTO).

iv) – VALIDAZIONE. Validazione dell’esito dell’attività di riconoscimento in cui, sulla base del segnale di presenza / assenza evento fornito dallo stadio precedente e delle condizioni di esercizio in atto, viene emesso un segnale di «CONSENSO / INTERVENTO» (1.3.2, 1.3.2.1 e 1.3.2.2); esso indica se, in quelle condizioni di esercizio, il segnale di presenza / assenza evento corrisponde ad una situazione lecita od illecita per l’impianto (1.3.4), relativamente all’evento rischioso sorvegliato, e richiede l’azione conseguente (prosecuzione della marcia o opportuna azione frenante) prevista in tale circostanza.

Esempi di condizioni di esercizio sono:

– stati della sequenza di marcia (impianto fermo, test, avviamento, marcia);

– configurazione elettrica e meccanica;

– modalità di esercizio (comando manuale o automatico, portate diverse, ecc.);

– parzializzazioni ed esclusioni.

v) – RIASSUNTO. Riassunto dei segnali di consenso / intervento, al fine di inviare alle catene finali gli opportuni comandi per ottenere le azioni frenanti richieste.

In aggiunta alle funzioni descritte il sistema di sorveglianza ne comprende alcune accessorie, quali quelle di esecuzione dei test interni e di segnalazione al sistema informativo – e quindi all’operatore – delle modificazioni insorte nello stato dell’impianto.

Sulla scorta di tali considerazioni, l’attività di un sistema di sorveglianza di stazione risulta convenientemente rappresentabile mediante uno schema a blocchi costituito da elementi tel tipo classificato negli art. succ. (2.1.5), connessi tra loro, una cui rappresentazione esemplificativa è riportata in allegato (cfr. all. n. 4, schema 4.1).

2.1.5 STRUTTURA DI UN DISPOSITIVO DI SORVEGLIANZA

La struttura di un dispositivo di sorveglianza risulta tale da individuare convenientemente, in riferimento al prec. art. 2.1.4, gli elementi di seguitò descritti. A tali entità non deve, a priori, essere attribuita corrispondenza diretta con oggetti fisici, ma solamente con elementi di uno schema a blocchi; nei casi in cui, tuttavia, esista un oggetto (elemento hardware, cfr. art. 2.1.9) avente confini fisici coincidenti con quelli di uno degli elementi in questione – e pertanto svolgente tutte e sole le funzioni di questo -, allora esso sarà individuato col medesimo nome. Una schematizzazione di tali elementi, posti in relazione con le operazioni fondamentali di cui all’art. 2.1.4, è riportata in allegato (cfr. all. n. 4, schema 4.1).

1) – SENSORI. Costituiscono gli elementi con cui viene svolto il rilevamento sul campo di grandezze fisiche, stati e sequenze, ed eventualmente il loro condizionamento (2.1.4).

I sensori sono trattati in dettaglio negli art. 2.1.26 e seg.; in generale essi sono suddivisibili in sensori binari, geometrici e no, ed in trasduttori; inoltre, dei sensori geometrici fanno parte anche i pulsanti di comando e, pertanto, i pulsanti d’arresto sono compresi tra i sensori del sistema di sorveglianza.

2) – UNITÀ DI ELABORAZIONE. Si denomina unità di elaborazione ciascun elemento che realizza il riconoscimento di un evento rischioso relativo ad una singola sorveglianza o, al più, degli eventi rischiosi relativi ad una stessa famiglia di funzioni, comunque correlati dall’osservazione della stessa grandezza fisica (1.2.22). Essa può eventualmente svolgere, in tutto od in parte, il condizionamento dei segnali di campo; la sua attività può limitarsi a quanto descritto, ed in tal caso essa fornirà in uscita un segnale di presenza / assenza evento, oppure potrà comprendere, almeno in parte, anche la validazione dell’esito dell’attività di riconoscimento (2.1.4), ed allora essa fornirà in uscita un segnale di consenso / intervento.

Relativamente alle funzioni di sicurezza realizzate mediante duplicazione, va precisato che una unità di elaborazione dovrà essere compresa in ciascuno dei canali indipendenti (2.1.6) che realizzano la funzione.

Qualora il segnale emesso da un sensore costituisca già segnale di presenza / assenza evento, l’unità di elaborazione viene formalmente a coincidere con il sensore medesimo.

3) – UNITÀ DI CONTROLLO. Si denomina unità di controllo ciascun elemento di un sistema di sorveglianza che svolge il riassunto dei segnali di consenso / intervento (2.1.4), esaminando e sintetizzando, in modo autonomo e completo, tramite una logica combinatoria, del tipo realizzabile ad es. mediante catene di relé, i diversi esiti delle funzioni di sorveglianza (2.1.12).

Una unità di controllo può, secondo il caso, limitarsi a svolgere l’attività di riassunto dei segnali di consenso / intervento (2.1.4) già elaborati nelle unità di elaborazione, oppure può comprendere completamente, o condividere in ripartizione con le unità di elaborazione stesse, la validazione degli esiti dell’attività di riconoscimento, fornendo comunque i segnali di consenso / intervento.

I segnali di uscita delle unità di controllo di stazione motrice sono costituiti dallo stato dei contatti dei relé finali delle medesime unità; essi agiranno sugli attuatori della marcia e dell’arresto tramite le catene finali; i sistemi di sorveglianza delle altre stazioni agiranno sui citati attuatori per il tramite della teletrasmissione di sicurezza (1.2.23.1) e del sistema di sorveglianza di stazione motrice.

La caratteristica importante che definisce una unità di controllo può descriversi come segue. Dato che, se «n» diverse sorveglianze comportano l’emissione di un comando d’arresto, non per questo esistono «n» attuatori indipendenti del comando medesimo, deve esistere un punto in cui i segnali logici di uscita delle «n» sorveglianze vengono riassunti con un’operazione di AND logico e da «n» ingressi si perviene ad un’unica uscita (o ad un numero molto limitato di uscite); l’unità di controllo è l’elemento, od insieme di elementi, che realizza questo passaggio.

4) – CATENE FINALI. Il sistema di sorveglianza comprende necessariamente, quali vettori dei comandi per gli attuatori di marcia e di arresto (azionamento e freni), le catene finali di cui all’art. 1.2.48. Esse saranno più d’una, anche in relazione al fatto che l’impianto prevede, in generale, diverse azioni frenanti.

I relé relativi alle catene finali devono ottemperare al pt. 2.2 dell’art. 3.1.11.

2.1.6 CANALI DI UN DISPOSITIVO DI SORVEGLIANZA

Si denomina canale di un dispositivo di sorveglianza ogni insieme di elementi di uno schema a blocchi collegati in cascata costituito da quegli elementi necessari a svolgere, una volta, l’intera sequenza delle operazioni fondamentali di una funzione di sorveglianza.

In base alla classificazione introdotta nel prec. art. 2.1.4, un canale comprende quindi gli elementi che, per una funzione di sorveglianza, realizzano una volta, in sequenza, le operazioni di rilevamento, di condizionamento, di riconoscimento, di validazione e di riassunto dei segnali.

I circuiti ed i relativi componenti che realizzano fisicamente i citati elementi, il cui insieme costituisce un canale, consentiranno l’individuazione di uno o più elementi hardware (2.1.9); pertanto, a priori, tali circuiti possono appartenere simultaneamente a più dispositivi di sorveglianza ed anche a più canali dello stesso dispositivo. Prescrizioni date successivamente stabiliranno, laddove ritenuto necessario, le limitazioni a tale indicazione generale derivanti da esigenze di indipendenza e di separazione.

Evidentemente ad es., per le definizioni date, le unità di controllo apparterranno in ogni caso a canali di più funzioni di sorveglianza.

DISPOSITIVI DI SORVEGLIANZA A PIU’ CANALI. Un dispositivo di sicurezza (1.3.2.1) realizzato secondo il criterio della ridondanza (1.2.11) risulterà composto, in base alla definizione data, da almeno due canali; questi, inoltre, nell’àmbito di una medesima funzione di sicurezza e fatte salve eccezioni esplicitamente specificate (generalmente inerenti i sensori di campo di tipo binario geometrico. (2.1.27), ed i dispositivi di rilevamento della forza di serraggio delle molle), dovranno risultare realizzati mediante dispositivi e circuiti distinti ed indipendenti (2.1.7).

Naturalmente, quei particolari componenti dei dispositivi di sicurezza (come taluni precisati sensori di campo e condizionatori di segnale) che non sono duplicati vengono ad appartenere ad entrambi i canali e quindi un loro guasto risulta di modo comune per i due canali del dispositivo (2.1.7).

DISPOSITIVI DI SORVEGLIANZA A CANALE UNICO. Un dispositivo di sicurezza (1.3.2.1) o di protezione (1.3.2.2) realizzato senza impiegare il criterio della ridondanza risulterà composto da un unico canale, con esso coincidente.

2.1.7 INDIPENDENZA FRA CANALI

1) – Due canali di dispositivi di sorveglianza si definiscono indipendenti tra loro, dal punto di vista della sicurezza, se ciascun guasto previsto (1.3.9 e 1.3.11) che si presenti all’interno di uno di essi non può alterare in alcun modo l’esecuzione delle operazioni inerenti la sicurezza nell’altro canale.

La definizione di indipendenza è data sia tra canali di uno stesso dispositivo sia tra canali appartenenti a dispositivi diversi.

2) – Qualora sia ammesso che due canali posseggano elementi in comune (ad es., sensori binari geometrici o alimentazioni), essi sono ancora considerati indipendenti, dal punto di vista della sicurezza, se ciascun guasto previsto che si presenti in una delle parti in comune determina in ogni caso l’intervento di entrambi i canali e quindi l’arresto dell’impianto.

Un dispositivo di sorveglianza ha quindi tanti canali quante sono le vie distinte che si possono individuare per lo svolgimento della funzione; ha tanti canali indipendenti quante sono le vie individuabili che risultino totalmente separate tra loro oppure che, avendo tratti in comune, ottemperino al pt. 2 del pres. art.

2.1.8 TIPOLOGIE COSTRUTTIVE DEI DISPOSITIVI DI SICUREZZA

1) – DISPOSITIVI NON IMPIEGANTI CIRCUITI AD ELETTRONICA COMPLESSA. Condizione sufficiente affinché un dispositivo di sicurezza che non impiega circuiti ad elettronica complessa (1.3.3) soddisfi ai requisiti specificati negli art. 1.3.12 e 1.3.13, e quindi all’art. 2.1.3, è che esso sia realizzato in ridondanza attiva mediante due canali indipendenti (2.1.7) e che la disponibilità di ciascun canale sia periodicamente riconosciuta con una procedura di test affidabile (TEST DI DISPONIBILITÀ) .

L’impiego della ridondanza attiva è richiesto perché la ritondanza in attesa necessita del test continuo di disponibilità dell’unica unità normalmente operativa, e tale metodo non è ritenuto adeguato per le funzioni in esame.

Uno schema esemplificativo di sistema di sorveglianza nel quale è rappresentato un dispositivo di sorveglianza realizzato mediante due canali è riportato in allegato (cfr. all. n. 4, schema 4.2).

Qualora si intenda adottare soluzioni realizzative diverse da quella descritta, è tuttavia onere del Progettista dimostrare e documentare che tali soluzioni possiedono caratteristiche di sicurezza, particolarmente nei confronti dei guasti previsti e dei guasti latenti, non inferiori a quelle ottenibili con l’applicazione dei suddetti princìpi.

2) – DISPOSITIVI IMPIEGANTI CIRCUITI AD ELETTRONICA COMPLESSA. Qualora un dispositivo di sicurezza impieghi circuiti ad elettronica complessa (1.3.3) per eseguire una o più delle operazioni fondamentali di cui all’art. 2.1.4, è obbligatoria la modalità realizzativa in ridondanza attiva, mediante due canali indipendenti (2.1.7), accompagnata da una procedura di test affidabile (TEST DI DISPONIBILITÀ).

La condizione di cui al pt. 1 è quindi considerata in questo caso non solo sufficiente, ma anche necessaria; si veda, al proposito, l’art. 12.3.5 della Norma CEI – EN 60204-1, nella quale è sancito il principio secondo cui, allo stato attuale della tecnica, non appare opportuno basarsi, nelle applicazioni connesse con la sicurezza, su un singolo canale del tipo ad elettronica complessa.

2.1.9 ELEMENTI HARDWARE DI UN SISTEMA DI SORVEGLIANZA

Si definisce elemento hardware di un sistema di sorveglianza un oggetto o gruppo di oggetti caratterizzato da confini fisici propri, asportabile previo distacco delle connessioni di interfaccia, sostituibile tramite ricambio ed in grado di svolgere autonomamente una o più operazioni fondamentali nella sequenza prevista (2.1.4). La logica ed i parametri di funzionamento per tutte le configurazioni di esercizio devono risiedere completamente e stabilmente nell’elemento hardware stesso.

I canali dei dispositivi del sistema di sorveglianza sono quindi suddivisibili fisicamente in più elementi hardware in cascata, ciascuno dei quali invia al successivo, mediante linee fisiche di trasmissione, soltanto i risultati delle operazioni eseguite.

Di regola, le predette connessioni comprendono, oltre ai conduttori di alimentazione, di massa e di protezione, segnali provenienti dai sensori di campo, segnali di esito, segnali indicanti la condizione di esercizio, comandi di parzializzazione o di test, comandi relativi alla marcia o all’arresto dell’impianto e segnali per il sistema informativo.

Gli elementi hardware vengono suddivisi in due categorie:

i) – ELEMENTI HARDWARE MONOFUNZIONALI: elementi che eseguono operazioni fondamentali riguardanti una sola funzione o famiglia di funzioni di sorveglianza;

ii) – ELEMENTI HARDWARE POLIFUNZIONALI: elementi che eseguono operazioni fondamentali relative a più funzioni di sorveglianza, appartenenti a famiglie diverse.

In base a tale classificazione, risultano in ogni caso polifunzionali gli elementi che realizzano ciascuna unità di controllo.

2.1.10 CONFINI FISICI DELLE UNITÀ DI ELABORAZIONE

1) – In un sistema di sorveglianza, per ciascuna funzione di sicurezza o, al più, per ciascuna famiglia di funzioni di sicurezza, deve esistere una unità di elaborazione realizzata da uno o più elementi hardware monofunzionali, ossia dedicati esclusivamente a tale funzione: detti elementi hardware costituiscono una UNITÀ DI ELABORAZIONE DISCRETA.

Perciò, gli elementi hardware di un’unità di elaborazione discreta relativa ad una funzione o famiglia di funzioni non devono partecipare ad alcuna operazione fondamentale relativa ad altre famiglie, né interferirvi. Ciò, in base al principio di voler limitare massimamente l’estensione delle conseguenze di un guasto, occorrente in un canale relativo ad una funzione, a canali relativi ad altre funzioni.

Inoltre, in coerenza con quanto stabilito nell’art. 2.1.12, almeno una unità di controllo a logica cablata deve ricevere i segnali dalle unità di elaborazione discrete.

2) – Per ciascuna funzione o famiglia di funzioni di sicurezza realizzata con unità di elaborazione ridondate, almeno una di queste deve, ai sensi del pt. 1 del pres. art., essere discreta; le rimanenti unità, invece, possono essere discrete oppure impiegare elementi hardware polifunzionali, ossia che partecipano a più famiglie; in tal caso, ogni siffatto elemento hardware si dirà UNITÀ DI ELABORAZIONE INTEGRATA.

Inoltre, tali elementi hardware possono anche svolgere, in tutto o in parte, il compito di una unità di controllo; in tal caso, le unità di elaborazione delle funzioni di sicurezza e l’unità di controllo si diranno realizzate mediante UNITÀ DI SORVEGLIANZA INTEGRATA, ferma rimanendo sempre l’indipendenza reciproca delle unità di elaborazione e di controllo relative alle funzioni duplicate.

2.1.11 UNITÀ DI CONTROLLO A LOGICA CABLATA E A LOGICA STATICA

UNITÀ DI CONTROLLO A LOGICA CABLATA. Una unità di controllo si definisce a logica cablata quando svolge l’operazione di riassunto ed eventualmente quella di validazione mediante circuiti elettromeccanici (1.3.3); circuiti elettronici semplici sono impiegabili soltanto per ottenere la trasmissione dinamica dei consensi (USCITE MODULATE). Le unità di controllo a logica cablata non possono impiegare circuiti ad elettronica complessa per operazioni inerenti la sicurezza, ma solo per compiti ausiliari, quali quelli di segnalazione e memorizzazione degli interventi, senza interferire con le operazioni fondamentali.

UNITÀ DI CONTROLLO A LOGICA STATICA. Una unità di controllo si definisce a logica statica quando svolge l’operazione di riassunto ed eventualmente quella di validazione almeno in parte mediante circuiti elettronici, ad elettronica semplice e/o complessa (1.3.3).

2.1.12 ORGANIZZAZIONE MINIMA DELLE UNITÀ DI CONTROLLO

1) – Ai fini della sicurezza, in ciascun sistema di sorveglianza di stazione devono essere presenti non meno di due unità di controllo indipendenti (2.1.7) ed almeno una di esse deve essere del tipo a logica cablata.

Nel caso della logica cablata, l’architettura del sistema e l’esperienza nella gestione rendono agevole la diagnosi dei guasti e la loro riparazione; inoltre, un’unità di controllo a logica cablata verosimilmente non deve mai essere esclusa in blocco, perché è in sostanza costituita da una sequenza di contatti, facili e convenienti da parzializzare individualmente. Invece, ancorché la probabilità sia assai ridotta, non si può fare a meno di assumere che un’unità a logica statica possa entrare in avaria completamente, e si deve quindi prevedere di doverla escludere in toto.

Uno schema esemplificativo di sistema di sorveglianza nel quale le unità di controllo sono realizzate mediante due sistemi a logica cablata è riportato in allegato (cfr. all. n. 4, schema 4.2).

Uno schema esemplificativo di sistema di sorveglianza nel quale le unità di controllo sono realizzate mediante sistemi in parte a logica cablata ed in parte a logica statica è riportato in allegato (cfr. all. n. 4, schema 4.3).

2) – Il sistema di sorveglianza dell’impianto deve realizzare processi di decisione nell’emissione dei comandi d’arresto basati sul criterio secondo cui l’intervento di anche una sola delle unità di controllo deve costituire condizione sufficiente per comandare l’arresto dell’impianto secondo il tipo di azione frenante chiamato da quell’unità.

In altri termini, il consenso di tutte le unità di controllo deve costituire condizione necessaria per consentire la prosecuzione della marcia nelle condizioni di esercizio normali.

3) – Le unità di elaborazione devono fornire alle unità di controllo i segnali di presenza / assenza evento o di consenso / intervento nel rispetto delle prescrizioni seguenti.

3.1) – Ciascuna unità di controllo deve ricevere i segnali di presenza / assenza evento o di intervento / consenso, emessi dalle unità di elaborazione o direttamente dai sensori, relativamente a ciascuna delle funzioni di sicurezza.

Ad es., ogni unità di controllo riceverà gli esiti delle unità di elaborazione ed i segnali provenienti direttamente da sensori di campo quali i pulsanti d’arresto, taluni microinterruttori, ecc. Essa riceverà inoltre quanti altri segnali siano necessari per l’espletamento dei compiti previsti.

3.2) – Per ogni funzione o famiglia di funzioni di sicurezza realizzata mediante unità di elaborazione duplicate, ciascuna unità di elaborazione deve far capo ad una diversa unità di controllo; per ogni funzione o famiglia di funzioni di sicurezza realizzata mediante unità di elaborazione non duplicata (ad es. nel caso dei segnali provenienti da sensori geometrici singoli quali microinterruttori e pulsanti), quest’ultima dovrà fornire i relativi segnali a ciascuna unità di controllo.

Ad es., se l’unità di elaborazione n. 1 fa capo all’unità di controllo A, allora l’unità di elaborazione n. 2 dovrà far capo, quanto meno, all’unità di controllo B; nulla vieta, ed è anzi consigliabile ai fini della regolarità dell’esercizio, che ciascuna unità di controllo riceva i segnali da ognuna delle unità di elaborazione, fatti salvi i criteri di indipendenza da mantenere fra i canali.

3.3) – In ogni caso, l’unità di controllo del tipo a logica cablata deve ricevere i segnali elaborati dalle unità di elaborazione prelevandoli, per ciascuna sorveglianza realizzata, da una qualsiasi delle stesse, purché si tratti di un’unità realizzata in modo discreto (2.1.10).

4) – Relativamente alle sole funzioni di protezione il cui intervento richieda l’arresto dell’impianto, è sufficiente che i segnali, provenienti direttamente dai sensori di campo oppure da unità di elaborazione, facciano capo ad una sola unità di controllo (non necessariamente la stessa per tutte), la quale può essere del tipo a logica statica o cablata. L’ottenimento per via indiretta del comando d’arresto, senza che il segnale di consenso / intervento della funzione di protezione sia portato effettivamente all’unità di controllo, è considerato ammissibile, a condizione che se ne ravvisi l’opportunità a beneficio della semplicità circuitale e che esista una idonea segnalazione, in grado di agevolare l’individuazione della causa che ha determinato il comando d’arresto.

Ad es., l’intervento dei fusibili dell’azionamento può, per maggior semplicità, produrre l’arresto dell’impianto tramite l’apertura del contattore di marcia.

5) – Il corretto funzionamento di ciascuna unità di controllo deve essere testato con periodicità opportuna; in particolare, relativamente ai guasti previsti (1.3.9 e 1.3.11), il corretto funzionamento delle unità dovrà risultare verificato applicando le procedure di test già previste per ciascuna funzione di sicurezza e di protezione, le quali procedure, come già specificato (2.2.2), debbono partire dalla simulazione dell’evento rischioso sorvegliato e giungere al riscontro della caduta dei relé finali. Nel caso di unità di controllo a logica statica, ulteriori test sono specificati negli appositi art. 2.2.8.1 e seg.

2.1.13 ORGANIZZAZIONE A TRE UNITÀ DI CONTROLLO

1) – Qualora, in conformità al comma 6 dell’art. 18 del Reg. Generale, particolari vincoli di regolarità di esercizio, derivanti da esigenze dell’utenza, rendano obbligatoria l’adozione dell’azionamento di riserva (1.2.32, 2.8.10 e 2.6.1), è fatto parimenti obbligo di adottare una terza unità di controllo in ridondanza attiva, la quale può essere del tipo a logica cablata oppure statica.

Si precisa che tale obbligo non ricorre quando l’azionamento di riserva è impiegato solo per libera scelta dell’Esercente.

Le prescrizioni seguenti, laddove applicabili, si intendono peraltro obbligatorie per ogni sistema a tre unità di controllo, ovverossia tanto nel caso in cui la sua adozione risulti obbligatoria ai sensi del pres. pt. quanto nel caso in cui derivi dalla libera scelta dell’Esercente.

2) – In ogni caso, in tutti i sistemi di sorveglianza nei quali si impiegano due unità di controllo a logica statica, oltre a quella cablata comunque presente, valgono le ulteriori condizioni seguenti.

2.1) – La struttura del sistema di sorveglianza deve essere tale che l’esclusione (completa) di una qualsiasi unità di controllo non comporti la degradazione di alcuna funzione di sicurezza né la perdita di alcuna funzione di protezione.

In condizioni normali, pertanto, tutte le tre unità di controllo saranno operative. L’indisponibilità di una unità di controllo deve portare il sistema di sorveglianza quanto meno alla configurazione minima richiesta negli impianti in cui l’azionamento di riserva non è obbligatorio.

Si osserva che, al fine di garantire che l’esclusione di una qualsiasi unità non comporti la perdita di funzioni di protezione, le unità di elaborazione di queste ultime dovranno in origine far capo ad almeno due unità di controllo. Naturalmente, l’organizzazione a tre unità di controllo lascia inalterato l’obbligo di ottemperare anche al prec. art. 2.1.12, il cui pt. 3.1, applicato nel presente caso, impone che tutte le tre unità di controllo ricevano un segnale di intervento / consenso per ciascuna delle funzioni di sicurezza.

2.2) – Ciascuna unità di controllo a logica statica deve ricevere in ingresso informazioni sullo stato dei relé finali dell’altra, utilizzando allo scopo contatti dei relativi relé. Tali informazioni debbono essere utilizzate da entrambe le unità al fine di reiterare lo stesso tipo di comando d’arresto ed eventualmente di rilevare la disparità di reazione alle sollecitazioni applicate alle unità medesime (controllo di parità reciproco), emettendo relativa segnalazione ed erogando comandi che pongano l’impianto in stato di sicurezza, in caso di disparità non fugace. Qualsiasi scambio di informazioni tra unità di controllo deve comunque avvenire garantendo l’assoluta indipendenza e l’asincronicità tra le unità di controllo stesse.

Si ritiene inopportuno prescrivere il confronto reciproco tra due unità di controllo a logica cablata oppure tra una a logica statica ed una a logica cablata perché la realizzazione pratica potrebbe comportare una complicazione tale da non poter assicurare l’incremento di affidabilità che si desidererebbe ottenere implementando tale confronto.

2.1.14 CONFINI FISICI DELLE UNITÀ DI CONTROLLO

1) – Gli elementi hardware che realizzano una unità di controllo a logica cablata devono essere dedicati in modo esclusivo a tale unità, svolgendo pertanto le sole funzioni di cui al pt. 3 dell’art. 2.1.5.

2) – Gli elementi hardware che realizzano una unità di controllo a logica statica possono invece concorrere a svolgere anche altre funzioni, oltre a quella di puro controllo; in questo caso, tuttavia, oltre a doversi garantire l’indipendenza dalle altre unità di controllo, le altre funzioni svolte dovranno essere inerenti il sistema di sorveglianza stesso o costituire funzioni di regolazione che non possano ridurre il livello di sicurezza di quest’ultimo (2.1.17).

Nel caso di sistemi impieganti elettronica complessa, in coerenza con quanto stabilito nell’art. 2.1.10, è ammesso, ad es., che un unico elemento hardware realizzi una unità di controllo e, per una o più funzioni di sorveglianza, una unità di elaborazione («UNITÀ DI SORVEGLIANZA INTEGRATA»).

2.1.15 SISTEMA DI SORVEGLIANZA DI VEICOLO

Qualora siano previste, per i veicoli dell’impianto, funzioni di sorveglianza dedicate che richiedono l’installazione a bordo degli elementi hardware che svolgono attività di riconoscimento e validazione (2.1.4), si configura, secondo quanto riportato nell’art. 2.3.11, un sistema di sorveglianza di veicolo. Il sistema di sorveglianza di veicolo deve rispondere ai seguenti requisiti.

1) – Deve essere alimentato localmente, come servizio di sicurezza (2.9.1), con un gruppo di alimentazione di sicurezza (2.9.2) dotato, in particolare, di batterie rispondenti alle prescrizioni di cui all’art. 2.9.9.

2) – Deve svolgere l’operazione di riassunto dei consensi delle sorveglianze di vettura, fornendo un consenso globale segnalato mediante apposita indicazione luminosa (2.3.11).

3) – Deve comprendere, nel riassunto dei consensi, quelli relativi al sistema di frenatura di veicolo, se presente, e quelli del circuito delle sicurezze di linea e del sistema di teletrasmissione di sicurezza.

4) – Deve disporre localmente delle seguenti misure e segnalazioni:

4.1) – tensione e corrente delle batterie;

4.2) – intensità della grandezza fisica di riferimento impiegata dal circuito delle sicurezze di linea (2.1.37, pt. 1.1) e dal sistema di teletrasmissione di sicurezza;

4.3) – consensi specifici relativi alle singole sorveglianze di vettura (porte, freni di vettura, se presenti, ed eventuale relativo circuito idraulico, ecc.);

4.4) – consensi specifici relativi al circuito delle sicurezze di linea.

2.1.16 TELETRASMISSIONE DI SICUREZZA

1) – I comandi d’arresto provenienti dalla stazione di rinvio, dalle eventuali stazioni intermedie ed eventualmente dai veicoli, nonché i comandi d’arresto emessi per l’intervento della funzione delle sicurezze di linea (2.1.37) devono essere trasmessi al sistema di sorveglianza della stazione motrice adottando criteri analoghi a quelli richiesti per le funzioni di sicurezza.

2) – Qualora debba essere inviato alla stazione motrice un solo tipo di comando d’arresto, si ammette che la trasmissione del medesimo sia ottenuta o facendo uso del citato circuito delle sicurezze di linea, oppure mediante circuiti e conduttori dedicati, oppure convogliando i segnali lungo le funi – se queste sono opportunamente isolate (ad es., nelle funivie bifuni) -, purché comunque tali diversi sistemi siano realizzati in modo da ottenere disponibilità non inferiore a quella ottenibile con i metodi descritti nell’art. 2.1.37.

3) – Qualora invece debbano essere inviati alla stazione motrice diversi tipi di comando d’arresto (ad es. per richiedere diversi valori di decelerazione o l’impiego di diverse azioni frenanti), allora dovrà esistere un sistema di teletrasmissione di sicurezza in grado di trasmettere tali comandi alla stazione motrice mediante conduttori dedicati, comunque realizzato secondo le caratteristiche dei dispositivi di sicurezza. Uno di tali comandi d’arresto potrà, anche in tal caso, essere teletrasmesso mediante il circuito delle sicurezze di linea.

4) – Negli impianti dotati di più conduttori di linea destinati alla teletrasmissione di sicurezza di più tipi di comandi d’arresto, il comando manuale d’arresto dalle stazioni diverse da quella motrice dev’essere trasmesso a quest’ultima tramite almeno due vie indipendenti aventi ciascuna i requisiti delle funzioni di sicurezza.

Nel caso sia necessario evacuare la linea riportando i veicoli o le vetture in stazione, in seguito all’esclusione del circuito delle sicurezze di linea, si ritiene comunque utile poter disporre dei comandi manuali d’arresto alla stazione di rinvio ed alle eventuali intermedie anche durante le operazioni di evacuazione.

Nelle funivie a va e vieni, la duplicazione della via di trasmissione del comando d’arresto è generalmente attuata mediante la fune di soccorso oppure quella telefonica; si osserva che in tali impianti l’unica via di trasmissione dei comandi d’arresto da vettura, alternativa al circuito di sicurezza, è rappresentata dalla radio ricetrasmittente fissa.

5) – Al fine di cautelarsi ragionevolmente nei confronti del guasto di corto circuito tra conduttori attivi, inerenti il sistema di teletrasmissione di sicurezza, devono essere adottati opportuni criteri atti a conseguire adeguata protezione meccanica a salvaguardia dell’isolamento; qualora la posa in opera sia interrata, dovrà prevedersi idonea ulteriore protezione meccanica.

Ove si rendano necessarie giunzioni in linea – ambiente non protetto, ai sensi dell’art. 3.1.10 -, le apparecchiature devono rispondere, relativamente al grado di protezione, ai requisiti esplicitati in tale art. e le connessioni devono essere effettuate secondo i criteri di cui all’art. 3.1.11, pt. 1.

I conduttori saranno idoneamente protetti, in ingresso alle stazioni, nei confronti delle sovratensioni di origine atmosferica, secondo quanto previsto dall’art. 3.1.4.

2.1.17 INTERAZIONE FRA ATTIVITÀ DI SORVEGLIANZA E DI REGOLAZIONE

1) – È ammesso che un elemento hardware (2.1.9), monofunzionale o polifunzionale, oltre a svolgere una o più delle operazioni fondamentali proprie di un dispositivo di sorveglianza, esplichi anche funzioni di regolazione, purché tale soluzione realizzativa non comporti una diminuzione del livello di sicurezza individuato dai requisiti di cui all’art. 2.1.3 e comunque a condizione che l’elemento medesimo appartenga ad un solo canale di un dispositivo realizzato secondo il criterio della ridondanza.

Il livello di sicurezza determinato dall’art. 2.1.3 comporta che un singolo guasto previsto che colpisca un elemento del sistema di sorveglianza non possa determinare la compromissione di una funzione di sicurezza, a meno di non riconoscere immediatamente questa circostanza comandando simultaneamente l’arresto dell’impianto; tale requisito non muta evidentemente validità se un elemento hardware del sistema di sorveglianza (unità di elaborazione o unità di controllo) partecipa anche a funzioni di regolazione. In tale ipotesi, quindi, qualsiasi guasto previsto potrà provocare al più la comparsa di un evento rischioso, per errore di regolazione o comando, e contestualmente la degradazione di una funzione di sicurezza che sorveglia quell’evento.

In particolare, qualora un segnale di campo voglia essere impiegato in funzioni sia di sicurezza che di regolazione, esso dovrà comunque essere rilevato mediante sensori duplicati (dello stesso tipo oppure basati su princìpi di funzionamento diversi) ed il segnale richiesto per la regolazione dovrà essere prelevato da uno soltanto dei sensori impiegati nel sistema di sorveglianza.

2) – Qualora un guasto previsto, che colpisca un generico elemento hardware del sistema di sorveglianza adibito anche a funzioni estranee a quest’ultimo, possa determinare la degradazione di una funzione di sicurezza ed anche, contestualmente, la comparsa di un evento rischioso sorvegliato dalla medesima funzione degradata, allora devono essere predisposti provvedimenti automatici atti a rilevare immediatamente la degradazione, non essendo ritenuto ammissibile attendere, per il riconoscimento, l’effettuazione del successivo test periodico. Tali provvedimenti dovranno consistere in un sistema di test continuo indipendente, tale da non risentire del guasto considerato, in grado di comandare l’arresto dell’impianto appena insorga la degradazione; la funzionalità di quest’ultimo sistema di test continuo deve essere a sua volta verificata mediante test automatico, eseguito almeno ad ogni avviamento.

A titolo di esempio, un’avaria che forzi a zero il segnale di uscita di una dinamo tachimetrica usata per la regolazione dell’azionamento di trazione può far conseguire un incremento indebito della velocità di marcia, ma anche la degradazione della funzione di sicurezza di sovravelocità elettrica.

A titolo di ulteriore esempio, un medesimo elemento hardware può realizzare l’elaborazione della curva della velocità di dazio ed anche dell’analoga curva del riferimento di velocità per il comando di rallentamento automatico, a condizione che la curva della velocità di dazio determinata istante per istante sia generata anche da un secondo canale indipendente e che esista un sistema di test continuo per confronto delle velocità di dazio (2.2.12.3) calcolate realizzato con un elemento hardware indipendente da quello che genera il riferimento di velocità. Tale sistema sarà a sua volta testato almeno ad ogni avviamento, simulando valori di spazio all’arrivo differenti.

Metodo possibile per la reciproca validazione dei segnali forniti dai due trasduttori e/o condizionatori consiste nella procedura di test per confronto, in ogni caso già richiesta per talune coppie di trasduttori, indipendentemente dal fatto che il segnale di uno di essi sia impiegato anche per funzioni di regolazione. Ciò si concretizza, in particolare, per i segnali di velocità fune e di velocità motore, di coppia (corrente), di velocità di dazio, di spazio all’arrivo; per quanto riguarda i dispositivi di tensione idraulica, nei quali la duplicazione dei trasduttori è di regola effettuata rilevando la pressione del fluido dinamico e la tensione meccanica dell’anello trattivo – grandezze il cui confronto reciproco non è ritenuto significativamente realizzabile – si ammette che l’esecuzione di un confronto a fascia ottenuto tramite pressostati sia sufficiente per validare la funzionalità del sistema.

2.1.18 IMPIEGO DI CIRCUITI ELETTROMECCANICI

Le prescrizioni seguenti vanno applicate a tutti i circuiti elettromeccanici impiegati in funzioni di sicurezza; esse costituiscono comunque regole di buona tecnica valide per la generalità delle applicazioni, e quindi anche per i circuiti elettromeccanici impiegati in funzioni di protezione.

1) – Per ridurre la possibilità che un guasto causi l’eccitazione non prevista di un relé o di un attuatore (ad es., di un’elettrovalvola), le relative bobine devono essere collegate direttamente ad un unico conduttore di zero, vincolato stabilmente a terra; ove sia necessario utilizzare tecniche diverse (ad es. per alcuni relé dinamici), queste devono consentire una protezione equivalente contro tale evenienza.

2) – Se la disalimentazione di un circuito oppure la diseccitazione di un relé possono provocare l’intervento di un freno con azione a scatto, esso deve essere alimentato dalla linea di alimentazione di sicurezza dedicata a quel freno.

3) – I consensi devono essere trasmessi ad altri relé ed attuatori mediante contatti normalmente aperti posti in serie alle loro catene di alimentazione, in modo da provocare gli interventi per l’annullamento della corrente di eccitazione conseguente all’apertura dei contatti. Di conseguenza, ogni stato di consenso deve corrispondere all’eccitazione del relativo relé, ed ogni intervento alla sua diseccitazione.

4) – Si deve evitare che le catene di relé mettano in contatto conduttori alimentati da linee di alimentazione di sicurezza diverse.

5) – Si deve evitare, salvo che ciò non sia strettamente necessario, di porre in parallelo ai contatti dei relé circuiti di segnali diversi (provenienti ad es. da led di segnalazione, ecc.), qualora sussista il pericolo che un guasto (ad es. il cortocircuito di un diodo) possa perturbare l’azione della catena.

6) – La disposizione circuitale dei relé e delle catene di contatti deve essere organizzata nella forma più semplice e lineare, in modo da evitare complicazioni nelle vie di propagazione dei comandi e consensi che possano dar luogo ad errori.

7) – Lo stato di ciascun relé deve essere segnalato almeno localmente per facilitare le operazioni di manutenzione e la diagnosi dei malfunzionamenti.

8) – I relé devono essere protetti contro gli effetti delle sovratensioni prodotte all’apertura del circuito di eccitazione.

9) – I comandi elettrici, manuali od automatici, che determinano l’arresto con l’azione a scatto del freno di emergenza, ove previsti, devono agire direttamente, ciascuno con due contatti, sulle catene finali che comandano i due attuatori dell’azione a scatto medesima (2.3.4.5). I comandi elettrici manuali devono essere realizzati mediante pulsanti a ritenuta meccanica, del tipo a fungo di colore rosso (2.7.11), e le superfici su cui sono montati devono essere, nell’intorno dei pulsanti stessi, di colore giallo.

Si veda, a tal proposito, l’art. 44. della Norma UNI EN 418. Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 3.1.11, i pulsanti d’arresto devono essere del tipo ad azione positiva.

10) – La tensione e la corrente che interessano i contatti elettromeccanici e le bobine dei relé avranno intensità sufficiente a garantire l’attitudine al funzionamento.

11) – Devono essere adottati opportuni criteri atti a conseguire adeguata protezione meccanica a salvaguardia dell’isolamento (2.1.27, pt. 2.2).

2.1.19 VELOCITÀ DEI DISPOSITIVI PROGRAMMABILI A FUNZIONAMENTO CICLICO

I circuiti ad elettronica complessa (1.3.3, pt. 3) impiegati per lo svolgimento di operazioni fondamentali di dispositivi di sicurezza in un sistema di sorveglianza, qualora caratterizzati da funzionamento secondo un programma ciclico (1.3.11, pt. 3), devono possedere tempo di ciclo (ossia periodo intercorrente tra due successivi passaggi per lo stesso punto del programma) definito e compatibile con le esigenze di sicurezza e quindi col tempo di reazione del sistema di sorveglianza (2.1.33).

Ad ogni ciclo di lavoro, ognuno di tali circuiti ad elettronica complessa deve esaminare tutti i segnali d’ingresso necessari alle operazioni fondamentali richieste, al fine di adattare lo stato delle uscite in funzione delle variazioni degli ingressi entro un lasso di tempo non superiore a due tempi di ciclo (tempo massimo di reazione del dispositivo).

2.1.20 WATCH-DOG DEI CIRCUITI A SCANSIONE CICLICA DI PROGRAMMA

A fini di salvaguardia nei confronti del guasto di rallentamento o blocco nella scansione del programma ciclico di lavoro (1.3.11), ciascun elemento hardware (2.1.9) impiegato per svolgere funzioni di sicurezza e facente uso di circuiti ad elettronica complessa a scansione ciclica di programma (2.1.19) deve essere equipaggiato mediante un dispositivo di protezione separato (WATCH-DOG), completamente indipendente dall’efficienza dei circuiti a scansione ciclica sorvegliati e dal loro temporizzatore (clock), in grado di eseguire la verifica del tempo massimo di ciclo e di comandare l’arresto mediante un relé dinamico (2.2.8.3 e 2.2.6).

In particolare, quindi, il riferimento temporale usato dal circuito di watch-dog come soglia per determinare il superamento del tempo massimo di ciclo non deve essere influenzabile dal circuito sorvegliato.

2.1.21 CICLO DI VITA DEL SOFTWARE

Il software deve essere costruito secondo riconosciuti criteri di buona tecnica, comprendenti un’adeguata organizzazione del cosiddetto «ciclo di vita». Quest’ultimo deve prevedere uno sviluppo per stadi definiti, così sintetizzabili:

– definizione dei requisiti (funzioni, interfacce, prestazioni, vincoli speciali, ecc.);

– progettazione preliminare (architettura e strutturazione del programma, identificazione di sottoblocchi software aventi funzionalità autonoma e descrivibile e dimensioni gestibili, ripartizione dei sottoblocchi in moduli individualmente testabili);

– scrittura dei codici, con relativi ricerca degli errori (debugging), test e documentazione;

– integrazione dei singoli moduli con relativi documentazione e test di compatibilità;

– riesame complessivo con verifica di soddisfacimento dei requisiti;

– manutenzione corretta (documentazione ed archiviazione di tutte le versioni (release) impiegate, fino a quella attuale, e manuale d’uso). I test vanno rieseguiti, dopo ogni modifica apportata, sia sul modulo modificato che su tutte le parti del programma con cui esso può interagire.

In particolare devono essere soddisfatte le prescrizioni contenute negli art. seg.

2.1.21.1 STRUTTURAZIONE DEL SOFTWARE

Il software (dati ed istruzioni di programma) deve essere strutturato, ossia deve ottenersi una suddivisione dei programmi in parti (BLOCCHI, SUBROUTINES) che possano essere testate individualmente in fase di correzione degli eventuali errori («debugging»), che abbiano ciascuna un unico punto d’ingresso, un punto di uscita normale e, in caso di bisogno, un punto di uscita per errore o guasto. I dati elaborati e le funzioni svolte da ciascuna parte devono essere chiaramente esplicitati nella relativa documentazione, evidenziando in modo ordinato le variabili scambiate fra le parti.

2.1.21.2 IMPIEGO DELLE ETICHETTE

Nella documentazione del software, ad ogni variabile di uso non strettamente locale deve essere attribuito un nome unico e significativo. Analogamente si deve procedere se, per individuare le locazioni di memoria, si fa uso di etichette (LABEL). Ciascuna locazione di memoria deve essere usata soltanto per un tipo di dati.

2.1.21.3 IMPIEGO DELLE ISTRUZIONI DI SALTO E DEGLI «INTERRUPT»

L’impiego delle istruzioni di salto, condizionato o incondizionato, è consentito, ma ne è raccomandata la massima limitazione e cautela d’uso. La sequenza di scansione del programma non deve dipendere da parametri variabili quali indirizzi di salto calcolati durante l’esecuzione.

L’impiego degli «interrupt» è consentito, ma ne è raccomandata la massima limitazione e cautela d’uso. Opportune cautele devono essere prese per evitare che percorsi logici illeciti possano innescarsi per qualche particolare istante di intervento degli «interrupt» e particolarmente per evitare che un interrupt possa ripresentarsi durante l’esecuzione del servizio da esso richiesto.

2.1.21.4 COLLAUDO DEL SOFTWARE

Il software deve essere sottoposto a collaudo, a cura del Costruttore, testando sia le singole parti separatamente sia i programmi assiemati, verificandone la risposta alle sollecitazioni logiche normali, estreme ed illecite. Deve essere redatta una lista delle prove effettuate (CHECK LIST), da allegare alla documentazione del software stesso.

2.1.21.5 DOCUMENTAZIONE DEL SOFTWARE

Deve essere redatta una documentazione che indichi le funzioni di sicurezza sviluppate e descriva le modalità impiegate per realizzarle, correlandole con i princìpi di sicurezza indicati nelle presenti P.T.S. – I.E. e con le relative specifiche, in modo che risultino evidenziati i limiti e le cautele d’uso. La documentazione deve risultare facilmente comprensibile, ricorrendo eventualmente a schemi a blocchi, diagrammi, flow-chart semplici. Deve essere inoltre disponibile la documentazione relativa al collaudo effettuato sui programmi.

2.1.21.6 INTEGRITÀ DEL SOFTWARE E DEI DATI CRITICI

Una volta che una versione del software prodotto è stata rilasciata per l’impiego, deve risultare evidente dalla documentazione d’uso quali dati costituiscano parametri impostabili e modificabili in sede di messa in servizio e di taratura in loco. I sistemi che utilizzano il software devono essere dotati di accorgimenti, hardware o software, tali che la modifica di tali parametri possa avvenire solo attraverso procedure opportunamente disciplinate. La modifica del software, anche limitata ai valori dei parametri di funzionamento, è ritenuta a tutti gli effetti una modifica apportata al funzionamento dell’impianto (2.1.24, pt. 4).

2.1.22 REQUISITI DELLE UNITÀ DI CONTROLLO A LOGICA CABLATA

1) – Si intendono far parte di una unità di controllo a logica cablata gli elementi sotto elencati i quali, per il principio di mutua indipendenza tra le diverse unità di controllo (sia cablate che statiche), non possono essere utilizzati in comune con altre:

i) – i relé finali che comandano le catene finali degli attuatori della marcia e dell’arresto;

ii) – i relé che, comandati da ciascuna delle unità di elaborazione di funzioni di sicurezza afferenti all’unità di controllo in questione, agiscono sui relé finali tramite la serie dei rispettivi contatti normalmente aperti.

In considerazione di quanto esposto, ad es., se una delle unità di elaborazione che realizzano una funzione di sicurezza deve afferire a più unità di controllo a logica cablata, lo deve fare mediante un relé per ciascuna unità, non essendo ritenuto ammissibile l’impiego di un unico relé agente sulle diverse unità di controllo tramite i diversi contatti disponibili. Diversamente, i segnali dei dispositivi elettromeccanici, quali i pulsanti d’arresto, che possono agire sulle catene in modo diretto, senza il tramite di relé ripetitori, possono essere portati a ciascuna unità a logica cablata mediante un unico contatto (e quindi un’unica linea di collegamento), a condizione che i dispositivi in oggetto siano realizzati secondo le prescrizioni che consentono di impiegare sensori singoli anche per funzioni connesse con la sicurezza (2.1.26 e 2.1.27).

Si ricorda che, ai sensi del pt. 2.2 dell’art. 3.1.11, i relé relativi alle catene finali devono essere del tipo a contatti guidati.

2) – Nei sistemi di sorveglianza impieganti due unità di controllo a logica cablata, le quali riassumono, mediante relé elettromeccanici, i consensi di dispositivi di sicurezza realizzati in ridondanza, una catena di contatti deve riassumere almeno i consensi di uno dei canali, per ciascuna funzione di sicurezza duplicata, ed un’altra catena i consensi del secondo di tali canali (procedimento per linee parallele).

Un tratto di catena di contatti connesso in comune (ovverossia in serie) alle suddette catene è ammesso, al fine di riassumere i consensi dei dispositivi di protezione a canale singolo; esso deve tuttavia costituire il tratto più lontano dai relé finali, in modo da preservare l’indipendenza reciproca delle catene dei canali duplicati nell’azione sui due relé finali.

Naturalmente, questa situazione si configura soltanto nell’àmbito di catene omologhe, i cui relé finali agiscono sulla stessa catena finale, relativa ad un dato attuatore; solo cosi, infatti, si può ammettere che le catene siano alimentate mediante la stessa linea di alimentazione di sicurezza e se ne possono connettere elettricamente due punti senza incorrere nel rischio di determinare l’intervento a scatto di due freni meccanici.

3) – TEST DI COMPLETEZZA: deve essere eseguito un test, quanto meno ad ogni avviamento, in modo tale da verificare che ciascuna richiesta di intervento, relativa alle funzioni di sicurezza, sia individualmente riconosciuta.

2.1.23 REQUISITI DELLE UNITÀ DI CONTROLLO A LOGICA STATICA

1)- RELÉ FINALI DINAMICI. Le uscite delle unità di controllo a logica statica inerenti i comandi per gli attuatori finali della marcia e dell’arresto devono essere realizzate mediante relé finali dinamici (2.2.6).

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2.1.13, le unità di controllo a logica statica devono inoltre essere sottoposte a confronto reciproco.

Si ricorda altresì che, ai sensi del pt. 2.2 dell’art. 3.1.11, i relé relativi alle catene finali devono essere del tipo a contatti guidati.

2) – TEST DI COMPLETEZZA. Ogni unità di controllo a logica statica deve essere sottoposta ad idoneo test, quanto meno ad ogni avviamento, in modo tale da verificare che ciascuna richiesta di intervento, relativa a funzioni di sicurezza, sia individualmente riconosciuta. Allo scopo di verificare la trasmissione dei segnali all’interno dell’elemento hardware che realizza l’unità, i segnali logici di consenso provenienti da dispositivi esterni all’elemento stesso devono essere fisicamente annullati.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2.2.8.1, le unità di controllo a logica statica devono inoltre essere sottoposte a test delle memorie volatili.

2.1.24 TARATURE DEI DISPOSITIVI DI SICUREZZA E PROTEZIONE

1) – I valori di taratura relativi alle funzioni di sicurezza e, per quanto possibile, i valori di taratura relativi alle funzioni di protezione e di regolazione, devono soddisfare ai seguenti requisiti:

i) – essere memorizzati in modo permanente all’interno dell’elemento hardware che li utilizza;

ii) – essere tarabili singolarmente, con risoluzione adeguata;

iii) – mantenere la stabilità nel tempo, con precisione adeguata;

iv) – essere protetti contro modifiche accidentali o indebite, ad es. mediante chiavi fisiche di abilitazione o altri sistemi, quali la chiusura piombata, che impediscano l’accesso agli organi di taratura;

v) – essere verificabili mediante acquisizione e segnalazione diretta o, quanto meno, mediante prove semplici (ad es., la prova in bianco di cui all’art. 2.2.13);

vi) – essere confrontabili con dati memorizzati in modo stabile all’esterno del dispositivo che li utilizza (documenti, memorie esterne, ecc.).

2) – Nel caso la taratura sia eseguita mediante potenziometri, essi devono essere sigillati dopo la taratura; il campo di variazione che consentono deve essere ridotto al minimo necessario e i valori impostati devono essere verificabili periodicamente mediante prove semplici.

3) – Nel caso la taratura sia eseguita mediante memorie statiche, si devono usare componenti caratterizzati da una ridottissima probabilità di perdita di dati in tempi lunghi e questi devono essere sostituiti o riprogrammati entro i termini indicati dal Costruttore delle apparecchiature (2.2.8.1). I valori di taratura devono risultare facilmente leggibili.

4) – Ogni modifica permanente alle tarature deve essere autorizzata preventivamente dal Direttore di esercizio, il quale ha la responsabilità di verificare, se del caso in loco, l’idoneità della modifica effettuata. Il medesimo deve notificare all’Autorità di sorveglianza competente per territorio, con le idonee giustificazioni, le modifiche attuate, le quali non possono in alcun caso avere rilievo sulle prestazioni dell’impianto. Qualsiasi modifica alle tarature, tanto di carattere permanente quanto provvisorio, deve comunque essere annotata sul Libro della Funivia.

Si faccia riferimento, al proposito, alle Norme di esercizio relative.

5) – I procedimenti di modifica dei valori di taratura relativi a funzioni che hanno rilievo sulle prestazioni dell’impianto e che sono correlate con la sicurezza devono essere attuati nella stazione presso cui è installato il relativo sistema di sorveglianza o comunque il sistema di sicurezza.

Per quanto riguarda l’adozione di eventuali sistemi di teletrasmissione dei valori di taratura da posizione remota, in attesa di riesame, devono essere applicate le disposizioni vigenti.

In caso sia richiesto di procedere alla ritaratura di dispositivi di sicurezza, in seguito alla sostituzione di elementi hardware, si ricorda l’obbligo di seguire scrupolosamente le indicazioni che saranno contenute nel Manuale d’uso e manutenzione dell’impianto.

6) Qualora elementi hardware innestabili su cestelli siano di aspetto simile e siano impiegati, con programmazioni software diversificate, per svolgere funzioni di sicurezza distinte, si devono adottare opportuni accorgimenti atti a minimizzare il rischio che si possa incorrere in scambi accidentali durante le operazioni di manutenzione e a consentirne il rilevamento, nel caso dovessero comunque verificarsi.

Ad es., si può ricorrere ad identificativi corrispondenti, applicati tramite targhette o serigrafie evidenti sia sull’elemento che sul cestello, atti a facilitare il riconoscimento della sua esatta collocazione. Un altro accorgimento consiste nel riconoscimento automatico dell’errore di posizione, ottenuto ad es. tramite indirizzamento fisico dell’elemento hardware; tale procedura può aver luogo in corrispondenza dei test di attivazione (2.2.8.2).

2.1.25 TEMPORIZZATORI DI SICUREZZA ELETTROMECCANICI

I dispositivi temporizzatori elettromeccanici il cui malfunzionamento può comportare effetti negativi sulla sicurezza dell’impianto devono soddisfare i requisiti seguenti.

i) – Devono essere dotati di elevata affidabilità ed agire per diseccitazione di un relé (ritardo all’apertura).

ii) – Un eccessivo prolungamento del tempo di intervento deve determinare in ogni caso la diseccitazione del relé, per esaurimento dell’energia di eccitazione, non più fornita dall’istante di inizio della temporizzazione.

iii) – Il tempo di intervento deve essere regolabile agevolmente.

iv) – Deve essere possibile sottoporli a prove periodiche di commutazione.

Qualora il tempo di intervento sia particolarmente critico per la sicurezza, come ad es. nei comandi temporizzati di frenatura, deve essere attuata la duplicazione dei temporizzatori accompagnata da prove periodiche a frequenza aumentata oppure da opportuni test (2.5.13). In particolare:

– se la condizione di pericolo deriva principalmente dall’anticipo rispetto al tempo di intervento normale, la logica dei collegamenti dovrà garantire che l’apertura del circuito avvenga in corrispondenza del maggiore tra i tempi di intervento;

– se, viceversa, la condizione di pericolo deriva principalmente dal ritardo rispetto al tempo di intervento normale, la logica dei collegamenti dovrà garantire che l’apertura del circuito avvenga in corrispondenza del minore tra i tempi di intervento.

2.1.26 SENSORI DI CAMPO

La realizzazione delle funzioni di regolazione e di sorveglianza richiede il rilevamento di stati e la misura di grandezze fisiche; a tale scopo si dispongono appositi sensori di campo, ripartibili come segue:

i) – SENSORI BINARI, quando forniscono direttamente un’informazione binaria, sulla base della presenza di una condizione o dell’avvenuta comparsa di un evento;

ii) -TRASDUTTORI, quando forniscono segnali, codificati in forma analogica o digitale, destinati a rappresentare in modo praticamente continuo l’ampiezza o l’intensità di grandezze fisiche analogiche.

In base alle definizioni date, il segnale di uscita del sensore può anche essere di tipo digitale (ad es., il segnale di un encoder), pur rimanendo questo un trasduttore.

Nel collegamento tra i sensori di campo e le rimanenti parti del sistema di sorveglianza deve essere in ogni caso garantito un adeguato isolamento galvanico; è ammesso che questo possa essere fisicamente realizzato all’ingresso del primo stadio a valle del sensore. Specificazioni particolari sono date nell’art. 2.1.29 per le dinamo tachimetriche. Il circuito di alimentazione di ciascun sensore binario deve essere protetto mediante fusibili facilmente ispezionabili e sostituibili.

2.1.27 SENSORI BINARI

1) – I sensori binari possono essere a loro volta ripartiti come segue.

1.1) – SENSORI BINARI GEOMETRICI, quando lo stato di uscita è funzione della posizione nello spazio di un elemento meccanico all’interno di un predeterminato campo dei movimenti ammissibili. I sensori binari geometrici sono classificabili in sensori a contatto e di prossimità, a seconda che l’azione che determina la commutazione sia applicata mediante una forza meccanica oppure senza necessità di contatto fisico (ad es. per induzione elettromagnetica, mediante fotocellule, ecc.).

1.2) – SENSORI BINARI NON GEOMETRICI, quando lo stato di uscita è funzione del valore di una grandezza non geometrica rispetto ad un opportuno valore od intervallo dei valori ammissibili, costituente la soglia di commutazione.

Esempi di sensori binari geometrici sono i microinterruttori di posizione e di finecorsa, le barrette a frattura, i pulsanti di comando; esempi di sensori binari non geometrici sono i pressostati ed i relé termici.

2) – Nell’àmbito dei sensori binari impiegati per funzioni di sicurezza, anche laddove si ricorra al metodo della ridondanza per lo sviluppo delle unità di elaborazione, affinché, per il rilievo di ciascuna posizione o spostamento, si possa comunque impiegare un singolo sensore, si considerano necessarie le seguenti condizioni generali.

2.1) – Deve essere ricercato il massimo grado di affidabilità (robustezza) nei modi di sollecitazione meccanica sul sensore e di garanzia di stabilità del suo posizionamento, nonché di protezione meccanica dei sistemi, tenendo in debito conto i possibili guasti prodotti da condizioni ambientali avverse o da taluni eventi di natura meccanica (spostamento del sensore, di suoi supporti o di elementi che trasmettono le forze da applicare, grippaggio dei cinematismi per ruggine, corpi estranei, ghiaccio, grasso indurito, ecc.).

2.2) – Deve essere ricercato il massimo grado di affidabilità nei modi di emissione e di trasmissione del segnale, tenendo in debito conto i guasti elettrici previsti (1.3.9) e, inoltre, il corto circuito fra conduttori di segnale e di alimentazione, dovuto ad es. ad allentamento di morsetti o ad usura di isolanti; opportuni accorgimenti devono essere presi per ridurre i rischi di corto circuito tra i conduttori di alimentazione dei sensori e le loro linee di ritorno e tra le linee stesse, nonché gli accoppiamenti spuri dovuti a mutue induzioni tra conduttori (ad es., facendo uso di schermature, doppi isolamenti, separazioni di percorso). Qualora, nella realizzazione del collegamento tra sensore e stadi a valle di esso, si riesca a garantire l’immunità detta, è ammesso che tale collegamento sia a conduttore singolo fino agli ingressi delle unità di elaborazione o di controllo; diversamente, sarà gioco forza ricorrere alla duplicazione del collegamento, pur anche rimanendo il sensore singolo, e individuando percorsi dei collegamenti sufficientemente differenziati (1.3.19).

2.3) – I sensori devono essere sottoposti a prove periodiche, comprendenti la verifica della corretta e stabile posizione del sensore e degli eventuali cinematismi ausiliari nonché la verifica del corretto funzionamento elettrico e dell’effettiva capacità di intervento. Nel caso di sensori geometrici, le prove devono comprendere la verifica manuale della forza necessaria per ottenere la commutazione di stato. La frequenza con cui tali prove vengono eseguite deve essere non inferiore a quella indicata nel Manuale d’uso e manutenzione e specificata nel Reg. di Esercizio.

2.4) – I sensori binari geometrici che devono commutare in occasione di eventi attesi ciclicamente (ad es. transito di veicoli o di elementi meccanici) devono essere sottoposti a test (ad es. dinamici, di sequenza, a confronto, ecc.) in grado di riconoscere che la commutazione del segnale avvenga nella fase prevista del ciclo sottoposto al controllo. L’eventuale errore deve essere segnalato e comportare l’arresto prima che ciò possa determinare l’insorgenza di effetti pericolosi. Inoltre, deve essere reso trascurabile il rischio che l’inizio od il corretto completamento di una sequenza non venga riconosciuto per effetto di un guasto di modo comune che interessi tutti i sensori.

Ulteriori requisiti, specifici per i soli sensori binari geometrici e, rispettivamente, per i soli non geometrici, sono riportati negli art. 2.1.27.1 e 2.1.27.2.

Date le caratteristiche della collocazione fisica dei sensori, i quali vengono spesso a trovarsi in luoghi dell’impianto disagevoli ed in cui sono sottoposti a stress notevoli, i requisiti citati si ritengono necessari per non dover ricorrere alla duplicazione anche in caso di realizzazione di funzioni di sicurezza col metodo della ridondanza. Il Progettista dell’impianto potrà comunque individuare particolari sensori dei quali ritiene opportuna la duplicazione, in virtù della criticità, ai fini della sicurezza, dei rilievi effettuati.

2.1.27.1 IMPIEGO DEI SENSORI BINARI GEOMETRICI

1) – SENSORI A CONTATTO. Nell’àmbito dei sensori binari geometrici a contatto, in aggiunta a quanto richiesto in 2.1.27, e salvo che non sia diversamente specificato nelle prescrizioni relative alle singole funzioni di sorveglianza, è consentito, per il rilievo di ciascuna posizione o spostamento, l’impiego di un singolo sensore, purché siano rispettate le seguenti condizioni.

1.1) – I sensori devono essere del tipo ad azione positiva (3.1.11), vale a dire agenti mediante l’apertura di un contatto provocata per azione meccanica diretta dell’elemento controllato o di un affidabile e semplice elemento intermedio di trasmissione dello sforzo. È comunque fatto divieto di impiegare elementi intermedi nella trasmissione degli sforzi ai pulsanti di comando manuale degli arresti meccanici.

1.2) – I sensori costituiti da microinterruttori che emettono direttamente un segnale di consenso / intervento devono essere tali per cui, una volta raggiunta la posizione di intervento, questa deve essere stabilmente mantenuta fino all’applicazione di un’azione manuale di ripristino (memorizzazione meccanica).

2) – SENSORI DI PROSSIMITÀ. L’impiego dei sensori binari geometrici di prossimità è consentito solo nelle seguenti condizioni:

2.1) – qualora servano per il riconoscimento di eventi che, in condizioni normali, si ripetono con periodicità sufficientemente elevata, orientativamente non superiore al minuto primo;

ad es., sono utilizzabili per il riconoscimento del passaggio dei veicoli; non sono invece ammissibili per il rilievo di commutazioni di stato che accadono solo in occasione di un evento rischioso, quale il mancato disaccoppiamento di un veicolo;

2.2) – qualora servano per rilevare posizioni permanenti ammissibili di organi meccanici la cui commutazione viene attuata localmente in modo manuale;

ad es., sono utilizzabili per il riconoscimento della configurazione dell’argano, in corrispondenza di giunti meccanici la cui manovra di innesto / disinnesto va attuata localmente dall’operatore;

2.3) – qualora servano per rilevare posizioni permanenti ammissibili di organi meccanici generici, la cui commutazione può essere anche attuata in modo automatico, purché i sensori medesimi siano impiegati nella modalità descritta al succ. pt. 3.

3) – Qualora i sensori binari geometrici, sia del tipo a contatto che di prossimità, siano impiegati per rilevare, nell’àmbito di una funzione di sicurezza, la posizione di un organo meccanico mobile caratterizzato da più posizioni permanenti ammissibili (2.4.1), devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

– in ciascuna posizione deve essere presente un sensore atto a rilevare la presenza dell’organo mobile,

– per ciascuna posizione deve essere automaticamente verificata la congruenza dei segnali di tutti i sensori.

Ad es., nel caso di uno scambio a due posizioni per l’invio dei veicoli al magazzino oppure in linea, la posizione 1 sarà indicata dalla commutazione del sensore 1 e simultaneamente dalla commutazione complementare del sensore 2.

In tal caso, inoltre, è consentito non effettuarne la duplicazione, sia che si tratti di sensori a contatto che di prossimità.

2.1.27.2 IMPIEGO DEI SENSORI BINARI NON GEOMETRICI

Nell’àmbito dei sensori binari non geometrici impiegati per funzioni di sicurezza, in aggiunta a quanto richiesto in 2.1.27, e salvo che non sia diversamente specificato nelle prescrizioni relative alle singole funzioni di sorveglianza, è consentito, per il rilievo di ciascuna posizione o spostamento, l’impiego di un singolo sensore, purché questo sia impiegato in condizioni di funzionamento dinamico (2.2.6), per cui si possa ammettere che un eventuale malfunzionamento sia immediatamente riconosciuto (esecuzione continua ed intrinseca di test dinamico).

2.1.28 TRASDUTTORI

I trasduttori ed i relativi dispositivi di condizionamento (amplificatori, contatori ecc.) che forniscono segnali analogici indicanti il valore dell’ampiezza od intensità di grandezze fisiche devono essere dotati di precisione e stabilità congruenti con l’impiego previsto. Il valore rilevato deve essere indicato con la necessaria risoluzione, in modo da consentire, tra l’altro, una verifica periodica del corretto e preciso funzionamento dei trasduttori e condizionatori stessi.

I trasduttori di grandezze elettriche devono assicurare in generale la separazione galvanica dei circuiti di segnale da quelli di potenza. Tuttavia, la separazione mediante circuiti differenziali ad alta impedenza è ammessa, ad es. per le dinamo tachimetriche d’argano, purché realizzata in modo da garantire che, sul lato dei circuiti di segnale, non si possano assumere potenziali pericolosi né possano essere rilasciate significative quantità di energia, anche in caso di guasto (2.1.29).

I segnali impiegati da canali ridondanti di una funzione di sicurezza devono provenire da trasduttori e dispositivi di condizionamento indipendenti.

Tali segnali richiedono una procedura di validazione continuativa o, quanto meno, periodica, mediante test automatici (ad es., per confronto), secondo quanto prescritto nelle presenti P.T.S. – I.E. o, secondo il caso, mediante prove periodiche eseguite secondo le cadenze precisate nel Manuale di uso e manutenzione (2.1.29 e 2.1.30) e, ove ricorra, riportate nel Reg. di Esercizio.

2.1.29 TRASDUTTORI PER IL RILEVAMENTO DELLA VELOCITÀ DI MARCIA

1) – La velocità di marcia dell’impianto deve essere rilevata, in tutti i tipi di impianto, ai fini dell’eventuale regolazione dell’azionamento e dei freni e comunque ai fini della realizzazione del sistema di sorveglianza, mediante due canali utilizzanti trasduttori e condizionatori di segnali tra loro indipendenti, di cui uno rilevante la velocità del motore in uso e l’altro rilevante la velocità della fune.

2) – Qualora la velocità della fune sui due rami possa risultare transitoriamente diversa in modo significativo (ad es., per la presenza di dispositivi di tensione), i trasduttori dovranno essere collocati sui due rami.

Per quanto riguarda l’eventuale distinzione tra i trasduttori di spazio e quelli di velocità, si veda l’art. 2.1.31.

3) – Negli impianti a va e vieni ed in quelli a moto unidirezionale intermittente, tuttavia, il segnale di velocità della fune impiegato per le sorveglianze di velocità e per la regolazione ed il controllo delle azioni frenanti dovrà essere rilevato mediante due trasduttori che prelevino il moto della fune da pulegge folli mediante sistemi di trasmissione meccanica indipendenti.

4) – I segnali di velocità utilizzati da dispositivi di sicurezza o per la funzione di controllo di mancata decelerazione (2.5.13) e provenienti da trasduttori diversi devono essere sottoposti a test continui per confronto (2.2.10).

5) – A parziale deroga di quanto stabilito in generale sull’isolamento galvanico tra sensori e rimanenti parti del sistema di sorveglianza, ed in considerazione dell’oggettiva difficoltà nell’applicare la separazione in questione alle dinamo tachimetriche, si ammette per esse l’impiego di stadi separatori ad alta impedenza (reti resistive), a condizione che tali circuiti siano particolarmente protetti contro i contatti diretti ed i contatti accidentali con altri circuiti e che siano realizzati in modo che un eventuale guasto non possa trasferire ad altri circuiti tensioni elevate. In particolare, tali segnali devono essere portati mediante cavo coassiale con schermatura connessa a terra.

2.1.30 TRASDUTTORI PER IL RILEVAMENTO DELLA COPPIA DI IMPIANTO

La coppia di impianto (1.2.39 e 2.4.3) deve essere rilevata, ai fini delle funzioni di sicurezza relative, mediante due canali utilizzanti trasduttori e condizionatori di segnali tra loro indipendenti.

Nel caso di impiego di più motori in ripartizione del carico, si considera che la coppia di impianto sia data dalla somma algebrica delle coppie sviluppate da ciascun motore.

È ammesso che la coppia, negli azionamenti in corrente continua ad eccitazione costante, venga determinata rilevando la corrente di armatura. Nel caso di azionamenti in corrente continua ad indebolimento di campo oppure in corrente alternata a frequenza variabile, è ammesso che essa venga calcolata a partire da altre grandezze rilevate, quali tensioni, correnti e velocità, purché la misura ricavata abbia precisione sufficiente, in particolare nell’intorno dello zero di velocità.

È infine ammesso, per gli azionamenti in corrente alternata, e a velocità non regolata, che la coppia venga determinata rilevando la corrente. Qualora tuttavia il rilevamento della coppia di impianto sia effettuato al fine di determinare la forza richiesta per la frenatura (caso della frenatura differenziata), il calcolo deve anche in tal caso essere effettuato considerando l’effettiva componente attiva della corrente (I cos φ).

2.1.31 TRASDUTTORI PER IL RILEVAMENTO DELLO SPAZIO FUNE

Il rilevamento dello spazio fune (1.2.58), negli impianti ove ciò ricorre, deve essere rilevato, ai fini dello svolgimento di funzioni connesse con la sicurezza, mediante due canali utilizzanti trasduttori e condizionatori di segnali tra loro indipendenti; in particolare, vale quanto segue.

1) – IMPIANTI A VA E VIENI E A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE. Ciascun simulatore di percorso impiegato negli impianti a va e vieni ed in quelli a moto unidirezionale intermittente deve ricevere i segnali di spazio fune da un proprio trasduttore, indipendente da quello impiegato per il rilevamento della velocità, prelevando il moto della fune da pulegge folli, ove esistano, e comunque mediante sistemi di trasmissione meccanica indipendenti.

2) – IMPIANTI A MOTO UNIDIREZIONALE CONTINUO. Negli impianti che necessitano di segnali di spazio fune per realizzare funzioni di sorveglianza (ad es., per le sorveglianze anticollisione), tali segnali di spazio possono essere rilevati mediante trasduttore unico, solo a condizione che il malfunzionamento di questo sia automaticamente diagnosticato dai sistemi che ne utilizzano il segnale o da altri sistemi dedicati, in modo da non pregiudicare l’esecuzione della funzione di sicurezza.

3) – Qualora la velocità della fune sui due rami possa risultare transitoriamente diversa in modo significativo (ad es., per la presenza di dispositivi di tensione), i trasduttori dovranno essere collocati sui due rami.

2.1.32 IMPIEGO DEI SIMULATORI DI PERCORSO

1) – Un simulatore di percorso (1.2.61) deve realizzare le seguenti funzioni:

1.1) – rilevare, mediante un proprio trasduttore dedicato (2.1.31), la posizione delle vetture, ed in particolare gli spazi all’arrivo, generando i relativi segnali;

1.2) – confrontare i valori rilevati di spazio all’arrivo con opportuni valori memorizzati, in modo da generare corrispondenti segnali logici quando i veicoli impegnano le zone terminali caratteristiche (zone suoneria, uomo morto, dazio, di stazione) e, se previsto, le zone singolari del percorso quali i sostegni e le stazioni intermedie in cui sia previsto un rallentamento o l’arresto;

1.3) – rilevare il senso di marcia effettivo dell’impianto, generando il relativo segnale logico;

1.4) – nelle fasi di test automatico o manuale, generare una conveniente simulazione dei segnali sopra indicati.

A differenza dei sistemi che rilevano direttamente, mediante sensori, la posizione del veicolo rispetto al terreno in corrispondenza di punti fissi del percorso, il simulatore ne rileva la posizione per via indiretta, misurando in modo incrementale e, generalmente, continuo l’avanzamento della fune.

2) – Un simulatore di percorso deve essere realizzato secondo le seguenti prescrizioni.

2.1) – La precisione della misura dello spazio all’arrivo e della posizione delle vetture o dei treni deve essere commisurata alle necessità delle funzioni di regolazione e di sorveglianza. La risoluzione della misura deve essere congruente con la precisione richiesta.

In particolare, si deve ottenere un’adeguata precisione nella determinazione dell’inizio delle zone terminali e delle eventuali zone singolari del percorso.

2.2) – I valori di spazio rilevati dovranno rimanere memorizzati in caso di mancanza, anche prolungata, dell’alimentazione del simulatore.

2.3) – Gli errori nella rilevazione dello spazio devono essere automaticamente azzerati ad ogni corsa (RISINCRONIZZAZIONE), per impedirne l’accumulo, quando una vettura è sul punto di finecorsa d’arresto in stazione; ciò sarà fatto al più tardi alla ripartenza della vettura. La misura dello spazio all’arrivo può essere corretta automaticamente al passaggio per un punto determinato anche durante la corsa; un test specifico (test di punto fisso) deve comportare un comando di arresto qualora l’entità della correzione richiesta risulti superiore alla massima differenza ammissibile. Lo spazio all’arrivo va comunque verificato con un test di punto fisso successivo alla correzione, in ogni caso eseguito prima dell’inizio della zona di dazio. Ciò è particolarmente importante negli impianti soggetti al periodico spostamento dei punti di collegamento dei veicoli alle funi e negli impianti a collegamento temporaneo. In tal caso, tuttavia, si devono applicare le prescrizioni di cui all’art. 2.2.12.1.

2.4) – Deve essere possibile verificare con mezzi semplici il regolare funzionamento del simulatore e simulare i valori di spazio necessari alla verifica delle tarature e degli interventi dei dispositivi di controllo di spazio e di dazio.

2.5) – Sul banco di manovra devono essere indicati il valore numerico, in metri, dello spazio all’arrivo rilevato da ciascun simulatore di percorso e la posizione delle vetture rispetto alle zone singolari del percorso (passaggio su sostegni o deviazioni) o alle zone uomo morto, di stazione (fosse), di attesa del punto fisso (2.3.15).

2.1.33 TEMPO DI RISPOSTA DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA

Il sistema di sorveglianza nel suo complesso ed i dispositivi di sicurezza che ne fanno parte devono garantire tempi di risposta sufficienti a svolgere le funzioni di sicurezza in modo adeguato. Il tempo di reazione massimo, inteso come massimo intervallo di tempo intercorrente tra il momento nel quale, da parte dei segnali di campo rilevati, è raggiunto il valore che consente il riconoscimento di un evento rischioso (2.1.4, pt. 1) ed il conseguente comando agli attuatori finali, non deve in alcun caso superare il limite di 150 ms.

Tale tempo deve comprendere le operazioni di rilevamento, condizionamento, riconoscimento, validazione e riassunto dei segnali (2.1.4) nonché il comando agli attuatori finali.

Come unica eccezione si configura il caso della prevista inibizione all’emissione del comando, per una durata massima di circa 0.5 s, qualora il circuito delle sicurezze di linea di una funivia a va e vieni rilevi una condizione di intervento, al fine di prevenire interventi intempestivi dovuti a guasti fugaci (cfr. pt. 2.4 dell’art. 2.1.37).

2.1.34 SEPARAZIONE DEI CIRCUITI DI SICUREZZA

1) – I circuiti di sicurezza devono essere galvanicamente separati dai restanti circuiti mediante trasformatori, relé, fotoaccoppiatori e dispositivi simili; in particolare:

1.1) – devono essere galvanicamente separati dai circuiti di potenza e da tutti i restanti circuiti non alimentati da linee di sicurezza (2.9.6);

1.2) – i circuiti di sicurezza alimentati mediante linee di sicurezza devono essere galvanicamente separati dai circuiti di sicurezza alimentati da sorgenti diverse;

1.3) – i circuiti di ingresso di segnali logici provenienti da sensori di campo esterni ai quadri (microinterruttori e simili) devono essere galvanicamente separati dai circuiti interni ai quadri ed inerenti i dispositivi di sicurezza;

1.4) – i circuiti di ingresso di segnali analogici rilevati su circuiti di potenza (tensioni, correnti) devono essere galvanicamente separati dai circuiti interni ai quadri ed inerenti i dispositivi di sicurezza;

1.5) – i circuiti alimentati da dinamo tachimetriche possono impiegare separatori ad alta impedenza (2.1.29).

2) – L’ambiente elettromagnetico in cui i circuiti di sicurezza si trovano ad operare deve essere tale da non perturbarne il funzionamento; opportuni accorgimenti (schermature, collegamenti equipotenziali, separazioni di percorso) devono essere presi nei confronti di quei circuiti che manifestino suscettibilità od emissività elevate.

2.1.35 ALIMENTAZIONE DEI CIRCUITI DI SICUREZZA

Tutti i circuiti e dispositivi appartenenti a dispositivi di sicurezza che devono rimanere attivi anche in caso di interruzione dell’alimentazione della sorgente di energia (1.2.2) in uso sono considerati servizi di sicurezza (2.9.1) e devono essere alimentabili da almeno uno dei gruppi di alimentazione di sicurezza (2.9.2). Quei particolari circuiti e dispositivi che, sebbene appartenenti al sistema di sorveglianza, non richiedono di rimanere attivi in caso di interruzione dell’alimentazione dei circuiti di potenza (ad es., trasduttori e condizionatori di segnali relativi alle sorveglianze di azionamento e di coppia) possono ricevere l’alimentazione da questi ultimi, tramite trasformatori ad avvolgimenti separati, purché l’interruzione di tale alimentazione non possa comportare la degradazione o la compromissione di dispositivi di sicurezza che devono rimanere operative anche successivamente all’interruzione dell’alimentazione di potenza.

I valori delle tensioni impiegate per i circuiti di sorveglianza devono mantenersi nei limiti fissati in generale per i circuiti di segnale (2.7.2), salvo casi specifici previsti (dinamo tachimetriche, (2.1.34) e (2.1.29)).

2.1.36 ALIMENTAZIONE DEI CIRCUITI DI SICUREZZA DI STAZIONE MOTRICE

Alla stazione motrice, i gruppi di alimentazione di sicurezza (caricabatterie, batterie di accumulatori, circuiti di distribuzione e linee di alimentazione di sicurezza) e gli allacciamenti alle relative utenze devono essere realizzati in modo tale che un qualsiasi guasto previsto, che interessi un qualsiasi punto dell’impianto, internamente o anche esternamente ad un gruppo di alimentazione di sicurezza (compresi quindi i guasti delle utenze), non debba poter provocare l’indisponibilità dell’alimentazione di entrambi i canali che realizzano una qualsiasi funzione di sicurezza duplicata, e neppure l’avaria di entrambe le batterie di stazione; non deve quindi poter provocare l’azione a scatto contemporanea dei due freni meccanici.

Per ulteriori dettagli si veda l’art. 2.9.10.

2.1.37 FUNZIONE E CIRCUITO DELLE SICUREZZE DI LINEA

Si denomina FUNZIONE DELLE SICUREZZE DI LINEA la funzione di sicurezza (1.2.21.1) del sistema di sorveglianza dell’impianto preposta a svolgere la sorveglianza automatica sugli eventi rischiosi (1.2.20) normativamente previsti che possono interessare le funi mobili e fisse.

Tali eventi sono costituiti, ad es., dagli scarrucolamenti delle funi dai loro punti di appoggio in linea, dall’assetto geometrico non ammissibile delle rulliere, dai contatti tra le funi normalmente isolate con altre funi dell’impianto e dal loro contatto verso massa (2.4.8.1 e 2.4.10.7). Tra le funi fisse isolate si cita, ad es., la fune telefonica talora impiegata negli impianti a va e vieni. La sorveglianza del contatto di una fune con parti a massa richiede di mantenerla in tensione e quindi di isolarla.

Si denomina CIRCUITO DELLE SICUREZZE DI LINEA il circuito che realizza fisicamente la funzione di sicurezza.

Tale circuito può anche esplicare la funzione di teletrasmissione di sicurezza, secondo quanto specificato nell’art. 2.1.16.

Esso deve essere realizzato secondo le prescrizioni seguenti.

1) – CONFIGURAZIONE.

1.1) – Indipendentemente dalle modalità realizzative particolari, in ogni circuito delle sicurezze di linea saranno chiaramente individuabili le seguenti parti componenti:

– TRASMETTITORE, in grado di emettere energia per mantenere il consenso, impiegando come riferimento un livello di una determinata grandezza fisica (ad es., una corrente di riposo);

– CONDUTTORI e CIRCUITI DI LINEA; allo scopo, possono essere impiegati conduttori dedicati oppure le funi medesime, qualora siano isolate;

– SENSORI DI ASSETTO delle funi posti lungo la linea, se necessari per l’espletamento della funzione;

– RICEVITORE, in grado di intervenire per ogni predefinito scostamento del livello della grandezza fisica di riferimento dal suo valore (o campo) normale di non intervento.

Ad es., nelle funivie a va e vieni si possono impiegare come conduttori attivi le funi dell’anello trattivo; i sensori di assetto delle funi non sono necessari in quanto gli eventi rischiosi sono rilevati dal contatto a massa dei conduttori. Negli impianti monofune si usano di regola conduttori dedicati ed appositi sensori collocati sui sostegni.

2) – CARATTERISTICHE DI SICUREZZA.

2.1) – Il circuito delle sicurezze di linea costituisce un dispositivo di sicurezza (1.3.2.1) che realizza le operazioni di rilevamento, riconoscimento e validazione dei segnali relativi agli eventi rischiosi sorvegliati ([n. 210]). Esso deve pertanto essere realizzato in ottemperanza all’art. 2.1.8.

Il trasmettitore, i conduttori ed i sensori dovranno quindi essere realizzati in modo da determinare, in occasione di ciascun evento rischioso considerato dalla definizione data e di ciascun guasto previsto, uno scostamento della grandezza di riferimento sufficiente ad essere riconosciuto dal ricevitore, ed in modo tale che quest’ultimo non possa mai giungere allo stato di compromissione.

2.2) – Il corto circuito tra i conduttori attivi che percorrono la linea deve risultare compreso tra i guasti previsti, in aggiunta a quelli normalmente considerati, di cui all’art. 1.3.9.

Il segnale costituente la grandezza fisica di riferimento dovrà comunque avere caratteristiche tali da essere inequivocabilmente diversificato da ogni altro segnale presente lungo i conduttori dei circuiti di teletrasmissione lungo linea.

Si ricorda che sono detti attivi i conduttori in tensione nel servizio ordinario; cfr. Norma CEI 64-8/2, art. 23.1. In particolare, dovrà porsi attenzione nei confronti del pericolo di contatto tra conduttori di segnali di sicurezza e conduttori di alimentazione.

2.3) – Le unità che, nel ricevitore, riconoscono lo scostamento della grandezza di riferimento e determinano l’intervento devono essere duplicate e sottoposte a test di disponibilità. È invece ammesso non ricorrere alla duplicazione dei sensori di assetto, purché di tipo binario geometrico ([N. 183]) e rispondenti ai requisiti di cui agli art. 2.1.27 e 2.1.27.1.

Si noti che, per la funzione svolta, i circuiti di alimentazione, i trasmettitori ed i canali di trasmissione lungo la linea non richiedono necessariamente di essere duplicati e sottoposti a test di disponibilità. Elementi non duplicati, quali ad es. condizionatori del segnale controllato, nonché eventuali alimentazioni locali richieste per lo svolgimento della funzione devono comunque essere realizzati in modo che un qualsiasi guasto previsto comporti l’intervento della funzione.

2.4) – Le unità costituenti il ricevitore devono intervenire per ogni scostamento predefinito che porti la grandezza impiegata come riferimento a valori inferiori all’80% o superiori al 120% del valore normale di non intervento. Nelle funivie bifuni a va e vieni l’intervento può avere luogo solo qualora il predetto scostamento permanga per un tempo significativo, in ogni caso non superiore a 0.5 secondi; comunque, tale discriminazione temporale (contatti fugaci) deve essere realizzata con metodi che diano sufficienti garanzie di affidabilità.

2.5) – In specificazione ai prec. pt., le funi che devono essere isolate rispetto a terra e tra loro devono di regola manifestare, ad impianto nuovo, un’impedenza di almeno 10 kΩ all’applicazione di 500 V. Il circuito di sicurezza dovrà manifestare stato regolare finché l’impedenza si mantiene sopra i 5 kΩ; dovrà segnalare uno stato di preallarme, senza peraltro intervenire, qualora l’impedenza scenda a valori compresi tra 5 kΩ ed 1 kΩ, e dovrà sempre intervenire se essa scende sotto 1 kΩ. Sul quadrante di un apposito strumento, in grado di misurare l’impedenza oppure la corrente di lavoro, le tre fasce di stato regolare, di preallarme e di allarme dovranno essere individuate rispettivamente da un arco o settore di colore verde, giallo e rosso. Deve essere possibile eseguire agevolmente una prova di isolamento della fune in oggetto.

Le medesime prescrizioni devono essere applicate ai conduttori attivi del circuito delle sicurezze di linea anche se non costituiti da funi.

Quindi, anche nel caso tipico degli impianti a moto continuo.

2.6) – Il circuito delle sicurezze di linea deve essere escludibile, dalla stazione motrice, sia in modo totale che parzializzando i consensi delle singole unità che, nel ricevitore, riconoscono lo scostamento della grandezza di riferimento dal campo predefinito (2.1.38).

3) – MODALITÀ COSTRUTTIVE PARTICOLARI.

3.1) – Il trasmettitore ed il ricevitore devono essere realizzati nel rispetto delle seguenti prescrizioni particolari.

3.1.1) – Il trasmettitore deve essere collocato alla stazione di rinvio ed essere alimentato da una linea di alimentazione di sicurezza (2.1.35) appartenente ad un gruppo di alimentazione di sicurezza. Tale gruppo può essere locale (2.9.2); in alternativa, è ammesso che la linea di alimentazione di sicurezza provenga dalla stazione motrice e, in particolare, che sia la medesima impiegata per alimentare il ricevitore, pur sempre nel rispetto delle prescrizioni di cui al pt. 2.2. In tal caso, tuttavia, devono essere adottati idonei provvedimenti, nella realizzazione del trasmettitore, affinché il segnale impiegato quale grandezza di riferimento e da questi trasmesso si diversifichi in modo inequivoco dal segnale presente nella linea di alimentazione.

Ad es., tale diversificazione può inerire la frequenza del segnale o la sua polarità.

Per i criteri di duplicazione dell’alimentazione, valgono le prescrizioni di cui al pt. 6 dell’art. 2.9.10.

Il trasmettitore deve essere dotato di indicatore locale del livello della grandezza di riferimento, in cui sia evidenziato il suo campo di tolleranza («FINESTRA», pt. 1 dell’art. 2.7.6).

3.1.2) – Il ricevitore deve essere collocato alla stazione motrice e, se richiede alimentazione, questa deve provenire da una linea di alimentazione di sicurezza (2.1.35) appartenente ad un gruppo di alimentazione di sicurezza locale (2.9.2). Il ricevitore deve essere dotato di indicatore locale del livello della grandezza di riferimento, in cui sia evidenziato il suo campo di tolleranza (finestra, pt. 1 dell’art. 2.7.6).

3.1.3) – I relé finali di ciascun canale del ricevitore devono, ai sensi del pt. 2.2 dell’art. 3.1.11, essere del tipo a contatti guidati.

3.2) – Ai fini del corretto funzionamento del circuito, i potenziali delle parti dell’impianto interessate devono essere configurati come segue.

3.2.1) – Nel caso delle funivie aeree a va e vieni le funi portanti devono essere elettricamente collegate a terra nelle stazioni mediante opportuni manicotti, e sui sostegni di linea, di regola facendo uso di idonei supporti conduttivi. Le funi portanti medesime possono essere impiegate quali conduttori equipotenziali di terra. Il complesso delle funi traenti, la fune di soccorso e l’eventuale fune telefonica devono essere elettricamente isolate da terra e tra loro. Le parti dei rulli di sostegno e guida delle funi traenti con le quali queste ultime possono venire in contatto in caso di scarrucolamento devono essere collegati elettricamente a terra, sia che siano posti in opera sui sostegni nelle stazioni sia sui cavallotti delle linee a doppia fune portante per ciascuna via di corsa.

3.2.2) – Nel caso delle funicolari terrestri, laddove sia normativamente prevista l’applicazione della funzione delle sicurezze di linea per il rilievo del contatto della fune traente con parti fisse dell’impianto, l’anello trattivo deve essere elettricamente isolato da terra mentre le parti metalliche fisse devono essere elettricamente vincolate a terra.

3.2.3) – Nel caso degli impianti a fune portante traente, questa deve essere elettricamente collegata a terra tramite efficaci accorgimenti.

3.3) – Negli impianti in cui si impiegano come canali di trasmissione conduttori dedicati, il circuito delle sicurezze di linea deve comprendere:

3.3.1) – un conduttore attivo di linea, lungo il quale siano installati tutti i sensori di assetto;

3.3.2) – un conduttore di ritorno comune, impiegato per accomunare i riferimenti di potenziale del trasmettitore e del ricevitore collocati nelle due stazioni di estremità. Tale conduttore deve essere vincolato elettricamente ai collettori comuni di terra di tutte le stazioni nonché alle masse di tutti i sostegni di linea; esso deve risultare distinto dal conduttore equipotenziale di terra ([N. 308]).

3.4) – Negli impianti in cui si impiegano funi isolate come canali di trasmissione, queste faranno le veci del conduttore attivo di linea, di cui al pt. 3.3, ed i requisiti di cui al pt. 2.4 saranno osservati in base al rilevamento dell’impedenza opposta dalla fune isolata rispetto alle parti poste a potenziale di terra, ai sensi di quanto disposto al pt. 3.2.

3.5) – I sensori di scarrucolamento e di assetto delle rulliere devono agire per interruzione del conduttore attivo ed essere affidabili, del tipo a rottura o ad apertura forzata e facilmente ispezionabili.

3.6) – I conduttori attivi saranno galvanicamente separati da ogni altro circuito e posati secondo i criteri di cui al pt. 5 dell’art. 2.1.16; essi saranno altresì dotati, a monte e a valle, delle protezioni di cui all’art. 3.1.4, in modo da limitare il più possibile la trasmissione delle eventuali sovratensioni di origine atmosferica al trasmettitore, al ricevitore e alle apparecchiature relative ai circuiti di sicurezza interni alle stazioni; i conduttori saranno inoltre sezionabili e collegabili francamente a terra, in ogni stazione, per il fuori servizio dell’impianto.

3.7) – Opportune precauzioni costruttive dovranno essere assunte, sia per la tenuta dell’isolamento sia per la funzionalità dei sensori, in relazione alle condizioni ambientali e di funzionamento prevedibili, con particolare riferimento all’umidità, alla formazione di manicotti di ghiaccio, alle vibrazioni.

3.8) – I comandi per l’arresto dell’impianto da installare sui sostegni di linea possono essere trasmessi tramite il circuito delle sicurezze di linea, facendo uso di appositi pulsanti a ritenuta meccanica (teletrasmissione di sicurezza, 1.2.23.1).

Nel caso di impianti in cui si impiegano funi isolate come canali di trasmissione (pt. 3.4), è ammesso che i pulsanti d’arresto installati lungo la linea agiscano per corto circuito permanente della fune verso terra; ogni comando d’arresto deve tuttavia essere integrato da opportune misure procedurali, ed in particolare dalla comunicazione verbale del comando tramite collegamento radio in fonia con conferma dell’avvenuta ricezione (2.3.4).

3.9) – È richiesta l’implementazione di un sistema diagnostico in grado di discriminare quale evento rischioso ha determinato l’intervento del circuito di sicurezza; in particolare, in almeno una delle stazioni dovrà essere possibile discriminare se l’intervento ha avuto luogo a causa di un corto circuito verso massa oppure di un’interruzione.

Nel caso di impianti monofune, dovrà essere altresì possibile localizzare con buona approssimazione la posizione di guasti permanenti di corto circuito verso massa o di interruzione del conduttore attivo. Il funzionamento di tale sistema non deve interferire con lo svolgimento della funzione di sicurezza.

3.10) – La tensione che interessa i conduttori di linea ed i sensori non deve superare i 25 V in corrente alternata ed i 60 V, in corrente continua, riferiti a terra.

L’entità delle correnti fluenti lungo le funi deve essere tale da non produrre effetti dannosi per i materiali, con particolare riferimento all’innesco di fenomeni di corrosione.

3.11) – Devono essere rispettate le prescrizioni di cui all’art. 3.1.2, relativo alla protezione contro i contatti indiretti.

4) – Il circuito nel suo complesso deve essere realizzato, di regola, in conformità ad un modello approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, per ciascun esemplare, deve essere corredato da un figurino di tipizzazione che riporti gli estremi di approvazione, lo schema elettrico, le istruzioni per l’uso e la denominazione dell’impianto in cui viene installato.

2.1.38 PARZIALIZZAZIONE OD ESCLUSIONE DI DISPOSITIVI DI SORVEGLIANZA

1) – L’esistenza di uno o più dispositivi di sicurezza degradati oppure compromessi deve, di regola, consentire la ripresa della marcia con lo stesso azionamento in uso, almeno per l’evacuazione della linea. A tal fine, valgono le seguenti prescrizioni.

1.1) – Il Costruttore deve predisporre comandi e procedure che consentano di parzializzare od escludere (1.2.24) dispositivi di sorveglianza in avaria (ed in particolare unità di elaborazione ed unità di controllo), senza dover ricorrere a modifiche circuitali.

1.2) – Nel progetto dell’impianto deve essere stabilito, nel rispetto di quanto previsto dall’all. n. 3 delle presenti P.T.S. – I.E., quali funzioni di sorveglianza e procedure di test siano parzializzabili o escludibili, e le penalizzazioni conseguenti. È comunque vietato escludere l’azione di pulsanti d’arresto della stazione motrice (cfr. all. cit.).

1.3) – Il personale dell’impianto ha l’obbligo di seguire le procedure di cui ai prec. pt., rispettando nel contempo le prescrizioni stabilite dalle Norme di Esercizio.

1.4) – L’impianto deve avere in dotazione un set di ricambi relativo agli eventuali sensori di campo non duplicati impiegati per lo svolgimento di funzioni di sicurezza. Qualora una funzione di sicurezza intervenga a causa dell’avaria di uno di tali sensori, il personale sarà tenuto a ripristinare la normalità mediante la sostituzione immediata dell’elemento guasto.

2) – Quando si manifesti un guasto ad un dispositivo di sorveglianza, se ne deve individuare la causa e tentare di ripristinare la funzionalità del dispositivo interessato. Se quest’ultima operazione comporta tempi o difficoltà inaccettabili, è ammesso parzializzare singoli canali od escludere interi dispositivi di sorveglianza. In ogni caso, la marcia dell’impianto può essere ripresa previo riconoscimento di quali siano i circuiti non funzionanti e di quali funzioni di sorveglianza risultino degradate o compromesse in conseguenza delle parzializzazioni o, rispettivamente delle esclusioni effettuate; comunque, la marcia può essere ripresa adottando tutte le misure organizzative atte a ristabilire il necessario livello di sicurezza, secondo le prescrizioni di cui all’art. 2.1.1.

3) – I comandi di parzializzazione o di esclusione di funzioni di sicurezza devono comportare la limitazione corrispondente della velocità di marcia, ottenuta automaticamente agendo sul riferimento di velocità dell’azionamento.

Per gli azionamenti a velocità non regolata, ove ammessi ai sensi dell’art. 2.6.5, pt. 4, devono essere assunte misure organizzative adeguate alle circostanze (2.1.39, pt.4).

Un dispositivo che fornisca comunque il consenso, in quanto non è in grado di intervenire, rende di fatto degradata o, secondo il caso, compromessa la relativa funzione di sorveglianza; ciò comporta pertanto obbligo di limitazione della velocità anche se non costringe alla parzializzazione.

Ciò può avvenire quando, ad es., il guasto comporta l’emissione indiscriminata di un consenso («relé incollato alto»); in tal caso l’elemento guasto impedisce di passare il test automatico all’avviamento, ma non ostacola la marcia dell’impianto.

4) – Nei casi particolari in cui, a seguito di un arresto dovuto alla comparsa di un evento rischioso, sia necessario ricorrere ad un movimento limitato dell’impianto al fine di rimuovere l’evento stesso o comunque una condizione che impedisca di riottenere il consenso, è ammesso riprendere la marcia mantenendo esclusa la funzione di sicurezza relativa, solo per il tempo strettamente necessario, ed adottando nel contempo specifica cautela nella sorveglianza dell’impianto; i comandi di esclusione utilizzati in queste particolari circostanze devono comportare automaticamente la penalizzazione pesante della velocità ed essere del tipo ad uomo presente.

Ciò può verificarsi, ad es., in caso di intervento di sorveglianze di anticollisione, di extracorsa di emergenza, del circuito delle sicurezze di linea in caso di accavallamento delle funi.

5) – I comandi di parzializzazione devono rispondere alle seguenti prescrizioni.

5.1) – Devono agire in modo da contemperare le seguenti esigenze:

5.1.1) – limitare al minimo indispensabile il numero di canali di funzioni di sorveglianza interessati da un singolo comando, tendendo a farlo agire su un solo canale di un’unica funzione;

5.1.2) – limitare il numero di comandi necessari a parzializzare le funzioni di sorveglianza svolte da un singolo elemento hardware;

Ciò, in riferimento alle diverse combinazioni strutturali possibili (elementi hardware monofunzionali o polifunzionali (2.1.9), unità di elaborazione discreta od integrata, unità di controllo (2.1.5), unità di sorveglianza integrate (2.1.14)).

5.1.3) – essere improntati ad assicurare chiarezza sull’azione dei comandi e sulle relative segnalazioni, congiunta con una semplicità realizzativa compatibile con un’adeguata affidabilità.

5.2) – In particolare, in relazione al prec. pt. 5.1.2, deve essere predisposto un comando di parzializzazione totale di ciascuna unità di controllo a logica statica.

5.3) – Le funzioni di sicurezza realizzate col criterio della ridondanza devono disporre di comandi di parzializzazione distinti per ciascun canale in modo tale da non provocarne l’esclusione completa con un solo comando; ciò, tanto nel caso in cui il comando sia dedicato alla parzializzazione di una singola funzione o famiglia di funzioni, quanto nel caso in cui esso agisca collettivamente su più funzioni o famiglie.

Quindi, comandi di esclusione si possono avere solo nel caso di funzioni di protezione oppure di funzioni di sicurezza realizzate a canale singolo, ovvero in quelle impieganti sensore unico agente direttamente sulle unità di controllo. In tutti gli altri casi sono ammessi solo comandi di parzializzazione.

Si ricorda che la funzione di sicurezza coinvolge l’intero processo che va dal rilevamento dell’evento rischioso al comando degli attuatori di marcia e di arresto.

5.4) – I comandi di parzializzazione o di esclusione devono soddisfare l’art. 2.3.6.

6) – La presenza di parzializzazioni o di esclusioni, in qualunque stazione, deve essere automaticamente segnalata sul banco di manovra della stazione motrice, o nelle immediate vicinanze, mediante una lampada gialla intermittente immediatamente distinguibile (3.1.7); altre segnalazioni di dettaglio devono consentire all’operatore della stazione interessata di individuare con facilità la presenza di parzializzazioni locali ed i dispositivi esclusi, dal locale di comando della stazione medesima.

7) – Le parzializzazioni e le esclusioni di dispositivi delle stazioni di rinvio o intermedie devono essere eseguite localmente; in tal caso, deve essere trasmesso alla stazione motrice il relativo comando di penalizzazione automatica della velocità.

8) – Durante la marcia con l’azionamento di recupero o di soccorso deve risultare disponibile un’ampia possibilità di esclusione delle funzioni di sorveglianza, secondo quanto previsto dalla tabella di cui all’all. n. 3, fatto salvo quanto stabilito nell’art. 2.1.39, pt. 5.

2.1.39 MISURE ORGANIZZATIVE PER CONDIZIONI DI ESERCIZIO LIMITATE

1) – Le misure organizzative particolari da assumere ai sensi dell’art. 2.1.1, pt. 3, quando occorra ripristinare la sicurezza ad un livello equivalente a quello normale e quindi per porre l’impianto in condizione di esercizio limitata, devono essere esplicitate in sede di progetto per le diverse situazioni – o tipologie di situazioni – prevedibili e riportate nel Reg. di Esercizio.

Dette misure, da applicarsi a ciascun sistema di sorveglianza di stazione e comunque nel rispetto delle condizioni fissate nei pt. sotto riportati del pres. art., devono riguardare i seguenti aspetti:

1.1) – vigilanza speciale nel metodo e nella quantità, da parte del personale, sull’evento o sul dispositivo – o dispositivi – che possono, caso per caso, essere fonte di maggior rischio, con l’obbligo di intervento con comando d’arresto tempestivo o di inibizione della marcia nel caso di necessità;

1.2) – assunzione di provvedimenti atti a limitare la velocità di marcia (penalizzazioni) o riguardanti l’uso del modo di comando automatico;

1.3) – determinazione dei limiti di tempo entro i quali detta condizione di esercizio limitato può essere mantenuta, oltre i quali il servizio deve essere sospeso.

2) – LIMITAZIONI ALLA VELOCITÀ («PENALIZZAZIONI»).

2.1) – La marcia alla velocità nominale è consentita solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 2.1.1, individuanti il livello di sicurezza normale.

In particolare, ciò si verifica anche quando le misure tecniche normali risultano dalla riduzione di misure originariamente superiori.

Ad es., in presenza di tre unità di controllo, anche quando prescritte dalle P.T.S., la parzializzazione di una sola di esse non impone una limitazione di velocità, purché fra le rimanenti ve ne sia una a logica cablata (pres. art., pt. 2.3.3).

2.2) – Nel caso lo stato funzionale ed ambientale (2.1.1, pt. 1.1) sia peggiore rispetto a quello normale, la necessità e l’entità della penalizzazione da adottare sono stabilite caso per caso in relazione alle caratteristiche dell’impianto.

2.3) – Qualora le misure tecniche subiscano una riduzione rispetto a quelle normali, la penalizzazione di velocità da adottare è determinata, sulla base delle misure tecniche residue, secondo le prescrizioni seguenti.

2.3.1) – La presenza di uno o più dispositivi di protezione compromessi deve dar luogo quanto meno alla penalizzazione leggera della velocità. L’eventuale necessità di un livello di penalizzazione più severo sarà indicata nel progetto e riportata nel Reg. di Esercizio.

2.3.2) – La presenza di uno o più dispositivi di sicurezza degradati o compromessi deve di regola comportare una penalizzazione di velocità al livello più severo tra quelli individuati dalle prescrizioni seguenti, in relazione alla natura e alla quantità delle misure residue.

2.3.2.1) – La presenza di uno o più dispositivi di sicurezza compromessi deve comportare la «PENALIZZAZIONE PESANTE» della velocità, pari a circa il 30% della velocità nominale dell’impianto, e comunque ad un valore compreso tra 0.5 m/s e 2 m/s; la prosecuzione della marcia sarà consentita solo per il tempo necessario all’evacuazione della linea.

Tuttavia, se una funzione di sicurezza relativa alle sorveglianze sulle banchine e sul flusso dei viaggiatori (2.4.7) è compromessa ma il livello di sicurezza equivalente a quello normale è ripristinabile mediante provvedimenti organizzativi (vigilanza dell’operatore), allora è ammessa l’applicazione della penalizzazione intermedia della velocità, di cui al pt. succ., pari a circa il 70% della velocità nominale dell’impianto. In tale caso, la prosecuzione dell’esercizio è comunque limitata alla giornata in cui si è manifestata la circostanza.

A titolo di chiarimento, ciò è ammissibile solo per le sorveglianze sulle banchine, ma non per quelle inerenti la chiusura ed il bloccaggio delle porte dei veicoli.

2.3.2.2) – La presenza di due o più dispositivi di sicurezza degradati, che siano afferenti a funzioni di famiglie diverse, deve comportare la «PENALIZZAZIONE INTERMEDIA» della velocità, pari a circa il 70% della velocità nominale dell’impianto. In tale caso, la prosecuzione dell’esercizio è comunque limitata alla giornata in cui si è manifestata la circostanza e a condizione che la frequenza del test all’avviamento sia almeno di un ciclo ogni due ore.

A titolo di esempio, la parzializzazione completa di un canale di ciascuna delle funzioni di sicurezza duplicate, dovuta ad es. all’esclusione di una unità di controllo, rientra in tal caso.

2.3.2.3) – La presenza di uno o più dispositivi di sicurezza degradati, che siano afferenti a funzioni della medesima famiglia, deve comportare la «PENALIZZAZIONE LEGGERA» della velocità, pari a circa l’80% della velocità nominale dell’impianto.

Si ricorda che l’appartenenza di una funzione di sorveglianza ad una famiglia è stabilita nelle presenti P.T.S. – I.E. e che l’elenco è riportato nell’all. n. 1.

A titolo di esempio, la degradazione delle funzioni di sicurezza di massima velocità e di integrità della catena cinematica rientrano in tal caso.

2.3.3) – Qualora il sistema di sorveglianza, pur permanendo efficienti tutte le funzioni di sorveglianza, rimanga con sole unità di controllo a logica statica, è richiesta la penalizzazione leggera della velocità, con modalità analoghe a quelle descritte nel prec. pt. 2.3.2.3.

Quindi, in un sistema a due unità di controllo a logica statica ed una a logica cablata l’esclusione di quest’ultima comporta comunque la penalizzazione leggera.

2.3.4) – Qualora una funzione di sicurezza, pur efficiente, rimanga realizzata con sole unità di elaborazione non monofunzionali (non discrete, 2.1.10), è richiesta la penalizzazione leggera della velocità, con modalità analoghe a quelle descritte nel prec. pt. 2.3.2.3.

2.3.5) – Qualora un dispositivo di test automatico richiesto dalle presenti P.T.S. – I.E. e relativo ad una o più funzioni di sicurezza si renda indisponibile, deve adottarsi la penalizzazione di velocità conseguente al ritenere degradate le funzioni di sicurezza testate dal dispositivo in avaria (2.3.7).

Trattasi di dispositivi che esercitano funzioni relative al test all’avviamento oppure a test continui.

2.3.6) – Qualora si verifichino degradazioni al sistema di frenatura ovvero al sistema informativo ovvero ancora ai gruppi di alimentazione di sicurezza, devono essere assunte le misure organizzative definite, rispettivamente, negli art. 2.5.29, 2.7.4 e nel pt. 7 dell’art 2.9.10.

3) – LIMITAZIONI AL COMANDO AUTOMATICO. Non è ammesso impiegare il modo di comando automatico della velocità di marcia (2.3.1 e seg.) né in presenza di penalizzazione pesante della velocità né in caso di malfunzionamenti o parzializzazioni di funzioni di regolazione e/o di sorveglianza relative al controllo delle grandezze di velocità, spazio all’arrivo e coppia né, comunque, al venir meno delle altre condizioni previste per il suo impiego (2.3.13 e 2.3.14.4).

4) – Quando siano in uso azionamenti a velocità non regolata, i quali possono funzionare in modo continuativo ad un solo regime di velocità, a seguito di degrado o di compromissione di una funzione di sicurezza l’esercizio deve essere sospeso e la marcia, ove possibile e previa parzializzazione od esclusione della funzione medesima e assunzione di livello di vigilanza idoneo da parte del personale, può proseguire solo per l’evacuazione della linea.

5) – L’esclusione di funzioni di sorveglianza durante la marcia con l’azionamento di recupero o di soccorso non richiede penalizzazione automatica di velocità rispetto al valore nominale consentito per quel tipo di azionamento. L’esclusione comporta peraltro adeguato incremento di vigilanza da parte del personale.

Ciò si verifica in considerazione della modesta velocità di marcia e della particolare attenzione che il personale deve comunque porre durante le operazioni con tali tipi di azionamento.

2.2 PROCEDURE DI TEST E DI PROVA

2.2.1 CARATTERISTICHE DEI TEST E DELLE PROVE DI DISPONIBILITÀ

La procedura di verifica della disponibilità di una funzione, attuata mediante appositi test e prove, deve essere completa, ovverosia deve partire dalla simulazione dell’evento rischioso sorvegliato e giungere fino alla verifica dell’intervento dei relé finali. Una singola funzione può essere svolta da più elementi componenti (sensori, dispositivi elettromeccanici, circuiti elettronici, ecc,); è quindi possibile che la procedura di verifica sia composta da diversi tipi di test periodici, svolti durante l’esercizio, e da prove periodiche, svolte fuori esercizio, ciascuno a scadenza opportuna.

Dal punto di vista terminologico, i lemmi «test» e «prova», pur costituendo il primo un neologismo italiano corrispondente alla traduzione inglese del secondo, vengono impiegati con una precisa sfumatura di significato. Si adotta la dizione «TEST» per le verifiche di funzionamento eseguite generalmente (anche se non necessariamente) in modo automatico e continuamente, o comunque con frequenze relativamente elevate; in particolare per tutte quelle svolte nel corso del normale esercizio. Si fa invece uso del termine «PROVA» specialmente per indicare le verifiche eseguite, con periodicità genericamente più diluita nel tempo, fuori dal normale esercizio ed in particolare nel corso delle operazioni di manutenzione, spesso in modo manuale. Questa distinzione terminologica appare opportuna; si considerino, al proposito, i lemmi inglesi test, check, proof, survey.

2.2.2 OGGETTO DELLE PROCEDURE DI TEST

Tutti i componenti dell’impianto che rivestono, in vario grado, importanza per la sicurezza dell’esercizio devono, ciascuno in modo appropriato e con sequenze correlate al presunto rischio di guasto, essere sottoposti a test di disponibilità.

In particolare, quindi, rientrano in tale categoria i dispositivi di sicurezza (1.3.2.1), le unità di controllo (2.1.5) ed il sistema di frenatura (2.5.2).

2.2.3 OGGETTO DELLE PROCEDURE DI PROVA

Tutti i componenti dell’impianto che rivestono, in vario grado, importanza per la sicurezza e per la regolarità dell’esercizio devono, ciascuno in modo appropriato e con frequenze correlate al rischio presunto, essere sottoposti a prove di disponibilità.

In particolare, quindi, rientrano in tale categoria i dispositivi di protezione (1.3.2.2).

2.2.4 ATTUAZIONE DEI TEST

Gli eventi rischiosi e quant’altre condizioni e grandezze rilevati possono essere simulati applicando agli ingressi fisici dell’elemento hardware oggetto del test, generandoli per altra via, segnali elettrici equivalenti a quelli che verrebbero emessi dai sensori o dagli altri eventuali elementi di sollecitazione delle variabili di ingresso. I dispositivi di commutazione che deviano dal segnale reale a quello di test devono essere concepiti in maniera tale che una loro avaria non possa comportare il superamento del test e che venga realizzata una effettiva variazione del segnale di ingresso.

2.2.5 EFFICIENZA DELLE APPARECCHIATURE DI TEST

1) – Relativamente alle apparecchiature impiegate per l’esecuzione dei test, è considerato ammissibile che esse non vengano a loro volta sottoposte a verifica di efficienza tramite procedure di test apposite qualora, per semplicità di concezione e di funzionamento, sia estremamente improbabile che possano emettere un consenso di test eseguito in caso di guasto proprio.

Pertanto, le apparecchiature impiegate per l’esecuzione dei test devono, se possibile, essere costruite in maniera tale che il loro eventuale stato guasto possa tendersi evidente o mediante l’emissione automatica di una segnalazione o per il fatto che l’unità sottoposta al test, pur essendo efficiente, non riesce a superarlo.

2) – Diversamente, nel caso in cui il test sia condotto con apparecchiature dal funzionamento sufficientemente complesso da non poter essere ritenute sicure a priori, la relativa efficienza va a loro volta verificata tramite idonei e semplici metodi, manuali od automatici.

Ad es., i sistemi che eseguono test per confronto continuo possono essere provati facilmente applicando appositamente segnali discordanti e verificandone l’intervento.

2.2.6 TEST DINAMICI

Un dispositivo si definisce a FUNZIONAMENTO DINAMICO se è chiamato a riconoscere specifiche sequenze temporali di stati diversi che si ripetono periodicamente e ad intervenire quando la sequenza rilevata si discosta dall’unica ammessa. Il sistema deve svolgere continuativamente un’attività di elaborazione così complessa da poter ragionevolmente escludere che, in presenza di guasti, il consenso possa essere erroneamente mantenuto.

Qualora un sistema sia realizzato in modo tale che:

– la maggior parte dei dispositivi costituenti possa considerarsi a funzionamento dinamico;

– sia resa trascurabile la probabilità del mancato riconoscimento, in tempo utile, dell’inizio o della fine della sequenza, e ciò anche per effetto di un guasto di modo comune che interessi tutti i sensori coinvolti;

– sia consentita l’individuazione automatica dei sensori malfunzionanti;

allora si può ritenere che il permanere del consenso ad ogni evento ricorrente costituisca una prova dell’efficienza del sistema, o della sua parte, avente funzionamento dinamico e si ammette per definizione che esso sia continuamente sottoposto a TEST DINAMICO A CONTROLLO DI SEQUENZA. Non si ritiene pertanto necessario che tale sistema sia sottoposto periodicamente a test completo, con la simulazione di tutte le cause di intervento previste, considerando invece sufficiente un test all’avviamento che, in armonia con l’art. 2.2.9.2, verifichi almeno le parti a funzionamento non dinamico, rilevando comunque la capacità di emettere i comandi di intervento.

La sequenza temporale di stati diversi è di regola conseguenza di una successione di eventi periodici, quale il passaggio dei veicoli attraverso una successione di traguardi.

Esempi di dispositivi che si considerano testati dinamicamente sono:

– I dispositivi di uscita preposti ad emettere un consenso mediante segnali dinamici, cioè ad es. i segnali che cambiano in continuazione lo stato logico con caratteristiche prefissate di sequenza e frequenza, ed i relé dinamici, ossia i relé che possono ricevere l’energia di eccitazione solo in presenza di segnali dinamici che si mantengano entro prefissati limiti di frequenza ed ampiezza, dando garanzia di diseccitazione qualora essi se ne discostino.

– I sensori di campo (interruttori di prossimità, celle di carico, sensori di spazio) ed i relativi circuiti di condizionamento che periodicamente producono segnali variabili sottoposti a controlli di sequenza atti a verificare. per es., che i segnali di tipo logico compaiano secondo una sequenza prefissata e/o che i segnali di tipo analogico assumano valori prestabiliti diversi, entro opportune soglie di tolleranza, in passi diversi della sequenza.

– La parte dinamica di un sistema, cioè la parte che esegue i controlli di sequenza indicati, fino all’emissione del giudizio di correttezza della sequenza, se essa è stata realizzata in modo tale che risulti estremamente improbabile l’emissione di un consenso in presenza di un errore nella sequenza e di una errata valutazione.

2.2.7 TEST PER CONFRONTO

Tipo di test continuo (o quanto meno iterato a frequenza elevata), eseguito durante la marcia, consistente nel verificare, con stretti margini di tolleranza, l’eguaglianza tra coppie di segnali analogici indicanti il valore di una stessa grandezza fisica o di grandezze correlate biunivocamente, oppure l’identità di coppie di stati logici (TEST DI PARITÀ).

Tale test consente di verificare la congruenza dei valori rilevati mediante due sistemi di acquisizione indipendenti, costituiti dai trasduttori, dai condizionatori e dalle linee di trasmissione dei segnali e di conseguenza il corretto funzionamento dei due sistemi di acquisizione.

Test di questo tipo, realizzati mediante controlli a confronto e trattati in succ. art., devono essere obbligatoriamente impiegati per la validazione dei segnali prelevati dal campo mediante trasduttori duplicati.

2.2.8 – TEST SUI DISPOSITIVI AD ELETTRONICA COMPLESSA

I dispositivi ad elettronica complessa impiegati per lo svolgimento di funzioni connesse con la sicurezza devono essere sottoposti ad idonei test specifici, secondo le prescrizioni riportate negli art. seg.

Le tecniche impiegate per la realizzazione dei sistemi e per l’esecuzione dei test devono tendere a ridurre l’evenienza che un guasto previsto (1.3.9 e 1.3.11) possa rimanere a lungo latente, impedendo l’intervento del dispositivo di sicurezza in caso di condizione illecita. Esse devono inoltre realizzare la rilevazione automatica del guasto, accompagnata dall’emissione di un comando d’arresto e dalla segnalazione, il più possibile dettagliata, del malfunzionamento riscontrato.

2.2.8.1 TEST DELLE MEMORIE

1) – Le MEMORIE PERMANENTI impiegate per mantenere stabilmente dati, quali programmi di lavoro e dati di taratura, relativi a circuiti ad elettronica complessa a scansione ciclica di programma utilizzati in dispositivi di sicurezza, devono essere sottoposte a test per verificare il corretto mantenimento dei dati memorizzati se i componenti (memorie EPROM, EEPROM e simili) e le tecniche impiegate possono dar luogo al pericolo di perdita dei medesimi (2.1.23 e 1.3.11).

Il test deve, quanto meno, far parte dei test di attivazione (2.2.8.2), e può essere eseguito direttamente dal sistema stesso, per confronto con una seconda copia del programma e dei dati oppure con altri sistemi affidabili (test CRC o simili).

2) – Le MEMORIE PERMANENTI impiegate per mantenere stabilmente dati, appartenenti ad elementi hardware utilizzati in dispositivi di sicurezza, ma privi di dispositivi ad elettronica complessa a scansione ciclica, possono non essere sottoposte a test specifici, a condizione che gli elementi hardware appartengano a dispositivi realizzati a duplicazione di canale e che l’eventuale perdita di dati sia rilevabile almeno all’effettuazione del test automatico all’avviamento.

Esempi di tal genere si trovano nell’impiego di FPGA o di flip-flop per la realizzazione di reti combinatorie e/o sequenziali.

3) – Qualora un circuito ad elettronica complessa a scansione ciclica di programma impiegato in un dispositivo di sicurezza utilizzi parti di programma o dati, inerenti le funzioni di sicurezza, che risiedono in memorie permanenti, ma che durante il funzionamento del dispositivo sono mantenuti su MEMORIE VOLATILI, l’integrità di tali informazioni, allocate nelle memorie volatili, deve essere testata con frequenza opportunamente elevata.

Si considera adeguato un periodo di ripetizione fino a qualche secondo.

2.2.8.2 TEST DI ATTIVAZIONE

I dispositivi ad elettronica complessa a scansione ciclica di programma adibiti a funzioni di sicurezza devono essere sottoposti ad un test di funzionalità, denominato «test di attivazione», da effettuarsi almeno ad ogni ripristino della tensione di alimentazione del dispositivo o comunque ad ogni inizializzazione del dispositivo, ed in ogni caso con la cadenza prescritta dal Costruttore.

Il test va eseguito allo scopo di verificare il corretto funzionamento del sistema nel suo complesso e delle sue parti fondamentali (microprocessore, linee di comunicazione, memoria RAM, porta d’ingresso e d’uscita ecc.) e può essere eseguito direttamente dal dispositivo stesso (autodiagnosi iniziale).

Il Costruttore può indicare, ad es., la cadenza con cui è opportuno disalimentare il circuito per provocare poi, alla successiva rialimentazione, il lancio del test.

2.2.8.3 TEST SUL TEMPO MASSIMO DI CICLO

I dispositivi ad elettronica complessa a scansione ciclica di programma adibiti a funzioni di sicurezza devono essere sottoposti ad un test atto a verificare che non venga superato il tempo massimo stabilito per l’esecuzione del ciclo di lavoro (2.1.20 e 2.2.6). Il test, da effettuarsi ad ogni ciclo di lavoro, deve essere svolto mediante il dispositivo di protezione «watch-dog» di cui all’art. 2.1.20.

2.2.9 TEST ALL’AVVIAMENTO

Insieme dei test di disponibilità condotti nell’imminenza di ogni avviamento (1.2.43) su determinati circuiti, generalmente appartenenti a dispositivi di sicurezza.

Le modalità di esecuzione del test all’avviamento devono essere tali da produrre, sui circuiti costituenti il dispositivo in prova, le medesime sollecitazioni normalmente applicate al dispositivo stesso durante il servizio.

Nel corso dell’esecuzione del test, il dispositivi ad esso sottoposto deve svolgere la propria funzione coinvolgendo tutti i suoi componenti, ad esclusione al più di quelli specificati in (2.2.9.2).

Ciò si ispira al principio secondo cui un sistema sottoposto a test di disponibilità non deve «accorgersi» di essere sottoposto alla prova.

Il test all’avviamento si considera superato quando, in seguito all’applicazione delle sollecitazioni prestabilite, tutte le uscite si sono portate nello stato richiesto, normalmente di intervento. Quest’ultimo può essere verificato impiegando, tra l’altro, i contatti normalmente chiusi dei relé di consenso.

Tutti i dispositivi che realizzano sorveglianze con controllo a soglia devono essere testati sollecitandoli con segnali di livello tale da oltrepassare la soglia di intervento e verificando l’emissione dei relativi interventi (apertura di contatti o diseccitazione di uscite di consenso).

Nel caso che, sulla base di quanto specificato in 2.2.6, parti di un sistema si considerino provate per effetto delle loro caratteristiche di funzionamento dinamico, è necessario che le restanti parti del sistema vengano comunque sottoposte ai test all’avviamento necessari per il riconoscimento della loro efficienza. L’operatore deve poter verificare dal posto di manovra la corretta esecuzione del test all’avviamento, potendo quanto meno riconoscere quali sorveglianze e quali unità di elaborazione non abbiano eventualmente superato il test medesimo.

A fini diagnostici, è opportuno poter esaminare i valori simulati delle grandezze analogiche e lo stato dei consensi dei dispositivi sottoposti a test.

2.2.9.1 CAMPO MINIMO DI APPLICAZIONE DEL TEST ALL’AVVIAMENTO

Devono essere sottoposte al test all’avviamento quanto meno le seguenti parti del sistema di sorveglianza dell’impianto:

– tutti i dispositivi di sicurezza (1.3.2.1 e cap. 2.4), con l’eccezione di quei dispositivi, o di parti di essi, specificati in (2.2.9.2);

– tutte le unità di controllo, secondo quanto specificato negli art. 2.1.22 e 2.1.23;

– i relé finali (1.2.47);

– i contattori di marcia e dei freni (1.2.48).

Qualora un dispositivo di sicurezza sia composto da più canali, si intende che ciascun canale andrà sottoposto a test.

2.2.9.2 ESCLUSIONI DAL CAMPO DI APPLICAZIONE DEL TEST ALL’AVVIAMENTO

Le uniche eccezioni previste per il campo di applicazione del test all’avviamento si configurano nei seguenti casi.

1) – In linea di principio, il test all’avviamento deve verificare la funzionalità dei canali dei dispositivi ad esso sottoposti, mediante sollecitazioni che simulino fedelmente gli eventi rischiosi sorvegliati (2.2.2), È tuttavia ammesso che esso non verifichi direttamente la funzionalità dei sensori di campo (trasduttori e microinterruttori) e degli eventuali circuiti di trasmissione e condizionamento dei relativi segnali, collocando quindi il punto di commutazione con i segnali di test a valle di essi, ma sottoponendoli comunque a prove periodiche.

2) – È altresì ammesso che non vengano sottoposte a test all’avviamento parti di unità esplicanti funzioni di sicurezza in quei casi in cui la loro efficienza sia manifestamente verificata con continuità per effetto delle caratteristiche di funzionamento dinamico, con riferimento a quanto specificato in 2.2.6.

3) – È ammesso che venga esclusa, in tutto o in parte, la procedura del test all’avviamento nel caso in cui il superamento sia impedito da un guasto ai circuiti che realizzano il test stesso, ma ciò dovrà comportare automaticamente la penalizzazione leggera della velocità e l’esercizio potrà continuare solo secondo specifiche disposizioni da riportare nel Reg. di Esercizio (2.1.38 e 2.1.39).

4) – È altresì ammesso che venga esclusa, in tutto o in parte, la procedura del test all’avviamento nel caso in cui il superamento sia impedito da qualche dispositivo di sicurezza degradato o compromesso, ma ciò dovrà egualmente comportare la corrispondente penalizzazione della velocità secondo le disposizioni contenute nell’art. 2.1.39.

Possono non essere sottoposti a test i dispositivi od i canali parzializzati o esclusi.

Qualora la procedura di test debba essere esclusa, l’operatore fornirà manualmente il consenso di test eseguito, con il comando di cui all’art. 2.3.7.

Si intende che l’escludere dal test qualche sistema parzializzato non esime dal sottoporre a test ogni altro sistema.

2.2.10 TEST PER CONFRONTO DEI SEGNALI DI VELOCITÀ

Il test per confronto dei segnali di velocità (confronto dinamo tachimetriche o sistemi tipo encoder), non richiesto per gli azionamenti di recupero e di soccorso, è una procedura di verifica continua, in grado di intervenire emettendo un comando d’arresto qualora i segnali di velocità misurati, provenienti da trasduttori distinti, indichino valori che si discostano tra loro per entità superiori alla più elevata tra le due soglie di 0.6 m/s e del 10% della velocità nominale.

Ogni segnale di velocità di marcia rilevato mediante un proprio sistema di acquisizione ed utilizzato per funzioni di sicurezza o di regolazione dell’azionamento e dei freni deve essere sottoposto ad almeno un test per confronto con un segnale simile.

Tale funzione ha anzitutto lo scopo di sorvegliare l’efficienza dei trasduttori e dei circuiti di condizionamento dei segnali, pur tenendo conto delle differenze inerenti alla precisione intrinseca dei sistemi di misura (2.2.7).

Il test per confronto dei segnali di velocità, quando è eseguito su segnali emessi da trasduttori collocati alle estremità della catena cinematica d’argano (albero motore veloce e pulegge), può realizzare la sorveglianza di integrità della catena cinematica d’argano (2.4.4.3). In questo caso, il test medesimo diventa una funzione di sicurezza e la caduta del consenso deve comportare l’emissione di un comando di arresto con il freno meccanico di emergenza. Opportune cautele dovranno evitare che un guasto possa comportare la caduta simultanea dei freni con azione a scatto (2.5.22).

I dispositivi che realizzano il test devono a loro volta essere sottoposti al test all’avviamento e ne deve essere possibile una prova periodica manuale in bianco (2.2.14).

2.2.11 TEST PER CONFRONTO DEI SEGNALI DI COPPIA

Il test per confronto dei segnali di coppia di impianto, non richiesto per gli azionamenti di recupero e di soccorso, è una procedura continua di verifica, in grado di intenenire emettendo un comando d’arresto qualora i segnali di coppia utilizzati per le sorveglianze relative, provenienti da trasduttori distinti, indichino valori che si discostano tra loro oltre il 10% della coppia nominale di impianto (1.2.40).

I dispositivi che realizzano il test devono a loro volta essere sottoposti al test all’avviamento e periodicamente a prove in bianco.

2.2.12 TEST RELATIVI ALLO SPAZIO ALL’ARRIVO E AL DAZIO

Sono di seguito riportate le prescrizioni relative ai test per la validazione dei segnali di spazio all’arrivo (1.2.60) e di velocità di dazio, negli impianti che richiedono le relative funzioni di sorveglianza; essi vanno realizzati in ottemperanza all’art. 2.4.10.

Per la verifica dell’efficienza di tali test e delle sorveglianze ad essi collegate deve essere possibile simulare, mediante prova in bianco, ogni valore dello spazio all’arrivo compreso almeno nella zona suoneria.

2.2.12.1 TEST DI PUNTO FISSO

Il test di punto fisso è una procedura automatica di verifica del valore di spazio all’arrivo di una vettura o di un treno di vetture, fornito da un simulatore di percorso, in grado di intervenire emettendo un comando d’arresto, qualora tale valore si discosti, oltre un limite opportunamente prefissato, da quello corrispondente al passaggio del veicolo in un predeterminato punto del percorso, poco prima dell’inizio della zona di dazio. La ricezione del segnale al di fuori della zona di tolleranza o la mancata ricezione del segnale entro la zona medesima dovrà determinare l’intervento del controllo.

Il test di punto fisso è richiesto nel caso sia previsto il rallentamento automatico per l’ingresso in stazione e dev’essere eseguito su ognuno dei valori di spazio all’arrivo impiegato per funzioni di sicurezza. Deve essere eseguita almeno una lettura di punto fisso relativamente allo spazio d’arrivo di ciascuna vettura o di ciascun treno che si sta avvicinando alla stazione motrice.

Qualora i punti d’ammorsamento dei veicoli sulla fune siano soggetti a spostamenti (tanto negli impianti ad ammorsamento automatico quanto in quelli a collegamento permanente nei quali i punti d’ammorsamento vengono periodicamente spostati) i sensori devono essere collocati in un punto fisso rispetto al percorso e rilevare direttamente la presenza dei veicoli.

Il sistema che realizza il test deve essere a sua volta sottoposto a test automatico all’avviamento, con la simulazione della comparsa del segnale al di fuori della zona prescritta. Esso deve inoltre poter essere sottoposto a prova in bianco, in modo da poter rilevare la posizione e l’ampiezza della finestra di controllo, e da poter simulare la mancata comparsa del segnale di passaggio della vettura o del treno.

2.2.12.2 TEST PER CONFRONTO TRA I VALORI DI SPAZIO

Il test per confronto tra i valori di spazio è una procedura automatica di verifica dei valori di spazio all’arrivo forniti da due sorgenti distinte (simulatori di percorso e/o sensori diretti) in grado di intervenire, emettendo un comando d’arresto, qualora il valore di spazio all’arrivo rilevato da una delle sorgenti si discosti oltre un prefissato limite di tolleranza da quello rilevato dall’altra sorgente.

Ove possibile, i dispositivi che realizzano il test devono a loro volta essere sottoposti a test all’avviamento; il loro funzionamento deve essere inoltre verificabile mediante prova in bianco.

2.2.12.3 TESI PER CONFRONTO DELLA VELOCITÀ DI DAZIO

Il test per confronto della velocità di dazio è una procedura automatica di verifica del dispositivo che realizza la sorveglianza di dazio, ed indirettamente del valore di spazio all’arrivo, in grado di intervenire, emettendo un comando d’arresto, qualora i valori istantanei della soglia di velocità di dazio (1.2.62 e 2.4.10.1), impiegati dai canali che realizzano il dispositivo di sicurezza complessivo, differiscano oltre una tolleranza prefissata. Se una od entrambe le soglie evolvono a gradini (sistemi di dazio a punti), allora è ammesso adottare opportuni criteri di tolleranza anche sul rilevamento degli spazi.

Il test è richiesto per gli impianti dotati di più canali indipendenti per la sorveglianza di dazio (2.4.10 e 2.4.10.1).

Qualora uno dei sistemi di dazio sia di tipo continuo, i dispositivi che realizzano il test devono a loro volta essere sottoposti a test all’avviamento; il loro funzionamento deve poter inoltre essere verificato mediante prova in bianco.

2.2.13 PROVA IN BIANCO DELLE SOGLIE DI INTERVENTO

Attività di prova eseguita periodicamente dall’operatore ad impianto fermo, con comandi e regolazioni manuali, allo scopo principale di verificare la taratura delle soglie di intervento di un dispositivo di sorveglianza. La prova in bianco è richiesta per i dispositivi di sicurezza realizzati con circuiti elettronici, nei quali gli effettivi valori di intervento non possono essere letti direttamente in modo preciso (tarature mediante potenziometri e dispositivi simili, curve di velocità di dazio per gli impianti a va e vieni ecc.).

L’operatore regola e sottopone alla sorveglianza taluni segnali simulati, visualizzati con continuità; egli verifica la capacità di intervento del dispositivo al raggiungimento dei valori di soglia prestabiliti, tramite le relative segnalazioni.

2.2.14 PROVE PERIODICHE E MANUTENZIONE

Il personale dell’impianto deve verificare periodicamente il corretto funzionamento dell’impianto e delle sue parti sia nelle condizioni normali che in particolari condizioni irregolari, provocate ad arte, secondo quanto prescritto dalle Norme di esercizio relative allo specifico tipo di impianto e quanto stabilito dal Reg. di Esercizio nonché dal Manuale d’uso e manutenzione. A tal fine, l’impianto deve essere fornito di dispositivi e strumenti di permanente dotazione per poter verificare materialmente l’efficienza dei dispositivi adibiti a funzioni di sicurezza, in particolare di quelli che non sono sottoposti a test automatici, nonché per poter verificare la regolarità dei processi di frenatura, individualmente per ciascuna azione frenante prevista (2.5.28), ed il corretto funzionamento degli azionamenti di riserva, di recupero e di soccorso, nelle varie configurazioni di velocità e di carico.

Il Manuale di uso e manutenzione deve indicare le modalità e la frequenza degli interventi di manutenzione e delle prove suggeriti dal Costruttore (4.2.2). Il Reg. di Esercizio di ciascun impianto deve specificare la modalità e la frequenza di speciali prove o interventi di manutenzione: quanto sopra, comunque, sulla base delle prescrizioni date dalle Norme di esercizio.

Un’accurata manutenzione preventiva deve essere considerata di importanza fondamentale ai fini della sicurezza e non solo della regolarità di esercizio.

Vanno quindi sottoposti a prove periodiche i sensori di campo (trasduttori e sensori binari) e gli eventuali circuiti di trasmissione e condizionamento dei relativi segnali che, fino al punto di commutazione con i segnali di test, non risultano coperti dalle procedure automatiche di test. Ciò vale soprattutto per i sensori binari geometrici (barrette a frattura, microinterruttori e simili), che sono soggetti in prevalenza a malfunzionamenti di natura meccanica (grippaggio, rottura, ossidazione, spostamenti) o elettrica (cortocircuito ingresso-uscita, interruzione) difficilmente rilevabili con test automatici.

Si raccomanda di sottoporre a prove simili anche i dispositivi adibiti a compiti di protezione e regolazione.

2.3 COMANDI E SEQUENZE DI FUNZIONAMENTO

2.3.1 COMANDI DI TESI ALL’AVVIAMENTO E DI MARCIA

I comandi relativi all’avviamento devono avere un’unica dislocazione, fatto salvo il seg. pt. 4, e comprendono il comando di selezione del senso di marcia, di test all’avviamento e di marcia.

1) – COMANDO DI SELEZIONE DEL SENSO DI MARCIA. La selezione del senso di marcia deve essere realizzabile con dispositivi posti sul banco di manovra ed attuabile in modo tale da garantire che l’emissione di un comando erroneo od intempestivo non possa comportare pericoli. A tale scopo, il comando deve avere effetto solo ad impianto fermo e, di regola, comportare l’arresto dell’impianto.

Ad es., una manovra svolta nel corso della marcia non deve far rischiare l’inversione o l’annullamento intempestivo della coppia motrice.

La selezione del senso di marcia deve essere attuata secondo le seguenti prescrizioni.

1.1) a IMPIANTI A MOTO UNIDIREZIONALE. Il senso di marcia avanti o indietro deve essere selezionabile mediante apposito selettore a due posizioni stabili, dotato di specifica protezione contro la manovra involontaria.

1.2) – IMPIANTI A VA E VIENI. Per comandare il senso di marcia «Partenza vettura 1» e quello opposto devono essere impiegati un selettore a due posizioni stabili analogo a quello di cui al pt. 1.1 oppure un pulsante di marcia per ciascun verso. Quando una vettura è sul finecorsa di stazione, il comando di marcia nella direzione errata deve essere automaticamente inibito.

2) – COMANDO DI TEST ALL’AVVIAMENTO. Il comando di test all’avviamento può essere dato manualmente, mediante un pulsante apposito di colore blu (2.7.11), posto sul banco di manovra, oppure attivato automaticamente mediante il comando di marcia. Esso determina l’avvio della procedura di test automatico preliminare all’avviamento dell’impianto (2.3.2.1).

3) – COMANDO DI MARCIA. L’organo di comando della marcia dell’impianto dalla stazione motrice mediante l’azionamento principale deve essere posto sul banco di manovra ed essere dotato di specifica protezione contro la manovra involontaria.

La marcia con l’azionamento di riserva può essere comandata mediante lo stesso comando impiegato per la marcia con l’azionamento principale; in alternativa, può essere previsto un comando distinto, il cui pulsante sia analogamente posto sul banco di manovra e dotato di specifica protezione contro la manovra involontaria.

Il comando di marcia deve essere realizzato secondo le seguenti prescrizioni.

3.1) – IMPIANTI A MOTO UNIDIREZIONALE. Sarà previsto un singolo pulsante di colore verde (2.7.11).

3.2) – IMPIANTI A VA E VIENI. Saranno previsti un pulsante singolo oppure una coppia di pulsanti (uno per ciascun verso), in ogni caso di colore verde, a seconda che per la selezione del senso di marcia sia impiegato un selettore a due posizioni od i pulsanti medesimi (cfr. pt. 1.2).

4) – COMANDO AUTOMATICO DA VETTURA. Nel caso sia previsto il comando automatico da vettura, una od entrambe le vetture saranno dotate di comandi simili a quelli collocati sul banco di manovra, sopra descritti, ed agiranno in modo analogo. Il comando di marcia dalle vetture, comunque, agirà soltanto se il modo di funzionamento «comando automatico da vettura» è attivato; quest’ultimo sarà attivabile solo se la vettura in partenza si trova al punto di arresto di una stazione, terminale o intermedia.

2.3.2 SEQUENZA DI AVVIAMENTO DELL’IMPIANTO

Nei seg. art. vengono fornite le prescrizioni relative all’avviamento (1.2.43), valide per tutti i tipi di impianti salvo diversa specificazione, e riferite all’impiego dell’azionamento principale o di riserva.

2.3.2.1 CONSENSO DI TEST ESEGUITO

In condizioni normali, un consenso che indichi il superamento del test all’avviamento sarà emesso secondo le seguenti modalità.

1) – Il comando di test deve avere effetto solo ad impianto in stazionamento ed in presenza dei consensi delle funzioni di sorveglianza.

2) – il CONSENSO DI TEST ESEGUITO si attiva quando tutti i dispositivi e circuiti che devono essere sottoposti a test hanno fornito i segnali di intervento o consenso richiesti.

3) – Il ripristino generale dei dispositivi relativi alle funzioni ad esso sottoposte deve essere comandato al superamento del test, automaticamente o per comando manuale.

4) – Il consenso di test eseguito deve essere annullato al più tardi al conseguimento del consenso alla marcia regolare (2.3.2.4) e comunque entro un breve lasso di tempo. In particolare, nel caso il comando di test sia distinto dal comando di marcia, esso deve essere temporizzato, e precisamente decadere se la marcia non è chiamata, di regola, entro un minuto. Le funzioni di sorveglianza devono comunque rimanere efficienti anche in tale fase, e la presenza del consenso di test eseguito non deve impedire l’annullamento del consenso all’avviamento per intervento successivo di una qualsiasi funzione di sorveglianza.

2.3.2.2 CONSENSO ALL’AVVIAMENTO

1) – In condizioni normali, il CONSENSO ALL’AVVIAMENTO sarà emesso automaticamente alle seguenti condizioni:

1.1) – presenza del consenso di test all’avviamento eseguito (2.3.2.1, 1.3.15 e 2.2.9);

1.2) – congruità delle predisposizioni e delle condizioni elettriche e meccaniche dell’impianto, in relazione allo stato di servizio richiesto;

1.3) – presenza dei consensi di tutti i dispositivi di sicurezza e protezione che possono comandare l’arresto durante la marcia, ad eccezione di quelli ottenibili solo con impianto in movimento (ad es., controllo lubrificazione riduttore), secondo l’art. 1.3.17;

1.4) – congruità degli stati richiesti per lo stazionamento (1.2.42) relativamente a:

– funzione di controllo di velocità minima (2.5.14),

– funzione di controllo dello stato dei freni meccanici (ad es., freno di servizio chiuso e freno di emergenza aperto) (2.5.16),

– funzione di controllo di usura dei freni meccanici (2.5.17),

– controllo dello stato dei relé e dei contattori di inserzione dell’azionamento;

1.5) – presenza dei consensi riassuntivi inviati dalle vetture (consensi di porte chiuse, consenso alla partenza, ecc.), se richiesti (2.4.10.6).

2) – Qualora una o più delle condizioni suddette non risulti soddisfatta, l’operatore potrà impiegare parzializzazioni od esclusioni di sorveglianze, di funzioni di controllo o di test, al fine di ottenere il consenso medesimo; in tal caso, l’avviamento potrà avere luogo secondo i limiti e le modalità stabiliti negli art. 2.1.38 e 2.1.39, ed in ogni caso con opportuna penalizzazione di velocità.

3) – Il consenso all’avviamento deve essere annullato quando si attiva il consenso alla marcia regolare (2.3.2.4).

4) – Il consenso all’avviamento deve essere segnalato sul banco di manovra (2.7.5) mediante una lampada; questa potrà anche coincidere con la lampada indicante il consenso alla marcia regolare, purché nella transizione alla marcia regolare (2.3.2.3, pt. 2) essa sia gestita in modo da far rilevare il passaggio tra il consenso all’avviamento e quello alla marcia regolare.

2.3.2.3 SEQUENZA DI AVVIAMENTO

In presenza del consenso all’avviamento, il comando di marcia deve dar luogo alle seguenti fasi successive (AVVIAMENTO, 1.2.43).

1) – PREAVVISO SONORO DI PARTENZA. Una segnalazione acustica deve essere udibile nella sala argano, nei piazzali di imbarco di tutte le stazioni ed in altri luoghi di abituale sosta del personale. Tale segnalazione sonora deve essere di regola efficiente anche durante le fasi di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto; in carenza (eccezionalmente ammissibile solo durante queste fasi), devono essere assunte specifiche misure regolamentari.

Negli impianti di tipo a moto continuo, nei quali l’avviamento avviene occasionalmente a lunghi intervalli di tempo, la durata del preavviso sonoro dev’essere di almeno 3 s.

2) – TRANSIZIONE ALLA MARCIA REGOLARE. Al termine del preavviso sonoro di partenza, ed in presenza del comando di marcia mantenuto manualmente, l’azionamento viene inserito ed il freno di stazionamento viene aperto. L’impianto accelera fino a superare la minima velocità, portandosi in marcia (1.2.41). La fase si completa, in condizioni regolari, con la transizione dei consensi e degli stati seguenti allo stato congruo con la marcia:

– azionamento inserito (contattori di inserzione chiusi),

– freni aperti (2.5.16),

– minima velocità superata (2.5.14),

– finecorsa di arresto in stazione disimpegnati, per le funivie a va e vieni, fatto salvo il caso di ripartenza lungo la linea,

– flussostati ed analoghi, come richiesto.

Al completamento della fase si attiva automaticamente il CONSENSO ALLA MARCIA REGOLARE. Il rilascio del pulsante di marcia prima che si sia ottenuto tale consenso, e comunque ogni comando di arresto sopravvenuto in tale fase, devono causare l’arresto dell’impianto e l’annullamento del consenso all’avviamento. La successiva manovra di avviamento deve iniziare nuovamente dall’esecuzione del test di avviamento.

3) – TRANSIZIONE ALLA MARCIA A REGIME. Ottenuto il consenso alla marcia regolare, l’impianto viene portato alla velocità di regime.

2.3.2.4 CONSENSO ALLA MARCIA REGOLARE

1) – Il consenso alla marcia regolare sarà emesso automaticamente una volta riconosciuta la congruità con lo stato di marcia delle funzioni di sorveglianza, di controllo e di test dell’impianto, dell’azionamento e dei treni meccanici.

2) – Il consenso alla marcia regolare darà luogo all’autoritenuta del comando di marcia consentendo all’operatore il rilascio del pulsante.

3) – Il consenso deve decadere in occasione di ogni comando d’arresto.

4) – Il consenso deve essere segnalato con una lampada di colore verde (2.7.11) collocata sul banco di manovra.

2.3.3 COMANDO DELLA VELOCITÀ DI MARCIA

Il valore di riferimento della velocità di marcia che l’azionamento di trazione deve inseguire può essere determinato mediante vari comandi, secondo le modalità descritte negli art. seg., e rispettando il principio secondo cui, in ogni caso, deve avere priorità il comando che richiede la velocità minore (2.3.4.1). In particolare, tale riferimento dovrà essere determinato in modo che non venga superata la velocità massima permessa nel modo di funzionamento in atto (esercizio normale, penalizzazioni di velocità, ecc.).

Gli art. seg. si riferiscono generalmente agli azionamenti a velocità regolata (1.2.29) nonché, per quanto applicabili, anche agli azionamenti a velocità non regolata.

2.3.3.1 COMANDO MANUALE DELLA VELOCITÀ

Il comando manuale della velocità deve essere sempre presente e disposto sul banco di manovra della stazione motrice; esso deve operare secondo le modalità riportate nel cap. 2.6.

Ciascun gruppo di trazione (principale, di riserva, di recupero, di soccorso) deve avere un proprio comando unico, disposto in modo da evitare ambiguità sul gruppo di trazione comandato. Se per il gruppo di trazione di riserva si impiega un azionamento utilizzato anche col gruppo di trazione principale, il comando può essere in comune.

Nel caso di impiego di un azionamento a velocità regolata, il comando deve consentire all’operatore di richiedere un qualsiasi valore della velocità di marcia compreso tra la velocità minima ed il valore massimo della velocità ammesso nel modo di esercizio in atto o comunque imposto da altri comandi. Per la realizzazione si devono impiegare dispositivi (potenziometri, motopotenziometri elettronici, ecc.) che consentano una regolazione continua, stabile e precisa.

Nel caso sia utilizzato un azionamento a velocità non regolata, quindi con velocità di regime fissa, il comando deve consentire all’operatore di avviare gradualmente l’impianto fino alla velocità fissa di regime. Per la realizzazione possono essere impiegati reostati, commutatori a posizioni multiple o mezzi simili; dovranno essere adottate le precauzioni necessarie ad evitare i pericoli connessi ad un avviamento non eseguito correttamente ed essere predisposte idonee funzioni di sorveglianza (2.4.11.4).

Nel caso di avviamento di un azionamento idraulico, dovrà prevedersi un controllo della posizione di zero per il comando dei freni ed il consenso all’avviamento dotato, ove possibile, di ritorno automatico alla posizione di zero al termine dell’arresto.

2.3.3.2 COMANDO MANUALE DELLA VELOCITÀ DALLE VETTURE

Il comando manuale della velocità dalle vetture è facoltativo ed è impiegato negli impianti a va e vieni che prevedono l’utilizzazione del modo di comando automatico della marcia da una o più vetture (2.3.12.3).

2.3.3.3 COMANDO AUTOMATICO DI RALLENTAMENTO

Il comando automatico di rallentamento è utilizzato negli impianti a va e vieni nel funzionamento con comando automatico da stazione o da vettura nonché negli impianti a moto unidirezionale intermittente, nel funzionamento con comando automatico. Il comando limita automaticamente la velocità di marcia ad un valore variabile, prestabilito secondo una regola determinata (curva di rallentamento), in funzione dello spazio all’arrivo della vettura (2.1.32 e 2.3.12.2), per l’ingresso in stazione od il passaggio in zone singolari previste.

2.3.3.4 PRESELEZIONE DELLA MASSIMA VELOCITÀ PRINCIPALE / RISERVA

Nel caso si utilizzi per la trazione col gruppo di riserva un azionamento impiegato anche per la trazione col gruppo principale (ad es. uno dei due motori che, accoppiati, costituiscono l’azionamento principale), il comando di preselezione della massima velocità principale / riserva limita la velocità di marcia entro il valore nominale stabilito nei due casi; la preselezione deve determinare anche, contestualmente, l’adeguamento del valore di soglia utilizzato per il controllo elettrico di massima velocità.

2.3.3.5 PRESELEZIONE DELLA PORTATA INVERNALE / ESTIVA

Il comando di preselezione della velocità invernale / estiva è applicato mediante un apposito selettore, ed è richiesto negli impianti a moto continuo nelle quali sono previste velocità massime diverse per le due stagioni (caso, ad es., del trasporto di soli passeggeri con sci ai piedi in inverno). La preselezione deve limitare la velocità di marcia entro il valore massimo stabilito nei due casi; esso deve determinare anche, contestualmente, l’adeguamento del valore di soglia utilizzato per il controllo elettrico di massima velocità.

2.3.3.6 COMANDO AUTOMATICO DI PENALIZZAZIONE DELLA VELOCITÀ

I comandi di penalizzazione leggera o pesante della velocità di marcia devono essere emessi automaticamente in caso di parzializzazioni od esclusioni (2.1.38) e devono limitare il valore del riferimento di velocità ai valori massimi previsti per i due casi.

2.3.3.7 COMANDO MANUALE DI RALLENTAMENTO

Il comando manuale di rallentamento della velocità di marcia normale è richiesto nelle seggiovie a collegamento permanente nonché in quelle a collegamento temporaneo che effettuino servizio promiscuo ove siano previste velocità di imbarco e sbarco differenziate per gli sciatori e rispettivamente per i pedoni. Tale comando, realizzato mediante pulsanti a ritenuta meccanica, deve essere posto sui piazzali di imbarco e sbarco delle stazioni nonché sul banco di manovra. Esso deve limitare la velocità di marcia al valore prestabilito, fino a che non viene annullato agendo sullo stesso organo di comando dal quale era stato emesso (2.3.10).

Il comando è comunque raccomandato in tutti i tipi di impianto a moto continuo e a velocità regolata, in quanto ha lo scopo di consentire un più agevole imbarco e sbarco di passeggeri in difficoltà.

2.3.3.8 COMANDO MANUALE DI VELOCITÀ IN ZONA DI STAZIONE

Nel caso di impianti a va e vieni e a moto unidirezionale intermittente un comando manuale addizionale, posto sul banco di manovra, deve consentire all’operatore di regolare la velocità di marcia in un campo di valori molto bassi quando le vetture si trovano in zona di stazione, in modo da consentire negli ultimi metri di percorso un ingresso sicuro nelle stazioni anche in condizioni sfavorevoli (oscillazione del veicolo per vento, ecc.). Tale comando deve consentire di regolare la velocità da valori prossimi a zero fino al valore consentito per l’ingresso in condizioni normali.

2.3.3.9 COMANDO MANUALE DI ANNULLAMENTO DELLA VELOCITÀ

Tutti gli impianti possono essere dotati di un comando manuale di annullamento del riferimento di velocità secondo una rampa a decelerazione massima prefissata che può essere emesso agendo sul potenziometro di velocità (2.3.3.1) oppure tramite un pulsante opzionale di colore nero (2.7.11). Esso conduce l’impianto, mantenendolo in marcia regolare, fino alla soglia di minima velocità, al di sotto della quale deve essere automaticamente emesso un comando di arresto col freno meccanico di servizio, per ottenere la transizione allo stazionamento. L’operatore che ha emesso il comando deve sorvegliare l’evoluzione della velocità e verificare, alla fine, l’avvenuto arresto (1.2.45).

Il comando è impiegabile esclusivamente per esigenze non connesse con la sicurezza delle persone o con la protezione degli equipaggiamenti elettromeccanici; il rallentamento ottenuto con tale comando non costituisce infatti, ai sensi dell’art. 1.2.45, un comando d’arresto.

2.3.4 COMANDI RELATIVI ALL’ARRESTO

1) – Tutti i comandi di arresto devono provocare in modo irreversibile l’arresto dell’impianto, agendo per disalimentazione dei relé o delle catene finali di comando dell’azionamento e dei freni, secondo le modalità previste per ciascun tipo di arresto e ai sensi di quanto prescritto nel cap. 2.5.

2) – Gli organi di comando manuale di arresto agenti per via elettrica, con l’eventuale eccezione del solo comando di arresto col freno elettrico di servizio collocato sul banco di manovra, devono essere costituiti da pulsanti a ritenuta meccanica.

Tale prescrizione integra quelle generali di cui agli art. 2.7.11 e 3.1.11 e quelle specifiche di cui agli art. 2.3.4.3, 2.3.4.4 e 2.3.4.5.

3) – La dislocazione e la quantità degli organi di comando manuale di arresto sono precisate dalle P.T.S. relative ai vari tipi di impianto; comunque, pulsanti d’arresto devono essere disposti in sala macchine, sulle passerelle di stazione e dei sostegni di linea nonché sui piazzali d’imbarco.

I pulsanti d’arresto a ritenuta meccanica posti in stazione motrice devono agire per interruzione diretta delle catene finali d’arresto e non essere escludibili; quelli collocati fuori dalla stazione motrice (ossia sui sostegni, in vettura e nelle altre stazioni) possono operare attraverso il sistema di teletrasmissione di sicurezza (1.2.23.1) e quindi essere esclusi in caso di guasto del sistema di teletrasmissione medesimo.

Qualora la teletrasmissione dei comandi avvenga, in particolare negli impianti a va e vieni, convogliando i segnali su funi isolate, è ammesso che i pulsanti d’arresto installati lungo la linea, esternamente alle stazioni, agiscano per corto circuito permanete della fune verso terra. A tal fine, ogni comando d’arresto deve essere integrato da opportune misure procedurali, ed in particolare dalla comunicazione verbale del comando tramite collegamento radio in fonia con conferma dell’avvenuta ricezione (2.1.37, pt. 3.8).

Tale conferma del messaggio serve per avere la certezza che il sistema di teletrasmissione non venga escluso (escludendo il circuito delle sicurezze di linea) e che quindi il comando d’arresto venga mantenuto; opportune misure devono essere prese al fine di garantire che i collegamenti di corto circuito attuati dai pulsanti siano affidabili.

2.3.4.1 PRIORITÀ DEI COMANDI DI ARRESTO

Il sistema di controllo e regolazione dell’impianto, nel suo complesso, deve in ogni istante rispondere all’insieme dei comandi che gli vengono applicati (comandi di marcia, di arresto, di riferimento della velocità) in modo da rendere operativo, tra quelli in atto, unicamente il comando che richiede, ordinatamente, l’azione frenante più energica ovvero la decelerazione più rapida ovvero la velocità inferiore. L’ordine di priorità nell’insieme dei comandi eseguibili deve perciò essere:

– comando di arresto meccanico con azione a scatto,

– comando di arresto meccanico con azione modulata o differenziata (ai sensi degli art. 2.5.23 e 2.5.24),

– comando di arresto col freno elettrico di servizio,

– comando di annullamento della velocità,

– comandi di riduzione della velocità,

– comandi di incremento della velocità.

2.3.4.2 COMANDO DI DISALIMENTAZIONE GENERALE

L’operatore deve poter comandare rapidamente l’apertura di tutti gli interruttori generali (2.8.3) allacciati alle sorgenti di energia (1.2.2) che alimentano l’impianto elettrico di funivia afferente alla stazione. Tale prescrizione si applica, separatamente, a ciascuna stazione, in relazione alle sorgenti di energia ivi presenti (2.8.5).

Tali azioni saranno possibili con manovra diretta, se gli interruttori si trovano nel locale di comando o nelle immediate vicinanze, oppure con telecomando collocato sopra o presso il banco di manovra o, rispettivamente, nei posti di comando delle altre stazioni, utilizzando allo scopo un pulsante a ritenuta meccanica che interrompa il circuito di comando dello sganciatore di minima tensione. Qualora lo sgancio degli interruttori sia ottenuto mediante telecomando, tale sistema deve garantire elevata affidabilità e deve agire per interruzione del circuito di comando (ad es., mediante bobina di minima tensione); il pulsante di comando deve essere disposto in modo da ridurre la possibilità di azionamenti involontari.

L’interruzione di ciascuna sorgente di energia di una qualsiasi stazione comporterà automaticamente l’emissione del comando di arresto più opportuno.

Comandi manuali destinati alla disalimentazione dei soli circuiti di trazione dell’impianto sono facoltativi e comunque non sostituiscono quelli di cui sopra; qualora siano impiegati, devono essere emessi mediante pulsanti a ritenuta meccanica rapidamente azionabili da postazioni opportune, disposti o protetti in modo da ridurre la possibilità di azionamenti involontari. Essi devono determinare l’emissione di un idoneo comando di arresto.

Per i comandi di apertura e chiusura degli interruttori dei sistemi di illuminazione si veda l’art. 2.8.9.

2.3.4.3 COMANDO DI ARRESTO CON IL FRENO ELETTRICO DI SERVIZIO

Il comando di arresto con il freno elettrico di servizio (2.5.4) è facoltativo.

Ove previsto, esso deve poter essere emesso manualmente, mediante apposito pulsante rosso sporgente, collocato sul banco di manovra; altri comandi manuali potranno essere collocati eventualmente presso le stazioni di rinvio e/o intermedie.

Il comando può essere inoltre chiamato, anche automaticamente, per intervento di sorveglianze che non richiedono l’arresto col freno meccanico di servizio o di emergenza. Il comando può essere impiegato solo in impianti che utilizzano azionamenti a velocità regolata (1.2.29).

I comandi di arresto con il freno elettrico di servizio (2.3.4.3) devono corrispondere alla categoria 1 di cui all’art. 9.2.2 della Norma CEI EN 60204-1; il tipo di arresto descritto nella categoria 2 (arresto col permanere dell’alimentazione dell’azionamento di trazione) non può essere impiegato.

2.3.4.4 COMANDO DI ARRESTO CON IL FRENO MECCANICO DI SERVIZIO

Il comando di arresto con il freno meccanico di servizio è obbligatorio; esso deve poter essere emesso manualmente, mediante appositi pulsanti rossi, sporgenti, di cui almeno uno posto sul banco di manovra, nonché automaticamente, in tutti i casi previsti, per intervento di funzioni di sorveglianza.

Il Progettista dovrà individuare le sorveglianze che necessitano di comandare l’arresto col freno meccanico di servizio; quanto meno, comunque, si considerano le seguenti: massima velocità elettrica, coppia massima e gradiente di coppia, nonché specifiche protezioni d’azionamento e controlli di inserzione dello stesso.

Tale comando deve agire secondo quanto specificato nell’art. 2.5.4, attraverso le catene finali di comando degli attuatori del freno e di autoritenuta della marcia.

Il comando di arresto col freno meccanico di servizio (2.3.4.5) deve corrispondere alla categoria 0 di cui all’art. 9.2.2 della Norma CEI EN 60204-1 e soddisfare ai requisiti di cui all’art 9.2.5.4 della stessa norma.

2.3.4.5 COMANDO DI ARRESTO CON IL FRENO MECCANICO DI EMERGENZA

1) – Il comando di arresto con il freno meccanico di emergenza è obbligatorio, secondo quanto previsto dalle P.T.S. relative a ciascun tipo d’impianto.

2) – Il comando automatico dell’azione a scatto (2.5.22) dovrà comunque essere emesso, quanto meno, in caso di intervento delle seguenti funzioni:

– sorveglianza meccanica di sovravelocità (2.4.2.2);

– sorveglianza di arresto di emergenza in stazione, per impianti a va e vieni (2.4.10.5);

– controllo dello stazionamento, ove previsto (2.5.15);

– controllo di mancata decelerazione qualora, nella successione delle azioni frenanti previste, si sia già consumata quella col freno meccanico di servizio e, se esistente, quella modulata col freno meccanico di emergenza (2.5.13).

Tale comando deve agire secondo quanto specificato nell’art. 2.5.4, attraverso le catene finali di comando degli attuatori del freno e di autoritenuta della marcia.

Il comando di arresto col freno meccanico di emergenza (2.3.4.5) deve corrispondere alla categoria 0 di cui all’art. 9.2.2 della Norma CEI EN 6O204-1 e soddisfare ai requisiti di cui all’art. 9.2.5.4 della stessa norma.

3) – Per l’arresto con il freno meccanico di emergenza devono essere disponibili nella stazione motrice almeno due comandi manuali, di cui uno collocato sul banco di manovra ed uno al piazzale d’imbarco. Di essi, almeno uno deve chiamare l’azione a scatto del freno ed inoltre essere realizzato in modo diretto, ossia per via meccanica, idraulica o pneumatica. In particolare, si specifica quanto segue.

3.1) – Se un comando dell’azione a scatto attuato per via diretta viene collocato in corrispondenza del piazzale d’imbarco della stazione, allora il comando collocato sul banco di manovra deve chiamare anch’esso l’azione a scatto ma può agire sia per via diretta che per via elettrica.

3.2) – Se, invece, un comando dell’azione a scatto attuato per via diretta viene collocato sul banco di manovra, allora è ammesso sia che il comando collocato in corrispondenza del piazzale d’imbarco chiami l’azione a scatto, anche per via elettrica, sia che chiami l’azione modulata, qualora disponibile, con la più elevata decelerazione predisposta.

3.3) – L’eventuale comando elettrico manuale dell’azione a scatto deve attuarsi mediante apposito pulsante rosso a fungo, a ritenuta meccanica, collocato su sfondo giallo ed avente maggiore evidenza, possibilmente grazie anche alle superiori dimensioni, rispetto a quelli relativi agli altri comandi d’arresto trasmessi per via elettrica.

Negli impianti in cui un comando dell’azione a scatto attuato per via diretta viene collocato in corrispondenza del piazzale d’imbarco, è comunque ammesso predisporre sul piazzale medesimo anche un comando che chiami l’azione modulata con la più elevata decelerazione predisposta.

Il comando dell’azione modulata dal piazzale d’imbarco è ritenuto ammissibile in considerazione della presenza della funzione di controllo di mancata decelerazione.

2.3.5 COMANDI DI RIPRISTINO

Il comando di ripristino (RESET) dallo stato memorizzato di intervento di un sistema o di un dispositivo di sicurezza o di protezione deve essere attivabile solo ad impianto fermo; esso deve altresì, come unica azione, eliminare la memorizzazione dello stato di intervento dello stesso, al fine di riattivare il normale svolgimento del controllo, agendo sul segnale di consenso e non soltanto sulla segnalazione; deve inoltre poter operare solo una volta eliminata la causa che ha determinato l’intervento. In particolare, la modalità di applicazione del comando deve essere da non poter impedire l’intervento dei sistemi cui è applicato; ciò vale in particolare, ai sensi dell’art. 1.3.18, per i dispositivi di sicurezza. È comunque opportuno che il permanere del comando sia limitato nel tempo anche se il relativo pulsante viene mantenuto premuto.

I comandi manuali di ripristino devono essere dati mediante pulsanti di colore blu, non sporgenti oppure dotati di ghiera di guardia.

L’azione di ripristino deve quindi poter essere efficace solo a condizione che la funzione da ripristinare sia in condizioni di consenso; essa agirà quindi sulla memorizzazione di un intervento precedente e comunque dovrà lasciare alla funzione la libertà di intervenire in qualsiasi istante, anche durante l’applicazione del comando di ripristino. Tale applicazione, comunque, deve essere automaticamente limitata nel tempo, a titolo precauzionale.

2.3.5.1 COMANDO DI RIPRISTINO GENERALE

Sul banco di manovra della stazione motrice, e solo su di esso, deve essere presente un pulsante di ripristino generale, per l’invio simultaneo del comando a tutti i dispositivi di sicurezza che possono essere ripristinate con comando elettrico dal banco di manovra. Il comando di ripristino generale può inoltre essere emesso automaticamente all’atto del superamento del test automatico all’avviamento.

Nel caso di comando automatico da vettura, il comando di ripristino generale deve essere inserito nelle sequenze automatiche di avviamento, in quanto non è consentita la presenza in vettura di un comando manuale dedicato al ripristino generale.

2.3.5.2 COMANDI DI RIPRISTINO LOCALI

È ammesso l’impiego di comandi di ripristino locali, ove non sia possibile od opportuno utilizzare il solo comando di ripristino generale. In particolare, comandi manuali di ripristino locale devono essere utilizzati qualora sia necessario richiedere all’operatore una verifica in loco oppure richiamare la sua attenzione, ad es. per gli interventi del freno di emergenza, del circuito delle sicurezze di linea, delle sorveglianze della tenditrice idraulica e delle stazioni di rinvio ed intermedie, ed in generale per gli interventi dei sensori binari geometrici a contatto a memorizzazione meccanica. L’adozione di un comando di ripristino locale non deve comunque esimere dalla necessità di applicare, successivamente, il comando di ripristino generale al fine di completare l’azione di ripristino stessa.

2.3.6 COMANDI DI PARZIALIZZAZIONE E DI ESCLUSIONE

I comandi di parzializzazione e di esclusione devono consentire all’operatore di escludere l’azione degli interventi dei canali dei dispositivi di sorveglianza, secondo quanto disposto in 2.1.38.

Per comandare le parzializzazioni si possono usare elementi diversi (selettori, tastiere, ecc.), disposti sul banco di manovra o localmente in prossimità delle unità interessate (ad es. sui quadri delle sicurezze di stazione, della tenditrice idraulica, ecc.). I comandi di parzializzazione ed esclusione dei dispositivi di sicurezza devono essere abilitati da una chiave fisica o piombati.

Opportune segnalazioni o indicazioni devono consentire all’operatore di individuare i canali od i dispositivi esclusi.

2.3.7 COMANDO DI ESCLUSIONE DEL TEST ALL’AVVIAMENTO

Il comando di esclusione del test all’avviamento consente all’operatore di forzare il consenso di test all’avviamento eseguito, quando non è possibile ottenere tale consenso a causa di malfunzionamenti al sistema di test. Esso deve essere emesso o annullato soltanto ad impianto fermo e deve, quanto meno, comportare il comando di penalizzazione leggera della velocità di marcia (2.2.9.2).

Se il consenso non è ottenibile a causa del malfunzionamento di qualche dispositivo o canale sottoposto al test, è necessario procedere alla sua parzializzazione od esclusione ed andrà adottata la penalizzazione conseguente, ai sensi del pt. 2.3.2.3 dell’art. 2.1.39.

2.3.8 COMANDI PER LE PROVE IN BIANCO E PER LE PROVE PERIODICHE

Opportuni comandi, normalmente di tipo elettrico, devono essere predisposti per l’esecuzione delle eventuali prove in bianco e delle prove periodiche previste. Tali comandi devono consentire all’operatore lo svolgimento dei controlli in questione secondo quanto specificato negli art. 3.1.8 e 2.2.13, in particolare senza alterare le tarature od i circuiti.

Il comando per le prove in bianco (2.2.13) deve operare solo ad impianto fermo ovvero, se emesso durante la marcia, deve provocare automaticamente un comando di arresto dell’impianto.

I comandi per le prove che richiedono di provocare ad arte condizioni irregolari di funzionamento (sovravelocità, sospensione di controlli o di regolazioni, apertura di unità frenanti, ecc.) saranno disposti o protetti in modo da evitare azioni non intenzionali (ad es., collocandoli all’interno dei quadri, proteggendoli con chiavi, ecc.).

2.3.9 COMANDI DI PREDISPOSIZIONE DELL’IMPIANTO

I comandi di predisposizione dell’impianto, quali ad es. i comandi di selezione della sorgente di energia dei gruppi di alimentazione di sicurezza, del gruppo di trazione, del modo di funzionamento e simili devono essere concepiti – ed in particolare, se del caso, interbloccati – in modo da evitare, per quanto possibile, i pericoli conseguenti da scelte errate. La disposizione dei comandi ed opportune segnalazioni devono consentire all’operatore di comprendere in modo semplice la predisposizione delle diverse parti dell’impianto.

2.3.10 COMANDO DI ALLERTAMENTO PER TRASPORTO PEDONI

Negli impianti monofuni ad attacchi fissi previsti per servizio promiscuo, laddove – in base ai casi considerati dalle P.T.S. – siano previste velocità di imbarco e sbarco differenziate per sciatori e rispettivamente per pedoni, deve essere predisposto un sistema di allertamento acustico dell’agente che sorveglia la stazione di sbarco, in grado di segnalare in anticipo l’arrivo in stazione di un determinato veicolo, con suoneria opportunamente ritardata. Tale sistema, da impiegarsi per i soli pedoni, sarà attivabile, mediante comando manuale, alla stazione di partenza del veicolo interessato ed emetterà la segnalazione di allertamento alla stazione di arrivo, quando il veicolo si trovi nell’imminenza dell’arrivo, circa ad una equidistanza dal punto di sbarco.

Il sistema è concepito per richiamare l’attenzione del personale affinché comandi il rallentamento dell’impianto, oppure lo sorvegli, se esso è ottenuto automaticamente; per tale ragione non ne è richiesta la realizzazione secondo gli stessi criteri di sicurezza delle funzioni di sicurezza.

2.3.11 COMANDI DI PRONTEZZA ALLA MARCIA DELLE VETTURE

L’operatore di ciascuna vettura presidiata di un impianto a va e vieni deve inviare il comando di prontezza alla marcia premendo un apposito pulsante posto in vettura. L’effettiva emissione di tale comando, tuttavia, deve essere subordinata alla preventiva presenza di un consenso riassuntivo di tutte le sorveglianze di vettura (freni aperti, porte chiuse, ecc.) (2.1.15); la presenza di tale consenso deve essere segnalata in vettura mediante apposita indicazione luminosa di colore bianco o verde.

L’assenza o l’annullamento del consenso riassuntivo di una vettura deve impedire l’avviamento o causare l’arresto dell’impianto.

Il comando di prontezza alla marcia può essere memorizzato fino al successivo arresto e deve essere riapplicato prima di ogni richiesta di avviamento.

2.3.12 MODALITÀ DI COMANDO DELLA MARCIA NEGLI IMPIANTI A VA E VIENI

Gli impianti a va e vieni ammettono il comando manuale dal banco di manovra, il comando automatico dal banco di manovra ed il comando automatico dalla vettura. Di questi, solo il primo è obbligatorio.

Le presenti prescrizioni non ammettono soluzioni di comando automatico da vettura con stazioni non presidiate.

2.3.12.1 COMANDO MANUALE DAL BANCO DI MANOVRA

Con il comando manuale dal banco di manovra, obbligatorio in tutti gli impianti, l’operatore applica i comandi per l’avviamento dell’impianto, imposta la velocità di marcia ed in particolare gestisce, mediante i comandi di regolazione manuale della velocità di marcia, il rallentamento per l’avvicinamento e l’ingresso delle vetture in stazione, nonché il rallentamento in prossimità di zone singolari della linea (sostegni di linea o, nel caso delle funicolari, deviatoi).

Il comando manuale dal banco di manovra deve consentire all’operatore di imprimere all’impianto accelerazioni, positive e negative, sufficienti a garantire un adeguato controllo manuale sul movimento dell’impianto.

2.3.12.2 COMANDO AUTOMATICO DAL BANCO DI MANOVRA

In caso di comando automatico dal banco di manovra, un sistema automatico provvede a generare il riferimento di velocità di marcia lungo l’intero percorso, determinando il rallentamento automatico nella fase di avvicinamento alle stazioni ed eventualmente in prossimità delle zone singolari del percorso. Il sistema deve determinare il limite di velocità in relazione alla posizione della vettura, utilizzando allo scopo un segnale di spazio all’arrivo generato da un simulatore di percorso o da appositi sensori in linea, e sottoposto a tutti i controlli previsti (punto fisso, confronti di spazio, ecc.) (2.9.2).

L’operatore presente al banco di manovra della stazione motrice deve comandare l’avviamento dell’impianto ed assistere all’avvicinamento ed all’ingresso in stazione della vettura, fornendo il consenso di uomo morto nella relativa zona. In caso di necessità egli deve poter rapidamente assumere il comando manuale dell’impianto, in particolare riducendo ulteriormente la velocità di marcia o comandando l’arresto.

2.3.12.3 COMANDO AUTOMATICO DA VETTURA

1) – Il comando automatico da vettura deve rispondere alle prescrizioni di cui all’art. 2.3.1, pt. 4. Nel progetto dell’impianto devono essere esposte le condizioni regolamentari d’uso previste, che vanno riportate nel Reg. di Esercizio. L’operatore che comanda la marcia dalla vettura dovrà sorvegliare l’avvicinamento e l’ingresso in stazione della vettura, fornendo il consenso puntuale di uomo morto nella relativa zona (2.3.15.2), mentre dovrà essere attivo il sistema per il rallentamento automatico nelle zone singolari (2.4.10.1) e nelle zone di avvicinamento alle stazioni terminali. Il comando automatico può essere esercitato da più vetture simultaneamente, ed in tal caso, fatto salvo l’art. 2.3.4.1, si richiede anche che, a fronte di un comando di rallentamento emesso da una vettura, il successivo comando di reincremento della velocità possa essere impartito soltanto da quella stessa vettura.

Inoltre, in presenza di più comandi simultanei di rallentamento provenienti da vetture diverse, il successivo comando di reincremento della velocità può operare solo a seguito di segnalazione del consenso di tutte le vetture che hanno precedentemente comandato il rallentamento.

Il consenso può essere costituito dal comando stesso di riaccelerazione.

2) – ll comando automatico dalla vettura va abilitato dalla stazione motrice e deve essere gerarchicamente subordinato al comando dal banco di manovra; se si verifica un arresto in linea nel corso di una marcia a comando automatico dalla vettura, l’azione di ripristino ed il successivo riavviamento dell’impianto dovranno essere comandabili soltanto dalla stazione motrice.

3) – ll modo di comando automatico dalle vetture è ammesso nei casi in cui sia previsto il modo di comando automatico dal banco di manovra ed inoltre purché:

– tutti i dispositivi di sicurezza siano efficienti (in particolare non sia presente alcuna penalizzazione di velocità);

– il sistema di teletrasmissione dei comandi tra le vetture e la stazione motrice sia completamente efficiente.

La stazione motrice deve essere presidiata; l’operatore alla stazione motrice deve, durante la corsa, poter intervenire rapidamente per assumere il comando dell’impianto in caso di necessità.

2.3.13 CONDIZIONI PER LA SELEZIONE DELLE MODALITÀ DI COMANDO NEGLI IMPIANTI A VA E VIENI

Il modo di comando negli impianti a va e vieni deve essere prescelto tra quelli previsti mediante un selettore posto sul banco di manovra o su un quadro ausiliario di comando della stazione motrice; la scelta deve essere attivabile solo ad impianto fermo. La scelta di un modo di funzionamento non ammesso nelle condizioni di esercizio in atto deve essere automaticamente inibita da specifici interblocchi.

Il modo di comando manuale dal banco di manovra della stazione motrice, che deve essere sempre disponibile (2.3.12.1), è l’unico ammesso nei seguenti casi:

– impiego di un azionamento a velocità non regolata;

– utilizzazione degli azionamenti di recupero o di soccorso;

– esclusione di un simulatore di percorso o di sistemi di test relativi alla velocità di marcia, ai simulatori e alla funzione di dazio;

– avvenuto riscontro di malfunzionamenti al sistema di rallentamento automatico;

– le altre condizioni di cui all’art. 2.1.39.

Il Reg. di Esercizio dovrà precisare che il modo di comando manuale deve essere usato, almeno fino all’arrivo in stazione, qualora sorveglianze o test relativi alla velocità o allo spazio all’arrivo siano intervenuti nel corso della marcia, anche se, per la ripresa della stessa, non si renda necessaria alcuna parzializzazione (ad es., intervento del test di punto fisso).

2.3.14 MODALITÀ DI COMANDO DELLA MARCIA NEGLI IMPIANTI A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE

Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente (1.2.64) si possono utilizzare il comando manuale dal banco di manovra ed il comando automatico dal banco di manovra di seguito definiti.

2.3.14.1 COMANDO MANUALE

Il comando manuale per impianti a moto unidirezionale intermittente deve rispondere agli stessi requisiti del comando manuale dal banco di manovra degli impianti a va e vieni (2.3.12.1). Esso deve essere sempre disponibile e va utilizzato con le stesse modalità.

È inoltre obbligatorio impiegare il comando manuale durante la marcia indietro nonché nel successivo inizio della marcia avanti fino alla avvenuta risincronizzazione dei simulatori di percorso (2.9.2).

È altresì obbligatorio, almeno fino al termine del transito in stazione del treno in avvicinamento, dopo l’intervento di test di spazio e velocità, oppure della sorveglianza di dazio.

Il Reg. di Esercizio dovrà precisare che il modo di comando manuale deve essere usato, almeno fino al termine del transito in stazione del treno in avvicinamento, qualora sorveglianze o test relativi alla velocità o allo spazio all’arrivo siano intervenuti nel corso della marcia, anche se, per la ripresa della stessa, non si renda necessaria alcuna parzializzazione (ad es., intervento del test di punto fisso).

2.3.14.2 COMANDO AUTOMATICO

Il comando automatico per impianti a moto unidirezionale intermittente deve rispondere agli stessi requisiti del comando automatico dal banco di manovra degli impianti a va e vieni (2.3.12.2); è tuttavia ammesso non impiegare la sorveglianza di uomo morto.

2.3.14.3 COMANDO AUTOMATICO DI VELOCITÀ DI GIRO STAZIONE

1) – Il comando automatico di velocità di giro stazione deve essere impiegato negli impianti, a collegamento permanente o temporaneo, nei quali è previsto che la velocità della fune traente (o portante-traente) debba essere opportunamente limitata quando i veicoli si trovano in precisate zone delle stazioni. Esso deve essere attivo quando si impiega il comando automatico della velocità e deve emettere un segnale di comando che agisce sul segnale di riferimento di velocità dell’azionamento dell’anello trattivo in maniera tale che, in presenza dello specifico comando proveniente da idonee apparecchiature, il riferimento di velocità dell’azionamento sia limitato al valore corrispondente alla velocità massima ammessa per il regolare transito dei veicoli nella stazione.

2) – Il comando automatico di velocità di giro stazione può essere annullato, con ripristino della normale velocità di marcia, alle condizioni seguenti:

– le porte dei veicoli in partenza sono chiuse;

– i sensori dei punti di riaccelerazione delle stazioni terminali hanno segnalato che entrambi i treni entrati nelle stazioni hanno superato un idoneo predeterminato traguardo;

– i relé di zona di stazione di entrambi i simulatori forniscono il relativo consenso (veicoli fuori dalla zona di stazione).

Il comando deve essere mantenuto, fino al successivo verificarsi di queste condizioni, anche nel caso di riavviamento successivo all’intervento delle sorveglianze di dazio o dei test di verifica dei simulatori di percorso e del punto di riaccelerazione.

2.3.14.4 CONDIZIONI PER LA SELEZIONE DELLE MODALITÀ DI COMANDO NEGLI IMPIANTI A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE

Valgono per gli impianti a moto unidirezionale intermittente le medesime prescrizioni date per le funivie a va e vieni (2.3.13). Devono inoltre essere rispettate le condizioni seguenti per l’impiego del comando automatico.

– La sorveglianza di dazio (2.4.10.1) supplisce alla assenza della sorveglianza di uomo morto, che non é richiesta.

– Deve essere attiva la sorveglianza di riaccelerazione degli impianti a moto unidirezionale intermittente (2.4.10.8).

– Deve essere attivo il comando automatico di velocità di giro stazione per gli impianti a moto unidirezionale intermittente (2.3.14.3).

2.3.15 SEQUENZA DI ARRIVO IN STAZIONE DEGLI IMPIANTI A VA E VIENI E A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE

L ‘avvicinamento, il rallentamento e l’arresto nelle stazioni delle vetture di impianti a va e vieni e a moto unidirezionale intermittente prevedono l’individuazione di zone del percorso, determinate in funzione dello spazio all’arrivo (1.2.60), entro le quali la marcia dell’impianto deve avvenire sotto condizioni opportunamente vincolate. Qualunque sia la modalità di comando della marcia, manuale od automatica, un dispositivo di sicurezza sorveglierà il corretto svolgimento della fase terminale della corsa (2.4.10).

Negli art. seg. sono definite le zone individuate alle estremità della linea, nell’ordine in cui si presentano al veicolo in avvicinamento.

2.3.15.1 ZONA SUONERIA

La zona suoneria costituisce il tratto di spazio all’arrivo nel quale si richiama la vigile sorveglianza dell’operatore. Nel momento in cui una vettura impegna la zona suoneria deve essere emesso un avviso sonoro di vettura in avvicinamento. Tale avviso, la cui funzionalità deve essere testata ad ogni avviamento, sarà tacitato mediante il consenso uomo morto (2.3.15.2).

Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente, quando si impiega il comando automatico l’avviso potrà essere tacitato automaticamente dopo un tempo sufficiente.

2.3.15.2 CONSENSO DI UOMO MORTO

Il consenso di uomo morto è un comando richiesto negli impianti a va e vieni ed in quelli a moto unidirezionale intermittente; esso deve essere dato dall’operatore che comanda la marcia dell’impianto.

Nel caso di comando dalla stazione motrice, il consenso di uomo morto deve ottenersi mediante applicazione continuata del comando da parte dell’operatore, impiegando un apposito pedale collocato vicino al banco di manovra, durante l’intera fase di rallentamento per l’ingresso delle vetture in stazione.

Nel caso di comando automatico dalle vetture, il consenso di uomo morto deve ottenersi mediante applicazione puntuale del comando da parte dell’operatore di ciascuna vettura abilitata al comando della marcia; in tal caso è consentito che il consenso resti memorizzato, solo fino al successivo arresto dell’impianto, anche se questo avviene prima dell’ingresso in stazione.

La mancanza o l’annullamento del consenso di uomo morto, quando i veicoli si trovano in precisate posizioni della linea in avvicinamento verso le stazioni (ZONA DAZIO), deve comportare l’emissione di un comando d’arresto, ai sensi dell’art. 2.4.10.4.

La presenza permanente del consenso di uomo morto, emesso dalla stazione motrice, può comportare l’inibizione del comando d’arresto emesso dalla funzione di controllo di minima velocità; il consenso di uomo morto non deve inibire l’intervento dei freni meccanici con azione a scatto, per l’arresto, in ogni altra condizione.

Tale possibilità risulta utile per le esigenze di manutenzione lungo la linea e per l’ingresso in stazione in condizioni difficili.

Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente, il consenso di uomo morto e la relativa sorveglianza devono essere presenti, con le stesse modalità realizzative; essi però sono attivi solo durante l’impiego del comando manuale della velocità dal banco di manovra (2.3.14.1).

2.3.15.3 ZONA UOMO MORTO

La zona uomo morto costituisce il tratto di spazio all’arrivo all’interno del quale deve avere luogo il rallentamento dei veicoli per l’ingresso in stazione ed entro il quale deve essere presente il consenso di uomo morto (2.3.15.8). L’annullamento di tale consenso in questa zona deve causare l’emissione di un comando d’arresto (2.3.15.2 e 2.4.10.4).

La zona di uomo morto e la relativa sorveglianza devono coprire tutta la zona di dazio in avvicinamento alle stazioni.

2.3.15.4 ZONA DAZIO

La zona dazio costituisce il tratto di spazio all’arrivo ovvero gli intervalli di spazio (anche in corrispondenza delle zone singolari del percorso) nei quali sia previsto il rallentamento ed entro i quali la velocità dei veicoli deve essere sottoposta ad una sorveglianza di dazio (2.4.10.1). L’annullamento del consenso di dazio deve causare l’emissione di un comando d’arresto.

2.3.15.5 ZONA DI STAZIONE (ZONA FOSSE)

Negli impianti a va e vieni la zona di stazione, comunemente detta zona fosse, individua il tratto di spazio all’arrivo lungo il quale le vetture impegnano l’ingresso in stazione e nel quale pertanto queste devono avanzare a velocità molto ridotta, all’incirca costante, verso il finecorsa di stazione (2.3.3.8).

Negli impianti a moto unidirezionale intermittente, la zona di stazione individua la zona di transito nella quale la velocità deve essere limitata al valore ridotto previsto per l’attraversamento della stazione, fino al punto di riaccelerazione, ovvero nella quale è previsto lo stazionamento dei veicoli.

Il rilevamento dell’ingresso in zona di stazione deve essere attuato con metodi che offrano le stesse caratteristiche di sicurezza richieste per le funzioni di sicurezza.

L’impianto deve essere predisposto affinché ogni comando d’arresto intervenuto mentre le vetture si trovano in questa zona debba comportare una frenatura meccanica con azione a scatto.

2.3.15.6 PUNTO DI FINECORSA DI ARRESTO

Quando una vettura tocca il finecorsa di arresto in una stazione terminale, deve conseguirne l’emissione di un comando («comando di arresto sul finecorsa di stazione») che comporti l’arresto dell’impianto, con l’intervento del freno di stazionamento. Le modalità realizzative di tale catena di comando devono garantire le stesse caratteristiche di affidabilità richieste per la realizzazione delle funzioni di sicurezza; l’efficienza del sistema si intende verificata dinamicamente ad ogni corsa.

Negli impianti nei quali il punto di finecorsa non è raggiunto contemporaneamente nelle diverse stazioni, al fine di far assumere alla fune traente la configurazione definitiva che corrisponde a quella che porta tutti i veicoli ai rispettivi punti di finecorsa è consentito che il comando di arresto sia determinato da finecorsa posti solo nella stazione motrice.

Contestualmente all’azione del veicolo sul finecorsa deve determinarsi, all’arrivo o alla successiva ripartenza, l’azzeramento del conteggio di spazio dei simulatori di percorso relativo alla vettura interessata.

Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente, alcuni ruoli del punto di finecorsa di arresto sono svolti dal punto di stazione (ad es. come riferimento per lo spazio all’arrivo) o dal punto di riaccelerazione (ad es. per la correzione dello spazio all’arrivo).

In relazione alla tipologia dell’impianto, dovranno essere prese opportune misure affinchè il passaggio dell’impianto allo stazionamento avvenga una volta che si sia stabilizzata la configurazione dei contrappesi e delle catenarie, in modo che, alla chiusura del freno di stazionamento, i veicoli non siano più soggetti a movimento e rimangano nella posizione corretta per l’apertura delle porte.

2.3.15.7 PUNTO DI FINECORSA DI EMERGENZA

Se, alla stazione motrice, la vettura tocca il finecorsa di emergenza (posto successivamente al finecorsa di servizio), il relativo contatto deve comandare l’intervento del freno di emergenza con azione a scatto. In entrambe le stazioni di estremità, il contatto della vettura col finecorsa di emergenza, o quanto meno un avanzamento della stessa oltre tale finecorsa, deve provocare l’intervento del freno di vettura. Devono essere previste opportune esclusioni, attuabili solamente con la presenza attiva e continua dell’operatore (esclusioni «ad uomo presente»), affinché, in caso di attivazione del finecorsa di emergenza, le vetture possano essere riportate nella zona di regolare stazionamento (2.4.10.5 e 2.1.38, pt. 6).

Nel caso di impianti a moto unidirezionale intermittente, il finecorsa di emergenza non è di regola necessario.

2.3.16 COMANDI PER LA MARCIA DI RECUPERO E DI SOCCORSO

1) – Il banco di manovra dell’azionamento di recupero o di soccorso dev’essere dedicato allo specifico azionamento o, al più, essere costituito da una sezione indipendente nell’àmbito di un quadro comune (3.1.7).

2) – Sul banco di manovra devono essere presenti quanto meno i seguenti comandi relativi allo specifico azionamento:

– il comando di selezione del senso di marcia;

– il comando di ripristino delle funzioni di sorveglianza;

– il comando di marcia;

– il comando manuale della velocità di marcia;

– il comando di arresto, con pulsante a ritenuta, agente direttamente sulle catene finali (2.3.4 e 2.6.12).

Nel caso degli azionamenti di recupero, sui piazzali di imbarco devono essere disponibili comandi d’arresto con pulsanti a ritenuta, che possono essere gli stessi impiegati nel normale esercizio.

L’eventuale veicolo di soccorso dev’essere dotato, di regola, di un comando d’arresto e di un sistema di comunicazione vocale in dotazione permanente all’impianto, per la ripetizione verbale del comando.

3) – Qualora l’azionamento di recupero o di soccorso sia di tipo idrostatico o idrodinamico, con comando automatico della velocità, è inoltre richiesto un comando manuale locale degli attuatori relativi, così come prescritto dalle P.T.S. relative ai vari tipi di impianto.

Le manovre di predisposizione del comando della marcia di recupero e di soccorso avvengono in condizioni che richiedono rapidità e semplicità delle manovre ed una agevole comprensione della portata dei loro effetti. Il comando locale dell’azionamento di recupero idrostatico (o simile) costituisce la manovra di emergenza in caso di guasto del telecomando, atta a ridurre la probabilità di dover effettuare il recupero dei viaggiatori per calata a terra.

2.3.17 TELECOMANDO DELLA MARCIA DA STAZIONI NON MOTRICI

Al fine di consentire, durante le fasi di apertura e chiusura giornaliera del servizio, il solo trasferimento del personale da una stazione all’altra, quando durante la pausa notturna la stazione motrice possa restare non presidiata, l’impianto può essere equipaggiato da un sistema di telecomando della marcia da stazioni diverse dalla motrice. Tale sistema va comunque proposto con le dovute giustificazioni ed approvato caso per caso; il suo impiego potrà avvenire negli impianti e nelle situazioni nelle quali è possibile evitare pericoli per persone e beni, e comunque secondo un’apposita procedura da approvarsi volta per volta e da riportarsi nel Reg. di Esercizio. Il sistema di telecomando dovrà in ogni caso possedere i requisiti di seguito specificati.

1) – L’impianto deve essere dotato dei seguenti dispositivi:

1.1) – un sistema televisivo affinché dalla stazione dalla quale si attua il telecomando sia possibile riconoscere che le zone di accesso all’impianto di tutte le stazioni che rimangono sguarnite siano sgombre da persone estranee o da altri elementi disturbanti;

1.2) – un sistema televisivo dal quale sia possibile riconoscere l’assenza di impedimenti alla marcia di particolari elementi significativi dell’impianto, da definirsi caso per caso in relazione alla sua complessità e all’esposizione agli agenti atmosferici;

1.3) – un sistema di segnalazione della marcia ottico ed acustico ad intermittenza, disposto in modo da essere avvertibile chiaramente dal piazzale di tutte le stazioni che rimangono sguarnite, per l’intera durata della corsa di cui si tratta;

1.4) – un sistema ausiliario per poter utilizzare, dalla stazione di telecomando, il sistema di diffusione sonora in linea (ove esista) e presso tutte le stazioni che rimangono sguarnite.

2) – La stazione dalla quale si attua il telecomando deve essere dotata di un quadro ausiliario di comando dal quale deve essere possibile:

2.1) – ripristinare singolarmente o globalmente tutti i segnali di consenso delle funzioni di sorveglianza (tanto di sicurezza quanto di protezione) necessari all’azionamento dell’impianto, avendo peraltro la possibilità di constatare la presenza del consenso all’avviamento e di quello alla marcia regolare (2.7.5, pt. 3.2), nonché dei consensi delle funzioni di sicurezza, mantenendo quanto meno segnalazioni separate per talune di esse, secondo quanto specificato in 2.7.5, pt. 3.4;

2.2) – effettuare il comando della marcia con apposito comando a ciò esclusivamente finalizzato;

2.3) – telecomandare l’inserzione e la disinserzione delle sorgenti di energia dell’impianto e del circuito delle sicurezze di linea, ove sia opportuno disalimentarli per la messa dell’impianto in stato di fuori servizio.

3) – Il dispositivo di telecomando deve essere abilitabile con apposito interruttore a chiave disposto nella stazione motrice; tale abilitazione deve dar luogo:

3.1) – ad una congrua riduzione automatica della velocità;

3.2) – all’adeguamento della soglia di intervento della sorveglianza di massima coppia ad un livello corrispondente alle condizioni di trasporto in questione; in alternativa, dal quadro ausiliario di comando della stazione deve essere leggibile in modo continuo, su apposito strumento indicatore a lancetta, la coppia assorbita o quanto meno, se direttamente correlata, la corrente assorbita dal motore in uso;

3.3) – all’inibizione del sistema di comando della marcia disposto nella stazione motrice;

3.4) – ad apposita segnalazione dell’attivazione del telecomando, collocata sul quadro di comando della stazione motrice.

4) – L’abilitazione del dispositivo di telecomando di cui al pt. 3 deve risultare impossibile in presenza di qualunque parzializzazione di funzioni di sorveglianza o di consensi preposti alla segnalazione o al controllo della marcia.

2.4 FUNZIONI DI SORVEGLIANZA

PREMESSA.

SISTEMA DI SORVEGLIANZA. Gli art. seg. descrivono le diverse sorveglianze – di volta in volta definite di sicurezza o protezione – e ne stabiliscono le caratteristiche ed i campi d’applicazione, nonché il modo d’arresto richiesto per talune specifiche sorveglianze; ove la modalità dell’arresto non sia vincolante, verrà semplicemente richiamata la necessità di un arresto. Sorveglianze particolari, qui non descritte, possono rendersi necessarie e saranno caso per caso previste dal Progettista o prescritte dall’Autorità di sorveglianza. Specifiche funzioni inerenti il sistema di frenatura, denominate «funzioni di controllo», non sono qui considerate in quanto trattate nel capitolo relativo al sistema di frenatura stesso.

Tutti i dispositivi che realizzano le sorveglianze di seguito indicate devono essere sottoposti a prove periodiche per verificarne il corretto funzionamento (capacità di intervento e valori di intervento) ed il sistema di sorveglianza deve essere costruito in modo tale da renderne agevole l’esecuzione.

2.4.1 SORVEGLIANZE DI CONFIGURAZIONE

Idonei dispositivi e circuiti, che realizzano le sorveglianze denominate «di configurazione», devono controllare che la configurazione elettrica e meccanica dell’impianto, in ciascuna sua parte, sia congruente con la modalità di esercizio richiesta.

Ciò significa, ad es., controllare l’inserzione o la disinserzione delle trasmissioni meccaniche, delle linee elettriche di alimentazione, dei connettori per lo smistamento dei segnali, oppure lo stato di leve, di deviatoi e di rubinetti e valvole di circuiti idraulici e pneumatici.

L’intervento di una sorveglianza di configurazione deve impedire l’avviamento, comandare, se del caso, l’arresto e comunque comportare opportune segnalazioni (2.3.9).

2.4.2 SORVEGLIANZE RELATIVE ALLA VELOCITÀ

Tutti i tipi di impianto – fatte salve le specificazioni previste nel seguito – devono essere dotati della sorveglianza elettrica di sovravelocità e della sorveglianza meccanica di sovravelocità, descritte negli art. seg.

2.4.2.1 SORVEGLIANZA ELETTRICA DI SOVRAVELOCITÀ

La sorveglianza elettrica di sovravelocità («sovravelocità elettrica») costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di intervenire per ogni valore di velocità di marcia (1.2.35) superiore al 110% della velocità nominale di marcia prevista nel modo di esercizio in atto; per ogni tipo di impianto deve operare in entrambi i sensi di marcia.

Negli impianti con azionamento a velocità regolata caratterizzati da velocità nominali elevate è opportuno, nei limiti tali da non produrre avviamenti intempestivi, che la soglia sia tarata a valori inferiori (tipicamente al 105%).

L’adeguamento dei valori di soglia deve avvenire, in modo automatico, contestualmente alle commutazioni tra azionamento principale e di riserva, tra marcia invernale ed estiva e tra movimento di marcia avanti ed indietro, quest’ultima per gli impianti per cui sia ammesso dalle P.T.S. relative.

L’adeguamento non è invece richiesto nei casi di comando automatico di rallentamento (2.3.3.3) e di comando manuale di rallentamento (2.3.3.7), né in quelli di marcia con penalizzazione di velocità. I criteri realizzativi dovranno tendere a far sì che un guasto relativo ai sistemi di selezione delle soglie determini la selezione della soglia inferiore, andando così a favore della sicurezza.

La caduta del consenso di sovravelocità elettrica deve comportare l’emissione di un comando di arresto col freno meccanico di servizio.

I dispositivi che realizzano la sorveglianza devono essere sottoposti al test all’avviamento e periodicamente a prova in bianco.

La sorveglianza elettrica di sovravelocità non è richiesta per l’azionamento di recupero.

L’azionamento di soccorso – ove esista – deve essere dotato di una sorveglianza elettrica di sovravelocità analoga, agente sul proprio freno, la quale costituisce una funzione di protezione.

2.4.2.2 SORVEGLIANZA MECCANICA DI SOVRAVELOCITÀ

La sorveglianza meccanica di sovravelocità (SOVRAVELOCITÀ MECCANICA), di cui all’art 18.14 del Reg. Generale («dispositivo a forza centrifuga»), viene richiamata in questa sede per completezza. Tale sorveglianza costituisce una funzione di sicurezza che controlla la velocità dell’impianto trasdotta in forma diretta riportandola ad un dispositivo meccanico ad azione centrifuga affidabilmente azionato dalla puleggia motrice o dalla fune. Il suo intervento deve avvenire qualora la velocità di marcia, nei due sensi, superi una soglia compresa tra il 110 ed il 120% della più elevata tra le velocità nominali di marcia previste nei diversi modi di esercizio; il comando conseguente, emesso mediante azione meccanica diretta sul freno di emergenza, deve comportare l’arresto mediante azione a scatto del medesimo.

L’intervento di tale sorveglianza deve anche comportare l’emissione di un segnale elettrico da impiegare per la necessaria segnalazione; tale segnale può essere impiegato anche allo scopo di ribadire per via elettrica il comando d’arresto.

Il distacco dell’azionamento è in ogni caso comandato dalla sorveglianza dello stato dei freni e, al più tardi, dalla funzione di sicurezza di mancata decelerazione.

2.4.3 SORVEGLIANZE RELATIVE ALLA COPPIA

Tutti i tipi di impianto – secondo le specificazioni previste nel seguito – devono essere dotati di idonee sorveglianze, descritte negli art. seg., relative alla coppia di impianto (1.2.39). Il valore della coppia nominale di impianto (1.2.40), effettivamente rilevato in fase di collaudo, deve essere dichiarato nella documentazione tecnica di impianto.

Qualora, in tempi successivi al primo collaudo, vengano adottate condizioni permanenti di esercizio diverse da quelle iniziali e tali da produrre variazioni significative della coppia di impianto, ad es. per potenziamenti, si deve aggiornare il nuovo valore della coppia nominale.

Ai sensi dell’art. 18.9 del Reg. Generale, la sorveglianza di coppia massima è richiesta in tutti i tipi di impianto, secondo specifiche soglie di intervento; è inoltre richiesta, per i soli impianti a moto continuo, la sorveglianza di gradiente di coppia. La sorveglianza di ripartizione di coppia è richiesta in tutti gli impianti dotati di azionamenti plurimotori.

L’intervento di qualsiasi sorveglianza relativa alla coppia deve comportare l’emissione di un comando d’arresto con il freno meccanico di servizio.

2.4.3.1 SORVEGLIANZA DI COPPIA MASSIMA

1) – La sorveglianza di coppia massima costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento nell’istante in cui la coppia di impianto, motrice o frenante, supera un’opportuna soglia; l’intervento di questa sorveglianza non deve essere ostacolato da analoghe limitazioni poste a protezione dei convertitori dell’azionamento.

Ai sensi dell’art. 2.4.11.3 tale soglia deve quindi essere inferiore a quella che attua la limitazione di corrente dei convertitori.

La sorveglianza di coppia massima deve in generale intervenire per superamento di un valore predeterminato di coppia di impianto motrice (vale a dire, erogata nel verso della velocità) nonché per superamento di un valore predeterminato di coppia di impianto frenante (vale a dire, erogata nel verso opposto a quello della velocità).

2) – Gli anzidetti valori di coppia di impianto andranno determinati secondo le modalità di seguito riportate.

La suddivisione che segue è effettuata considerando che negli impianti a va e vieni, in cui in genere la coppia applicata varia continuamente ed ampiamente durante la corsa, è inutile distinguere le fasi transitorie da quelle di regime.

2.1) – COPPIA MOTRICE MASSIMA

2.1.1) – Nel caso di impianti a va e vieni, i regimi di assorbimento si possono in generale distinguere ripartendo la linea in tre sezioni:

– sezione di avviamento dalle stazioni;

– sezione di marcia a regime;

– sezione di avvicinamento e zona fosse.

Il progetto deve prevedere i valori nominali di coppia di impianto per ciascuna delle tre sezioni, nonché la posizione dei punti di transizione tra le sezioni adiacenti, nelle condizioni più gravose di esercizio. La sorveglianza deve intervenire per ogni valore di coppia superiore al 120% del valore previsto per la sezione interessata. La differenziazione in sezioni non è dovuta a condizione che i relativi valori nominali di coppia differiscano reciprocamente per meno del 10%.

A meno di casi eccezionali, non è quindi prevista la possibilità di ricorrere a soglie più elevate per consentire l’avviamento in zone particolari del percorso; in tal caso è in generale più opportuno limitare l’accelerazione durante la fase di avviamento, in modo manuale od automatico.

2.1.2) – Nel caso di impianti a moto unidirezionale continuo od intermittente, la sorveglianza deve intervenire:

2.1.2.1) – nelle fasi di funzionamento a velocità essenzialmente costante (marcia a regime, 1.2.41) ed in decelerazione (rallentamento, 1.2.44, o arresto, 1.2.45), per ogni valore di coppia superiore al 120% della coppia nominale di impianto;

2.1.2.2) – nelle fasi di funzionamento in significativa accelerazione [positiva] (avviamento 1.2.43), per ogni valore di coppia superiore al 120% della più elevata coppia prevista per tali fasi transitorie.

2.1.2.3) – Qualora la differenza tra i valori di intervento derivanti dai casi considerati nei due pt. prec. risulti inferiore a circa il 10%, si può adottare una soglia unica.

Se, in corrispondenza a zone singolari della linea, la coppia richiesta a regime è circa pari a quella richiesta per l’avviamento dalle stazioni, l’avviamento a partire da tali zone singolari sarà attuato eventualmente con accelerazione ridotta, in modo da rimanere entro i limiti consentiti dalla sorveglianza.

2.2) – COPPIA FRENANTE MASSIMA. Per tutti i tipi di impianto, la sorveglianza deve intervenire per ogni valore di coppia superiore al 120% della più elevata coppia frenante prevista.

Laddove è utilizzato l’arresto elettrico, si intende che la più elevata coppia frenante prevista sia pari al 110% della coppia prevista in progetto per l’arresto elettrico con la massima decelerazione.

L’opportunità del ricorso a valori di soglia diversificati per la sorveglianza di coppia massima frenante, nel caso degli impianti a va e vieni, si ritiene poco frequente; il provvedimento va comunque adottato laddove appaia necessario.

3) – Le unità di elaborazione che realizzano la sorveglianza di coppia massima devono essere sottoposte al test all’avviamento e periodicamente alle prove in bianco; queste ultime devono consentire la verifica di ciascuna soglia di intervento, mentre il test all’avviamento deve quanto meno verificare la funzionalità di intervento per la condizione di marcia a regime; opportune cautele dovranno essere prese affinché ciascun guasto previsto che possa comportare l’erronea selezione delle soglie determini comunque la commutazione sulla minore, andando così a favore della sicurezza.

Deve essere possibile eseguire la prova periodica manuale delle soglie di taratura delle sorveglianze di coppia motrice massima mediante verifica diretta ottenuta mediante contrapposizione graduale delle coppie esercitate dall’azionamento e da uno o più freni meccanici.

Ciò può ottenersi per regolazione manuale di una delle coppie antagoniste; negli impianti dotati di freni ad azione modulata è conveniente agire sui circuiti di modulazione dei freni stessi.

2.4.3.2 SORVEGLIANZA DI GRADIENTE DI COPPIA

La sorveglianza di gradiente di coppia costituisce una funzione di protezione, richiesta per gli impianti a moto continuo e a moto unidirezionale intermittente, in grado di emettere un segnale di intervento nel momento in cui si registri, durante le sole fasi di marcia a regime, un rateo di variazione temporale della coppia motrice o frenante di entità tale da poter costituire un evento presumibilmente pericoloso. La soglia di taratura, variabile da impianto ad impianto, è stabilita pari ad una variazione media di coppia, rispetto ad un intervallo di campionamento convenzionale di due minuti secondi, pari al 20% ÷ 40% del suo valore nominale.

I dispositivi che realizzano la sorveglianza devono essere sottoposti al test all’avviamento e periodicamente a prove in bianco che ne consentano la verifica della taratura della soglia di intervento.

2.4.3.3 SORVEGLIANZA DI RIPARTIZIONE DI COPPIA

La sorveglianza di ripartizione di coppia costituisce una funzione di protezione, richiesta per gli impianti dotati di azionamenti plurimotori, in grado di emettere un segnale di intervento nel momento in cui la ripartizione tra le coppie erogate dai motori assuma valori così squilibrati da lasciar presumere un malfunzionamento e/o una possibile causa di danneggiamento.

La realizzazione della sorveglianza può avvenire mediante rilevamento diretto della differenza tra le coppie erogate dagli azionamenti o almeno attuando un’adeguata protezione di coppia massima d’azionamento per ciascuno degli azionamenti presenti.

2.4.4 SORVEGLIANZE RELATIVE ALL’ARGANO

I diversi tipi di impianto – secondo le specificazioni previste nel seguito – devono essere dotati di idonee sorveglianze, descritte negli art. seg., poste in atto al fine di controllare il corretto funzionamento dell’argano di trazione, delle pulegge e degli organi di deviazione della fune: sorveglianza di assetto puleggia e di posizione fune, di corretta predisposizione e di integrità della catena cinematica, della lubrificazione forzata. Per ciascuna delle seguenti sorveglianze è di seguito specificata la modalità d’arresto richiesta. Secondo il caso, tuttavia, altre sorveglianze (ad es., della temperatura dei cuscinetti) possono essere richieste qualora se ne ravvisi l’opportunità.

2.4.4.1 SORVEGLIANZE DI ASSETTO PULEGGIA E DI POSIZIONE FUNE

1) – La SORVEGLIANZA DI ASSETTO PULEGGIA costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora l’assetto geometrico della puleggia sotto controllo risulti scorretto. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto; se la puleggia sorvegliata è quella motrice, deve essere esercitata l’azione del freno meccanico di emergenza.

Qualora più pulegge folli della stessa stazione siano sottoposte alla sorveglianza in oggetto, è ammesso che i consensi di ciascuna siano riassunti in un segnale unico.

2) – La SORVEGLIANZA DI POSIZIONE FUNE costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora l’assetto geometrico della fune in punti particolari del suo percorso all’interno della stazione risulti scorretto. La sorveglianza è richiesta secondo quanto è previsto dalle P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto ed il suo intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

Qualora la fune, nei casi previsti dalle P.T.S. relativi ai diversi tipi di impianti, sia sottoposta alla sorveglianza in oggetto in più punti del suo percorso nella stessa stazione, è ammesso che i consensi relativi a ciascun punto siano riassunti in un segnale unico.

È ammesso inoltre che le sorveglianze di assetto puleggia relativa a pulegge folli e di posizione fune siano realizzate mediante circuiti e dispositivi (in particolare, anche sensori) in comune e che conducano pertanto ad un unico consenso riassuntivo.

2.4.4.2 SORVEGLIANZA DI CORRETTA PREDISPOSIZIONE DELLA CATENA CINEMATICA

La sorveglianza di corretta predisposizione della catena cinematica costituisce una funzione di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora la posizione geometrica di organi disinnestabili (giunti) della catena cinematica compresa tra i motori in uso e la puleggia motrice o tra il freno meccanico di servizio e la puleggia motrice risulti scorretta in relazione alla modalità di esercizio prevista. L’intervento deve comportare l’emissione di una segnalazione, deve inibire il consenso alla marcia e, se opportuno, emettere un comando d’arresto, eventualmente col freno meccanico di emergenza.

Il freno meccanico di emergenza deve essere comandato quando la posizione dei giunti meccanici è tale da comportare la parzializzazione del freno di servizio.

La funzione è di protezione poiché presuppone una verifica locale da parte del personale che la esegue manualmente.

2.4.4.3 SORVEGLIANZA DI INTEGRITÀ DELLA CATENA CINEMATICA

La sorveglianza di integrità della catena cinematica costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora sia rilevata una discontinuità nella catena cinematica d’argano. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando d’arresto col freno meccanico di emergenza.

La sorveglianza può essere realizzata utilizzando il test per confronto dei segnali di velocità (2.2.10), determinando l’intervento in corrispondenza a differenze di velocità pari o superiori a 0.6 m/s.

La sorveglianza non è richiesta negli azionamenti di recupero e negli azionamenti di soccorso.

2.4.4.4 SORVEGLIANZA DI CONCORDANZA DEL SENSO DI MARCIA

La sorveglianza di concordanza del senso di marcia costituisce una funzione di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora l’impianto, in marcia, si muova nel verso opposto a quello selezionato sul comando relativo. Di regola, la sorveglianza deve essere attiva per entrambi i sensi di marcia. Essa deve intervenire con tempestività tale da non consentire ai veicoli di raggiungere velocità rilevanti nella direzione imprevista ed in particolare non superiori a 0.6 m/s.

Negli impianti in cui il senso effettivo di marcia è rilevato da simulatori di percorso, la funzione di protezione deve essere attiva per ciascun simulatore.

L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto col freno meccanico di emergenza.

Il dispositivo di protezione deve essere sottoposto almeno a test o a prove periodiche aventi cadenza quanto meno giornaliera.

2.4.4.5 SORVEGLIANZA DELLA LUBRIFICAZIONE FORZATA

Gli impianti che dispongono di un sistema di lubrificazione forzata del riduttore meccanico devono essere dotati di una sorveglianza, costituente una funzione di protezione, in grado di emettere un segnale di intervento qualora si registri un’avaria nel sistema di lubrificazione. L’intervento deve comportare, secondo il caso, l’emissione di una segnalazione oppure di un comando di arresto.

2.4.5 SORVEGLIANZE RELATIVE AL SISTEMA DI TENSIONE

Tutti gli impianti – secondo quanto indicato nelle P.T.S. relative ai vari tipi di impianti e fatte salve le specificazioni previste nel seguito – devono essere dotati di una o più sorveglianze del sistema di tensione, descritte negli art. seg.: sorveglianza di massima escursione del sistema di tensione, di tensione della fune traente e di tensione delle funi ancorate.

2.4.5.1 SORVEGLIANZA DI MASSIMA ESCURSIONE DEL SISTEMA DI TENSIONE

La sorveglianza di massima escursione del sistema di tensione costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora i contrappesi, la slitta tenditrice nonché il pistone idraulico di tensione, ove esista, superino le posizioni estreme (in avanti e all’indietro) consentite per il regolare funzionamento. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

La sorveglianza va applicata in relazione alle P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto e, se previsto, una funzione di protezione addizionale deve causare segnalazioni di allarme luminose e sonore prima del raggiungimento dei limiti descritti.

2.4.5.2 SORVEGLIANZA DI TENSIONE DELLE FUNI TESE IDRAULICAMENTE

La sorveglianza di tensione, ove questa sia realizzata mediante sistemi di tensione idraulici, costituisce una funzione di sicurezza in grado di emettere un segnale di intervento qualora la tensione sulla fune si discosti di oltre il ±10% dal valore nominale previsto. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

Si richiede che la funzione di sicurezza venga realizzata in ridondanza diversificata mediante canali indipendenti afferenti uno ad un trasduttore relativo alla pressione del circuito idraulico e l’altro relativo alla forza applicata dal sistema alla slitta o carrello tenditore.

La sorveglianza deve fornire visualizzazione dei valori misurati di pressione e di forza. Essa va sottoposta a prove periodiche che consentano, ad es. mediante variazione della pressione, di verificare direttamente l’efficienza del dispositivo, ivi comprendendo i trasduttori. Deve essere possibile svolgere prove in bianco simulando sia i segnali di pressione che quelli di forza.

È ammesso che il segnale di retroazione impiegato per la regolazione del sistema di tensionamento sia prelevato da uno dei trasduttori (o di pressione o di tensione) e degli eventuali relativi circuiti di condizionamento impiegati per realizzare la sorveglianza; tale soluzione realizzativa, tuttavia, a causa della scarsa correlazione fra tensione meccanica e pressione idraulica, deve essere accompagnata da ulteriori misure atte ad assicurare adeguata affidabilità.

Fra tali misure si comprendono ad es. l’impiego di ulteriori pressostati per la sorveglianza delle soglie estreme di pressione.

2.4.5.3 SORVEGLIANZA DI TENSIONE DELLE FUNI FERME ED ANCORATE

La sorveglianza di tensione delle funi ferme ed ancorate, richiesta negli impianti a va e vieni che ne sono dotati, costituisce una funzione di protezione in grado di emettere una segnalazione sonora di allarme qualora la tensione su una fune ancorata fuoriesca dal campo nominale di escursione previsto.

Il campo di variazione è in generale notevole, dato che, fissato un punto di misura, la tensione varia in base alla temperatura, al punto d’applicazione del carico concentrato mobile, al valore dello stesso, alla consistenza di eventuali carichi distribuiti (ghiaccio), alle sollecitazioni dinamiche transitorie.

Si richiede che siano disposte due soglie di intervento, tanto verso i valori minimi quanto verso quelli massimi, da dichiarare in sede di progetto: il superamento della prima (soglia di allarme) deve comportare l’emissione di un comando di allarme sonoro; il superamento della seconda (soglia di arresto) deve comportare l’emissione di un comando di arresto. È ammesso che l’allarme sonoro sia tacitabile, ma in tal caso esso dovrà essere accompagnato da una segnalazione luminosa evidente che perduri fino all’eventuale ritorno delle condizioni normali.

Il sistema deve essere anche in grado di fornire, tramite appropriato strumento indicatore, segnalazione proporzionale alla tensione nella fune sorvegliata.

La sorveglianza deve essere sottoposta ad accurate prove periodiche, integrate da tarature eseguite sulla scorta di verifiche geometriche della configurazione assunta dalla catenaria.

2.4.6 SORVEGLIANZA DI MASSIMA VELOCITÀ DEL VENTO

La sorveglianza di massima velocità del vento costituisce una funzione di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora la velocità del vento raggiunga valori tali da causare effetti potenzialmente pericolosi. In particolare, si richiede che siano disposte due soglie di intervento, da dichiarare in sede di progetto: il superamento della prima (soglia di allarme) deve comportare l’emissione di un comando di allarme sonoro; il superamento della seconda (soglia di arresto) deve comportare l’emissione di un comando di arresto. È ammesso che l’allarme sonoro sia tacitabile, ma in tal caso esso dovrà essere accompagnato da una segnalazione luminosa evidente che perduri fino all’eventuale ritorno delle condizioni normali.

La velocità del vento deve essere segnalata sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze. A seconda delle caratteristiche della funivia e della linea si devono impiegare uno o più trasduttori della velocità del vento, collocati nei punti più esposti del percorso, se del caso direzionali.

Ove opportuno, disponendo di anemometri direzionali si possono utilizzare livelli di soglia differenziati a seconda che la velocità del vento abbia direzione prevalentemente parallela alla linea o trasversale ad essa.

2.4.7 SORVEGLIANZE DELLE BANCHINE E DEL FLUSSO DEI VIAGGIATORI

1) – Il Progettista dovrà valutare i pericoli e le probabilità di danno a persone e cose derivanti dal flusso dei viaggiatori e dal movimento dei veicoli nelle zone interessate delle banchine e dei piazzali di imbarco e sbarco ed esporre nel progetto le misure organizzative e le sorveglianze automatiche necessarie a ridurli. Gli eventi rischiosi che comportino pericoli per le persone dovranno essere sorvegliati mediante funzioni di sicurezza.

Le situazioni descritte si verificano, in particolare, negli impianti a va e vieni, in presenza di fosse di ingresso o di pedane spostabili o basculanti. Si dovranno ad es. valutare i rischi di caduta nelle fosse di ingresso delle vetture o di collisione di un veicolo contro guide mobili in posizione errata prevedendo, se del caso, sorveglianze dello stato di completa chiusura dei parapetti di imbarco e/o dello stato di apertura o chiusura di guide mobili, pedane o passerelle.

Altre sorveglianze relative al flusso dei viaggiatori sulle banchine sono riportate nel succ. art. 2.4.8.3.

2) – Qualora l’impianto sia dotato di parapetti mobili a presidio di fosse per l’accoglimento dei veicoli, a movimentazione manuale od automatica, un’apposita funzione di sicurezza dovrà subordinare l’apertura dei parapetti alla presenza del veicolo, nonché l’avviamento dell’impianto alla loro avvenuta chiusura.

3) – Qualora il rischio connesso col pericolo di caduta in fossa sia elevato, il Progettista dovrà valutare l’opportunità di adottare, in aggiunta alla predetta ed obbligatoria funzione di sicurezza, un blocco meccanico dei parapetti che assicuri il mantenimento della posizione di chiusura anche in caso di guasto del sistema che, con comando manuale od automatico, attua il moto degli stessi.

Ad es., ciò può verificarsi per parapetti a movimento verticale azionati da sistemi oleodinamici o pneumatici, posti a protezione di fosse profonde o simili.

4) – Inoltre, in particolare, negli impianti caratterizzati da fosse di ingresso presidiate da parapetti a movimentazione automatica e le cui vetture siano a loro volta equipaggiate con porte ad apertura automatica, la sequenza di comando deve prevedere che nella fase preliminare alla partenza della corsa la chiusura dei parapetti segua quella delle porte di vettura e che nella fase seguente l’arrivo l’apertura dei primi preceda quella delle seconde.

2.4.8 SORVEGLIANZE COMUNI PER GLI IMPIANTI MONOFUNE

Gli impianti a moto unidirezionale, continuo od intermittente, devono essere dotati, in relazione a quanto richiesto dalle specifiche P.T.S., delle sorveglianze descritte negli art. seg.: sorveglianza di assetto delle rulliere, di scarrucolamento della fune, di mancato sbarco degli sciatori e della pedana mobile.

2.4.8.1 SORVEGLIANZA DI ASSETTO DELLE RULLIERE E DI SCARRUCOLAMENTO DELLA FUNE

La sorveglianza di assetto delle rulliere e di scarrucolamento della fune portante – traente, generalmente denominata FUNZIONE DELLE SICUREZZE DI LINEA, costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento nei casi previsti in 2.1.37, ossia, negli impianti monofune, in caso di scarrucolamento della fune dalle rulliere dei sostegni e di assetto geometrico normativamente non ammissibile di queste. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

Le modalità realizzative del dispositivo di sicurezza devono rispettare le prescrizioni date in 2.1.37.

2.4.8.2 SORVEGLIANZA DI MANCATO SBARCO DEGLI SCIATORI

La sorveglianza di mancato sbarco degli sciatori è richiesta nelle seggiovie a collegamento permanente destinate al trasporto di sciatori, quando la banchina di sbarco è posta immediatamente prima della puleggia; essa costituisce una funzione di protezione (1.2.21.2) in grado di emettere un segnale di intervento qualora un veicolo non sia stato abbandonato da tutti i passeggeri oltre un predeterminato punto al di là della banchina di sbarco. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto. La sorveglianza deve essere sottoposta a prove periodiche.

Si veda, al proposito, l’art. 3.12.15.4 delle P.T.S. relative a tali tipi di impianto.

2.4.8.3 SORVEGLIANZA DELLE PORTE SULLE CABINE A CHIUSURA AUTOMATICA

1) – La sorveglianza delle porte sulle cabine a chiusura automatica costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora le porte dei veicoli in procinto di essere lanciati non siano chiuse e bloccate all’inizio della fase di accelerazione. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto, secondo i criteri di cui alle P.T.S. relative ai diversi tipi di impianti. Il dispositivo di sorveglianza deve essere realizzato in modo che l’impianto venga posto in stato di sicurezza anche nel caso di avaria di un sensore, indipendentemente dal fatto che il veicolo esaminato si presenti con la porta in condizione regolare od irregolare. Almeno uno dei segnali impiegati deve essere attivato dalla condizione di porta chiusa e bloccata.

Tale requisito di sicurezza può essere soddisfatto, ad es., mediante l’adozione di un controllo a sequenza.

La sorveglianza va sottoposta almeno a prove periodiche.

2) – Una funzione di protezione deve segnalare per via acustica la mancata apertura delle porte dei veicoli giunti nella zona di sbarco dei passeggeri e, se del caso, emettere un comando d’arresto. La sorveglianza va sottoposta almeno a prove periodiche.

2.4.8.4 SORVEGLIANZE DELLA PEDANA MOBILE DI IMBARCO

La pedana mobile eventualmente impiegata per preaccelerare i passeggeri nella fase di imbarco negli impianti seggioviari per sciatori deve essere dotata delle seguenti sorveglianze:

– protezioni relative al proprio azionamento, comprese quelle per sovraccarico;

– funzione di protezione di confronto tra la velocità del tappeto e la velocità dell’impianto;

– funzione di protezione della posizione trasversale del tappeto alle estremità di ambo i lati;

– comandi manuali di arresto, mediante pulsanti sull’apparecchiatura e sul piazzale d’imbarco.

L’intervento delle sorveglianze citate deve causare l’arresto del tappeto sincronicamente con l’arresto dell’impianto.

Ulteriori prescrizioni sulle funzioni di protezione in presenza di pedana mobile sono date nell’art. 2.6.7.

2.4.9 SORVEGLIANZE SPECIFICHE PER GLI IMPIANTI A COLLEGAMENTO TEMPORANEO

Gli impianti a collegamento temporaneo dei veicoli, in ottemperanza alle P.T.S.per le Funivie Monofuni con Movimento Unidirezionale Continuo e Collegamento Temporaneo dei Veicoli (Norme di Progetto e di Costruzione), devono essere dotati delle sorveglianze descritte negli art. seg.: sorveglianze di efficienza delle morse, di anticollisione sulle rampe, di minima distanza fra i veicoli in linea, di avanzamento dei veicoli vuoti nel giro stazione, di assetto geometrico delle morse e della fune, di ingresso e di uscita dal magazzino e di massimo squilibrio in linea.

2.4.9.1 SORVEGLIANZA DI EFFICIENZA DELLE MORSE

La sorveglianza di efficienza delle morse costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora la morsa di un veicolo manifesti efficienza funzionale insufficiente per un lancio del veicolo in linea in condizioni sicure. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto. Le modalità realizzative della sorveglianza devono in generale essere concepite in armonia con quanto stabilito nelle citate P.T.S. e, pertanto, si danno i seguenti complementi.

1) – La sorveglianza deve essere esercitata in ogni stazione presso la quale vengano condotte operazioni di ammorsamento e disammorsamento dei veicoli, deve agire su ciascuna morsa di ciascun veicolo ed assicurare l’intervento, qualora i veicoli siano plurimorsa, anche se una sola delle morse di uno stesso veicolo non la supera. Si deve in ogni caso garantire che, qualora la morsa di un veicolo non superi il controllo, gli spazi ed i tempi in gioco consentano di arrestare il veicolo stesso entro la zona protetta contro i rischi derivanti dal difettoso accoppiamento Di regola, è ammesso che la sorveglianza sia attiva nel solo verso di marcia avanti.

2) – La funzione di sicurezza deve essere attuata mediante due prove diverse per ciascuna morsa, secondo il principio della ridondanza diversificata, impiegando sensori di sforzo dedicati per ciascuna prova ed operanti all’interno di una sequenza di stati testata dinamicamente in modo intrinseco, conformemente ai requisiti dell’art. 2.2.6.

Si specifica inoltre quanto segue:

2.1) – Ciascuna prova deve essere attuata mediante dispositivi a canale duplicato, impiegando due canali indipendenti. È ammesso peraltro che uno stesso gruppo di elementi hardware costituisca una unità di elaborazione per entrambe le prove.

2.2) – Ove i dispositivi di rilevazione dello sforzo siano contigui tra loro, è ammesso che i sensori geometrici impiegati per il controllo di sequenza siano in comune per le due prove.

In tal caso, i canali che realizzano la medesima prova potranno quindi ricevere tutti i segnali dagli stessi sensori di sforzo e geometrici.

2.3) – Ciascuna prova deve determinare il valore netto degli sforzi misurati (valore rilevato meno valore della tara) e controllare inoltre che il valore di tara dello sforzo prima dell’esecuzione della prova sia compreso tra un minimo ed un massimo prestabiliti, indicanti la vitalità del trasduttore.

3) – Qualora una delle due prove consista nella misura diretta della resistenza allo scorrimento della morsa serrata sulla fune, e ciò comporti la modifica dell’assetto geometrico di un predeterminato elemento, i sensori geometrici relativi devono essere duplicati; altri metodi realizzativi sono da ritenersi ammissibili caso per caso.

4) – Il banco di manovra, oppure un quadro ausiliario di comando, deve recare quanto meno le seguenti informazioni:

– l’indicazione del riconoscimento e la segnalazione del passaggio di ciascun veicolo nella zona di prova;

– la segnalazione degli interventi per ciascuna prova fallita;

– le informazioni che consentono di identificare le modalità del malfunzionamento di morse, sensori di sforzo, sensori di posizione (sforzi eccessivi od insufficienti, valori di tara errati, errori di sequenza, ecc.); tali indicazioni vanno mantenute fino al successivo comando di ripristino;

– i valori di misura dello sforzo, per ciascuna prova e per ciascuna morsa; essi vanno mantenuti almeno fino alla prova del successivo veicolo, e devono inoltre consentire la verifica dei valori rilevati durante le prove periodiche.

5) – Il dispositivo deve essere sottoposto a test all’avviamento nelle parti che non operano intrinsecamente in modo dinamico (2.2.6); ad es., deve essere verificata all’avviamento la capacità di commutazione dei relé finali. Apposite apparecchiature devono inoltre consentire la verifica, da eseguirsi con la periodicità prescritta dalle Norme di esercizio, dell’efficienza del dispositivo e della correttezza delle soglie di intervento.

2.4.9.2 SORVEGLIANZA DI ANTICOLLISIONE SULLE RAMPE

La sorveglianza di anticollisione sulle rampe costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento nel caso che, nelle zone di ciascuna stazione nelle quali i veicoli vengono accelerati e decelerati e dove possono essere carichi, l’insufficiente avanzamento di uno di essi possa far insorgere il pericolo di collisione con quelli contigui. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto dell’impianto.

Si deve garantire che lo spazio d’arresto si mantenga a valori tali da non provocare danni alle persone anche nel caso che, per indisponibilità della prima azione frenante chiamata, si renda necessario servirsi di una seconda azione frenante sviluppata da un diverso freno (2.5.9 e 2.5.6).

A tal fine, questa sorveglianza, da attuarsi ad es. mediante sezioni di blocco di lunghezza adeguata alla velocità assunta dal veicolo, deve in generale essere concepita in ottemperanza alle citate P.T.S. e, pertanto, si danno i seguenti complementi.

1) – La sorveglianza deve essere attuata, per ciascuna rampa, mediante un dispositivo a canale duplice, impiegando due canali indipendenti; è comunque ammesso che questi utilizzino i segnali provenienti, per ciascuna rampa, dagli stessi sensori di posizione dei veicoli, che dovranno comunque operare all’interno di una sequenza di stati testata dinamicamente in modo intrinseco, conformemente ai requisiti dell’art. 2.2.6.

2) – Il banco di manovra, oppure un quadro ausiliario di comando, deve recare quanto meno, le seguenti informazioni:

2.1) – l’indicazione del riconoscimento e la segnalazione del passaggio di ciascun veicolo nella zona di prova;

2.2) – la segnalazione degli interventi per ciascuna rampa;

2.3) – le informazioni che consentono di identificare l’evento rischioso che abbia comportato un intervento (veicoli in ritardo od in anticipo), ed altresì i guasti dei sensori; tali indicazioni vanno mantenute fino al successivo comando di ripristino;

2.4) – i valori di spazio rilevati al passaggio di ciascun veicolo, in modo tale da consentire la valutazione degli errori di spazio commessi da ciascun veicolo rispetto alle condizioni nominali di transito; tali indicazioni devono permanere almeno fino al transito del veicolo successivo.

3) – Il dispositivo deve essere sottoposto a test all’avviamento nelle parti che non possono considerarsi testate dinamicamente.

Il corretto funzionamento deve essere verificato mediante prove periodiche, simulando ad es. il passaggio del veicolo in posizione errata.

Ad es., deve essere verificata all’avviamento la capacità di commutazione dei relé finali.

2.4.9.3 SORVEGLIANZE DELLE RAMPE MOTORIZZATE

Si riportano di seguito le prescrizioni aggiuntive per le rampe di accelerazione e di decelerazione dotate di azionamento proprio («TRAVI ELETTRICHE»), in cui il rapporto tra la velocità che l’azionamento applica ai veicoli e la velocità della fune varia nel tempo in funzione della posizione dei veicoli medesimi.

1) – SORVEGLIANZE DI AZIONAMENTO: valgono le prescrizioni comuni a tutti gli azionamenti, contenute nell’art. 2.4.11 e seg.

2) – SORVEGLIANZA DI INTEGRITÀ DELLA TRASMISSIONE: un dispositivo di protezione deve sorvegliare l’integrità della trasmissione meccanica dal motore all’ultimo rullo condotto della trave elettrica.

La sorveglianza può essere realizzata, ad es., per confronto tra i segnali di velocità della dinamo tachimetrica calettata all’asse del motore e di quelle calettate sui rulli posti su una od entrambe le estremità della trave.

3) – SORVEGLIANZA DI RAMPA LIBERA: costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di intervenire se un veicolo sta per impegnare la rampa mentre quello che lo precede non l’ha ancora abbandonata. La sorveglianza deve in tal caso impedire che il veicolo entri in rampa e pertanto:

3.1) – se il veicolo è in fase di lancio, l’intervento deve determinare un blocco meccanico all’avanzamento del veicolo medesimo;

3.2) – se invece il veicolo è in avvicinamento alla stazione, l’intervento deve determinare un arresto dell’impianto.

4) – SORVEGLIANZA DELLA VELOCITÀ IN RAMPA: costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di verificare che il rapporto tra la velocità della trave elettrica e quella della fune (velocità di marcia) evolva nel modo richiesto, in funzione della posizione del veicolo – entro i margini di tolleranza ammissibili – ed altrimenti intervenendo, arrestando l’impianto.

La verifica deve essere eseguita:

4.1) – prima dell’ingresso del veicolo nelle rampe, controllando che la velocità della trave elettrica sia quella voluta; nel caso di intervento essa deve operare in modo analogo a quello previsto al pt. 3 per la sorveglianza di rampa libera;

4.2) – lungo la rampa, con continuità od in più punti (ad es. ogniqualvolta il veicolo attiva ognuno dei sensori di posizione impiegati per la sorveglianza di anticollisione), controllando:

4.2.1) – che in accelerazione il progredire della trave porti il veicolo all’ammorsamento con velocità prossima a quella della fune, in armonia con le P.T.S. citate (2.4.9);

4.2.2) – che in decelerazione la riduzione della velocità della trave, anche per eventuale mancato disaccoppiamento dalla fune, sia compatibile con il suo ingresso nel giro stazione.

In ambedue i casi, pur in presenza dell’arresto dell’impianto, questa sorveglianza potrà comandare l’arresto delle travi elettriche mediante appositi freni meccanici, al fine di evitare rispettivamente, nei due casi: in accelerazione, che l’ammorsamento possa avvenire con velocità relativa veicolo – fune troppo elevata; in decelerazione, che il veicolo possa entrare nel giro stazione con velocità pericolosa per le persone. È tuttavia ammesso che, in accelerazione, oltre un predeterminato punto («punto di non ritorno»;) detto freno non intervenga.

5) – Valgono inoltre le seguenti prescrizioni:

5.1) – Ad eccezione del caso di blocco meccanico all’avanzamento del veicolo prima del lancio, l’intervento di una qualsiasi delle sorveglianze descritte deve determinare l’arresto dell’impianto.

5.2) – L’azione di rilevamento del passaggio di un veicolo sul punto di avvicinamento alla rampa di decelerazione costituisce parte integrante delle funzioni di sorveglianza di rampa libera e di velocità e pertanto il relativo dispositivo deve essere realizzato in modo da rendere trascurabile la probabilità del mancato rilevamento di un veicolo (impiego di sensori e di dispositivi ad elevata affidabilità, test periodici, controlli di sequenza, ecc.).

2.4.9.4 SORVEGLIANZE DI MINIMA DISTANZA TRA I VEICOLI IN LINEA

La sorveglianza di minima distanza tra i veicoli in linea costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora la distanza sulla fune tra un veicolo uscito da una rampa di accelerazione ed il veicolo precedente risulti inferiore ad un valore minimo consentito (minima spaziatura) nel modo di esercizio in atto; l’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto. La sorveglianza deve essere presente in tutte le stazioni in cui avvengono ammorsamenti. La distanza tra i veicoli deve essere misurata ad ammorsamento compiuto. Opportune precauzioni, in analogia ai casi prec. (2.4.9.2, pt. 1), vanno prese per evitare la mancata esecuzione della sorveglianza, anche per effetto del guasto ai sensori. È opportuno che la distanza rilevata ad ogni prova sia indicata almeno localmente e che l’indicazione permanga almeno fino al passaggio del veicolo successivo. L’intervento della sorveglianza deve essere segnalato sul banco di manovra o su un quadro ausiliario di comando.

Il dispositivo deve essere sottoposto a test all’avviamento nelle parti che non possono considerarsi testate per effetto dei test dinamici; ad es., deve essere verificata all’avviamento la capacità di commutazione dei relé finali. In ogni caso, dev’essere garantito l’intervento nel caso che, per un guasto, non sia rilevato il passaggio del veicolo. La sorveglianza deve essere sottoposta a prove periodiche.

La sorveglianza è richiesta, fra l’altro, al fine di garantire che i criteri realizzativi della sorveglianza di anticollisione sulla rampa di decelerazione successiva siano adeguati alle distanze in gioco.

2.4.9.5 SORVEGLIANZA DI AVANZAMENTO DEI VEICOLI VUOTI NEL GIRO STAZIONE

La sorveglianza di avanzamento dei veicoli vuoti nel giro stazione costituisce una funzione di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora l’avanzamento dei veicoli nel giro stazione, nei tratti in cui i veicoli sono normalmente scarichi, risulti scorretto (possibilità di accumulo). L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

Il dispositivo deve essere sottoposto almeno a prove periodiche.

2.4.9.6 SORVEGLIANZA DI ASSETTO GEOMETRICO DELLE MORSE E DELLA FUNE

La sorveglianza di assetto geometrico delle morse e della fune costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora l’assetto geometrico delle morse e/o della fune non corrisponda a quello previsto nei vari punti di stazione, in conformità con le citate P.T.S.

L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

È ammesso che i consensi relativi ai punti di controllo su ciascuna trave vengano riassunti in un segnale unico, ma in tal caso le segnalazioni dei punti intervenuti devono rimanere dedicate.

Il dispositivo di sicurezza deve essere sottoposto almeno a prove periodiche che verifichino funzionalità dei circuiti e corretta posizione dei sensori (2.1.27.1).

2.4.9.7 SORVEGLIANZE DI INGRESSO E DI USCITA DAL MAGAZZINO

Le sorveglianze di ingresso e di uscita dal magazzino costituiscono funzioni di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora lo stato degli organi mobili di scambio non corrisponda alla selezione comandata e/o non sia congruente con la traiettoria che il veicolo dovrà assumere; la disposizione dei sensori e l’utilizzazione dei relativi segnali deve garantire il riconoscimento sicuro della configurazione meccanica ammissibile degli scambi. La caduta dei consensi relativi deve comportare l’emissione di un comando di arresto dell’impianto e degli eventuali convogliatori di magazzino.

Ciascun dispositivo di queste sorveglianze deve essere sottoposto almeno a prove periodiche che verifichino funzionalità dei circuiti e corretta posizione dei sensori (2.1.27.1).

2.4.9.8 SORVEGLIANZA DI MASSIMO SQUILIBRIO IN LINEA

La sorveglianza di massimo squilibrio linea costituisce una funzione di protezione in grado di emettere un segnale di intervento qualora la differenza assoluta tra il numero di veicoli presenti in linea sul ramo in salita ed il numero di veicoli sul ramo in discesa (squilibrio in linea) superi un valore prestabilito. Le soglie di intervento, da specificarsi in sede di progetto, devono essere duplici: al superamento di una soglia di allarme l’intervento deve comportare un allarme sonoro; è ammesso che esso sia tacitabile, ma in tal caso dovrà essere accompagnato da una segnalazione luminosa evidente che perduri fino all’eventuale ritorno delle condizioni normali. Al superamento di una soglia di arresto, l’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto. Il valore dello squilibrio linea deve essere indicato sul banco di manovra o nelle sue immediate vicinanze.

I dispositivi devono essere sottoposti almeno a prove periodiche.

2.4.10 SORVEGLIANZE SPECIFICHE PER GLI IMPIANTI A VA E VIENI E A MOTO UNIDIREZIONALE INTERMITTENTE

1) – Tutti gli impianti a va e vieni devono essere dotati, oltre che – dove applicabili – delle sorveglianze comuni a tutti i tipi di impianto, con riferimento agli art. 2.3.15 e seg., anche delle sorveglianze per essi specifiche descritte negli art. seg.: sorveglianza di dazio, di zona suoneria, di uomo morto, di arresto di emergenza in stazione motrice, di dazio in zone singolari, di isolamento e di contatto tra le funi, sorveglianze sulle vetture.

2) – Per gli impianti a moto unidirezionale intermittente, sia ad arresto in stazione che a transito a velocità limitata, valgono in generale le prescrizioni per gli impianti a va e vieni (2.1.31 e seg.); indicazioni specifiche relative alla sequenza di arrivo in stazione sono riportate negli art. 2.3.15 e seg. In particolare, tutti gli impianti a moto unidirezionale intermittente devono essere dotati delle sorveglianze specifiche elencate al pt. prec., fatta salva quella di arresto di emergenza in stazione motrice. Altre sorveglianze devono essere attivate a seconda delle necessità, in ottemperanza alle seguenti indicazioni.

La sorveglianza di massima velocità in zone singolari è impiegata solo quando si renda necessaria.

La sorveglianza di chiusura porte è impiegata nel caso di veicoli a chiusura automatica.

Se la funivia è di tipo bifune, è richiesta la sorveglianza di isolamento e contatto tra le funi (2.4.10.7).

Se la funivia è di tipo monofune, è richiesta la sorveglianza di assetto rulliere e di scarrucolamento della fune (2.4.8.1).

Se i veicoli sono a collegamento temporaneo, si devono impiegare le relative sorveglianze.

2.4.10.1 SORVEGLIANZA DI DAZIO

1) – La sorveglianza di dazio costituisce una particolare sorveglianza di sovravelocità, prevista per gli impianti a va e vieni e a moto unidirezionale intermittente, estesa almeno ai tratti del percorso nei quali la velocità massima consentita, e quindi la soglia di velocità massima, deve essere ridotta rispetto al valore di regime e deve variare secondo una legge prestabilita in funzione dell’effettiva posizione di ciascuna vettura nel percorrere tali tratti.

2) – La sorveglianza di dazio assume, in particolare, diversa denominazione a seconda della zona della linea sulla quale è esercitata. Si distinguono:

– la sorveglianza di DAZIO IN AVVICINAMENTO, quando viene considerato il tratto di linea in avvicinamento alla stazione terminale;

– la sorveglianza di DAZIO IN ZONE SINGOLARI, quando vengono considerati tratti di linea interessati da zone singolari (passaggio su sostegni di funivie aeree o su scambi e deviazioni di funicolari, attraversamento di stazioni intermedie, ecc.).

La sorveglianza di dazio in zone singolari è richiesta nei tratti in cui la velocità locale massima sia inferiore alla normale velocità massima di marcia ed è analoga, salva la differenza sui tratti del percorso, a quella in avvicinamento.

3) – La sorveglianza di dazio costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora la velocità di marcia superi la soglia stabilita per quel punto del percorso («VELOCITÀ DI DAZIO»); se estesa a tutto il percorso (ossia anche oltre le eventuali zone singolari), essa può conglobare la sorveglianza elettrica di sovravelocità (2.4.2.1).

L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

4) – Nel caso in cui più vetture, per effetto delle loro diverse posizioni – pur ammesse dalle caratteristiche dell’impianto -, ammettano diversi valori di velocità massima, la soglia della sorveglianza deve essere automaticamente stabilita pari al minore di tali valori e riferita all’effettiva posizione della vettura interessata, denominata VETTURA CRITICA.

La posizione della vettura critica, che determina la soglia di velocità, può essere desunta indirettamente dallo spazio all’arrivo determinato mediante simulatori di percorso (1.2.61), oppure tramite il diretto rilevamento del passaggio della vettura medesima per punti determinati del percorso.

Negli impianti a va e vieni le condizioni di simmetria permanenti consentono di considerare come vettura critica, semplicemente, quella che si avvicina alla stazione motrice; negli impianti a moto unidirezionale intermittente, invece, l’individuazione della vettura critica può richiedere di considerare gli effetti dello spostamento dei punti di collegamento alla fune, in particolare nel caso di vetture a collegamento temporaneo, come di seguito specificato.

4.1) – Qualora, in relazione alle caratteristiche dell’impianto, si possa sempre ritenere verificata l’ipotesi che i valori di spazio all’arrivo siano i medesimi per tutte le vetture che, in un dato momento, sono le prossime ad avvicinarsi a ciascuna delle stazioni interessate dalla sorveglianza, è ammesso considerare come vettura critica quella che di volta in volta si avvicina maggiormente alla stazione motrice.

Nel caso che tra due stazioni successive siano presenti più vetture, nell’ipotesi citata viene tenuto conto soltanto dell’eguaglianza degli spazi all’arrivo delle vetture più prossime alle stazioni, indipendentemente dal fatto che i valori presentati da vetture successive, ancorché eguali tra loro, possano essere diversi dai primi (distanze eguali tra coppie diametralmente opposte ma differenti tra coppie adiacenti).

In relazione alle caratteristiche dell’impianto, la sussistenza di condizioni di simmetria permanenti relative alla distribuzione delle vetture lungo l’anello trattivo consente perciò di ridurre il numero delle sorveglianze di dazio implementate, nei limiti delle prescrizioni sopra riportate.

4.2) – Qualora, in impianti con più vetture nel tratto compreso tra due stazioni interessate dalla sorveglianza, si possa sempre ritenere verificata l’ipotesi che i valori di equidistanza siano eguali per tutte le vetture o treni presenti lungo l’anello trattivo, è ancora ammesso considerare come vettura critica quella che di volta in volta si avvicina maggiormente alla stazione motrice.

4.3) – Qualora la suddetta ipotesi non possa ritenersi sempre verificata, e tuttavia si possa assumere che la discrepanza tra i valori di spazio all’arrivo per le vetture in avvicinamento alle diverse stazioni interessate dalla sorveglianza sia contenuta entro pochi metri, ad es. a causa di diverse configurazioni delle funi, la sorveglianza dovrà essere realizzata in modo tale che i margini di velocità di dazio siano garantiti rispetto alla vettura che presenta, di volta in volta, lo spazio all’arrivo inferiore.

Tale circostanza è da ritenersi verificata, in particolare, negli impianti a moto unidirezionale intermittente e collegamento temporaneo dei veicoli, nonché in quelli ad ammorsamento fisso nei quali lo spostamento periodico dei punti di collegamento alla fune non venga attuato su tutti i veicoli simultaneamente. In tali casi, è ammesso che i valori di spazio all’arrivo precalcolati dai simulatori di percorso siano ritarati al passaggio delle vetture su appositi sensori (test di punto fisso); dovrà comunque essere previsto l’arresto dell’impianto qualora la differenza tra gli spazi all’arrivo calcolato e rilevato superi una soglia prefissata; infine, ciascun valore di spazio all’arrivo impiegato per sorveglianze di dazio dovrà essere sottoposto ad un test di punto fisso eseguito mediante un sensore situato successivamente a quello impiegato per la ritaratura, e distinto da questo.

4.4) – Qualora, infine, le vetture in avvicinamento simultaneo a più stazioni abbiano spazi all’arrivo marcatamente diversi tra loro, rispetto alle relative stazioni d’arrivo, la sorveglianza di dazio dovrà essere realizzata indipendentemente per ciascuna delle stazioni interessate.

5) – La sorveglianza deve essere operativa durante l’intera fase del passaggio della vettura critica nel tratto sorvegliato, con un valore di soglia che in ogni istante deve essere adeguato ai seguenti criteri.

5.1) – In presenza di pericolo di collisione, e quindi quanto meno nel tratto di avvicinamento alle stazioni terminali, la soglia di velocità di dazio deve essere tale che l’arresto della vettura critica sia garantito prima che essa possa arrivare ad impegnare i finecorsa di stazione. Tale condizione va verificata anche nel caso che la prima azione frenante chiamata sviluppi decelerazione insufficiente e provochi quindi il passaggio alla successiva per intervento della funzione di controllo di mancata decelerazione (2.5.13); gli spazi di frenatura risultanti dovranno pertanto rispettare quanto stabilito nell’art. 2.5.9.

5.2) – Laddove non esista pericolo di collisione (zone singolari del percorso), la soglia di velocità di dazio deve essere adeguata tempestivamente alla velocità ammissibile per il transito nella specifica zona (sostegno di linea, deviazione), garantendo altresì che, in caso di arresto provocato dall’intervento della sorveglianza, il passaggio della vettura nella zona critica durante la fase di decelerazione controllata avvenga a velocità consona.

6) – I valori di posizione e di velocità di dazio impiegati per la sorveglianza devono essere validati mediante i test prescritti (2.2.12). Nel caso di impiego di simulatori di percorso, questi dovranno possedere caratteristiche costruttive tali, e/o essere installati in numero tale, da consentire il rispetto delle prescrizioni suddette.

7) – La sorveglianza di dazio ammette, in generale, due tipologie realizzative: la sorveglianza di DAZIO CONTINUO (1.2.62) e la sorveglianza di DAZIO A PUNTI (1.2.63).

I dispositivi che realizzano la sorveglianza di dazio devono essere sottoposti al test all’avviamento, mediante simulazione di uno spazio all’arrivo all’interno della zona di rallentamento. Una prova in bianco deve consentire all’operatore di verificare i valori di velocità di dazio utilizzati nella zona di rallentamento, per quanto riguarda il dazio in avvicinamento, e nelle zone singolari, per l’eventuale dazio omonimo.

2.4.10.2 MODALITÀ REALIZZATIVE DELLA SORVEGLIANZA DI DAZIO

Le modalità realizzative richieste, con comando automatico o manuale della velocità di marcia, per le sorveglianze di dazio e di dazio nelle zone singolari, e conseguentemente per i simulatori di percorso, sono stabilite in base all’entità del pericolo derivante dal mancato od insufficiente rallentamento dell’impianto, tenuto conto dell’efficacia del controllo a vista dell’operatore la quale, per la linea, può risultare attenuata in caso di scarsa visibilità. Ai fini pratici sono considerate due condizioni, secondo che sia attivato o meno il comando automatico della velocità di marcia, ed in particolare il comando di rallentamento automatico per l’ingresso in stazione (2.3.3.3); tali condizioni sono ulteriormente specificate in relazione alla scelta realizzativa di adottare sistemi a dazio continuo (1.2.62) oppure sistemi a dazio a punti (1.2.63).

1) – Impianto dotato di COMANDO AUTOMATICO DELLA VELOCITÀ DI MARCIA. In tal caso, nella realizzazione di questo dispositivo di sorveglianza deve essere attuata una delle seguenti soluzioni.

1.1) – Due canali indipendenti per la sorveglianza di dazio, entrambi del tipo a punti, ciascuno ricevente segnali di spazio provenienti da sensori in linea dedicati e totalmente indipendenti da quelli relativi all’altro canale, oppure da simulatori di percorso, di tipo meccanico od elettronico (2.1.32), pure indipendenti, a partire dalla trasmissione meccanica del moto prelevato dalla fune.

– Un canale di test automatico per confronto atto a rilevare che i due canali di dazio adeguino egualmente le rispettive soglie della velocità di dazio entro opportuni lassi di tempo ed un idoneo campo di tolleranza (2.2.12.3). Tale test deve avere luogo ad ogni passaggio per la zona dazio.

1.2) – Due canali indipendenti per la sorveglianza di dazio, di cui uno del tipo continuo e l’altro del tipo a punti, ciascuno ricevente segnali di spazio provenienti da elaborazioni totalmente indipendenti da quelle relative all’altro canale; in particolare, se anche il sistema a punti fa uso di un simulatore di percorso, questo dovrà essere indipendente, a partire dalla trasmissione meccanica del moto prelevato dalla fune, da quello impiegato per il dazio continuo.

– Un canale di test automatico per confronto atto a rilevare che i segnali di spazio generati da un simulatore di percorso siano sufficientemente prossimi a quelli segnalati dai sensori del canale a punti o a quelli generati dall’alto simulatore, se presente (2.2.12.2).

– Un canale di test automatico per confronto atto a rilevare che, entro opportuni lassi di tempo, le soglie della velocità di dazio scandite dal canale di dazio a punti siano sufficientemente prossime a quelle elaborate con continuità dal sistema a dazio continuo (2.2.12.3).

1.3) – Due canali indipendenti per la sorveglianza di dazio, entrambi del tipo continuo, ciascuno ricevente segnali di spazio provenienti da simulatori di percorso, di tipo meccanico od elettronico, totalmente indipendenti tra loro, a partire dalla trasmissione meccanica del moto prelevato dalla fune.

– Un canale di test automatico per confronto atto a rilevare che i due canali di dazio adeguino egualmente le rispettive soglie della velocità di dazio, entro un opportuno campo di tolleranza (2.2.12.3).

Qualsiasi sia la soluzione adottata, fra le tre suesposte, deve essere previsto un canale di test di punto fisso (2.2.12.1) ogniqualvolta siano impiegati simulatori di percorso; è inoltre ritenuta opportuna, ove fattibile, l’esecuzione di un test per confronto dei valori di spazio.

In generale, i simulatori di percorso sono sempre presenti, a meno che non sia possibile installare lungo il percorso sensori fissi (funicolari).

Qualora siano presenti zone singolari del percorso in cui si richiede una sorveglianza di dazio, questa andrà sviluppata secondo le medesime modalità richieste per il dazio di avvicinamento alle stazioni terminali, eccezion fatta per la sorveglianza di uomo morto.

Il Progettista deve valutare, in relazione alle caratteristiche dell’impianto e delle eventuali zone singolari, che i segnali di spazio siano validati, prima del loro impiego per la funzione di sicurezza, mediante apposito test di punto fisso o di confronto tra i valori di spazio.

2) – Impianto dotato di SOLO COMANDO MANUALE DELLA VELOCITÀ DI MARCIA. In tal caso, nella realizzazione del dispositivo di sorveglianza devono essere impiegati almeno:

– un canale per la sorveglianza di dazio continuo oppure un canale per la sorveglianza di dazio a punti;

– un canale per l’attuazione del test di punto fisso, nel caso sia impiegato un simulatore di percorso.

Tali dispositivi devono essere sottoposti almeno a prove periodiche.

2.4.10.3 SORVEGLIANZA DI ZONA SUONERIA

La sorveglianza di zona suoneria costituisce una funzione di protezione, ai sensi dell’art. 1.2.21.1, in grado di emettere un segnale di intervento quando lo spazio all’arrivo diviene inferiore ad un valore prestabilito. L’intervento deve comportare l’emissione di una segnalazione acustica di vettura o treno in avvicinamento, tacitabile mediante applicazione del comando di uomo morto.

La segnalazione deve essere sottoposta a prova in bianco, simulando uno spazio di arrivo che ne richieda l’intervento.

2.4.10.4 SORVEGLIANZA DI UOMO MORTO

La sorveglianza di uomo morto costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento quando lo spazio all’arrivo diviene inferiore ad un valore prestabilito (ingresso dei veicoli in «zona uomo morto») e, contemporaneamente, manca il consenso di uomo morto (2.3.15.2).

L’intervento deve comportare l’emissione di un nomando di arresto.

La sorveglianza di uomo morto deve essere egualmente posta in atto qualora il tracciato dell’impianto presenti zone singolari, tali da rendere opportuno il passaggio degli stessi sotto la sorveglianza del personale al comando della marcia (sostegni di linea, stazioni intermedie, deviazioni orizzontali di tracciato nelle funicolari).

Il dispositivo deve essere sottoposto a test all’avviamento per verificare l’assenza del consenso e deve poter essere sottoposto a prova in bianco.

2.4.10.5 SORVEGLIANZA DI ARRESTO DI EMERGENZA IN STAZIONE MOTRICE

La sorveglianza di arresto di emergenza in stazione motrice costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora una vettura oltrepassi il fine corsa di arresto in stazione motrice e raggiunga il finecorsa di emergenza (2.3.15.7). L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto mediante azione a scatto del freno di emergenza. Tale comando deve essere inviato tramite vie elettriche duplicate ed indipendenti, di cui almeno una agente direttamente sulle catene finali degli attuatori dell’azione a scatto. Se l’impianto è a vettura unica, la sorveglianza deve essere realizzata in ciascuna stazione di estremità.

La sorveglianza di arresto di emergenza in stazione non é di regola impiegata negli impianti a moto unidirezionale intermittente.

La sorveglianza deve essere sottoposta a test periodico.

2.4.10.6 SORVEGLIANZE SULLE VETTURE

Le sorveglianze seguenti ineriscono il sistema di sorveglianza di veicolo (2.1.15), ed i loro segnali di consenso / intervento devono essere trasmessi impiegando la teletrasmissione di sicurezza (2.1.16).

1) – SORVEGLIANZA DI CHIUSURA PORTE. La sorveglianza di chiusura porte costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento qualora le porte delle vetture non siano completamente chiuse e bloccate. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto. Si prescrive che il sistema di rilevamento della posizione di chiusura debba essere protetto, anche a livello dei sensori, contro la mancata chiusura e la mancata apertura dei contatti (1.3.9, guasti previsti n. 10 e n. 11).

2) – SORVEGLIANZA DI APERTURA DEI FRENI DI VETTURA. La sorveglianza di apertura dei freni di vettura costituisce una funzione di protezione, ai sensi dell’art. 1.2.21.1, in grado di emettere un segnale di intervento qualora i freni di vettura non siano completamente aperti. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

3) – ALTRE SORVEGLIANZE. Altre sorveglianze possono dover essere previste, secondo il caso, per le vetture delle funivie a va e vieni o più spesso per le vetture delle funicolari: sorveglianza di sovravelocità meccanica della vettura, di antiarretramento, di assetto della fune traente in relazione al veicolo, di funzionalità del freno di vettura.

Si veda anche, al proposito, l’art. 2.4.7.

2.4.10.7 SORVEGLIANZE DI ISOLAMENTO E DI CONTATTO TRA LE FUNI

La sorveglianza di isolamento e di contatto tra le funi, genericamente denominata FUNZIONE DELLE SICUREZZE DI LINEA (2.1.37), costituisce una funzione di sicurezza (1.2.21.1) in grado di emettere un segnale di intervento nel caso che una fune mobile o comunque una fune, anche fissa, interessata dalla conduzione di segnali elettrici – e quindi, in condizioni normali, isolata – entri in contatto con una fune o con altra parte dell’impianto vincolata a potenziale di terra tramite collegamento a massa. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto.

Le modalità realizzative del dispositivo di sicurezza devono rispettare le prescrizioni date in 2.1.37. Esse devono in particolare garantire la sorveglianza sul contatto delle funi dell’anello trattivo (funi traente e zavorra / traenti superiore ed inferiore) con le funi portanti, con la fune di soccorso, con le parti a massa delle stazioni e dei sostegni di linea, nel caso di impianti aerei, con le parti a massa delle stazioni e della via di corsa nel caso di impianti funicolari terrestri.

La sorveglianza deve rilevare il contatto permanente ed anche episodico tra funi diverse, proteggendo l’impianto da eventi rischiosi quali l’accavallamento tra le funi, lo scarrucolamento dai rulli, la perdita di isolamento galvanico (che, oltre a costituire evento rischioso, è anche un guasto previsto interno al dispositivo, cfr. art. 1.3.9, guasto previsto n. 5), l’eccessiva deflessione trasversale del piano di giacenza delle catenarie per effetti dinamici (vento).

È ammesso l’impiego del circuito delle sicurezze di linea per comandare, tramite appositi pulsanti a ritenuta meccanica, L’arresto dell’impianto a partire dai sostegni di linea (teletrasmissione di sicurezza, 1.2.23.1). Se però l’impedimento alla ripresa della marcia è mantenuto tramite contatti in chiusura, il dispositivo non viene considerato di per sé a livello di sicurezza sufficiente e deve essere integrato da opportune misure procedurali (2.1.37 e 2.3.4).

2.4.10.8 SORVEGLIANZA DI RIACCELERAZIONE

La sorveglianza di riaccelerazione degli impianti a moto unidirezionale intermittente costituisce una funzione di sicurezza preposta a sorvegliare, mediante opportuno controllo di punto fisso inserito in una specifica sequenza, la corretta comparsa dei segnali provenienti dai sensori dei punti di riaccelerazione, che rilevano l’avvenuta uscita dalle stazioni del treno di veicoli da tutte le stazioni. Il suo intervento, al fine di impedire l’illecita riaccelerazione della fune, deve determinare l’arresto dell’impianto e dare opportuna segnalazione. Al successivo riavviamento, qualora il calcolo dello spazio all’arrivo risulti falsato, la sorveglianza deve mantenere l’impianto a velocità di giro stazione fino all’avvenuta risincronizzazione.

La sorveglianza deve essere realizzata in modo da garantire che non si possano avere riaccelerazioni intempestive dell’impianto, ad es. a causa di malfunzionamenti dei sensori.

2.4.11 SORVEGLIANZE DEGLI AZIONAMENTI ELETTRICI

Vengono trattate negli art. seg. talune tipiche sorveglianze d’azionamento, normalmente installate sugli equipaggiamenti di trazione. Esse costituiscono funzioni di protezione ed il loro intervento deve comportare l’emissione di un comando d’arresto meccanico. La loro installazione è richiesta, salvo diversamente specificato; per esse viene usata, per consuetudine, la denominazione di «protezioni d’azionamento».

2.4.11.1 PROTEZIONI TERMICHE

I motori ed i convertitori devono essere dotati di adeguate protezioni contro gli effetti termici; tra queste possono annoverarsi:

PROTEZIONE TERMOSTATICA. Dispositivo di protezione che interviene per rilievo di sovratemperature in parti interne ai motori di trazione o ai convertitori.

PROTEZIONE DI MANCATA VENTILAZIONE. Dispositivo di protezione che interviene in caso di mancanza della ventilazione forzata dei motori di trazione o dei convertitori.

PROTEZIONE DI SOVRACCARICO TERMICO. Dispositivo di protezione che interviene qualora un sovraccarico di corrente sia di intensità e di durata tali da poter provocare danni per il surriscaldamento del motore. Tale protezione è in ogni caso richiesta per gli azionamenti a velocità regolata, nei quali deve essere tarabile in un opportuno campo di valori di corrente e di tempo.

2.4.11.2 PROTEZIONE DI MINIMA CORRENTE DI ECCITAZIONE

Dispositivi e circuiti di protezione che intervengono nel caso che la corrente di eccitazione dei motori in corrente continua si riduca al di sotto del valore minimo previsto.

2.4.11.3 PROTEZIONI DEI CONVERTITORI ELETTRONICI

Dispositivi e circuiti di protezione che intervengono in caso di sovracorrenti, sovratensioni e sovratemperature occorrenti all’interno dei convertitori. I convertitori elettronici saranno, di regola, dotati almeno:

– di un limitatore di corrente (positiva e negativa) tarabile, che dovrà avere soglia superiore a quella corrispondente all’intervento della sorveglianza di coppia massima di livello maggiore;

– in presenza di fusibili, di un sistema che ne segnali l’avvenuta apertura;

– della protezione di sovraccarico termico con caratteristica a tempo inverso tarabile (I2t), di cui al prec. art. 2.4.11.1.

2.4.11.4 PROTEZIONI DEGLI AZIONAMENTI CON MOTORI IN CORRENTE ALTERNATA AD AVVIAMENTO REOSTATICO

Gli azionamenti che utilizzano motori in corrente alternata ove l’avviamento ed eventualmente il rallentamento dell’impianto sono realizzati mediante la progressiva variazione del valore delle resistenze rotoriche (mediante reostato od esclusione a contattori) devono essere forniti di una funzione di protezione che inibisce l’avviamento dell’impianto se il reostato od il commutatore di avviamento non si trova nella posizione «O» corrispondente all’inserzione completa delle resistenze.

Devono inoltre essere forniti di una funzione di protezione che intervenga, emettendo un comando di arresto meccanico, in caso di sovraccarico termico delle resistenze; ciò può essere realizzato ad es. controllando che l’inserzione o la disinserzione completa delle resistenze abbia luogo entro un tempo massimo prestabilite.

2.4.12 SORVEGLIANZE PER LA MARCIA DI RECUPERO E DI SOCCORSO

1) – In considerazione del fatto che durante la marcia di recupero o di soccorso la probabilità e le conseguenze di numerosi eventi rischiosi relativi all’organo in uso possono ritenersi notevolmente ridotte dalla bassa velocità di marcia, dal tempo di funzionamento limitato e dalle misure organizzative allo scopo previste, quali la presenza continua del macchinista al banco di manovra e la sorveglianza a vista delle zone di imbarco e sbarco delle stazioni, è consentito, a giudizio del Progettista, non impiegare i test automatici ed alcune delle funzioni di sorveglianza previste per il normale esercizio, e realizzare alcune funzioni di sicurezza con i criteri previsti per le funzioni di protezione.

2) – In accordo alle P.T.S. relative ai diversi tipi di impianti, le funzioni di sorveglianza generalmente richieste sono le seguenti.

2.1) – MARCIA CON L’AZIONAMENTO DI RECUPERO.

2.1.1) – Sorveglianze d’azionamento. Nel caso di azionamento elettrico si applicano i criteri di cui all’art. 2.4.11; nel caso di azionamenti di altro tipo, si devono impiegare specifiche idonee sorveglianze. In presenza di trasmissioni idrostatiche o idrodinamiche è prescritta la sorveglianza di integrità della trasmissione (ad es., relé di minima pressione del circuito idraulico).

2.1.2) – Sorveglianze di configurazione. Vanno previste laddove risulti necessario sorvegliare errori di predisposizione, quali la posizione errata di selettori o connettori, di valvole o rubinetti dei freni, ecc. (2.4.1).

2.1.3) – Sorveglianza di corretta predisposizione della catena cinematica (2.4.4.2).

2.1.4) – Sorveglianza di assetto puleggia e di posizione fune (2.4.4.1).

2.1.5) – Sorveglianza di massima coppia a regime. Essa è richiesta sia per gli azionamenti elettrici che idrostatici è realizzabile ad es. mediante un relé di massima corrente per gli azionamenti elettrici un pressostato di massima pressione per gli idrostatici.

2.1.6) – Sorveglianza di massima velocità del vento (2.4.6), limitata alla sola segnalazione di allarme.

2.1.7) – Sorveglianza di massima escursione geometrica del sistema di tensionamento (2.4.5.1).

2.1.8) – Sorveglianza di assetto rulliere e di scarrucolamento della fune (2.4.8.1) oppure di isolamento e di contatto tra le funi (2.4.10.7).

2.1.9) – Negli impianti a collegamento temporaneo dei veicoli, sorveglianze di assetto geometrico delle morse e della fune (2.4.9.6), relativamente al solo controllo di corretto disaccoppiamento ed accoppiamento dei veicoli.

2.2) – MARCIA CON L’AZIONAMENTO DI SOCCORSO. Vale quanto stabilito per l’azionamento di recupero, in relazione alle seguenti funzioni di sorveglianza:

2.2.1) – sorveglianze d’azionamento;

2,2.2) – sorveglianze di configurazione elettrica e della catena cinematica;

2.2.3) – sorveglianza di assetto puleggia e di posizione fune (2.4.4.1);

2.2.4) – sorveglianza di massima coppia a regime;

2.2.5) – sorveglianza di massima velocità del vento;

2.2.6) – sorveglianza di assetto rulliere e di scarrucolamento della fune (2.4.8.1) oppure di isolamento e di contatto tra le funi (2.4.10.7);

ed inoltre:

2.2.7) – sorveglianza meccanica di sovravelocità (2.4.2.2).

3) – Idonei selettori elettromeccanici devono consentire sia l’esclusione di una qualsiasi singola sorveglianza, sia l’esclusione globale.

Le catene finali per il comando dell’azionamento e dei freni devono ricevere almeno i contatti del pulsante di arresto posto sul banco di manovra e di due relé finali di consenso marcia, elettromeccanici. Tali relé possono essere comandati da un’unica catena elettromeccanica, costituita dalla serie dei contatti normalmente aperti dei relé di consenso delle sorveglianze, oppure da un sistema avente il medesimo livello di sicurezza.

4) – I comandi d’arresto emessi dalla stazione di rinvio devono essere inviati alla motrice tramite un sistema di teletrasmissione di sicurezza, efficiente sia in caso di impiego dell’azionamento di recupero che di quello di soccorso.

2.5 SISTEMA DI FRENATURA

PREMESSA.

Il sistema di frenatura non viene compreso nel sistema di sorveglianza dell’impianto definito in 1.3.3 1.3.1 perché, pur comprendendo talune funzioni tipiche del sistema di sorveglianza, costituisce un elemento operativo a se stante. In particolare, mentre l’attività del sistema di sorveglianza si conclude in ogni caso con l’emissione di comandi diretti verso l’esterno (ossia, appunto, con comandi diretti al sistema di frenatura), il sistema di frenatura deve invece «autocontrollarsi», in quanto la rilevazione di un suo malfunzionamento non può che tradursi, al più, in un provvedimento il cui effetto rimane all’interno del sistema stesso (ad es. il passaggio ad una diversa azione frenante). Il sistema di frenatura possiede caratteristiche e riveste importanza tali da dover comunque essere trattato secondo princìpi analoghi a quelli adottati per il sistema di sorveglianza; infatti, pur non essendo preposto, come i dispositivi di sicurezza, a sorvegliare su eventi rischiosi emettendo consensi o interventi, si trova tuttavia a dover assicurare in qualunque circostanza la disponibilità ad arrestare l’impianto secondo modalità definite in sede di progetto. Le funzioni svolte al fine di rilevare guasti interni al sistema di frenatura, per analogia, non sono comprese tra le funzioni di sorveglianza ma sono trattate in questo capitolo e denominate «funzioni di controllo».

Data la struttura del sistema, risulta arduo separare completamente le prescrizioni riguardanti la parte elettrica da quelle riguardanti la parte meccanica. È infatti fuor di dubbio che le missioni del sistema (2.5.3) possano essere svolte solo in presenza di un adeguato coordinamento tra gli elementi delle due parti.

Gli art. seg. stabiliscono pertanto prescrizioni relative al sistema di frenatura nel suo complesso. I circuiti ed i dispositivi elettrici devono rispondere ad esse anche tenuto conto dell’interazione con i dispositivi meccanici. Le P.T.S. relative ai diversi tipi di impianto stabiliscono invece, in accordo con questi princìpi, le prestazioni e le caratteristiche costruttive generali e quelle delle parti meccaniche.

2.5.1 CAMPO D’APPLICAZIONE

Le prescrizioni seguenti riguardano gli aspetti elettrici del sistema frenante degli impianti funiviari, impiegato nel funzionamento con i gruppi di trazione principale, di riserva, di recupero e di soccorso.

Non vengono invece considerati in questa sede i sistemi frenanti delle vetture delle funivie aeree a va e vieni e delle funicolari terrestri, agenti rispettivamente sulle funi portanti e sulle rotaie, e quelli ad azione moderabile manualmente o a comando esclusivamente manuale o meccanico, per i quali si rinvia all’art. 18 del Reg. Generale nonché alle P.T.S. relative agli specifici tipi di impianto.

2.5.2 SISTEMA DI FRENATURA

1) – Si denomina sistema di frenatura l’insieme dei circuiti e dei dispositivi (elettrici, meccanici, idraulici, ecc.) impiegati per ottenere l’arresto (1.2.45) e lo stazionamento (1.2.42) dell’impianto; esso è costituito dai dispositivi e circuiti addetti al comando e al controllo dei freni e delle relative azioni, a partire dai comandi emessi dalle catene finali di arresto (1.2.48).

2) – Il sistema di frenatura dell’impianto può essere composto dai seguenti FRENI:

– freno elettrico di servizio, definito in 1.2.49;

– freno meccanico di servizio, definito in 1.2.50;

– freno meccanico di emergenza, definito in 1.2.51.

3) – Ai fini della presente trattazione, si considerano le seguenti AZIONI FRENANTI:

– azione a scatto, definita in 1.2.57;

– azione modulata, definita in 1.2.55;

– azione differenziata, definita in 1.2.56.

2.5.3 MISSIONI DEL SISTEMA DI FRENATURA

Il sistema di frenatura deve essere progettato, realizzato e mantenuto in modo da assicurare lo svolgimento delle tre missioni di seguito elencate, secondo i requisiti di disponibilità stabiliti nelle presenti P.T.S. – I.E. ed in quelle relative ai diversi tipi di impianto.

Ad ogni comando di arresto, emesso durante la marcia regolare o dal sistema di sorveglianza in seguito alla comparsa di una condizione illecita, oppure dal sistema di frenatura in seguito al rilevamento di una sua condizione irregolare, deve conseguire un processo di arresto dell’impianto avente caratteristiche adeguate alle esigenze della condizione illecita o irregolare rilevata.

Tali caratteristiche devono essere assegnate in sede di progetto per ciascuna condizione illecita prevista, nel rispetto delle presenti P.T.S. – I.E. e delle P.T.S. relative ai vari tipi di impianto (N. 265).

Il comando di arresto deve perciò essere emesso verso il sistema di frenatura mediante una opportuna e predefinita combinazione dei comandi logici trasmessi dalle catene finali, in grado di predisporre ed attivare le azioni frenanti secondo le modalità necessarie ad ottenere le caratteristiche del processo di arresto previste nel progetto per la condizione irregolare rilevata.

1) – MISSIONE DI CORRETTA DECELERAZIONE (Prima missione). Arresto dell’impianto (1.2.45) ottenuto, in risposta ad un comando d’arresto, attuando un processo caratterizzato dai valori di decelerazione e di spazio d’arresto assegnati allo specifico tipo di comando logico ricevuto (2.5.7 e 2.5.9).

In particolare, la decelerazione dell’impianto si mantiene tra il valore minimo ed il valore massimo assegnati e lo spazio di arresto risulta quindi inferiore al valore massimo assegnato.

2) – MISSIONE DI STAZIONAMENTO (Seconda missione). Transizione dalla fase di decelerazione a quella di stazionamento (1.2.45 e 1.2.42) e mantenimento dell’impianto nella condizione di stazionamento medesima, raggiunta al termine dell’arresto, attuati mediante il freno di stazionamento (1.2.52).

3) – MISSIONE DI ARRESTO DI EMERGENZA (Terza missione). Arresto dell’impianto e successivo stazionamento ottenuti mediante l’azione a scatto del freno meccanico di emergenza, secondo i limiti di spazio d’arresto assegnati in sede di progetto a questa azione frenante, in accordo alle P.T.S. relative agli specifici tipi di impianti.

Lo svolgimento della terza missione è richiesto, oltre che per cause specifiche previste dalle P.T.S., richiedenti l’intervento per comando manuale od automatico, anche qualora, per effetto di particolari condizioni e di combinazioni di cause di guasto, pur ritenute molto improbabili, la prima missione fallisca (2.5.9) oppure non si riesca ad adempiere alla seconda impiegando il solo freno di servizio.

Le missioni descritte sono strettamente inerenti la sicurezza, in quanto hanno lo scopo di evitare, o comunque di limitare, danni alle persone; i criteri specificati negli art. seg. mirano quindi a far ottenere, per i sistemi che le svolgono, livelli di disponibilità non inferiori a quelli richiesti per le funzioni di sicurezza del sistema di sorveglianza dell’impianto (1.2.21.1).

2.5.4 STRUTTURA DEL SISTEMA DI FRENATURA

1) – In ogni tipo di impianto è obbligatoria l’installazione di un freno meccanico di servizio (1.2.50) e di un freno meccanico di emergenza (1.2.51).

2) – Ciascun freno meccanico, a seconda delle realizzazioni, e comunque in ottemperanza alle P.T.S. relative ai vari tipi di impianto, può esplicare solo l’azione a scatto – comunque obbligatoria -, oppure entrambe le seguenti: azione a scatto ed azione modulata o, in alternativa a quest’ultima, differenziata (2.5.22, 2.5.23 e 2.5.24).

L’azione modulata oppure quella differenziata sono ammesse per entrambi i freni meccanici, in relazione a quanto previsto dalle P.T.S. relative ai vari tipi di impianto; le P.T.S. medesime prescrivono esplicitamente, in taluni casi, l’impiego di tali azioni frenanti.

3) – L’azione a scatto del freno meccanico di emergenza deve poter essere comandata sia automaticamente, per intervento del sistema di sorveglianza o di funzioni di controllo interne al sistema di frenatura che richiedono lo svolgimento della terza missione, sia manualmente mediante appositi organi di comando (2.3.4.5).

4) – Il freno elettrico di servizio è ammesso su tutti gli impianti ed esplica esclusivamente azione modulata. L’azionamento (principale o di riserva) può essere impiegato quale freno elettrico a condizione che risponda ai requisiti di cui al pt. 3 dell’art. 2.6.1.

5) – Il sistema elettrico e meccanico (ivi compresa l’eventuale parte pneumatica od oleodinamica) che costituisce ogni freno meccanico deve essere completamente indipendente dai sistemi degli altri freni, in modo che un guasto ad uno di essi ovvero ad uno dei suoi componenti non possa provocare l’indisponibilità dei rimanenti (2.5.10 e 2.5.11).

In particolare, l’energia e la forza necessarie per aprire e mantenere aperto un freno devono provenire da sorgenti indipendenti per ciascuna unità di frenatura. L’impiego dell’energia elettrica direttamente proveniente da una sorgente di energia dell’impianto (1.2.2) è consentita soltanto nel caso di un freno meccanico di servizio a sola azione a scatto.

6) – Ciascuna azione frenante deve essere interamente controllata da un attuatore ad essa dedicato, realizzato con circuiti elettrici fisicamente indipendenti da quelli impiegati per gli attuatori delle altre azioni dello stesso freno o di un freno diverso. L’attuatore di un’azione frenante comprende tutti i circuiti elettrici necessari alle sue attuazione, regolazione ed eventuali funzioni di autocontrollo, posti a valle dei terminali cui fanno capo le catene finali che trasmettono i comandi relativi all’azione.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 2.5.22, le sole eccezioni ammesse all’indipendenza dei circuiti elettrici addetti al comando, alla regolazione ed alla attuazione di una azione di un freno meccanico rispetto a quelli che interessano altre azioni dello stesso freno riguardano il freno meccanico di servizio, ed in particolare:

– l’impiego del sistema di comando dell’azione differenziata (2.5.23) del freno meccanico di servizio anche quale sistema di comando dell’azione a scatto, mediante il comando dell’azione a scatto di tutti gli stadi del freno;

– l’impiego del sistema di comando dell’azione modulata (2.5.24) del freno meccanico di servizio come elemento ridondante del sistema di comando dell’azione a scatto, mediante il comando dell’azione modulata massima.

Per la trasmissione del comando di più azioni frenanti (ad es., l’azione modulata del freno di servizio e l’azione modulata con funzione di guardia del freno di emergenza) oppure del comando di attivazione di più controlli di mancata decelerazione si possono utilizzare circuiti con parti in comune, purché tali comandi vengano trasmessi agli attuatori ed alle unità di elaborazione adibite ai controlli con criteri di ridondanza tali da consentire di evitare l’indisponibilità delle due azioni frenanti anche in caso di un guasto.

Sono ammessi circuiti comuni solo per funzioni ausiliarie che non possono interferire con i compiti di comando, regolazione ed autodiagnostica dell’azione frenante, quali i circuiti per la trasmissione delle informazioni al sistema informativo.

Il fatto che i circuiti elettrici adibiti ad azioni diverse di uno stesso freno debbano essere tra loro indipendenti, ma che possano avere, come di regola avviene, la stessa alimentazione, implica che il guasto di mancanza di questa alimentazione deve comportare la messa dell’impianto in stato di sicurezza tramite l’intervento di tutte le azioni dello stesso freno comandate da quei circuiti.

7) – L’alimentazione elettrica per i sistemi di comando, regolazione, controllo ed eventualmente differenziazione e modulazione delle unità di frenatura dovrà provenire da gruppi di alimentazione di sicurezza secondo le modalità descritte nell’art. 2.9.10 (freni meccanici di servizio e di emergenza facenti capo a linee distinte). Ciò vale anche per l’alimentazione degli attuatori (elettrovalvole e simili), salvo il caso citato di un freno meccanico di servizio alimentato da una sorgente di energia dell’impianto.

8) – I freni meccanici, i quali devono essere concepiti «AD INTERVENTO NEGATIVO» ai sensi delle P.T.S. meccaniche, devono avere sistemi meccanici, elettrici e/o elettronici di controllo ed attuazione impieganti energia per mantenere i freni aperti, e che nessun impedimento di natura meccanica, elettrica od altro deve potersi opporre alla chiusura di un freno al cui sistema di eccitazione sia stata tolta energia.

2.5.5 REQUISITI DI CIASCUNA AZIONE FRENANTE

1) – Ciascuna azione frenante (2.5.2), in condizioni di normale efficienza, deve essere in grado, da sola, di arrestare l’impianto mantenendolo entro i limiti di decelerazione e di spazio d’arresto per essa definiti in sede di progetto.

Pertanto, ogni azione frenante disponibile deve risultare sufficiente per portare a compimento la fase di decelerazione, senza che altre azioni debbano essere chiamate ovvero, in caso di impiego di azioni modulate con funzione di guardia (2.5.25), senza che queste debbano passare alla condizione di lavoro.

2) – L’azione a scatto del freno meccanico di servizio e l’azione a scatto del freno meccanico di emergenza devono essere in grado, singolarmente, di assolvere alla seconda missione del sistema di frenatura.

L’azione del freno di emergenza, considerata sempre disponibile (terza missione) deve essere intesa come ridondante rispetto all’azione del freno meccanico di servizio, indipendentemente dal fatto che, di regola, il freno meccanico di emergenza sia impiegato quale freno di stazionamento oppure no.

3) – La chiamata di ciascuna azione frenante dei freni meccanici deve essere irreversibile, fatto salvo il caso di riapertura del freno meccanico di servizio con azione a scatto o differenziata, di cui al pt. 6 dell’art. 2.5.22.

Si osserva che l’azione frenante modulata del freno elettrico, nel caso sia seguita dall’applicazione di un’azione frenante successiva, non è invece irreversibile ed anzi deve essere annullata (2.5.27).

4) – Ogni azione frenante modulata o differenziata attuata con i freni meccanici deve comunque essere applicata esercitando – in condizioni di normale efficienza, a conclusione dell’arresto – la massima forza frenante prevista per il freno interessato (2.5.23 e 2.5.24).

2.5.6 REQUISITI DEL PROCESSO DI FRENATURA

1) – L’arresto dell’impianto (1.2.45) costituisce un processo nel quale la fase di decelerazione deve, istante per istante, essere gestita applicando un’azione frenante e, contemporaneamente, esercitando sulla disponibilità di tale azione la funzione di controllo di mancata decelerazione (2.5.13); questa, in caso di intervento, dovrà automaticamente comandare un’azione frenante successiva. Ai sensi del succ. pt. 3, la sola azione a scatto del freno di emergenza può non essere sottoposta al controllo di mancata decelerazione, venendo essa così a concludere la successione delle azioni frenanti previste.

Tale modo di procedere è denominato «arresto controllato» ed è l’unico tipo di arresto ammesso nell’àmbito degli impianti a fune oggetto delle presenti P.T.S. – I.E. Si veda, al proposito, la nota dell’art. 1.2.45.

2) – L’intensità dello sforzo applicato dal sistema di frenatura, in ciascuna fase dell’arresto, alla catena cinematica deve essere comunque tale da garantire che, in ogni condizione di carico e di posizione dei veicoli, non possano prodursi, né per difetto né per eccesso di potenza frenante, effetti dinamici pericolosi per i viaggiatori nonché per l’impianto. Il Progettista dovrà stabilire, in ottemperanza alle P.T.S. relative ai vari tipi di impianti, i valori limite di decelerazione.

3) – L’arresto dell’impianto (1.2.45) ha inizio con l’emissione del primo comando d’arresto da parte delle catene finali, deve essere gestito dal sistema di regolazione e controllo del processo di frenatura stesso in modo completamente automatico, e deve essere irreversibile, ossia condurre in ogni caso l’impianto allo stato di stazionamento.

Le catene finali sono comandate direttamente dal sistema di sorveglianza, tramite le unità di controllo, e – direttamente od indirettamente – ricevono i comandi d’arresto dalle funzioni di sorveglianza, dai comandi manuali agenti per via elettrica o meccanica, e dalle funzioni di controllo del sistema di frenatura.

4) – A tal fine, il processo di frenatura deve contemplare un’idonea SUCCESSIONE DELLE AZIONI FRENANTI comandabili in caso di necessità, definita in sede di progetto secondo le prescrizioni di cui all’art. 2.5.7. Tale successione deve prevedere in generale l’impiego delle azioni del freno elettrico di servizio, quindi del freno meccanico di servizio ed infine del freno meccanico di emergenza; essa deve sempre comprendere l’azione a scatto del freno meccanico di emergenza.

Qualora la funzione di controllo di mancata decelerazione manifesti l’insufficienza dell’azione frenante sviluppata ad un dato istante, o comunque qualora l’intervento di qualche funzione di sicurezza o protezione richieda un’azione frenante successiva, l’arresto dovrà quindi esser fatto proseguire chiamando, via via ed automaticamente, l’azione frenante successiva in questione.

L’azione a scatto del freno meccanico di emergenza deve essere compresa normativamente nella successione delle azioni previste, di regola per ultima, in quanto essa è presunta sempre disponibile, non essendo contemplata l’incapacità del sistema di frenatura ad assolvere la missione di arresto di emergenza (terza missione) (2.5.3).

5) – Qualora, nel corso della marcia, vengano emessi simultaneamente più comandi d’arresto i quali, essendo dovuti a condizioni illecite diverse, richiedono spazi d’arresto diversi (e, quindi, diverse decelerazioni), l’arresto dell’impianto dovrà essere condotto in modo da assicurare lo spazio d’arresto minore e, quindi, la decelerazione maggiore, tra quelli richiesti.

6) – Qualora, durante la fase di decelerazione di un arresto, subentri un ulteriore comando d’arresto che richieda decelerazione superiore a quella ottenibile con l’azione in uso, l’azione richiesta da questo successivo comando d’arresto deve subentrare, con la maggior decelerazione richiesta.

Tale criterio viene ritenuto indipendente dal considerare il valore effettivo della velocità iniziale alla successiva chiamata d’arresto, che potrebbe consentire decelerazioni inferiori pur salvaguardando lo spazio d’arresto, in quanto – per ragioni di affidabilità – non si ritiene ammissibile implementare nel sistema di frenatura le complesse logiche di selezione che ne conseguirebbero.

7) – Qualora, in analogia al pt. 6, l’intervento di una funzione di sorveglianza oppure di una funzione di controllo del sistema di frenatura, tanto durante la marcia quanto nel corso di un arresto, e con particolare riferimento alla funzione di mancata decelerazione, facciano presumere l’indisponibilità di una o più azioni frenanti, l’impianto dovrà essere arrestato con la prima azione frenante presunta disponibile.

8) – Qualora, durante un arresto, siano state chiamate – simultaneamente o susseguentemente – più azioni frenanti, si deve assicurare che prevalga l’azione considerata istante per istante prioritaria secondo i princìpi suesposti. Deve altresì essere possibile individuare, ad arresto avvenuto, quali freni e quali loro azioni frenanti siano stati portati alla condizione di lavoro (2.5.13 e 2.5.25).

2.5.7 TIPOLOGIE DI ARRESTO E LORO REQUISITI

1) – Il Progettista deve assegnare a ciascuna condizione illecita dell’impianto, che richieda un comando d’arresto, un processo di frenatura (arresto) avente le caratteristiche più idonee, in relazione alle esigenze derivanti dalla condizione illecita specifica ed alla disponibilità presunta dei diversi elementi del sistema di frenatura (freni e relative azioni frenanti).

2) – Le caratteristiche dei processi di frenatura da assegnare dovranno tener conto, in particolare, dei seguenti fattori:

2.1) – requisiti, di natura meccanica ed elettrica, richiesti dalle P.T.S. relative ai diversi tipi di impianto;

2.2) – spazi d’arresto richiesti, in relazione al tipo di causa che ha determinato il comando d’arresto;

Gli spazi d’arresto richiesti sono essenzialmente funzione dei rischi connessi con la specifica causa che ha determinato il comando d’arresto e possono pertanto differire notevolmente da caso a caso. Ad es., la sovravelocità in un impianto a moto continuo può consentire un arresto con decelerazione modesta; lo stesso evento rischioso, quando occorrente nella zona dazio di un impianto a va e vieni, richiede di compiere l’arresto prima che le vetture impegnino le stazioni e quindi in uno spazio ben determinato. Spazi d’arresto ancor più contenuti, in un impianto a moto continuo unidirezionale, possono essere richiesti per l’intervento della sorveglianza di anticollisione oppure per l’emissione di alcuni comandi manuali d’arresto, ad es. qualora l’operatore riconosca che un ostacolo si è frapposto lungo la traiettoria dei veicoli.

2.3) – freni installati nell’impianto e relative azioni frenanti (2.5.2);

Impianti semplici possono prevedere le sole azioni a scatto dei freni meccanici; impianti complessi possono prevedere, oltre a queste, le azioni modulate di tutti i freni, a partire da quello elettrico.

2.4) – stato di presunta disponibilità di ciascun freno ed azione frenante, in relazione al tipo di causa che ha determinato il comando d’arresto ed all’eventuale intervento di funzioni di controllo del sistema di frenatura.

L’intervento della sorveglianza di massima coppia obbliga, nel dubbio, a far presumere indisponibile il freno elettrico di servizio.

Analogamente, l’intervento della funzione di controllo di disponibilità del freno meccanico di servizio (2.5.20), in un impianto in cui questo sia calettato sul medesimo albero su cui è accoppiato il motore elettrico agente da freno elettrico di servizio, obbliga a far presumere indisponibili entrambi questi freni.

L’intervento della funzione di controllo di mancata decelerazione fa presumere indisponibile l’azione frenante in atto.

La marcia dell’impianto alimentato da una sorgente di energia interna costituita da gruppi elettrogeni di potenza inferiore a quella nominale dell’azionamento principale può non consentire una piena capacità frenante e deve quindi far presumere l’indisponibilità del freno elettrico di servizio.

3) – In relazione ai pt. 1 e 2, a ciascun processo di frenatura devono essere assegnate le seguenti caratteristiche:

3.1) – lo spazio d’arresto (massimo) ed il conseguente valore di decelerazione;

3.2) – il freno e l’azione frenante da impiegare («PRIMA AZIONE FRENANTE»);

La scelta della prima azione frenante discende, come conseguenza, da quali azioni della successione normalmente prevista debbano essere presunte indisponibili, in funzione della causa che ha determinato l’arresto.

3.3) – il freno e l’azione frenante («SECONDA AZIONE FRENANTE») che devono subentrare, qualora la prima azione frenante venga riconosciuta indisponibile nel corso dell’arresto; tale seconda azione, prudenzialmente e al fine di rispettare gli spazi d’arresto richiesti, deve essere sviluppata da un freno diverso da quello che esercitava la prima azione;

3.4) – la successione delle eventuali azioni frenanti che devono essere chiamate dopo la seconda, qualora la funzione di controllo di mancata decelerazione rinnovi il suo intervento; tale sequenza deve comunque comprendere la chiamata dell’azione a scatto del freno di emergenza.

Normalmente, si considera una sequenza generale delle azioni frenanti che prevede, nell’ordine, azioni del freno elettrico di servizio, del freno meccanico di servizio e del freno meccanico di emergenza. La prima azione frenante è quindi la prima azione della sequenza generale che può essere ritenuta disponibile al momento di iniziare il processo d’arresto, essendo quindi determinata dalla causa dell’arresto medesimo. La seconda azione frenante, o le successive, possono comunque dover essere chiamate, in relazione alle condizioni di disponibilità del sistema di frenatura, perché le azioni precedenti, o la trasmissione dei relativi comandi, possono essersi rivelate indisponibili nel corso dell’arresto.

4) – Le caratteristiche di cui al prec. elenco, con particolare riferimento agli spazi d’arresto (pt 3.1), ai fini dell’obbligo di adempimento alla prima missione del sistema di frenatura (2.3.17 e 2.5.3), vanno valutate considerando le singole cause d’arresto separatamente le une dalle altre ed ipotizzando che un singolo comando d’arresto intervenga, a partire dalla condizione di marcia regolare.

Tale giudizio di ammissibilità, relativo al computo degli spazi d’arresto, non esime peraltro dal rispetto delle prescrizioni di cui ai pt. 5 e 6 dell’art. 2.5.6. Pertanto, nel considerare il caso di comandi d’arresto subentrati durante la fase di decelerazione di un preesistente processo d’arresto e richiedenti decelerazioni maggiori:

– lo spazio d’arresto di riferimento per il comando subentrante andrà comunque computato solo a partire dall’istante di sgancio del comando subentrante medesimo e, inoltre,

– il sistema di frenatura non sarà, di per sé, tenuto a garantire lo spazio d’arresto che sarebbe teoricamente dovuto qualora la causa d’arresto subentrante fosse invece occorsa singolarmente, per prima.

2.5.8 GUASTI RELATIVI AL SISTEMA DI FRENATURA

1) – In relazione a quanto specificato nella premessa al presente capitolo, i concetti di guasto, guasto latente e guasto pericoloso, introdotto nel cap. 1.3 sui princìpi fondamentali di sicurezza ed ivi riferiti al sistema di sorveglianza, vengono qui applicati al sistema di frenatura; in particolare, si precisa quanto segue.

2) – In riferimento alla classificazione dei guasti ed alle definizioni di guasto latente e di guasto pericoloso, valgono, per il sistema di frenatura, le prescrizioni di cui agli art. 1.3.6, 1.3.7 e 1.3.8, laddove si intenda di sostituire a «dispositivo di sicurezza» il termine «sistema di frenatura».

I guasti di natura elettrica previsti per il sistema di frenatura coincidono con quelli specificati negli art. 1.3.9, 1.3.10 e 1.3.11 (guasti previsti per i componenti dell’impianto elettrico, guasti alle sorgenti di energia, guasti previsti nei circuiti ad elettronica complessa); per il sistema di frenatura tuttavia, data la compresenza al suo interno di fondamentali parti meccaniche dell’impianto, devono essere considerati e previsti anche i seguenti guasti casuali di natura meccanica:

2.1) – sforzo frenante di una singola unità di frenatura inferiore al dovuto, ad eccezione di quello del freno meccanico di emergenza impiegato con azione a scatto (2.5.9);

2.2) – impossibilità, per qualsiasi ragione, di riuscire a trasmettere alla puleggia motrice uno sforzo frenante applicato ad organi meccanici situati, lungo la catena cinematica d’argano, a monte della puleggia stessa.

Tali guasti sono considerati in questa sede perché i provvedimenti atti a contrastarli possono essere relativi agli equipaggiamenti elettrici ed elettronici impiegati.

Si noti che il tratto di catena cinematica compreso tra il freno meccanico di servizio e la puleggia motrice deve essere considerato parte integrante del freno stesso, in quanto trasferisce alla puleggia stessa lo sforzo frenante.

L’interruzione della sorgente di energia in uso, interna od esterna all’impianto, che avvenga nel corso di un arresto, rientra tra i guasti previsti, ai sensi dell’art. 1.3.10. La funzione di controllo di mancata decelerazione è implementata anche allo scopo di fronteggiare tale combinazione di eventi. Pertanto, ove sia previsto l’arresto col freno elettrico di servizio, in caso di comparsa dell’evento di perdita della sorgente (primo guasto), lo spazio d’arresto richiesto dall’art. 2.5.9 deve essere garantito dalla prima azione frenante chiamata che interessi un freno meccanico, corrispondente alla seconda azione frenante prevista, ma non necessariamente dalla terza.

Per analogia, taluni concetti definiti ed impiegati nell’àmbito del sistema di sorveglianza vengono mutuati per il sistema di frenatura, in considerazione della similitudine esistente fra funzioni di sorveglianza dell’impianto e funzioni di controllo specifiche del sistema di frenatura (cfr. la premessa del presente capitolo); tra questi si citano:

– le tecnologie realizzative (1.3.3);

– gli elementi hardware (2.1.9).

2.5.9 RISCHIO ACCETTATO PER GUASTI AL SISTEMA DI FRENATURA

1) – Il sistema di frenatura deve rispondere ai comandi ricevuti dall’esterno, in occasione di guasti che lo colpiscano direttamente, secondo le prescrizioni di cui agli art. seg. I comandi ricevuti possono essere dovuti a funzionamento regolare o, a loro volta, essere conseguenza di guasti esterni al sistema di frenatura; questi ultimi guasti non devono alterare le modalità di reazione previste qui di seguito.

2) – A partire dalla condizione di marcia regolare, nella quale è manifesta la disponibilità completa del sistema di frenatura previsto per le condizioni di esercizio in atto, la prima missione del sistema (2.5.5, pt. 1 e 2.5.3) deve essere assicurata tanto nel caso in cui tale disponibilità permanga fino al compimento di un arresto comandato, quanto nel caso si manifestino, simultaneamente all’emissione del comando d’arresto oppure anche nel corso dell’arresto medesimo, effetti di un singolo guasto o causa di guasto tali da far presumere l’indisponibilità di una o più azioni frenanti.

Il guasto in oggetto può essere manifesto, se si rende evidente nell’istante stesso in cui accade, o latente, se – essendosi verificato anticipatamente – arriva a manifestare i suoi effetti solo nel corso dell’arresto.

Si noti che «disponibilità completa del sistema di frenatura previsto per le condizioni di esercizio in atto» significa che è identificata la «prima azione frenante» attesa come disponibile. Tate azione potrebbe non essere la prima della successione prevista per l’esercizio alle massime prestazioni; ad es., in caso di ricorso alla sorgente di energia di riserva il freno elettrico potrebbe essere a priori escluso dall’impiego e la prima azione essere quella modulata del freno meccanico di servizio.

Un’azione frenante è presunta disponibile quando è lecito presumere che il freno sia in grado di sviluppare tale azione secondo le modalità previste, nel momento in cui si dovessero verificare le circostanze previste che ne richiedono l’impiego. Ciò può considerarsi verificato alle condizioni seguenti.

i) – Le parti del sistema di sorveglianza dell’impianto e del sistema di frenatura sono in grado di generare il comando dell’azione frenante e di trasferirlo tramite le catene finali fino agli ingressi dei relativi attuatori elettrici (circuiti elettrici, circuiti elettronici di regolazione, elettrovalvole e simili).

ii) – Sono disponibili e regolari i segnali che, portati in ingresso agli attuatori elettrici risultano necessari alla regolazione dell’azione frenante (segnale di velocità per l’azione modulata, di coppia per l’azione differenziata, di selezione della decelerazione).

iii) – Gli attuatori elettrici sono in grado di comandare correttamente gli attuatori finali meccanici o elettromeccanici, i quali a loro volta sono in grado di sviluppare regolarmente la coppia frenante richiesta e di trasferirla fino alla fune.

Tra le circostanze previste che richiedono l’impiego di una azione si devono considerare anche quelle conseguenti a guasti che ne provocano l’azione; ad es. la mancanza dell’alimentazione, l’interruzione di un comando e simili.

L’ammissibilità di presumere disponibile un’azione non dipende dalla sua capacità di sopportare gli effetti di un guasto e quindi di per sé non richiede la presenza di ridondanze nel sistema di comando.

Il considerare disponibile una azione frenante non corrisponde alla sua effettiva disponibilità; una azione lecitamente considerata disponibile può manifestare la sua reale indisponibilità quando ne sia richiesto l’impiego, a causa di un guasto latente comparso dopo l’ultimo test o prova o di un guasto manifesto occorso durante l’arresto.

3) – Inoltre, sempre a partire dalla condizione di marcia regolare, di cui al pt. 2, nel caso in cui si manifestino effetti di un singolo guasto o causa di guasto si richiede che la prima missione del sistema sia altresì assicurata attuando decelerazioni non superiori a quelle ritenute ammissibili secondo le P.T.S. relative ai vari tipi di impianti. In particolare, tale guasto interno al sistema di frenatura non deve provocare l’intervento contemporaneo dei due freni meccanici con azione a scatto.

Tale prescrizione, qui stilata nell’àmbito dei guasti al sistema di frenatura, ai sensi degli artt. 2.1.36 e 2.9.10 si applica in effetti a tutte le parti costituenti l’impianto elettrico di funivia, quindi in particolare anche al sistema di sorveglianza, nonché alle modalità di impiego di tutti gli elementi che influenzano il loro funzionamento, quali le alimentazioni elettriche, i sensori, le unità di elaborazione del sistema di sorveglianza dell’impianto e di controllo dei freni, le unità di controllo, le catene finali, gli attuatori delle azioni frenanti.

L’azione a scatto dei due freni può costituire un evento ammissibile in determinate circostanze previste in sede di progetto, ad es. per lo stazionamento al termine dell’arresto, oppure per l’intervento, durante l’azione a scatto del primo freno, di una sorveglianza esterna, di un comando manuale o meccanico esterno, di un controllo di mancata decelerazione interno o di un guasto interno che richiedono l’azione a scatto del secondo (2.5.22, pt.4).

Nelle altre circostanze, essa invece costituisce un evento irregolare le cui conseguenze e rischi devono essere in ogni caso debitamente considerati in sede di progetto; tuttavia, tenuto conto della normale entità del rischio e dello stato attuale della tecnica, non si ritiene necessario prescrivere come regola generale che tale evento irregolare debba essere escluso con ulteriori mezzi tecnici, diversi da quelli di cui sopra, anche nei casi di comparsa di più guasti o condizioni irregolari.

4) – Gli effetti di un singolo guasto o causa di guasto al sistema di frenatura, che si manifestino simultaneamente all’emissione di un comando d’arresto oppure anche nel corso dell’arresto medesimo, non devono poter provocare sia l’indisponibilità (presunta o effettiva) di un’azione frenante del freno meccanico di servizio che di un’azione frenante del freno meccanico di emergenza.

In particolare, dato che l’azione a scatto del freno meccanico di emergenza deve poter essere ritenuta sempre disponibile, un singolo guasto al sistema di frenatura non deve poter rendere indisponibile un’azione frenante del freno meccanico di servizio e, contemporaneamente, l’eventuale azione regolata del freno meccanico di emergenza.

5) – Gli effetti di un singolo guasto o causa di guasto alla parte elettrica del sistema di frenatura o anche ad una catena finale che comanda l’attuatore di un freno, che si manifestino simultaneamente all’emissione di un comando d’arresto oppure anche nel corso dell’arresto medesimo, non devono poter provocare l’indisponibilità di più di un’azione frenante.

6) – La possibilità che, a partire dalla condizione di marcia regolare, di cui al pt. 2, e fino al termine del successivo processo d’arresto, si manifestino gli effetti di due guasti o cause di guasto al sistema di frenatura, fra loro indipendenti, non viene considerata ai fini del compimento della prima missione.

Appare opportuno osservare che, a seconda della circostanza in cui si manifesta il primo dei due guasti considerati, tale proposizione equivale ad una delle due seguenti.

i) – La possibilità che, durante un processo d’arresto comandato in seguito al riconoscimento di un guasto interno al sistema di frenatura, avvenuto nel corso della marcia regolare, subentri un ulteriore guasto, indipendente da quello che ha causato l’emissione del comando d’arresto, tale da rendere indisponibile la prima azione frenante, forzando il ricorso alla seconda azione, non viene considerata ai fini del compimento della prima missione.

ii) – Nel corso di un arresto in cui, a causa di un primo guasto che, manifestatosi durante il processo, abbia reso indisponibile la prima azione, si sia dovuto ricorrere alla seconda azione frenante, la possibilità che subentri e si renda manifesto un secondo guasto, indipendente dal primo e tale da rendere presumibilmente indisponibile anche questa seconda azione frenante, non viene considerata ai fini del compimento della prima missione.

Si ricorda che, ai sensi del pt. 3 dell’art. 2.5.7, è considerata prima azione frenante la prima delle azioni che, nella prevista successione di quelle che equipaggiano il sistema di frenatura, può essere ritenuta disponibile nelle condizioni di esercizio, e di funzionalità del sistema medesimo, in atto al momento in cui il comando d’arresto viene emesso. È considerata seconda azione frenante la prima delle azioni che, nella menzionata successione, può essere ritenuta disponibile in seguito al riconoscimento di un guasto singolo che, manifestatosi nel corso di un processo di frenatura già in atto, abbia reso indisponibili una o più azioni frenanti, fra le quali certamente deve annoverarsi quella che, precedentemente al guasto, era considerata la prima azione.

Si osservi quindi che nel caso «i)» l’ulteriore guasto subentrato è tuttavia un primo guasto nell’àmbito del processo d’arresto, ed infatti colpisce la prima azione frenante. Il principio esposto configura quindi una situazione diversa rispetto a quella di cui al prec. pt. 2, essendo limitata alla circostanza in cui il comando d’arresto è stato causato dal rilevamento di un guasto al sistema di frenatura.

Il principio esposto nel caso «ii)» comprende invece una situazione diversa rispetto a quella del caso «i)», poiché riguarda anche gli arresti comandati da cause estranee al sistema di frenatura.

7) – In conseguenza dei pt. prec., il compimento della prima missione del sistema di frenatura («corretta decelerazione») deve essere garantito in ognuna delle seguenti condizioni:

7.1) – ad esclusiva opera della prima azione frenante, di cui al pt. 3 dell’art. 2.5.7, se il comando d’arresto deriva da cause esterne al sistema di frenatura mentre quest’ultimo si trova in condizioni di normale efficienza nell’istante in cui il comando d’arresto è emesso e si mantiene in tali condizioni fino al compimento dell’arresto;

7.2) – ad esclusiva opera della prima azione frenante, se il comando d’arresto deriva dal riconoscimento di un guasto interno al sistema di frenatura, avvenuto nel corso della marcia regolare, e se nel sistema stesso non subentra un ulteriore guasto nel corso dell’arresto;

Tale prima azione frenante sarà costituita, a parità di altre condizioni, da un’azione diversa da quella che era la prima azione frenante nel caso di cui al prec. pt. 7.1.

7.3) – ad esclusiva opera della seconda azione frenante, se il comando d’arresto, derivato da cause esterne al sistema di frenatura, ha chiamato la prima azione frenante, ma il sistema è colpito da un guasto singolo che la rende indisponibile nel preciso istante in cui il comando d’arresto è stato emesso;

7.4) – ad opera della prima e, successivamente, della seconda azione frenante, se il comando d’arresto, originato da cause esterne al sistema di frenatura, avvenuto nel corso della marcia regolare, determina l’intervento della prima azione frenante e, nel corso dell’arresto, un guasto («primo guasto» per quell’arresto) la rende indisponibile forzando il ricorso alla seconda azione.

Nell’applicazione pratica, i princìpi esposti si traducono – nelle ipotesi poste – nella necessità di escludere danni alle persone anche nel caso di subentro di una seconda azione frenante; quindi, non soltanto la prima azione frenante, in condizioni di normale efficienza, deve assicurare margini di spazio adeguati a non provocare collisioni; deve garantirsi anche l’assenza di collisioni qualora l’arresto risulti completato da una seconda azione frenante, intervenuta successivamente in caso di guasto della prima, qualsiasi sia l’istante in cui, a processo di frenatura iniziato, è occorso il guasto.

A titolo di esempio, durante la marcia regolare, nel caso di un impianto in cui il freno elettrico di servizio ed il freno meccanico di servizio agiscano sullo stesso asse (albero veloce del riduttore), l’intervento della funzione di controllo di disponibilità del freno meccanico di servizio deve far presumere che un guasto singolo abbia reso indisponibili tutte le azioni di entrambi questi freni. Da tale intervento dovrà quindi conseguire l’emissione di un comando d’arresto con un’azione del freno meccanico di emergenza (prima azione frenante) che, in quest’es., si suppone essere quella modulata. Il caso che, nel corso di tale arresto, subentri la manifestazione di un guasto indipendente dal primo che renda indisponibile tale azione modulata, non è considerato. Tuttavia, l’azione modulata in questione dovrà essere tale da garantire gli spazi d’arresto richiesti, mentre non altrettanto è esigibile da una seconda azione frenante (azione a scatto del freno meccanico di emergenza che, fra l’altro, non potrebbe essere attuata da un diverso freno). In questo caso, infatti, il rispetto dello spazio d’arresto da parte della seconda azione frenante non è richiesto in quanto la causa che ha determinato il comando d’arresto a partire dalla condizione di marcia regolare era già costituita da un primo guasto al sistema di frenatura, ed il doppio guasto non viene contemplato. Qualora, nel corso dell’arresto derivante dal primo guasto sopraddetto, l’intervento di una sorveglianza, quale l’anticollisione, che riconosca un evento rischioso non attinente al sistema di frenatura (e quindi tale da non essere causato da un secondo guasto al sistema stesso), faccia subentrare un ulteriore comando d’arresto, l’arresto dell’impianto dovrà ancora essere condotto, con la prima azione frenante comandata per questo secondo arresto, nel rispetto degli spazi d’arresto richiesti dalla sorveglianza intervenuta.

8) – In caso di accadimenti di guasti multipli, le azioni frenanti da applicarsi successivamente alla seconda, previste nella successione di cui al pt. 4 dell’art. 2.5.6 e al pt. 3 dell’art. 2.5.7, devono comunque mirare all’arresto dell’impianto riducendo, per quanto possibile, i rischi per le persone, ma non sono tenute necessariamente a garantire il compimento della prima missione e l’assenza di danni alle medesime.

9) – La seconda missione del sistema di frenatura deve essere assicurata anche nel caso che, al termine della decelerazione che conclude un arresto:

9.1) – si manifestino gli effetti di un singolo guasto o causa di guasto al sottosistema preposto al rilevamento della soglia di transizione allo stazionamento e al conseguente comando del freno di stazionamento, ed inoltre

9.2) – si manifestino gli effetti di un singolo guasto o causa di guasto, anche indipendente da quello di cui al pt. prec., che renda indisponibile l’azione del freno meccanico di servizio impiegata per mantenere lo stazionamento.

La prescrizione di cui al pt. 9.2 non si applica negli impianti di cui al pt. 2 dell’art. 2.5.15.

Se per lo stazionamento viene utilizzata anche l’azione a scatto del freno di emergenza, ai sensi del succ. pt. 11 la probabilità di fallimento della seconda missione è, a priori, trascurabile. Se invece per lo stazionamento si impiega normalmente la sola azione a scatto del freno di servizio, per evitare che gli effetti di un guasto possano portare al fallimento della missione di mantenimento dello stazionamento devono essere presi opportuni provvedimenti, che si concretizzano nella funzione di controllo dello stazionamento, ai sensi dell’art. (2.5.15).

10) – La terza missione del sistema di frenatura deve essere assicurata anche nel caso che ognuno dei sottosistemi elettrici che possono determinare il comando dell’azione a scatto del freno meccanico di emergenza sia interessato da un singolo guasto o causa di guasto latente o manifesto.

Fra tali sottosistemi si annoverano quello di comando manuale elettrico, quelli di comando automatico elettrico, nonché il sottosistema che esercita la funzione di controllo di mancata decelerazione, a partire dalle rispettive catene finali.

A titolo di chiarimento, si specifica che i comandi manuale ed automatico di tipo meccanico (rubinetti di scarico rapido e dispositivo ad azione centrifuga) non rientrano in tale àmbito.

11) – La possibilità che uno o più guasti o cause di guasto provochino l’indisponibilità su comando dell’azione a scatto del freno meccanico di emergenza, venendo ad interessare direttamente gli organi di attuazione oppure gli elementi meccanici del freno che concorrono a sviluppare la forza di attrito, e quindi impediscano l’adempimento della terza missione, non è considerata.

Di conseguenza, le prescrizioni di cui ai prec. pt. sono per ipotesi soddisfatte senza far ricorso alla seconda azione frenante nel solo caso in cui la prima azione frenante prevista sia costituita dall’azione a scatto del freno di emergenza, in quanto essa è considerata sempre comandabile e disponibile, se realizzata in ottemperanza alle modalità indicate in questo capitolo e, in particolare per quanto riguarda la parte meccanica, nelle P.T.S. relative agli specifici tipi di impianto.

La comparsa, durante l’arresto, di un guasto in presenza di un guasto latente, oppure (il che è logicamente equivalente) di due guasti simultanei, tale da rendere indisponibili due azioni frenanti, può portare al fallimento della missione di corretta decelerazione (prima missione); inoltre, se il freno meccanico di emergenza non è usato quale freno di stazionamento, può anche portare al fallimento della missione di stazionamento (seconda missione). I provvedimenti presi rendono questi eventi molto improbabili, purtuttavia non tali da poter essere esclusi. La missione di arresto di emergenza (terza missione) ha anche lo scopo di limitare i danni da essi derivanti.

L’adozione dei criteri di ridondanza e di indipendenza, le attività di progettazione, realizzazione, collaudo e manutenzione svolte in modo appropriato, l’impiego di test di disponibilità e di prove di funzionalità del sistema, attuati secondo le modalità indicate in questo capitolo e, in particolare per quanto riguarda la parte meccanica, nelle P.T.S. relative agli specifici tipi di impianto, consentono di limitare le configurazioni di guasto che il sistema deve fronteggiare alle ipotesi dei pt. 2 e 3.

Chiamate di azioni frenanti successive alla seconda, pertanto, possono non essere considerate ai fini del computo degli spazi d’arresto.

Il sistema di frenatura deve dunque essere in grado di svolgere la missione di arresto di emergenza (e di conseguenza anche la missione di mantenimento dello stato di stazionamento) anche nel caso che durante l’arresto si manifestino due guasti, di cui uno alle parti addette all’azione a scatto del freno di emergenza ed uno qualsiasi a parti addette ad altre azioni. Se l’azione a scatto del freno di emergenza è la seconda azione prevista per assicurare la missione di corretta decelerazione, ciò vale anche per tale missione. Si osserva che il livello di sicurezza richiesto per il sistema di frenatura è superiore a quello richiesto per il sistema di sorveglianza, in quanto il primo sopporta, senza divenire compromesso, anche l’accadimento di due guasti contemporanei, a condizione che non più di uno tra essi colpisca la catena di comando del freno meccanico di emergenza.

Ciò giustifica le prescrizioni, inerenti il freno meccanico di emergenza e gli impianti ad esso associati, relative alla ridondanza degli attuatori elettrici e meccanici, delle parti del relativo controllo di mancata decelerazione, e dei circuiti che trasmettono i comandi di attivazione del controllo di mancata decelerazione medesimo.

2.5.10 SISTEMA DI FRENATURA COMPROMESSO, DEGRADATO, EFFICIENTE

In analogia con quanto posto nell’art. 1.3.6 e seg., lo stato del sistema di frenatura può classificarsi come segue.

1) – SISTEMA Dl FRENATURA COMPROMESSO. Il sistema di frenatura e detto compromesso se esiste almeno una condizione di chiamata nella quale non vengono espletate la prima o la seconda missione, o entrambe, a causa di un guasto che comporti difetto di frenatura.

Quindi, ad es., il sistema risulta compromesso qualora siano indisponibili tutte le azioni frenanti necessarie a garantire arresti con assenza di danni alle persone, oppure quando l’azione a scatto del freno meccanico di servizio si rivela insufficiente, da sola, per il mantenimento dello stazionamento.

2) – SISTEMA Dl FRENATURA DEGRADATO. Il sistema di frenatura è detto degradato se espleta la prima e la seconda missione in tutte le condizioni di chiamata previste ma può diventare compromesso per effetto di un successivo guasto, oppure se esiste almeno una condizione di chiamata nella quale la prima missione, a causa di un guasto che comporti eccesso di frenatura, viene espletata in modo non completo.

Quindi, ad es., il sistema risulta degradato qualora rimanga disponibile una sola azione frenante ancora in grado di garantire l’assenza di danni alle persone.

3) – SISTEMA DI FRENATURA EFFICIENTE. Il sistema di frenatura è detto efficiente se espleta la prima e la seconda missione in tutte le condizioni di chiamata previste ed inoltre un primo guasto può, al più, degradarlo senza comprometterlo.

2.5.11 REQUISITI DI SICUREZZA DEL SISTEMA DI FRENATURA

1) – Si dovrà assicurare, mediante progettazione, realizzazione, collaudo e manutenzione appropriati, che un qualsiasi guasto previsto, di cui al prec. art. 2.5.8, non sia «PERICOLOSO», ossia non possa arrivare a compromettere il sistema di frenatura. Ciò implica che, qualora il guasto porti ad una degradazione de sistema, questa debba essere riconosciuta:

1.1) – immediatamente all’insorgere del guasto, comparso o durante la marcia regolare o durante l’arresto, per intervento delle funzioni di controllo del sistema di frenatura (GUASTO MANIFESTO), ovvero, al più tardi,

1.2) – in occasione del successivo test, qualora il guasto non si sia reso immediatamente manifesto (GUASTO LATENTE).

Il riconoscimento di un guasto al sistema di frenatura deve immediatamente comportare l’arresto dell’impianto.

2) – Qualunque scostamento dal funzionamento previsto deve comportare quanto meno, alla ripresa della marcia, la penalizzazione intermedia (2.1.39) della velocità. Tuttavia, nel caso in cui la degradazione sia tale che un successivo guasto possa comportare la compromissione del sistema, la ripresa della marcia deve poter avvenire solo con penalizzazione pesante della velocità, per l’evacuazione della linea. Qualora invece la degradazione possa comportare esclusivamente un eccesso di frenatura, la ripresa della marcia e la prosecuzione del servizio sono ammesse solo a velocità tale da evitare i pericoli relativi, e comunque non superiore a quella di penalizzazione intermedia.

2.5.12 FUNZIONI DI CONTROLLO E CATENE FINALI DEL SISTEMA DI FRENATURA

1) – Il sistema di frenatura comprende idonee funzioni di controllo atte a rilevare eventuali malfunzionamenti o indisponibilità e ad emettere di conseguenza i comandi più opportuni. La ripartizione dei circuiti che realizzano le funzioni fra elementi hardware distinti (2.1.9) è regolata dalle prescrizioni contenute nei pt. seg.

2) – Le catene finali che comandano l’attivazione di funzioni di controllo per la cui realizzazione sono previsti i requisiti delle funzioni di sicurezza devono essere strutturate in maniera tale che un singolo guasto non possa comportare la mancata attivazione della funzione su più di un canale.

3) – Ogni attuatore di azioni frenanti deve ricevere i segnali logici destinati a comandare l’azione frenante cui è preposto, ed eventualmente a scegliere la decelerazione richiesta o ad escludere l’azione frenante, da almeno una catena finale che risponda ai requisiti di seguito indicati.

La medesima prescrizione si applica a ciascun canale dei dispositivi di controllo del sistema di frenatura che richieda comandi di attivazione, di selezione della decelerazione o di esclusione.

Per ridondanza, l’attuatore od il dispositivo possono ricevere questi comandi anche tramite altre vie aggiuntive, ad esempio mediante segnali digitali di comunicazione seriale.

Una stessa catena finale può comandare più attuatori e dispositivi di controllo, e catene finali diverse possono avere tratti in comune (ad es., con uno sviluppo ramificato «ad albero»), purché sia rispettato il principio di tolleranza ai guasti sopra esposto, ad es. impiegando opportuni criteri di ridondanza.

4) – Le catene finali devono essere costituite dalla serie di contatti di dispositivi elettromeccanici, quali i contatti normalmente aperti di relé ed i contatti normalmente chiusi di pulsanti d’arresto.

La chiamata di un’azione frenante, l’avvio di una funzione di controllo, la selezione di un valore di decelerazione maggiore devono avvenire per interruzione della relativa catena e diseccitazione dell’attuatore o dispositivo comandato.

Ciascuna esclusione di un’azione frenante o di un canale di un dispositivo di controllo, ove ammessa, deve avvenire tramite una catena simile dedicata, ma agente per eccitazione.

5) – Si devono adottare opportuni accorgimenti per rendere trascurabile il rischio che un conduttore della catena venga alimentato da un circuito diverso a causa di un corto circuito, specie se esso trasferisce il comando ad un circuito alimentato per altra via o a più circuiti.

2.5.13 FUNZIONE DI CONTROLLO DI MANCATA DECELERAZIONE

1) – La funzione di controllo di mancata decelerazione è un’attività di controllo svolta in seno al sistema di frenatura e preposta a far sviluppare le azioni frenanti secondo la prevista successione, per l’assolvimento delle missioni del sistema, quando si riconosca insufficiente, rispetto alla decelerazione richiesta, quella conseguita con le azioni chiamate fino a quel momento nel corso dell’arresto (2.5.3 e 2.5.6). La funzione di mancata decelerazione deve essere attiva a partire dall’istante di emissione di un qualsiasi comando di arresto ed essere mantenuta durante l’intero processo di frenatura, almeno fino all’eventuale chiamata del freno meccanico di emergenza con azione a scatto (1.2.45 e 2.3.16). Non è richiesto di sottoporre a controllo di mancata decelerazione l’azione a scatto del freno di emergenza (2.5.22), sia che intervenga per chiamata diretta che per azione successiva ad altre.

2) – Nella realizzazione dei sistemi che svolgono la funzione di mancata decelerazione devono essere adottati opportuni criteri e misure costruttive al fine di ridurre al minimo il pericolo di intervento contemporaneo dei due freni meccanici con azione a scatto, per guasto o per malfunzionamento dei dispositivi di controllo (2.5.22). A tal fine, i dispositivi di mancata decelerazione addetti a comandare azioni del freno meccanico di servizio ed azioni del freno meccanico di emergenza devono essere fisicamente indipendenti; ciascuno di essi deve essere alimentato dalla stessa linea di alimentazione di sicurezza che alimenta l’attuatore del freno comandato (2.9.10 e 2.5.4). Inoltre, i dispositivi ridondanti che comandano le azioni di uno stesso freno possono impiegare un unico trasduttore ed un unico segnale di velocità di marcia; comunque, i segnali di velocità impiegati per il controllo di mancata decelerazione devono essere sottoposti a test per confronto (2.2.10). L’intervento di tale test deve comandare un arresto, non necessariamente prodotto con la stessa azione frenante prevista per l’intervento della parte della funzione di controllo di mancata decelerazione che impiega il segnale di velocità esaminato. Il test va eseguito sul valore del segnale effettivamente utilizzato per il controllo di mancata decelerazione (ossia all’interno del circuito che realizza il controllo), o almeno prelevando il segnale in un punto di ingresso o di uscita di tale circuito.

3) – Valgono inoltre le prescrizioni particolari seguenti.

3.1) – I comandi di attivazione della funzione di mancata decelerazione devono essere emessi per interruzione di catene finali elettromeccaniche, con gli stessi criteri di sicurezza prescritti per i comandi delle azioni frenanti (2.5.4).

3.2) – L’intervento eventuale di ciascuna azione frenante di ogni freno, comandato in modo automatico dalla funzione controllo di mancata decelerazione successivamente alla chiamata della prima azione frenante, deve essere segnalato singolarmente e memorizzato; il comando di ripristino può agire collettivamente.

3.3) – Se, nella chiamata di un freno con azione modulata, è previsto l’impiego di più valori di decelerazione (rampe di velocità) (2.5.26), i comandi di selezione di tali valori devono determinare anche l’adeguamento della decelerazione in base al quale si esercita il controllo, ad un valore corrispondente ad un’adeguata prontezza di intervento.

3.4) – Il comando dell’azione modulata con funzione di guardia di un freno meccanico (2.5.25) è impiegabile nell’àmbito del controllo di mancata decelerazione purché siano soddisfatte le condizioni specificate negli artt. 2.8.2 e 2.5.25.

3.5) – Il passaggio dalla condizione di strisciamento a quella di lavoro dell’azione modulata del freno meccanico di emergenza ed inoltre la chiamata dell’azione a scatto del freno medesimo devono essere segnalate e memorizzate sul banco di manovra; tali eventi devono richiedere un comando manuale di ripristino dedicato, mancando il quale deve essere inibita la ripresa della marcia (2.5.24 e 2.5.25).

Evidentemente il passaggio dalla condizione di strisciamento a quella di lavoro è dovuto all’anomalo funzionamento dell’azione frenante del freno sorvegliato (2.5.25).

3.6) – Nell’àmbito del controllo di mancata decelerazione, il sistema dedicato allo svolgimento della funzione che, in caso di intervento, comanda l’azione a scatto del freno di emergenza, ed il sistema di comando stesso devono essere realizzati secondo il criterio della ridondanza mediante due canali indipendenti tra loro e rispetto ad ogni altro dispositivo di mancata decelerazione, nonché sottoposti a test automatico all’avviamento, ovverossia ottenuta con criteri equivalenti a quelli delle funzioni di sicurezza.

Ciò implica la necessità di impiegare almeno due vie di trasmissione indipendenti, a partire dal punto di emissione di un qualsiasi comando di arresto (catene finali) e fino agli ingressi dei due dispositivi, e dalle uscite di questi fino agli attuatori dell’azione a scatto.

Si deve prestare particolare attenzione per il soddisfacimento di questa prescrizione, qualora il comando di attivazione di questa parte del controllo di mancata decelerazione non sia emesso direttamente ad ogni comando di arresto, ma ad es. in seguito all’intervento di altre parti del controllo di mancata decelerazione che comandano azioni precedenti della sequenza di frenatura.

Ad es., l’intervento della funzione di controllo della disponibilità del freno meccanico di servizio indica l’indisponibilità delle azioni del freno elettrico di servizio e del freno meccanico di servizio. Le missioni del sistema di frenatura quindi devono essere assicurate dalle azioni del freno meccanico di emergenza; se la prima azione è l’azione modulata o differenziata, deve essere comunque attivata in modo sicuro la funzione di mancata decelerazione che comanda l’azione a scatto del freno di emergenza.

3.7) – Se il freno meccanico di servizio opera con azione a scatto o differenziata, e solo in tal caso, è ammesso che la funzione di controllo di mancata decelerazione esercitata sulla sua azione frenante sia attuata con relé temporizzati di sicurezza, duplicati (2.1.25).

Quanto nel pt, 3.7 si verifica quindi, in generale, nei soli impianti monofune a collegamento permanente.

3.8) – I dispositivi elettrici impiegati per lo svolgimento della funzione di controllo di mancata decelerazione devono in generale essere realizzati con criteri di indipendenza tali che l’avaria di uno di essi non possa comportare il mancato comando di più di una azione frenante.

Il sistema che nel complesso realizza la funzione di mancata decelerazione può utilizzare diverse tecniche per la chiamata delle azioni frenanti successive (ad es., confronto continuo della velocità istantanea dell’impianto con una rampa a decelerazione minima, regolazione modulata di un freno con azione di guardia, relé temporizzati).

2.5.14 FUNZIONE DI CONTROLLO DI VELOCITÀ MINIMA

1) – La funzione di controllo di velocità minima è una funzione in grado di emettere un segnale di intervento nel momento in cui la velocità di marcia diviene inferiore al valore di velocità minima (1.2.38).

2) – L’intervento della funzione di controllo di velocità minima nel corso di un qualsiasi processo di arresto deve comportare l’emissione del comando di frenatura con azione a scatto del freno meccanico di stazionamento e quello di disalimentazione dell’azionamento (1.2.38 e 2.5.27).

Qualora il freno di stazionamento sia costituito sia dal freno di servizio che dal freno di emergenza, entrambi impiegati con azione a scatto, il comando di arresto per intervento della funzione di controllo deve quindi determinare l’azione a scatto di entrambi i freni meccanici.

3) – L’intervento della funzione di controllo durante l’avviamento o durante la marcia regolare può, secondo il caso, costituire un evento irregolare conseguente ad un’anomalia oppure un evento regolare e previsto; nel primo caso, esso deve comportare l’emissione degli stessi comandi richiesti nell’intervento durante un arresto; nel secondo caso l’emissione dei predetti comandi deve essere esclusa mediante tecniche affidabili, da stabilirsi in sede di progetto.

Ad esempio, in tutti i tipi di impianto il comando di arresto per minima velocità può essere escluso durante la fase di avviamento mediante l’azione mantenuta sul pulsante di marcia; negli impianti a va e vieni può essere escluso quando i veicoli impegnano la zona di stazione, dove la velocità richiesta può risultare bassissima; negli impianti in cui sia presente la sorveglianza di uomo morto, il comando può essere escluso, sia in avviamento che durante la marcia regolare, mediante l’applicazione del consenso di uomo morto, nel solo modo di comando manuale (N. 218) e (N. 143).

In ogni caso, particolare attenzione va posta nella gestione del consenso di minima velocità nelle fasi in cui è richiesto il movimento dell’impianto a velocità bassissima; ad es., negli impianti a va e vieni, quando i veicoli impegnano le zone di stazione, il consenso può essere escluso.

4) – La funzione di controllo di minima velocità va realizzata con criteri di sicurezza analoghi a quelli richiesti per i dispositivi di sicurezza; in ogni caso si devono impiegare due unità di elaborazione indipendenti ed il segnale di velocità impiegato, anche se proveniente da un unico trasduttore di velocità, deve essere validato mediante test continuo per confronto con il segnale fornito da un altro trasduttore.

La funzione di controllo di velocità minima viene ad essere testata dinamicamente per effetto delle commutazioni che interessano le fasi di avviamento e di arresto dell’impianto.

5) – È ammesso, per la realizzazione della funzione di controllo, l’impiego del segnale proveniente da un unico trasduttore di velocità, a condizione che il freno di stazionamento sia costituito dal solo freno di servizio impiegato con azione a scatto e che le conseguenze dei guasti previsti a1 trasduttore abbiano probabilità trascurabile di impedire l’intervento della funzione.

È il caso delle dinamo tachimetriche, che per guasto devono manifestare velocità minore di quella reale.

Qualora invece il freno di stazionamento sia costituito sia dal freno di servizio che dal freno di emergenza, entrambi impiegati con azione a scatto, è necessario considerare il rischio del loro intervento simultaneo con azione a scatto durante la marcia a velocità notevolmente superiore alla minima; al fine di evitare tale intervento, è necessario che i circuiti che esercitano il comando sul freno di emergenza impieghino trasduttore ed unità di elaborazione duplicati ed indipendenti da quelli dei circuiti che esercitano il comando sul freno di servizio.

6) – La funzione di controllo di minima velocità può essere realizzata negli stessi elementi hardware che ineriscono la funzione di controllo di mancata decelerazione, compresi quelli che comandano l’azione a scatto del freno di emergenza per la parte preposta allo stesso comando, oppure negli elementi relativi alla famiglia «velocità» delle funzioni di sorveglianza.

2.5.15 FUNZIONE DI CONTROLLO DELLO STAZIONAMENTO

1) – La funzione di controllo dello stazionamento è una funzione preposta a rilevare il raggiungimento dello stazionamento a conclusione di un arresto e a rilevarne successivamente un moto incipiente dell’impianto, in entrambi i sensi di marcia. Essa deve comandare conseguentemente l’azione a scatto del freno di emergenza ed è richiesta qualora la funzione di freno di stazionamento sia esercitata dal solo freno di servizio (1.2.52).

2) – La funzione deve essere realizzata con criteri di sicurezza analoghi a quelli previsti, nei sistemi di sorveglianza, per le funzioni di sicurezza oppure di protezione, rispettivamente secondo i seguenti criteri.

2.1) – Nel caso in cui l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri avvengano con l’impianto in stazionamento e con i veicoli in posizione obbligata (caso, ad es., delle funivie bifuni a va e vieni, delle funicolari, degli impianti a moto unidirezionale intermittente con arresto in stazione), sono richieste le caratteristiche di una funzione di sicurezza; per la sua realizzazione è richiesto un controllo di variazione di spazio esercitato direttamente sulla puleggia motrice o sulla fune e la tempestività di intervento deve essere correlata con l’automotività dell’impianto. È ammesso utilizzare allo scopo le informazioni provenienti dai simulatori di percorso, i quali dovranno avere precisione adeguata (2.9.2).

2.2) – Negli alti casi, sono sufficienti le caratteristiche di una funzione di protezione; la sua realizzazione può essere attuata mediante un controllo di velocità che intervenga al superamento di una soglia indicativamente dello stesso ordine della soglia di minima velocità (1.2.38).

In particolare, è ammesso ricorrere alla funzione di mancata decelerazione, mantenuta attiva anche durante lo stazionamento (2.5.13), con la soglia di velocità indicata.

3) – La funzione di controllo dello stazionamento deve essere attiva a partire da quando l’impianto ha raggiunto la minima velocità e comunque al raggiungimento della posizione nella quale il veicolo dovrebbe stazionare. Opportune cautele devono essere adottate per evitare un’intempestiva attivazione della funzione di controllo dello stazionamento.

Ciò comporterebbe infatti l’azione a scatto susseguente di entrambi i freni meccanici; in particolare, il trasduttore di velocità o di spazio ed i relé di uscita impiegati per la realizzazione della funzione di controllo dello stazionamento devono essere indipendenti da quelli impiegati per la realizzazione di sorveglianze che comportano l’emissione di comandi al freno di servizio. Si osservi che tale funzione è l’unica a rimanere sempre attiva, anche ad impianto arrestato.

4) – La funzione di controllo di minima velocità può essere realizzata negli stessi elementi hardware che ineriscono la parte della funzione di controllo di mancata decelerazione preposta al comando dell’azione a scatto del freno di emergenza, oppure negli elementi relativi alle famiglie «velocità» o «simulatore di percorso» delle funzioni di sorveglianza, secondo la grandezza sottoposta al controllo.

2.5.16 FUNZIONE DI CONTROLLO DELLO STATO DEI FRENI MECCANICI

La funzione di controllo dello stato dei freni meccanici (apertura o chiusura delle pinze o dei ceppi) costituisce una funzione in grado di emettere un segnale di intervento nel momento in cui si registri un’incongruenza tra lo stato reale e quello richiesto nelle condizioni attuali dell’impianto.

La funzione deve essere realizzata con criteri di sicurezza analoghi a quelli previsti, nei sistemi di sorveglianza, per le funzioni di protezione.

I circuiti che realizzano la funzione devono risultare attivi in corrispondenza dello stato di apertura degli elementi frenanti (PINZE, CEPPI), vale a dire il consenso deve venire a mancare non appena il freno non sia completamente aperto. Il controllo deve riguardare ciascun elemento frenante di ognuna delle unità di frenatura presenti nell’impianto. L’intervento deve comportare l’emissione di un comando di arresto meccanico (2.5.27), salvo che detto intervento non sia dovuto all’azione di guardia nel corso di un arresto col freno elettrico di servizio. Sul banco di manovra devono essere segnalati i consensi, quanto meno riassuntivi, di apertura di ciascun freno meccanico. La correttezza dello stato logico assunto dai segnali forniti dai sensori durante lo stazionamento deve essere riconosciuta in occasione del test all’avviamento; qualora il freno di emergenza non sia impiegato per lo stazionamento, l’efficienza dei suoi sensori deve essere verificata almeno giornalmente. Il sistema deve inoltre essere sottoposto a prove periodiche che verifichino il corretto assetto dei sensori di tutti i freni meccanici.

La funzione di controllo dello stato dei freni meccanici può essere realizzata nello stesso elemento hardware che riguarda le funzioni di controllo di usura e dei sistemi di apertura dei freni.

La funzione di controllo dello stato dei freni meccanici va realizzata analogamente ad una funzione di protezione e non di sicurezza perché un eventuale guasto che non rilevi una mancata apertura oppure una mancata chiusura è comunque coperto, rispettivamente, dalla sorveglianza di massima coppia e dalla funzione di controllo di mancata decelerazione (2.5.13).

2.5.17 FUNZIONE DI CONTROLLO DI USURA DEI FRENI

La funzione di controllo di usura dei freni costituisce una funzione in grado di emettere un segnale di intervento nel momento in cui si registri un livello di usura eccessivo degli elementi d’attrito delle unità di frenatura meccanica.

Essa deve essere realizzata con criteri di sicurezza analoghi a quelli previsti, nei sistemi di sorveglianza, per le funzioni di protezione.

L’intervento deve comportare una segnalazione e l’inibizione all’avviamento dell’impianto. L’unità che realizza la funzione deve essere sottoposta a prove periodiche.

La funzione di controllo di usura dei freni meccanici può essere realizzata nello stesso elemento hardware che riguarda le funzioni di controllo dello stato e dei sistemi di apertura dei freni.

2.5.18 FUNZIONI DI CONTROLLO DEI SISTEMI DI APERTURA DEI FRENI

Gli equipaggiamenti idraulici o pneumatici preposti a rendere disponibile l’energia richiesta per l’apertura degli elementi frenanti devono essere dotati di funzioni di controllo, realizzate con gli stessi criteri adottati per le funzioni di protezione, che consentano di verificarne il corretto funzionamento e, in caso di intervento, di segnalare le eventuali anomalie. In particolare, l’installazione di pressostati di minima e massima pressione è obbligatoria; ove opportuno, vanno inoltre previste funzioni di controllo dell’intasamento dei filtri, del livello e della temperatura del fluido, della congruenza dello stato dei rubinetti, ecc.

Le unità che realizzano le funzioni devono essere sottoposte a prove periodiche.

La funzione di controllo dei sistemi di apertura dei freni meccanici può essere realizzata nello stesso elemento hardware che riguarda le funzioni di controllo dello stato dei freni e di usura dei medesimi.

2.5.19 FUNZIONE DI CONTROLLO DELLA DISPONIBILITÀ DEL FRENO ELETTRICO DI SERVIZIO

Funzione di controllo preposta a determinare la disponibilità del freno elettrico di servizio ai fini di selezione dell’azione frenante da applicare per determinare l’arresto dell’impianto. Essa si identifica, di regola, con l’insieme della sorveglianza di integrità della catena cinematica e delle sorveglianze relative all’azionamento che costituisce il freno elettrico.

2.5.20 FUNZIONE DI CONTROLLO DELLA DISPONIBILITÀ DEL FRENO MECCANICO DI SERVIZIO

Funzione di controllo preposta a determinare la disponibilità del freno meccanico di servizio ai fini di selezione dell’azione frenante da applicare per determinare l’arresto dell’impianto, richiesta se detto freno non agisce direttamente sulla puleggia motrice ed esiste la possibilità di disinnestarlo dalla catena cinematica. La capacità di trasmettere la coppia frenante deve essere riconosciuta tramite una funzione di controllo che rilevi la continuità del tratto di catena cinematica compreso tra il freno e la puleggia medesima. Qualora il freno meccanico di servizio sia installato sull’albero veloce dell’argano, a valle di un motore, la funzione di controllo si identifica con la sorveglianza di integrità della catena cinematica.

2.5.21 FUNZIONI DI CONTROLLO DEI FRENI AD AZIONE MODULATA

1) – FUNZIONE DI CONTROLLO DI INDISPONIBILITÀ MODULATORE. Ogni freno meccanico impiegato con azione modulata deve essere dotato di una funzione di controllo atta a verificare che, nel corso della marcia regolare, il segnale di comando (ad es. dell’elettrovalvola) sia inferiore ad un opportuno valore considerabile eccessivo e conseguente ad eventuali guasti. L’intervento sarà in tal caso memorizzato e dovrà determinare l’arresto dell’impianto con il freno elettrico di servizio, se previsto, oppure il rallentamento, ma non l’arresto con azione a scatto. La funzione deve possedere requisiti equivalenti a quelli richiesti per le funzioni di protezione, può essere fisicamente realizzata con parti in comune ai circuiti di regolazione e dev’essere sottoposta a prove periodiche.

2) – FUNZIONE DI CONTROLLO DI PASSAGGIO ALLA CONDIZIONE DI STRISCIAMENTO. Ogni freno meccanico impiegato con azione modulata in funzione di guardia deve essere dotato di una funzione di controllo atta a verificare che, alla chiamata dell’azione modulata con funzione di guardia, il segnale di comando sia opportunamente inferiore al valore di soglia che indica la totale apertura del freno; l’intervento deve comportare una segnalazione. La funzione deve possedere requisiti equivalenti a quelli richiesti per le funzioni di protezione, può essere fisicamente realizzata con parti in comune ai circuiti di regolazione e dev’essere sottoposta a prove periodiche.

3) – FUNZIONE DI CONTROLLO DI PASSAGGIO ALLA CONDIZIONE DI LAVORO O DI ECCESSO DI FRENATURA MODULATA. Ogni freno meccanico impiegato con azione modulata in funzione di guardia deve essere dotato di una funzione di controllo atta a rilevare se, alla chiamata dell’azione modulata con funzione di guardia, il segnale di comando si riduce di un’entità e per una durata tali da indicare lo sviluppo di un significativo sforzo frenante, ossia il passaggio alla condizione di lavoro. L’intervento di questo controllo deve comportare in ogni caso l’emissione di un comando di arresto meccanico ed una segnalazione memorizzata sul banco di manovra, nonché l’inibizione del consenso all’avviamento fino al comando di reset. La funzione deve possedere requisiti equivalenti a quelli richiesti per le funzioni di protezione, può essere fisicamente realizzata con parti in comune ai circuiti di regolazione e dev’essere sottoposta a prove periodiche.

2.5.22 AZIONE DI FRENATURA A SCATTO DEI FRENI MECCANICI

1) – L’azione a scatto del freno meccanico di servizio deve essere realizzata mediante almeno un attuatore (elettrovalvola, elettromagnete, ecc.) di tipo «on/off», ossia non proporzionale, comandato mediante doppia interruzione della sorgente di energia elettrica che lo alimenta. Qualora il freno sia dotato di azione modulata o differenziata, è ammesso che una di tali interruzioni vada a comandare il massimo sforzo previsto per tale azione. Qualora invece il freno, per esplicare un’azione differenziata dello sforzo, sia già dotato di attuatori di tipo «on/off», è ammesso che l’azione a scatto sia ottenuta mediante l’impiego simultaneo di tutti e soli tali attuatori. L’azione a scatto del freno meccanico di servizio va in ogni caso impiegata per lo stazionamento.

2) – L’azione a scatto del freno meccanico di emergenza deve essere realizzata mediante attuatori (elettrovalvole, elettromagneti, ecc.) di tipo «on/off», ossia non proporzionali, comandati mediante doppia interruzione della sorgente di energia elettrica che li alimenta. Gli attuatori di chiusura del freno meccanico di emergenza che determinano la frenatura con azione a scatto devono essere duplicati in modo che il guasto di un singolo attuatore non comporti, di per sé, la perdita, parziale o totale, dell’azione frenante. Nel caso di freni con attuatore elettromagnetico si dovranno impiegare i contatti in serie di almeno due contattori; nel caso di freni con attuatore idraulico si dovranno impiegare almeno due elettrovalvole di scarico in parallelo. Ciascun attuatore dovrà essere comandato a corrente di riposo mediante una propria catena finale che riassuma tutti i comandi dell’azione frenante in questione provenienti da ciascun canale di ogni funzione di sorveglianza o di controllo interessata. L’efficienza di ciascun attuatore andrà verificata mediante i test periodici specificati nell’art. 2.5.28.

3) – L’azione a scatto contemporanea dei due freni deve avvenire soltanto nei casi previsti dal Progettista, fra i quali possono essere contemplati:

3.1) – l’intervento per lo stazionamento dell’impianto;

3.2) – l’intervento per comando manuale dell’azione a scatto del freno meccanico di emergenza durante un arresto col freno meccanico di servizio a scatto;

3.3) – l’intervento di quelle sorveglianze che, in base alle P.T.S., richiedono l’impiego del freno di emergenza con azione a scatto durante un arresto col freno meccanico di servizio dotato di sola azione a scatto.

3.4) – l’intervento del controllo di mancata decelerazione, durante un arresto col freno meccanico di servizio con azione a scatto, che faccia subentrare il freno di emergenza con azione a scatto.

Si ricorda che l’alimentazione dei circuiti va realizzata secondo quanto specificato nell’art. 2.9.10.

In sede di progetto si deve adottare ogni possibile precauzione per evitare l’intervento simultaneo intempestivo con azione a scatto dei due freni, in qualsiasi altro caso. Opportune prove devono essere previste in sede di messa in servizio dell’impianto al fine di verificare che un singolo guasto previsto non possa determinare tale evento. Ad es., la prova di interruzione di una linea di alimentazione di sicurezza, la prova di interruzione di una linea tachimetrica.

4) – Nel caso che il freno meccanico di servizio non sia modulato ma solo differenziato o a scatto, è ammesso che l’azione di questo freno venga inibita a partire dall’istante in cui è riconosciuto l’intervento dell’azione a scatto del freno meccanico di emergenza, fino allo stazionamento.

È altresì ammesso, sempre nell’ipotesi che il freno meccanico di servizio sia del tipo specificato, che sia comandata la riapertura di questo freno, durante la sua azione, qualora subentri e sia riconosciuto l’intervento dell’azione a scatto del freno meccanico di emergenza.

I citati comandi di inibizione o di riapertura devono essere realizzati con particolare cura per l’affidabilità e la sicurezza, mediante il sicuro riconoscimento dell’azione a scatto del freno di emergenza (verificando la chiusura del freno e l’avvenuto comando agli attuatori) comparando caso per caso i rischi connessi con il doppio intervento a scatto e quelli connessi con il mancato intervento del freno meccanico di servizio.

Si deve in ogni caso assicurare che, dopo il margine di tempo previsto, il freno meccanico di servizio si chiuda completamente; ciò deve ottenersi mediante l’impiego di almeno un relé temporizzato di sicurezza (2.1.25).

2.5.23 AZIONE DIFFERENZIATA DI UN FRENO MECCANICO

L’equipaggiamento di un freno meccanico da impiegare con azione differenziata deve comprendere idonei dispositivi, distinti per ciascuno stadio del freno, in grado di comandare separatamente l’intervento con azione a scatto dei singoli stadi.

La forza di frenatura (anche, eventualmente, nulla) con cui il freno impiegato con azione differenziata sarà fatto intervenire inizialmente sarà determinata in funzione della coppia di trazione richiesta al momento in cui viene chiamato l’arresto.

È ammesso che successivamente, durante l’evoluzione del processo d’arresto, ad intervalli di tempo prestabiliti e determinati dallo scatto di temporizzatori di sicurezza (2.1.25), vengano fatti cadere tutti i successivi stadi o solo alcuni di essi, anche finché è ancora in corso la fase di decelerazione (1.2.45).

È obbligatorio che tutti gli stadi del freno vengano comunque fatti cadere, alla transizione allo stazionamento o al più appena raggiunto lo stazionamento, per comando derivante dallo scatto di un ulteriore temporizzatore di sicurezza che faccia intervenire tutti gli stadi, reiterando il comando (2.1.25); la caduta di ciascuno stadio deve essere segnalata, allo scopo di consentire la verifica della completa disponibilità di questa azione.

I dispositivi di temporizzazione impiegati devono essere sottoposti a prove periodiche.

2.5.24 AZIONE MODULATA DI UN FRENO MECCANICO

Il sistema di comando dell’azione modulata di un freno meccanico deve impiegare una regolazione automatica ad anello chiuso della velocità dell’impianto nella fase di frenatura per modulare, tramite un attuatore proporzionale, la forza frenante. La forza frenante deve essere correlata inversamente al segnale di pilotaggio dell’attuatore, in modo tale che la riduzione o l’annullamento del segnale provochino un’azione frenante maggiore o, rispettivamente, totale.

Al comando dell’azione, il riferimento di velocità per il regolatore deve evolvere secondo una rampa che, partendo da una velocità eguale o leggermente superiore alla velocità dell’impianto nel momento del comando, si riduce a zero secondo una decelerazione costante. I parametri di tale rampa devono essere tarabili e verificabili periodicamente in modo semplice.

Il segnale di velocità per la retroazione deve essere indipendente da quello impiegato per l’eventuale azione modulata dell’altro freno meccanico.

Durante l’azione, il freno non deve poter ritornare nella condizione di completa apertura, ma al più nella condizione di strisciamento.

Al termine dell’arresto il segnale di comando dell’attuatore deve comunque essere annullato, in modo da ottenere l’azione totale del freno (2.5.15); il livello di intervento del freno deve essere segnalato sul banco di manovra, ad es. mediante un indicatore della pressione o del segnale di comando dell’attuatore.

2.5.25 FUNZIONE DI GUARDIA DI UN FRENO MECCANICO AD AZIONE MODULATA

1) – La funzione di guardia di un freno meccanico modulato (FRENO DI GUARDIA) rispetto all’azione di un altro freno (FRENO SORVEGLIATO) consiste nel comandare l’azione modulata del freno di guardia portandolo in condizione di strisciamento contemporaneamente all’azione del freno sorvegliato, allo scopo di ottenere immediatamente ed automaticamente il passaggio all’azione frenante successiva in caso di inefficacia (indisponibilità) del freno sorvegliato. Il freno di guardia deve rimanere nella condizione di strisciamento finché la decelerazione dell’impianto rimane sufficiente e portarsi nella condizione di lavoro per mantenere la decelerazione al valore richiesto, qualora quella sviluppata dal freno sorvegliato si riveli insufficiente.

Ad es., al comando di arresto col freno elettrico di servizio si può comandare l’azione di guardia di uno o di entrambi i freni meccanici; al comando d’arresto col freno meccanico di servizio o di emergenza si può comandare l’azione di guardia dell’altro freno meccanico.

2) – Tale funzione di guardia, rispetto ad una qualsiasi azione di un altro freno, è sempre consentita, purché le azioni dei due freni non si sovrappongano in modo da perturbarsi reciprocamente od entrare in conflitto, ed inoltre siano poste in essere le funzioni di controllo di cui all’art. 2.5.21.

3) – Qualora entrambi i freni meccanici siano dotati di azione modulata e siano impiegati con funzione di guardia deve essere inoltre possibile, nel caso che il freno di emergenza segnali l’avvenuto passaggio alla condizione di lavoro, risalire alla ripartizione delle forze erogate dai due freni nel corso della modulazione, ad es. tramite la registrazione delle correnti di pilotaggio dei regolatori proporzionali.

L’arresto con il freno elettrico di servizio, nel caso in cui sia accompagnato dal comando dell’azione modulata con funzione di guardia di uno o più freni meccanici, è normalmente indicato col termine di ARRESTO ELETTROMECCANICO.

2.5.26 DECELERAZIONI NELLE AZIONI MODULATE

Per l’azione modulata di ciascun freno (elettrico di servizio, meccanico di servizio, meccanico di emergenza) è consentito impiegare, in relazione a specifici comandi d’arresto, diversi valori di decelerazione di riferimento. In tal caso, all’intervento di una funzione di sorveglianza deve conseguire automaticamente la selezione del valore di decelerazione secondo lo spazio d’arresto richiesto dalla sorveglianza stessa. La selezione del valore deve comportare l’adeguamento della soglia di decelerazione minima nel controllo di mancata decelerazione e può essere realizzata in due modi:

– mediante comandi di arresto distinti, uno per ciascun valore di decelerazione;

– mediante un comando di arresto unico ed un comando di selezione del valore di decelerazione.

In questo secondo caso, il comando di selezione del valore deve essere trasmesso con le stesse modalità dei comandi di arresto (2.5.4).

2.5.27 COORDINAMENTO FRA AZIONAMENTO E FRENI MECCANICI

1) – La disalimentazione dell’azionamento, da qualunque causa provocata, deve comportare in modo automatico l’arresto con l’azione del freno meccanico di servizio; ciò deve conseguire, in particolare, da ogni comando di disalimentazione nonché, dal rilevamento dell’apertura dei contattori di inserzione dell’azionamento elettrico.

2) – Viceversa, il lavoro dei freni meccanici (oltre quindi il semplice strisciamento nell’azione di guardia), sia per azione modulata o differenziata che a scatto, deve comportare in modo automatico l’interruzione del flusso di potenza motrice dalla sorgente di alimentazione verso il carico meccanico. Ciò deve conseguire, per ciascun elemento frenante:

2.1) – dalla disalimentazione di ogni attuatore dell’azione a scatto;

2.2) – dal rilevamento della chiusura del freno segnalata dalla funzione di controllo dello stato dei freni meccanici (2.5.16), fatto salvo il caso che esso si trovi in funzione di guardia durante l’azione modulata di un altro freno; in tal caso, deve essere operativa la funzione di controllo di eccesso di frenatura modulata (2.5.21.3);

2.3) – da ogni comando di qualsiasi azione frenante con i freni meccanici, ad eccezione dell’azione modulata finché impiegata con azione di guardia.

3) – Opportune misure dovranno essere prese per garantire che, nel transitorio tra lo stato di marcia e quello di arresto, l’applicazione della coppia esercitata sull’anello trattivo passi senza apprezzabile soluzione di continuità temporale dall’azionamento di trazione al freno impiegato per l’arresto e quindi al freno di stazionamento.

4) – L’interruzione del flusso di potenza motrice dell’azionamento elettrico conseguente ad ogni comando di arresto con i freni meccanici deve essere doppia. Essa può essere ottenuta mediante due dispositivi elettromeccanici in cascata oppure con un dispositivo elettromeccanico ed uno elettronico (ad es., il comando di interdizione dei diodi controllati).

2.5.28 TEST E PROVE SUL SISTEMA DI FRENATURA

L’attitudine dei vari componenti (dispositivi e circuiti) del sistema di frenatura allo svolgimento della funzione richiesta deve essere riconosciuta mediante opportuni test di disponibilità e prove periodiche (1.3.15, 2.5.9 e 2.5.11). Le modalità e la frequenza con cui tali procedure vanno svolte dovranno essere convenientemente prestabilite, in modo da assicurare l’efficacia dell’azione di test stessa. In particolare, andranno rispettate le seguenti indicazioni.

1) – La capacità di chiusura e di apertura di entrambi i freni meccanici e l’efficacia dell’azione frenante deve essere verificata con la frequenza e secondo le modalità stabilite dalle P.T.S. relative agli specifici tipi di impianto. L’efficienza di ciascun comando e di ciascun attuatore per la frenatura con azione a scatto di ognuno dei freni meccanici deve essere riconosciuta, singolarmente per ognuno di essi, mediante le predette prove periodiche. Particolare cura dovrà porsi nell’adottare soluzioni realizzative che rendano agevole l’esecuzione delle prove più frequenti.

A maggior ragione, è necessario assicurarsi della disponibilità di un freno nel caso esso rimanga, in condizioni normali, sempre aperto.

2) – Deve sempre risultare possibile l’effettuazione di una prova amperometrica dello sforzo erogato da ciascun freno meccanico. Deve essere possibile, in particolare, eseguire prove periodiche di efficienza delle frenature con azione differenziata o modulata, impiegando appositi dispositivi elettrici od elettronici; allo scopo, deve prevedersi un sistema di regolazione manuale dell’azione modulata di un freno, azionabile previa idonea predisposizione, e deve essere segnalato il livello di differenziazione o la percentuale di modulazione.

Tali segnalazioni sono comunque richieste indipendentemente dalla necessità di eseguire le prove periodiche (2.5.24 e 2.7.6).

3) – La correttezza della sequenza delle fazioni frenanti deve poter essere periodicamente verificata in modo completo; le prove devono comprendere la verifica di tutte le sequenze d’arresto ottenibili per indisponibilità di una o più azioni frenanti nonché il controllo degli spazi d’arresto conseguenti. A tale scopo, le apparecchiature elettriche devono consentire un’agevole esclusione di ciascuna azione frenante; peraltro, si deve garantire che tali esclusioni siano adeguatamente protette contro l’uso indebito e che non possano in alcun modo, per guasto, provocare l’indisponibilità dell’azione frenante medesima.

2.5.29 PARZIALIZZAZIONI AL SISTEMA DI FRENATURA

1) – Qualora lo stato funzionale ed ambientale reale o le misure tecniche del sistema di frenatura effettivamente disponibili risultino inferiori allo stato funzionale ed ambientale normale o alle misure tecniche normali progettualmente previste per il livello di sicurezza normale, di cui all’art. 2.1.1, le prescrizioni di tale art. – relative al sistema di sorveglianza – si applicano per analogia, con le specificazioni di seguito riportate.

Condizioni di esercizio o misure tecniche inferiori alle normali si verificano, ad es., in caso di diminuzione del numero delle azioni frenanti disponibili, di incipiente stato di usura degli elementi di attrito dei freni meccanici, di indisponibilità parziale o totale di funzioni di controllo (apertura dei freni, mancata decelerazione, ecc.).

2) – La prosecuzione dell’esercizio può avvenire soltanto se risultano soddisfatte le seguenti condizioni.

2.1) – Siano adottate misure tecniche ed organizzative in grado di ricondurre i rischi al valore accettabile, in modo da ottenere un livello di sicurezza equivalente a quello normale, secondo quanto dovrà essere previsto in sede di progetto e riportato nel Reg. di esercizio. Tenuto conto delle misure tecniche ed organizzative stabilite per la prosecuzione dell’esercizio, l’effettiva disponibilità residua delle azioni frenanti e delle funzioni di controllo di mancata decelerazione, stazionamento e velocità minima deve essere tale da assicurare lo svolgimento delle tre missioni del sistema di frenatura anche nel caso si manifestino gli effetti di un guasto al sistema stesso (2.5.9, pt. 2).

Lo svolgimento delle tre missioni dovrà quindi avvenire rispettando integralmente le prescrizioni del presente capitolo, con particolare riguardo al rispetto degli spazio d’arresto ed al mantenimento dello stazionamento.

Ad es., l’indisponibilità completa dei dispositivi della funzione di controllo di mancata decelerazione che comandano un’azione frenante successiva deve essere equiparata alla indisponibilità di tale azione frenante; l’indisponibilità parziale, dovuta al guasto di uno dei due canali a ciò preposti, impone di assumere l’indisponibilità dell’azione frenante qualora si manifesti un guasto.

2.2) – Nel caso di riduzione della disponibilità delle azioni frenanti o delle funzioni di controllo citate al pt. prec., la riduzione della velocità di marcia costituisce misura organizzativa obbligatoria, in quanto consente di ridurre significativamente gli spazi d’arresto.

In particolare, anche nel caso il sistema di frenatura sia degradato (2.5.10) e provvedimenti organizzativi siano stati presi, la riduzione della velocità di marcia è comunque considerata misura fondamentale per la prosecuzione della marcia.

2.3) – Ove la prosecuzione dell’esercizio richieda modifiche al funzionamento di parti meccaniche od elettriche, queste devono essere attuate mediante dispositivi di manovra a ciò predisposti e dotati degli interblocchi e delle segnalazioni necessarie a ridurre i rischi derivanti da manovre o predisposizioni errate in una qualsiasi condizione di esercizio.

Tali mezzi possono essere ad es. rubinetti per l’esclusione di azioni frenanti, selettori per la parzializzazione o l’esclusione di funzioni di controllo e le relative segnalazioni.

2.4) – Le funzioni di controllo di mancata decelerazione, minima velocità, disponibilità del freno meccanico di servizio e disponibilità delle azioni modulate non possono essere supplite da provvedimenti organizzativi.

Le altre funzioni di controllo (dello stazionamento, dello stato dei freni meccanici, di usura dei freni, dei sistemi di apertura dei freni) possono essere parzialmente o integralmente supplite adottando misure organizzative atte a consentire una sorveglianza continua del personale e l’immediata emissione manuale dei comandi necessari.

La sostituzione, parziale o completa, di una di queste funzioni automatiche con la sorveglianza manuale consente di mantenere il ripristino del livello di sicurezza normale e quindi di proseguire l’esercizio soltanto per un periodo di tempo limitato, adottando la penalizzazione intermedia della velocità di marcia.

2.5.30 AZIONI FRENANTI NELLA MARCIA DI RECUPERO O DI SOCCORSO

I due sistemi frenanti di cui devono essere dotati sia l’azionamento di recupero che quello di soccorso, ai sensi dell’art. 18.16 del Reg. Generale, devono possedere i requisiti costruttivi definiti nelle P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto e devono intervenire con azione a scatto sia automaticamente, per intervento delle specifiche sorveglianze, che per emissione di comandi manuali da predisporre al posto di manovra e nei punti di lavoro sui piazzali d’imbarco. Ciascun freno deve essere comandato da una propria catena finale indipendente.

Nel caso del gruppo di trazione di recupero, è consentito sdoppiare il freno di emergenza a condizione che il medesimo sia sufficientemente dimensionato e che le due sezioni risultanti siano rese indipendenti a partire dai loro comandi; tali sezioni possono essere le stesse impiegate per il normale esercizio.

Nella marcia con gli azionamenti di recupero o di soccorso, salvo che ciò non dia luogo a sollecitazioni inammissibili, si possono in generale trascurare i rischi conseguenti all’azione a scatto simultanea di due freni; in tal caso, è consentito utilizzare per essi la stessa linea di alimentazione. Qualora invece l’intervento contemporaneo dei freni meccanici di servizio e di emergenza con azione a scatto dia luogo a sollecitazioni inammissibili per gli elementi dell’impianto, le linee di alimentazione devono essere distinte per i due freni (2.9.12).

In ogni caso, l’intervento delle sorveglianze di corretta predisposizione della catena cinematica (ad es., disinnesto dei giunti di trasmissione), di assetto puleggia e di posizione fune devono comportare l’emissione del comando d’arresto col freno di emergenza.

2.6 AZIONAMENTI DI TRAZIONE

2.6.1 AZIONAMENTI PRINCIPALE E DI RISERVA

1) – Il Progettista deve determinare, in accordo con le P.T.S. relative ai vari tipi di impianti, le diverse condizioni di esercizio previste, tenuto conto dell’entità e della posizione dei carichi, della velocità e del senso di marcia.

2) – Il dimensionamento dell’impianto elettrico relativo agli azionamenti principale e di riserva deve consentire non meno di cinque manovre consecutive di avviamento per una qualunque delle suddette condizioni di esercizio previste. Nelle medesime condizioni, esso deve altresì permettere l’esercizio continuativo alla massima velocità prevista in sede di progetto per ciascun azionamento in uso. Analoghi criteri di dimensionamento sono richiesti per la potenza delle sorgenti di energia (2.8.2).

3) – Ogni azionamento deve essere in ogni caso in grado di erogare alla puleggia motrice la necessaria coppia motrice o frenante, in entrambi i versi di marcia; l’azionamento elettrico sarà quindi di regola del tipo a quattro quadranti. I motori impiegati devono essere previsti per il servizio continuo (S1, cfr. Norma CEI 2-3). Le P.T.S. relative ai diversi tipi di impianti stabiliscono se l’azionamento debba essere a velocità regolata oppure no; tuttavia, nel caso sia impiegato quale freno elettrico di servizio, esso deve comunque esserlo e deve altresì essere individualmente in grado di frenare l’impianto, con la decelerazione richiesta, in una qualunque condizione e posizione del carico prevedibile in esercizio ed in entrambi i versi di marcia, a partire dalla massima velocità prevista dall’azionamento in uso e fino alla minima velocità.

4) – L’azionamento di riserva, qualora reso obbligatorio per ragioni di continuità di esercizio (art. 18.6 del Reg. Generale), deve includere tutte le apparecchiature ed i circuiti di potenza (1.2.1, pt. 1) compresi entro il punto di allacciamento alla sorgente di energia, l’albero erogatore di coppia ed il punto di consegna del riferimento di velocità, in modo tale da rimanere disponibile anche nel caso che un guasto interessi un’analoga zona dell’azionamento principale.

Mediante misure tecniche o provvedimenti organizzativi, si deve garantire che un guasto ai circuiti elettronici che elaborano il riferimento di velocità non impedisca una rapida ripresa della marcia, quanto meno con comando manuale della velocità e con l’azionamento di riserva.

L’azionamento di riserva deve sempre essere allacciabile ad una sorgente di energia di riserva, seppur non necessariamente anche alla sorgente principale esterna (Reg. Gen., art. cit.), secondo quanto specificato nell’art. 2.8.10.

La prescrizione dell’azionamento di riserva mira, in linea generale, a garantire una potenzialità residua dell’impianto pari ad almeno il 50% rispetto a quella nominale, in seguito ad un guasto che colpisca i circuiti di trazione dell’azionamento principale o i circuiti di distribuzione che lo alimentano.

5) – L’azionamento di riserva può essere costituito da una parte dell’azionamento principale, se questo è plurimotore.

Qualora l’azionamento di riserva sia reso obbligatorio per ragioni di continuità di esercizio, tale ammissibilità permane valida ma i circuiti di cui al pt. 4 appartenenti all’azionamento principale dovranno comunque risultare ridondati in modo da configurare un sottinsieme completo che identifichi l’azionamento di riserva.

Ad es., un gruppo di trazione costituito da due azionamenti completi, impiegabili o meno in ripartizione di carico, consentono normalmente la riserva reciproca.

6) – A meno di specifiche necessità, le parti dell’impianto funiviario non appartenenti all’azionamento di riserva ma da impiegarsi per l’esercizio con il medesimo (quali, ad es., i circuiti di sorveglianza e quelli del sistema di frenatura) possono essere gli stessi impiegati per l’esercizio con l’azionamento principale. L’impiego dell’azionamento di riserva deve in ogni caso avvenire con il livello di sicurezza richiesto per il normale esercizio.

2.6.2 DIMENSIONAMENTO PER MARCIA A BASSISSIMA VELOCITÀ

Almeno uno degli azionamenti dovrà consentire, a scopi di manutenzione, ispezione e simili, di mantenere valori molto bassi della velocità di marcia, anche dell’ordine della velocità minima o inferiori, almeno per una durata corrispondente al tempo richiesto all’anello trattivo per compiere una rotazione completa, oppure due corse successive, nel caso di impianti del tipo a va e vieni (cfr. art. 18.7 del Reg. Generale). È ammesso che tale condizione di funzionamento sia garantita solamente ad impianto scarico.

Ovviamente, nel caso di valori di velocità inferiori a quello di minima (2.5.14) la marcia dell’impianto sarà possibile solo mantenendo premuto un idoneo comando manuale del tipo ad uomo presente (ad es., pulsante di marcia o pedale di uomo morto).

2.6.3 RIPARTIZIONE DELLA POTENZA

In caso di azionamento plurimotore, i motori avranno, di regola, le medesime potenze nominali. La potenza richiesta a ciascun motore dovrà essere automaticamente ripartita, per ciascuna condizione di esercizio.

Qualora sia previsto che uno dei motori agisca come azionamento di riserva nei confronti dell’altro, esso dev’essere in grado di sviluppare la piena coppia, in modo da poter avviare e muovere permanentemente l’impianto a carico nominale, a velocità eventualmente ridotta.

Dovranno essere prese opportune misure per evitare i danni che potrebbero insorgere se gli azionamenti di trazione entrassero in conflitto, ad es. erogando l’uno coppia motrice e l’altro coppia frenante (2.4.3 e 2.4.3.3).

2.6.4 DISPOSITIVI DI AVVIAMENTO E DI RALLENTAMENTO

1) – Il tipo di azionamento, sia esso a velocità regolata o non regolata (1.2.29 e 1.2.30), ed i relativi dispositivi di avviamento e di rallentamento, devono consentire di condurre le corrispondenti manovre senza difficoltà, ottenendo accelerazioni positive e negative sufficientemente graduali, in relazione al tipo di impianto e alla possibilità di innesco di oscillazioni transitorie.

2) – Nel caso di azionamenti a velocità regolata, tale gradualità deve conseguirsi, tanto nell’avviamento quanto nel rallentamento, mediante l’impiego di circuiti in grado di generare segnali del riferimento di velocità aventi andamento a rampa di pendenza predeterminata.

3) – Nel caso di azionamenti a velocità non regolata, sono da prevedersi idonei dispositivi che consentano di raggiungere analogo risultato. In particolare:

3.1) – dispositivi di avviamento e di rallentamento automatici sono ammessi solo se l’automatismo è asservito alla velocità oppure, ma solo con impianto autofrenante (1.2.65), se temporizzati;

3.2) – negli impianti a va e vieni, nei quali la coppia opposta dal carico può variare entro ampi limiti, può doversi prevedere, in caso di azionamento con motore asincrono, un freno moderabile a comando eventualmente manuale in grado di compensare l’entità della suddetta coppia di carico.

2.6.5 REGOLAZIONE DELLA VELOCITÀ DI MARCIA

I sistemi di regolazione della velocità di marcia di tutti i tipi di azionamento devono soddisfare ai seguenti requisiti.

1) – Devono consentire avviamenti e rallentamenti dell’impianto graduali (2.6.4).

2) – Non devono consentire di superare la velocità di marcia nominale prevista per l’azionamento in uso, se non, sotto condizioni adeguatamente protette, per le prove periodiche di sovravelocità.

3) – Nel caso degli impianti a va e vieni, devono consentire di ottenere un rallentamento graduale e regolare delle vetture durante la fase di avvicinamento alle stazioni nonché una velocità adeguatamente bassa per l’ingresso in zona di stazione anche in tutte le condizioni di carico ed ambientali previste per l’esercizio (fra le quali, ad es., la presenza di vento) e per l’arresto nel punto di fine corsa, senza indurre, al contatto con gli ammortizzatori, sollecitazioni eccessive ai medesimi ed alle catenarie.

Se la velocità di marcia massima di un impianto a va e vieni è superiore alla velocità ammissibile per il passaggio in zone singolari (sostegni, deviazioni delle funicolari e simili), il sistema di regolazione deve inoltre consentire di ridurre la velocità di marcia, in modo manuale o automatico, per il passaggio regolare in tali zone.

4) – Le P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto individuano la possibilità di utilizzare azionamenti a velocità non regolata. In generale, la loro adozione è ammissibile:

4.1) – negli impianti monofune a collegamento permanente dei veicoli, nel caso non si renda necessaria la variazione, anche temporanea, della velocità;

4.2) – nelle funivie a va e vieni, solo per impianti di modeste dimensioni e che non richiedano rallentamenti in linea; in tal caso, il progetto prevederà un freno meccanico moderabile idoneo a favorire le manovre di avviamento e di rallentamento per l’ingresso in stazione (2.6.4).

5) – La velocità di marcia a regime permanente, nel caso di azionamenti a velocità regolata, dovrà accostarsi al valore di riferimento impostato con una precisione non inferiore al ±2%; è invece consentita una precisione pari al ±5% nel caso di azionamenti a velocità non regolata.

6) – Le caratteristiche del sistema meccanico e quelle di regolazione e di risposta dinamica dell’azionamento elettrico nel suo complesso dovranno garantire stabilità di funzionamento, sia permanente che transitoria, in tutto il campo delle velocità e delle accelerazioni previste, per qualsiasi configurazione di carico ammissibile in esercizio.

2.6.6 REGOLAZIONE DELLA VELOCITÀ DI AZIONAMENTI A VELOCITÀ REGOLATA

Gli azionamenti a velocità regolata 1.2.29, oltre a dover consentire la realizzazione dei comandi della velocità di marcia da prevedersi in sede di progetto per ciascun tipo di impianto ed indicati negli artt. 2.3.3 e seg., devono permettere la regolazione della velocità di marcia secondo le prescrizioni di seguito riportate, fatto salvo quanto richiesto dall’art. 2.6.2.

1) – CAMPO DI REGOLAZIONE. La velocità di marcia deve poter essere regolata con continuità tra la velocità minima (1.2.38) e la velocità nominale per qualunque condizione di carico prevista per l’impianto. Essa dovrà altresì poter essere mantenuta, in servizio continuativo, in tutto il campo compreso tra il 10% circa ed il 100% della velocità nominale.

Un valore pari al 10% della velocità nominale risulta comunque compreso tra la velocità minima e quella corrispondente alla penalizzazione pesante; esso tiene conto del fatto che valori inferiori possono, a pieno carico, dar luogo a surriscaldamenti dell’azionamento.

2) – CARATTERISTICHE DEL RIFERIMENTO. Il segnale di riferimento della velocità di marcia che l’azionamento di trazione deve seguire dovrà essere elaborato in base ai comandi della velocità di marcia, garantendo quanto segue.

2.1) – Ad impianto in stazionamento, il riferimento di velocità deve essere mantenuto a zero.

2.2) – Ad ogni comando di arresto meccanico il riferimento di velocità deve essere annullato.

2.3) – Se è previsto l’impiego dell’arresto elettrico, al comando di questo il riferimento di velocità si deve ridurre automaticamente a zero secondo una rampa lineare eventualmente raccordata alle estremità. Il valore di decelerazione richiesto (pendenza della rampa) deve essere quello previsto per il tipo di arresto comandato e deve essere adattabile alle esigenze dell’impianto.

2.4) – Le variazioni del riferimento di velocità devono avvenire limitando le accelerazioni, positive e negative, a valori non eccessivi ed adattabili alle esigenze dell’impianto.

2.6.7 IMPIEGO DELLA PEDANA MOBILE DI IMBARCO

La pedana mobile eventualmente impiegata per preaccelerare i passeggeri nella fase di imbarco negli impianti seggioviari per sciatori deve essere dotato delle seguenti caratteristiche.

1) – Il flusso dei passeggeri al tappeto deve essere regolato mediante cancelli di cadenzamento a movimento automatico. Deve essere possibile regolare il tempo di apertura e l’istante di comando dell’apertura al fine di consentire un agevole accesso al veicolo.

Al fine di evitare collisioni pericolose tra sciatori e seggiole che si siano troppo ravvicinate durante l’esercizio, deve essere disposto un controllo di corretta equidistanza tra i veicoli in grado di riconoscere un eccessivo scostamento della medesima al di sotto di una soglia minima, da definirsi in sede di progetto.

Se il comando è dato dalla stessa vettura destinata ad accogliere i passeggeri che accedono per effetto di quel comando ai cancelli, tale controllo non è necessario.

2) – Il sistema di azionamento del tappeto deve garantire che la velocità del tappeto risulti proporzionale alla velocità dell’impianto entro un margine di tolleranza prefissato.

3) – Deve essere possibile selezionare le due modalità di funzionamento, con e senza tappeto, determinando automaticamente, nel secondo caso, riduzione della velocità quanto meno al valore massimo consentito per gli impianti non dotati di pedana mobile.

4) – Le sorveglianze di cui ai pt. 1 e 2 costituiscono funzioni di protezione ed il loro intervento deve provocare l’arresto sincronico dell’impianto e della pedana, così come le sorveglianze di cui all’art. 2.4.8.4.

2.6.8 AZIONAMENTO DI RECUPERO

L’azionamento di recupero (1.2.33), ove prescritto, deve consentire il rapido riavviamento dell’impianto, mediante movimentazione della fune traente o portante-traente, in caso di indisponibilità dell’azionamento principale e, se presente, di quello di riserva.

2.6.9 AZIONAMENTO DI SOCCORSO

L’azionamento di soccorso (1.2.34), ove prescritto, deve consentire il rapido impiego del veicolo di soccorso, mediante movimentazione dell’apposito anello trattivo, qualora risulti impossibile la movimentazione di quello principale. Esso deve permettere la marcia in entrambi i sensi e un’agevole esecuzione delle manovre di accostamento ai veicoli da soccorrere, mediante idonea regolazione della velocità.

2.6.10 CRITERI REALIZZATIVI DEGLI AZIONAMENTI DI RECUPERO E DI SOCCORSO

Nella realizzazione degli azionamenti di recupero e di soccorso devono particolarmente ricercarsi elevati gradi di affidabilità, disponibilità, facilità nell’impiego e nella verifica di efficienza. Ne derivano le seguenti prescrizioni applicative:

1) – i dispositivi ed i circuiti impiegati devono essere robusti, ossia in grado di resistere con ampio margine alle sollecitazioni e agli eventi perturbatori esterni prevedibili;

2) – la struttura dell’azionamento deve essere improntata a semplicità e alla sola realizzazione delle funzioni essenziali, in modo da ridurre il numero dei componenti richiesti;

3) – la manutenzione dell’azionamento deve risultare semplice e la riparazione degli eventuali guasti rapida, per ridurre al minimo i tempi di indisponibilità.

Tali esigenze vanno considerate prioritarie rispetto ad altre prestazioni in quanto, anche per effetto dell’adozione di opportuni criteri di indipendenza, ridondanza ed escludibilità, gli azionamenti di recupero e di soccorso devono risultare disponibili per l’impiego nel maggior numero possibile di configurazioni di guasto dell’impianto di risalita.

2.6.11 INDIPENDENZA DEGLI AZIONAMENTI DI RECUPERO E DI SOCCORSO

Qualora l’azionamento di recupero o di soccorso impieghi per la trazione un motore elettrico, agente per trasmissione meccanica diretta oppure per trasmissione idrostatica o idrodinamica, tale motore e le relative apparecchiature elettriche (ovverossia i circuiti di trazione (1.2.5) nonché i circuiti di comando e regolazione dell’azionamento medesimo) devono essere, a partire dai morsetti di alimentazione dei relativi quadri, totalmente indipendenti da quelli impiegati per altri azionamenti, in modo da non risentire di alcun guasto che colpisca questi ultimi. In particolare, si richiede che le apparecchiature siano alloggiate in quadri separati e che il percorso dei conduttori dai quadri al motore sia diversificato rispetto a quelli degli altri azionamenti.

In particolare, si specifica che, qualora un impianto sia dotato di azionamenti sia di recupero che di soccorso, questi devono rispettare le prescrizioni suddette anche relativamente all’indipendenza reciproca.

2.6.12 CARATTERISTICHE DEGLI AZIONAMENTI ELETTRICI DI RECUPERO E DI SOCCORSO

Gli azionamenti di recupero o di soccorso devono essere del tipo a quattro quadranti, ovverossia in grado di muovere l’impianto in entrambi i sensi di marcia con la necessaria coppia motrice o frenante; essi devono essere dimensionati in modo da garantire non meno di cinque avviamenti consecutivi a partire dalle più gravose condizioni prevedibili.

Essi dovranno essere scelti in base ai citati criteri di affidabilità, semplicità e robustezza. La velocità di marcia deve essere compatibile con le esigenze di completare il recupero dei veicoli od il soccorso entro i tempi prescritti nelle P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto.

Negli azionamenti di soccorso essa deve sempre essere regolabile con continuità da un valore prossimo a zero fino a quello nominale, per consentire un’agevole esecuzione delle manovre di avvicinamento del veicolo di soccorso alla vettura ferma in linea. Per il comando della marcia, deve sempre essere disponibile la modalità manuale; in ogni caso, il comando dovrà risultare il più diretto e semplice possibile.

All’arresto dell’anello trattivo di recupero o di soccorso, cui deve in ogni caso seguire la caduta del freno agente sulla puleggia motrice, deve ottenersi l’esclusione del relativo azionamento, la quale può essere realizzata mediante un unico dispositivo agente per diseccitazione; nel caso sia impiegato uno stadio idraulico, dovrà essere garantita la cessazione del flusso dell’olio.

L’esclusione dell’azionamento potrà ottenersi, ad es., mediante arresto del motore con apertura del contattore di una linea di alimentazione o, nel caso di sistemi idrostatici, per by-pass del motore idraulico.

Le segnalazioni all’operatore devono consentire un sufficiente controllo dell’azionamento e l’individuazione della sorveglianza intervenuta.

L’azionamento deve essere dotato delle funzioni di protezione necessarie a comandare la sua esclusione e l’arresto dell’impianto alla comparsa dei guasti specifici dell’azionamento stesso e dei malfunzionamenti che impongono tali azioni (2.4.11).

2.6.13 AZIONAMENTI DI RECUPERO E DI SOCCORSO CON MOTORE TERMICO

Qualora l’azionamento di recupero o di soccorso impieghi per la trazione un motore termico, agente per trasmissione meccanica diretta oppure per trasmissione idrostatica o idrodinamica, devono essere previsti tutti gli equipaggiamenti elettrici accessori necessari a renderne prontamente disponibile l’impiego; a consentirne il funzionamento e ad ottenere in modo sicuro l’arresto del motore in caso di necessità. Per l’avviamento del motore devono essere disposti i mezzi previsti dall’art. 2.9.8. Sono inoltre da prevedere, di regola ed in relazione alle condizioni ambientali, le funzioni di preriscaldamento del motore e di riscaldamento dell’olio e del combustibile.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 3.13.8 delle P.T.S. relative agli impianti monofune a collegamento permanente o temporaneo, l’azionamento provvisto di motore termico con trasmissione meccanica diretta deve essere dotato di un dispositivo che provochi il distacco automatico della trasmissione contestualmente all’intervento del freno di servizio.

2.7 CIRCUITI DI SEGNALE

PREMESSA: In riferimento all’art. 1.2.1, sono compresi nei circuiti di segnale i circuiti di comando e regolazione, di sorveglianza, di segnalazione, misura e telecomunicazione.

2.7.1 CARATTERISTICHE DEI CIRCUITI DI SEGNALE

I circuiti di segnale devono soddisfare le prescrizioni della Norma CEI EN 60204-1 relative ai «circuiti di comando (control circuits), art. 9.1», con le specificazioni seguenti.

1) – Tutti i circuiti di segnale devono essere separati galvanicamente dai circuiti di potenza; a questo scopo devono essere alimentati in c.a. da trasformatori ad avvolgimenti separati e dotati di schermo, od in c.c. da linee di alimentazione di sicurezza (2.9.6) oppure da raddrizzatori a loro volta alimentati mediante trasformatori ad avvolgimenti separati e dotati di schermo. Un conduttore di queste alimentazioni deve essere collegato al collettore di terra.

I circuiti di segnale devono, per quanto possibile, seguire percorsi distinti rispetto a quelli dei circuiti di potenza.

2) – I circuiti di segnale devono essere protetti contro il cortocircuito e, ove opportuno, contro il sovraccarico di corrente.

3) – I circuiti almeno in parte esterni alle stazioni ed esposti direttamente alle sovratensioni di origine atmosferica, devono essere dotati di adeguate protezioni – scaricatori a monte e a valle – tali da limitare il più possibile la trasmissione delle sovratensioni medesime alle apparecchiature interne alle stazioni; i medesimi devono essere sezionabili e collegabili francamente a terra, in ogni stazione, per consentire la messa fuori servizio dell’impianto (3.1.4).

2.7.2 TENSIONI NEI CIRCUITI DI SEGNALE

1) – La tensione di alimentazione dei circuiti di segnale situati integralmente in ambiente totalmente protetto (3.2.4) non deve essere superiore a:

1.1) – 250 V in c.c. o in c.a., riferiti a terra, se i circuiti sono totalmente interni ai quadri;

1.2) – 120 V in c.c. o in c.a., riferiti a terra, se i circuiti sono almeno in parte esterni ai quadri.

Si intendono appartenere alla categoria, in particolare, anche i circuiti relativi ai pulsanti e selettori di comando, alle lampade ed agli strumenti collocati sul banco di manovra o sul fronte di altri quadri.

2) – È tuttavia consentito impiegare dispositivi, quali computer, monitor, amplificatori e simili, che presentano al loro interno tensioni superiori e che sono alimentati in corrente alternata con tensioni fino a 250 V, purché siano costruiti per l’impiego all’esterno di quadri e quindi siano dotati dell’isolamento adeguato. Le linee di alimentazione di tali dispositivi ed eventuali prese o morsetti dovranno essere adeguatamente protetti contro i contatti diretti.

3) – La tensione di alimentazione dei circuiti di segnale collocati almeno in parte all’esterno di ambienti totalmente protetti (3.2.4), e perciò potenzialmente esposti agli agenti atmosferici, non deve essere superiore a 60 V in c.c. o 25 V in c.a., riferiti a terra.

Appartengono, ad es., a tale categoria i circuiti relativi alle pulsantiere dislocate sui piazzali d’imbarco, i circuiti ed i quadri distribuiti in corrispondenza delle travi di lancio e rallentamento, i circuiti di linea sui sostegni e simili.

2.7.3 SISTEMA INFORMATIVO

1) – Si denomina sistema informativo l’insieme dei dispositivi e circuiti di segnalazione e misura (1.2.9) destinati a ricevere, ritenere, elaborare e presentare al personale le informazioni di cui all’art. 2.7.4, pt. 2.

Vengono quindi classificati nel sistema informativo anche gli eventuali apparecchi registratori di eventi e quelli impiegati per la lettura di parametri di funzionamento.

2) – Il sistema informativo riveste importanza fondamentale ai fini della regolarità dell’esercizio ed inerisce anche la sicurezza, in quanto consente la sorveglianza diretta dell’impianto da parte del personale (2-7.4, pt. 1).

Il sistema informativo non appartiene al sistema di sorveglianza, in quanto non partecipa alla realizzazione di operazioni fondamentali del sistema di sorveglianza automatica (2.1.4).

3) – Ogni stazione ed ogni veicolo presidiato dotati di sistema di sorveglianza proprio (2.1.2) devono disporre di un sistema informativo locale; il sistema informativo della stazione motrice dovrà ricevere da ciascun sistema di sorveglianza locale le informazioni indispensabili e quelle necessarie specificate (2.7.4), in modo da presentare un quadro completo dello stato dell’intero impianto.

4) – I dispositivi ed i circuiti impiegati per svolgere le funzioni del sistema informativo devono essere concepiti, per quanto possibile, in modo da non perturbare, per guasto o malfunzionamento, alcuna funzione attinente la sicurezza del sistema di sorveglianza dell’impianto o del sistema di frenatura.

5) – Ciascuna delle unità di controllo del sistema di sorveglianza (indipendentemente dal loro numero complessivo) deve fornire al sistema informativo un insieme di informazioni adeguato alle necessità (2.7.3).

È ammesso che, qualora ciò non riduca la funzionalità del sistema informativo, le informazioni possano venire assunte principalmente da una delle unità di controllo, dovendo comunque rimanere la possibilità di commutare il prelievo da un’unità all’altra; fermo restando inoltre, in particolare, che dovrà sempre essere possibile riconoscere lo stato di consenso/intervento di ogni relé finale di ciascuna delle unità di controllo.

2.7.4 CARATTERISTICHE GENERALI DELLE INFORMAZIONI

1) – Condizione irrinunciabile per l’esercizio dell’impianto è che la sicurezza di funzionamento sia conseguita contemporaneamente sia impiegando i sistemi di sorveglianza automatica sia mantenendo un adeguato controllo umano tramite la disponibilità di informazioni opportune sul suo funzionamento.

2) – Le informazioni di cui al pt. 1 si considerano costituite essenzialmente da segnalazioni di stato, da misure di grandezze ed eventualmente da emissioni di messaggi informativi; esse sono ripartite nelle tre categorie seguenti.

2.1) – INFORMAZIONI INDISPENSABILI. Sono così denominate le informazioni considerate indispensabili per poter esercire l’impianto nelle condizioni di esercizio normali (2.1.1). La perdita di una o più di tali informazioni richiede il ricorso ad opportune misure di carattere organizzativo, da precisarsi nel Reg. di Esercizio. L’indisponibilità permanente di tale tipo di informazioni, qualora non deducibili neppure indirettamente, è comunque ritenuta incompatibile con la prosecuzione dell’esercizio (2.7.8, pt. 2.1).

2.2) – INFORMAZIONI NECESSARIE. Sono così denominate le informazioni considerate necessarie per conseguire esauriente conoscenza delle condizioni di esercizio, senza tuttavia appartenere alla categoria precedente.

2.3) – INFORMAZIONI ACCESSORIE. Sono così denominate le informazioni considerate accessorie in quanto possono risultare utili al fine di agevolare 1’esercizio e/o la manutenzione, senza tuttavia appartenere alle categorie precedenti.

3) – Le prescrizioni contenute nelle presenti P.T.S. – I.E. si riferiscono esclusivamente alle informazioni indispensabili e/o necessarie. Le informazioni accessorie saranno invece regolate da accordi tra il Progettista responsabile dell’impianto ed il Costruttore. Fra di esse, quelle che possono risultare utili al personale dell’impianto per favorire la regolarità dell’esercizio od eseguire le operazioni di manutenzione saranno descritte nel Manuale d’uso e manutenzione.

4) – A seconda della priorità ai fini della comprensione dello stato di funzionamento dell’impianto, le informazioni andranno riportate sul banco di manovra, eventualmente in forma riassuntiva, in posizioni facilmente visibili dal posto di manovra (ad es. sul fronte di un quadro ausiliario di comando, 1.2.28) oppure localmente sui quadri delle apparecchiature.

Analoghe informazioni devono essere utilizzate nelle stazioni di rinvio e intermedie e nelle vetture presidiate, allo scopo di informare l’operatore locale.

La forma e la disposizione dei sistemi di presentazione delle informazioni devono essere particolarmente curate, specie sugli impianti più complessi, in modo da evitare difficoltà nella ricerca o nella interpretazione delle stesse. Ad ogni informazione deve essere associata una scritta che consenta di comprenderne chiaramente la natura; simboli ed abbreviazioni non devono essere di ostacolo all’intelligibilità.

Per i colori da impiegare nelle segnalazioni luminose, si veda l’art. 2.7.11.

2.7.5 SEGNALAZIONI DI STATI DI FUNZIONAMENTO

1) – Per segnalare stati di funzionamento regolari ed irregolari si possono impiegare dispositivi visuali di vario genere, quali lampade, LED, monitor con messaggi scritti o grafici, ecc., nonché segnalazioni acustiche; nel caso di segnalazioni raccolte su monitor, sarà da perseguirsi una particolare facilità nella ricerca delle informazioni.

2) – Le segnalazioni di intervento di dispositivi di sicurezza e, per quanto possibile, anche quelle di dispositivi di protezione, devono permanere al cessare della causa che le ha provocate, fino al comando manuale di ripristino; ciò, anche in seguito all’esecuzione del test automatico all’avviamento, al fine di discriminare le unità che, eventualmente, non abbiano superato il test medesimo.

3) – Sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze devono essere disposte le segnalazioni relative alle seguenti condizioni di funzionamento dell’impianto, considerate INFORMAZIONI INDISPENSABILI (2.7.4, pt. 2.1):

3.1) – il consenso all’avviamento e quello alla marcia regolare;

3.2) – il senso di marcia selezionato, nei soli impianti a va e vieni;

3.3) – lo stato di apertura/chiusura del freno meccanico di servizio e di quello di emergenza;

3.4) – le segnalazioni riassuntive dell’intervento dei dispositivi di sicurezza, mantenendo quanto meno segnalazioni separate per:

– circuito delle sicurezze di linea,

– sorveglianze di trave (consenso riassuntivo delle sorveglianze geometriche, di anticollisione, di efficienza delle morse), con indicazione distinta per ciascuna trave, negli impianti a collegamento temporaneo dei veicoli,

– sorveglianze relative al sistema di tensione idraulica, se presente;

3.5) – l’emissione di comandi di arresto dalle stazioni non motrici;

3.6) – la presenza delle vetture nelle zone suoneria, uomo morto, di stazione e, se presenti, nelle zone singolari della linea, negli impianti a va e vieni, mediante segnalazione luminosa o grafica;

3.7) – l’esclusione o la parzializzazione dei consensi del circuito delle sicurezze di linea (con segnalazione dedicata);

3.8) – la presenza di penalizzazioni conseguenti a parzializzazioni od esclusioni in atto, da segnalarsi almeno mediante una lampada gialla intermittente il cui segnale sia reso particolarmente evidente grazie alla forma e alla disposizione (tale lampada può anche essere collocata nelle immediate vicinanze del banco di manovra).

Tali segnalazioni devono essere raccolte sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze.

4) – Le segnalazioni relative all’intervento dei dispositivi di sicurezza e alle penalizzazioni conseguenti a parzializzazioni od esclusioni in atto, di cui ai prec. pt. 3.7 e 3.8, devono comunque essere disponibili in ciascuna stazione nella quale sono ubicati i relativi dispositivi; per le stazioni non motrici tali segnalazioni saranno quindi riportate su un quadro ausiliario di comando (1.2.28).

5) – Se le segnalazioni sono presentate mediante sistemi, ad es. con tecnologia ad elettronica complessa, nei quali un singolo guasto può comportare la perdita o la mancata presentazione di un cospicuo numero di informazioni, allora quelle indispensabili, di cui al pt. 3, dovranno comunque rimanere disponibili, venendo presentate sempre sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze ed in modo da risultare immediatamente percepibili.

6) – Sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze devono essere inoltre disposte le segnalazioni relative alle seguenti INFORMAZIONI NECESSARIE (2.7.4, pt. 2.2):

6.1) – l’intervento di ogni dispositivo di sicurezza e singolo canale che determina l’arresto; ove necessario, si possono utilizzare segnalazioni riassuntive sul banco di manovra che indicano la zona interessata al controllo (stazione di rinvio o intermedia, linea, azionamento, sistema di tensionamento meccanico e simili); in questi casi, l’operatore deve comunque poter accedere rapidamente all’informazione di dettaglio;

6.2) – l’emissione dei comandi manuali di arresto della stazione motrice, con indicazione dell’ubicazione (piazzale, sala macchine, passerelle);

6.3) – l’emissione dei comandi di rallentamento;

6.4) – la presenza di parzializzazioni in atto, con indicazione distinta dell’esclusione o della parzializzazione del circuito delle sicurezze di linea;

6.5) – la presenza di penalizzazione leggera o pesante;

6.6) – il consenso delle protezioni d’azionamento;

6.7) – il consenso di test eseguito;

6.8) – la configurazione dell’azionamento in uso;

6.9) – l’usura delle guarnizioni (elementi di attrito) dei freni;

6.10) – l’intervento delle funzioni di controllo dell’azione modulata dei freni meccanici;

6.11) – il livello predisposto in caso di freno differenziato;

6.12) – la ricezione del segnale di punto fisso, se presente, negli impianti a va e vieni.

7) – Deve essere prevista l’installazione sul o presso il banco di manovra di un dispositivo di segnalazione ottica ed acustica del raggiungimento dei valori della velocità del vento preventivamente fissati come limiti, secondo quanto specificato in (2.4.6).

8) – La funzionalità di ogni lampada od analoga sorgente luminosa utilizzata a scopo di segnalazione (LED, ecc.) deve essere rapidamente testabile tramite idoneo circuito «PROVALAMPADE».

9) – Quanto riportato nei pt. prec. vale integralmente, per le informazioni prelevabili in loco, anche per le stazioni diverse dalla motrice.

2.7.6 STRUMENTAZIONI DI MISURA

1) – L’impianto deve disporre di indicatori atti a presentare le seguenti grandezze misurate, ritenute INFORMAZIONI INDISPENSABILI (2.7.4, pt. 2.1):

1.1) – coppia di impianto (1.2.39, 2.1.30 e 2.4.3), secondo le specificazioni di seguito riportate;

1.2) – velocità di marcia;

1.3) – spazio all’arrivo dei veicoli rilevato da ciascun simulatore, con risoluzione di almeno un metro di spazio fune nelle funivie a va e vieni e negli impianti a moto unidirezionale intermittente, in aggiunta alla rappresentazione grafica della posizione dei veicoli ottenuta tramite l’indicatore di posizione di cui al succ. pt. 10;

Nelle funivie a va e vieni può essere preferibile indicare, per ciascun veicolo, la distanza dalla stazione motrice.

1.4) – grandezza fisica impiegata quale riferimento nel circuito delle sicurezze di linea, da rilevare tanto presso il trasmettitore quanto presso il ricevitore (2.1.37, pt. 1.1).

2) – L’impianto deve disporre di indicatori atti a presentare le seguenti grandezze misurate, ritenute INFORMAZIONI NECESSARIE (2.7.4, pt. 2.2):

2.1) – contatore di funzionamento;

2.2) – tensione e frequenza della linea di alimentazione in uso;

2.3) – corrente di ciascun motore (corrente di armatura e corrente di eccitazione, se si tratta di macchine in corrente continua);

2.4) – pressione nel circuito di regolazione di ciascun freno meccanico a comando idraulico o pneumatico;

2.5) – segnale proporzionale alla percentuale di modulazione, nei freni meccanici ad azione modulata comandati per via elettrica diretta, con attuatore elettromagnetico;

2.6) – forza di tesatura delle funi mobili (anello trattivo), se non ottenuta tramite contrappeso;

2.7) – forza di tesatura di ciascuna fune portante, se ancorata;

2.8) – forze misurate nelle prove di efficienza delle morse (2.4.9.1);

2.9) – posizione delle vetture o dei treni di vetture, ai sensi del succ. pt. 10.

3) – Sul banco di manovra devono essere collocati gli strumenti indicatori delle seguenti grandezze fisiche: coppia di impianto, velocità di marcia, corrente d’armatura dei motori, pressione e/o percentuale di modulazione dei freni e, negli impianti a va e vieni o a movimento unidirezionale intermittente, spazio all’arrivo delle vetture.

Gli strumenti indicatori delle rimanenti grandezze fisiche potranno essere disposti localmente su quadri posti in sala macchine, sulle passerelle ed in altri luoghi; tuttavia, quelli relativi a grandezze che devono essere mantenute costantemente o frequentemente sotto controllo visivo dell’operatore dovranno trovarsi sul banco di manovra od essere facilmente visibili dal posto di manovra, disposte ad es. sul fronte di un quadro ausiliario di comando.

Le grandezze relative all’eventuale sistema di tensione idraulica si ritengono comprese tra queste.

4) – Gli strumenti indicatori devono ricevere i segnali (reali o di test) direttamente sottoposti alle sorveglianze dai dispositivi di sicurezza. Tali strumenti devono poter indicare i segnali utilizzati dai diversi canali del sistema di sorveglianza; allo scopo è consentito utilizzare un solo strumento per ciascuna grandezza fisica, commutabile sui diversi segnali.

Gli strumenti devono essere dotati di precisione e risoluzione adeguati all’applicazione ed in generale essere di classe almeno pari ad 1.5.

5) – Se le grandezze misurate sono presentate mediante sistemi, ad es. con tecnologia ad elettronica complessa, nei quali un singolo guasto può comportare la perdita o la mancata presentazione di un cospicuo numero di informazioni, allora quelle indispensabili, di cui al pt. 1, dovranno comunque rimanere disponibili, venendo presentate sempre sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze ed in modo da risultare immediatamente percepibili.

6) – Gli indicatori relativi a grandezze normalmente soggette ad ampie escursioni (correnti di armatura, coppia, velocità, pressione dei freni) devono essere costituiti da strumenti di tipo elettromeccanico, a lancetta. Se la lunghezza dei collegamenti non è eccessiva, la pressione nel circuito di regolazione dei freni meccanici deve essere indicata da un manometro direttamente collegato al circuito idraulico o pneumatico.

Gli strumenti indicatori di altre grandezze (tensione dell’anello trattivo, spazio all’arrivo, forze delle celle di carico, ecc.) possono essere di tipo digitale ma, almeno localmente, la pressione dell’eventuale sistema di tensione idraulica deve essere indicata da un manometro.

7) – Per le indicazioni di cui ai pt. 2.6 e 2.7, relative alla tensione meccanica delle funi, è sufficiente che le indicazioni siano disponibili presso la stazione dove è collocato il dispositivo di tensione.

8) – Gli strumenti indicatori di coppia di impianto devono indicare il valore istantaneo della coppia assorbita secondo le seguenti modalità.

8.1) – La misura può avvenire rilevando la coppia di impianto effettiva oppure, quando equivalente, l’assorbimento di corrente totale dell’azionamento in uso.

8.2) – La scala dello strumento, qualora non tarata in newton metri (Nm) o, rispettivamente, in ampere (A), sarà espressa in forma percentuale impiegando quale valore di riferimento (100%) la coppia nominale totale dei motori dell’azionamento principale.

8.3) – In corrispondenza del valore della coppia nominale di impianto, laddove definita (o alla corrispondente corrente) (1.2.40), dovrà essere apposto un segno di colore verde.

8.4) – In corrispondenza del valore della soglia di coppia massima a regime (o alla corrispondente corrente) (1.2.40) dovrà essere apposto un segno di colore rosso.

9) – Gli impianti ad azionamento principale plurimotore devono disporre, sul banco di manovra, di indicazioni sia della coppia di impianto che di quella erogata da ciascun motore.

9.1) – A tale scopo è ammesso impiegare:

9.1.1) – un indicatore di coppia di impianto e uno di squilibrio di coppia tra i motori, oppure

9.1.2) – un indicatore di coppia per ciascun motore.

9.2) – Le scale degli strumenti indicatori della coppia di ciascun motore e dello squilibrio di coppia sono soggette alle stesse prescrizioni relative agli indicatori della coppia di impianto, di cui al pt. 8; in particolare:

9.2.1) – nel caso di cui al pt. 9.1.1 l’indicatore della coppia di impianto dovrà riportare i segni in colore verde e rosso di cui ai pt. 8.3 e 8.4 mentre l’indicatore di squilibrio di coppia dovrà riportare, con segni rossi, i valori positivi e negativi della soglia di massimo squilibrio.

9.2.2) – nel caso di cui al pt. 9.1.2 ciascun indicatore della coppia di motore dovrà riportare tanto i segni in colore verde e rosso di cui ai pt. 8.3 e 8.4, relativi alla coppia di impianto, quanto analoghi segni relativi alla frazione di coppia di impianto e di coppia massima che competono al singolo motore.

L’indicatore di un motore, tarato in percentuale della coppia di impianto, sarà quindi tale, ad es., da indicare 50% quando l’azionamento principale muove l’impianto a pieno carico nominale ed è costituito da due motori eguali in ripartizione di coppia.

10) – Nel caso di impianti a va e vieni o a moto unidirezionale intermittente, deve essere installato un indicatore di percorso visualizzante, mediante opportuni simboli mobili e consentendo risoluzione adeguata, la posizione delle vetture lungo il percorso e portante indicazione delle zone singolari della linea (sostegni, deviazioni di funicolari, stazioni intermedie, inizio della zona dazio ecc.).

È consigliata l’utilizzazione di un ulteriore indicatore in grado di facilitare l’operatore nelle operazioni di rallentamento per l’ingresso in stazione con comando manuale della velocità (indicatore di margine dazio, di tempo al dazio o simili).

È altresì consigliato l’impiego di un indicatore di percorso, eventualmente presentato tramite monitor, anche per gli impianti a collegamento temporaneo.

11) – Deve essere installato sul o presso il banco di manovra un indicatore della velocità del vento secondo quanto specificato nell’art. 2.4.6.

2.7.7 SEGNALAZIONI ACUSTICHE

L’impianto deve essere dotato dei seguenti dispositivi di segnalazione acustica; devono essere previsti tre tipi di segnalazione, tra loro differenziati in modo da consentirne l’agevole identificazione:

1) – Segnalazione di allarme, attivata per richiamare l’attenzione dell’operatore su condizioni di funzionamento particolari che richiedono un suo intervento o l’attiva presenza al posto di manovra. Tale segnalazione deve essere posta presso il banco di manovra e può essere tacitata dall’operatore mediante opportuno comando.

Esempi di tali segnalazioni riguardano l’allarme per eccessiva velocità del vento, l’arrivo in zona suoneria delle vetture di funivie a va e vieni, il comando di allertamento pedoni (2.3.10) e simili.

2) – Segnalazione di preavviso di partenza, attivata negli istanti immediatamente precedenti l’avviamento dell’impianto, secondo quanto prescritto nell’art. 2.3.2.3, pt. 1.

3) – Segnalazione di chiamata telefonica, per ciascun telefono di servizio. Negli impianti nei quali il personale svolge di regola la sua attività sui piazzali, si deve assicurare che la segnalazione di chiamata telefonica sia ivi udibile, eventualmente con l’ausilio di ripetitori di chiamata.

2.7.8 DEGRADAZIONI DEL SISTEMA INFORMATIVO

1) – È ammesso che le informazioni necessarie, di cui agli artt. 2.7.5 e 2.7.6 e relative – rispettivamente – a stati di funzionamento e a grandezze fisiche misurate, siano presentate in un sistema sinottico, eventualmente realizzato con tecnologia ad elettronica complessa.

2) – Nel caso che un guasto comporti la perdita o la mancata presentazione di informazioni, valgono comunque le seguenti limitazioni di esercizio:

2.1) – nel caso vengano meno una o più informazioni indispensabili e queste non siano deducibili indirettamente dalle informazioni necessarie, l’esercizio deve essere sospeso e l’impianto dovrà essere evacuato, con tutte le cautele del caso da parte del personale;

Si fa presente che il venir meno di un’informazione a causa della bruciatura di una lampada (2.7.5, pt. 8) deve essere rapidamente superabile mediante sostituzione di quest’ultima, in quanto essa deve far parte della normale dotazione dei ricambi.

2.2) – nel caso un’avaria impedisca l’accesso alle informazioni necessarie (2.7.5, pt. 3), esse devono comunque essere rapidamente accessibili, almeno tramite apposita MAPPA (legenda); in ogni caso, la prosecuzione dell’esercizio è subordinata a penalizzazione intermedia della velocità (2.1.39), da attuare a cura del personale secondo indicazioni da prevedere nel Reg. di Esercizio.

Non è quindi richiesto che, in tale circostanza, la penalizzazione intermedia della velocità debba essere attuata in modo automatico.

2.7.9 SEGNALAZIONI E MISURE RELATIVE ALLA MARCIA DI RECUPERO O DI SOCCORSO

Sul banco di manovra o nelle immediate vicinanze devono essere segnalati:

1) – l’intervento delle sorveglianze;

2) – lo stato di apertura o chiusura dei freni impiegati;

3) – il consenso all’avviamento;

4) – le tensioni concatenate della linea di alimentazione, se presente;

5) – la pressione del circuito idraulico, se presente;

6) – la presenza di parzializzazioni in atto, da indicarsi in modo particolarmente evidente, ad es. per meno di segnalatori luminosi lampeggianti specifici;

7) – la velocità dell’impianto, nel caso di azionamento a velocità variabile;

8) – nel caso di azionamento di soccorso, la distanza del veicolo di soccorso dalla stazione di partenza, espressa in metri, fornita da un sistema di misura dedicato; dovrà essere disponibile una rappresentazione grafica della linea, recante indicazione delle distanze dalle stazioni delle zone singolari del percorso e di altri eventuali punti significativi.

Ulteriori informazioni, quali allarmi e valori di pressione e tensione della tenditrice idraulica, possono essere segnalate localmente.

2.7.10 PRESTAZIONI DEI CIRCUITI DI TELECOMUNICAZIONE

1) – Dal posto di manovra nella stazione motrice si deve poter comunicare:

1.1) – con la rete telefonica pubblica, mediante telefono o radiotelefono alimentabile dalla rete e con sistemazione fissa;

1.2) – con le stazioni intermedie e di rinvio, mediante:

– un sistema telefonico che, negli impianti aerei a va e vieni, sarà duplicato e precisamente impiegherà di regola, per la trasmissione dei segnali, l’anello trattivo in un sistema e la fune di soccorso o, in mancanza di questa, una fune telefonica, nell’altro sistema;

– un sistema di collegamento radiotelefonico, ad installazione fissa;

1.3) – con le vetture presidiate degli impianti a va e vieni, mediante:

– il canale del sistema telefonico, di cui al prec. pt., facente uso, per la trasmissione dei segnali, dell’anello trattivo;

– il sistema di collegamento radiotelefonico, ad installazione fissa, di cui al prec. pt.;

1.4) – con la linea, mediante telefono portatile ovvero mediante radiotelefoni portatili a batteria ricaricabile.

Deve essere previsto un collegamento in fonia tra cabina di manovra e sala macchine, allorquando fra detti punti non è facile ottenere una chiara comunicazione diretta.

2) – Nel caso degli impianti a moto continuo, si deve impiegare un sistema di diffusione sonora con microfono sul banco di manovra e altoparlanti in linea disposti sui sostegni, tale da consentire all’operatore di inviare messaggi ai passeggeri. Le P.T.S. relative ai vari tipi di impianto individuano le caratteristiche dei veicoli per i quali si rende necessaria, in alternativa, l’installazione di sistemi atti, quanto meno, a ricevere comunicazioni dalle stazioni diffondendole direttamente all’interno degli stessi.

3) – L’impianto telefonico e quello di diffusione sonora devono possedere i seguenti requisiti:

3.1) – le apparecchiature, se non installate in locale totalmente protetto (3.2.4), debbono essere adatte per installazione all’esterno;

3.2) – i conduttori dei circuiti elettrici interessati devono essere protetti contro le sovracorrenti e contro le sovratensioni mediante adeguati dispositivi di protezione;

3.3) – i sistemi devono poter essere alimentati da almeno due linee di sicurezza della stazione motrice, rapidamente commutabili, secondo quanto specificato al pt. 6 dell’art. 2.9.10.

2.7.11 COLORI DEI PULSANTI E DELLE SEGNALAZIONI LUMINOSE

I colori impiegati per i pulsanti e per le segnalazioni luminose devono essere conformi alle prescrizioni degli artt. 10.2 e 10.3 della Norma CEI EN 60204-1. Per l’applicazione negli impianti a fune, vanno rispettate in particolare le indicazioni riportate nella tabella di cui all’allegato n. 2.

2.8 SORGENTI DI ENERGIA E DISTRIBUZIONI

PREMESSA.

Sono trattati nel seguente capitolo, intesi come «distribuzioni» in senso esteso, i circuiti di distribuzione (1.2.3), i circuiti di smistamento (1.2.4) ed i circuiti ausiliari (1.2.6). Per una più agevole comprensione si faccia riferimento anche all’allegato n. 5.

2.8.1 TENSIONE DI ALIMENTAZIONE

L’impianto elettrico di funivia deve costituire un sistema di I° categoria, secondo la definizione data nell’art. 22.1 della Norma CEI 64-8.

Dalla Norma CEI 64-8, art. 22.1: […] quelli a tensione nominale da oltre 50 fino a 1000 V compresi se a corrente alternata o da oltre 120 V fino a 1500 V se a corrente continua; […] Qualora la tensione nominale verso terra sia superiore alla tensione nominale fra le fasi, […] si considera la tensione nominale verso terra.

2.8.2 POTENZA DELLE SORGENTI DI ENERGIA

La potenza di ciascuna sorgente di energia, esterna od interna all’impianto elettrico di funivia (1.2.2, 2.8.11 e 2.8.12), deve essere sufficiente a garantire che ogni azionamento il cui impiego è previsto con quella sorgente sia in grado di fornire le prestazioni specificate in sede di progetto, in ottemperanza alle P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto (2.6.1 e 2.6.12).

2.8.3 INTERRUTTORI GENERALI

Ciascuna sorgente di energia, in bassa tensione ed interna od esterna all’impianto elettrico di funivia (1.2.2), deve alimentare i circuiti di trazione e di smistamento dell’impianto medesimo tramite un organo di sezionamento, denominato «interruttore generale». Ciascun interruttore generale deve essere conforme alle prescrizioni di cui all’art. 2.8.5 e posto in area preclusa al pubblico, in un locale normalmente accessibile al personale (e quindi in un locale pertinente all’impianto funiviario ma all’esterno della cabina di trasformazione).

A monte e a valle di ciascun interruttore generale possono esistere circuiti di distribuzione. Tutti quelli a valle, nonché la parte di quelli a monte che si allacciano alle sorgenti interne, appartengono all’impianto elettrico di funivia (1.2.3).

Gli interruttori di manovra e protezione, quali ad es. quelli installati in cabina di trasformazione al primario e al secondario dei trasformatori MT/BT, non possono quindi identificarsi con gli interruttori generali, in quanto assolvono a compiti diversi; gli interruttori generali risultano quindi in realtà installati a valle di essi. Gli interruttori di manovra e protezione installati a valle dei generatori dei gruppi elettrogeni, invece, possono talora identificarsi con gli interruttori generali, verificandosi il caso che rispettino tutti i requisiti qui posti.

2.8.4 BLOCCO MECCANICO DEGLI INTERRUTTORI GENERALI

Per operazioni di manutenzione, controllo o altro, il personale deve poter interdire l’alimentazione dell’impianto elettrico della stazione, per la propria sicurezza personale, mediante dispositivi di blocco nella posizione di aperto degli interruttori generali (2.8.5) ivi presenti.

Ciò può ottenersi, ad es., mediante sistemi a cassetti estraibili oppure con appositi lucchetti a chiave estraibile, accompagnati – se del caso – da cartelli monitori.

Ove opportuno, la medesima funzione può essere prevista anche su altri organi di sezionamento.

2.8.5 CARATTERISTICHE DEGLI INTERRUTTORI GENERALI

1) – Tutti gli interruttori generali devono soddisfare i requisiti di cui all’art. 5.3 della Norma CEI EN 60204-1, relativi ai dispositivi di sezionamento dell’alimentazione.

Gli interruttori generali devono essere interruttori automatici onnipolari conformi alla Norma CEI EN 60947-2 (CEI 17-5), adatti all’isolamento in conformità alla Norma CEI EN 60947-3 (CEI 17-11).

Essi devono essere in grado di provvedere alla protezione contro le sovracorrenti di corto circuito (cfr. Norma CEI EN 60947-2 (CEI 17-5), art. 2.1.4, 2.2.1 e 2.2.15) ed essere corredati di sganciatore differenziale, eventualmente anche esterno.

Gli interruttori generali possono, se necessario, concorrere alla protezione coordinata contro le sovracorrenti di sovraccarico.

Nel caso di sorgenti di energia in corrente continua, per cui sia difficoltoso realizzare la protezione mediante interruttori differenziali, potranno prevedersi protezioni equivalenti.

2) – All’apertura di tutti gli interruttori generali appartenenti all’impianto elettrico di funivia di una stazione deve corrispondere la disalimentazione di tutti i circuiti di potenza e di segnale (1.2.1) dell’impianto elettrico di funivia medesimo, ad eccezione dei servizi di sicurezza appartenenti all’impianto, che sono alimentati dalle linee di alimentazione di sicurezza (2.9.1 e 2.9.6).

3) – L’operatore deve poter accedere agevolmente a tutti gli interruttori generali presenti nella stazione (ossia relativi all’impianto elettrico di funivia nonché alle utenze diverse), in modo da poter comandare rapidamente la disalimentazione dei circuiti presenti nella stazione, secondo quanto prescritto nel pt. 2 del presente art. nonché nell’art. 2.3.4.2.

4) – La chiusura di ciascun interruttore generale deve essere possibile solo in assenza di comandi e predisposizioni contrari (chiavi, selettori, ecc.) e solo agendo manualmente sulla manovra dell’interruttore.

2.8.6 DISPOSITIVI DI MANOVRA E SEZIONAMENTO

1) – I circuiti di potenza dell’impianto elettrico di funivia devono essere provvisti, in aggiunta a quanto già prescritto relativamente agli interruttori generali (2.8.3), dei seguenti dispositivi.

1.1) – Un interruttore di manovra, costituito da un interruttore automatico dotato di protezioni magnetica e termica, oppure da un interruttore con fusibili, deve essere posto in serie all’ingresso di ciascuna linea, proveniente da una sorgente di energia, che vada ad alimentare i circuiti di trazione o quelli ausiliari di maggior potenza; gli interruttori provenienti da linee diverse devono essere dotati degli opportuni interblocchi. Per i circuiti ausiliari di potenza minore, si possono usare commutatori, purché azionabili sotto carico, a pacchi separati e realizzati in modo tale da impedire il contatto tra linee diverse per guasti o durante le manovre.

1.2) – Contattori di inserzione devono equipaggiare gli azionamenti elettrici di trazione e, ove necessario, i circuiti ausiliari.

2) – Ove sia possibile, ogni dispositivo di manovra e sezionamento deve essere realizzato con un singolo componente, in grado di inserire od interrompere l’alimentazione su tutte le fasi. Ove sia necessario utilizzare più componenti, si devono ottenere le medesime condizioni, adottando un sistema che consenta di evitare i pericoli che possono derivare dall’inserzione parziale dell’alimentazione.

Ad es., si possono avere due interruttori generali trifasi per le sei fasi di alimentazione di un convertitore a dodici impulsi, due contattori di linea di un convertitore a sei impulsi.

2.8.7 CARATTERISTICHE DEI SISTEMI DI DISTRIBUZIONE

1) – I sistemi di distribuzione (1.2.3) delle sorgenti di energia (1.2.2) devono:

1.1) – impedire collegamenti in parallelo non ammissibili di linee provenienti da sorgenti diverse;

1.2) – impedire che un guasto provochi l’indisponibilità di più sorgenti, ed in particolare la totale mancanza di alimentazione delle apparecchiature necessarie per gli azionamenti di recupero e di soccorso.

Ciò si può ottenere ad es. mediante l’impiego di interruttori di manovra distinti o commutatori a pacchi separati e di linee distinte per il collegamento tra gli interruttori generali e le apparecchiature.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1.3.9, il guasto di mancata apertura nei fusibili e negli interruttori automatici, per mancata fusione o, rispettivamente, per mancato funzionamento delle protezioni magnetica, termica e differenziale o dello sganciatore di minima tensione, può – in ipotesi di corretto dimensionamento – non essere considerato.

2) – Mediante idonei mezzi (ad es., interblocchi) si deve inoltre mirare ad impedire che manovre errate dell’operatore possano comportare pericoli, causare danni o fornire alimentazioni non consentite nel modo di funzionamento prescelto.

Opportune segnalazioni devono consentire all’operatore di individuare con sicurezza la configurazione dei collegamenti in atto.

Si raccomanda, specie negli impianti con circuiti di distribuzione complessi, che uno schema unifilare del sistema sia esposto in prossimità del posto da cui si manovrano gli interruttori generali.

Schemi esemplificativi di configurazioni con diverse possibilità di alimentazione, tutte realizzate con i dovuti criteri di separazione nelle distribuzioni, sono riportati nell’all. n. 5.

2.8.8 CONDIZIONI PER L’ALLACCIAMENTO DI UTENZE DIVERSE

1) – Le utenze diverse di qualunque tipo, di cui all’art. 1.2.10, devono avere circuiti separati da quelli dell’impianto elettrico di funivia e devono essere allacciate, con propri interruttori generali muniti di protezione magnetica, termica e differenziale, a monte degli interruttori generali di apparecchiature appartenenti all’impianto elettrico di funivia, tanto nel caso di alimentazione da sorgente di energia esterna quanto nel caso di una interna.

Comunque, eventuali utenze diverse non necessarie al regolare esercizio dell’impianto funiviario o alla sua manutenzione (1.2.10, pt. 2) possono essere allacciate alle sorgenti di energia interne solo se queste sono ridondate.

Gli interruttori generali delle utenze diverse necessarie al regolare esercizio dell’impianto e alla sua manutenzione (1.2.10, pt. 1) devono essere disponibili al personale dell’impianto ed essere di preferenza collocati in prossimità degli interruttori generali dell’impianto elettrico di funivia, in modo da ottemperare ai pt. 2 e 3 dell’art. 2.8.5.

Analogamente, qualora utenze diverse non necessarie al regolare esercizio dell’impianto funiviario o alla sua manutenzione siano allacciate, tramite il proprio interruttore generale di cui al pt. 1, alle stesse sorgenti di energia interne che alimentano l’azionamento di recupero o quello di soccorso, tali interruttori generali devono essere facilmente accessibili al personale dell’impianto. Le condizioni poste per consentirne l’allacciamento sono le medesime richieste per poter alimentare tramite le sorgenti interne gli azionamenti principale e di riserva.

2) – Nel caso utenze diverse siano allacciate, pur sempre nel rispetto delle prescrizioni di cui al pt. prec., e tramite proprio interruttore generale, ad una sorgente interna all’impianto elettrico di funivia impiegata per la marcia con l’azionamento di recupero o di soccorso, il coordinamento delle protezioni tra gli interruttori generali delle utenze diverse in oggetto e le protezioni della sorgente poste a monte degli interruttori generali appartenenti all’impianto elettrico di funivia deve essere progettato in modo tale che un guasto alle utenze diverse non provochi la disalimentazione dell’azionamento di recupero o di soccorso.

2.8.9 SISTEMI DI ILLUMINAZIONE

1) – L’impianto funiviario, a norma dell’art. 17.2 del Reg. Generale, deve essere equipaggiato con un sistema di illuminazione normale e con un sistema di illuminazione di emergenza.

Si ricorda che, in base alla definizione di cui al pt. 1 dell’art. 1.2.10, i sistemi di illuminazione normale e di emergenza, pur costituendo utenze necessarie al regolare esercizio dell’impianto e alla sua manutenzione, sono considerati non appartenenti all’impianto elettrico di funivia.

2) – Il SISTEMA DI ILLUMINAZIONE NORMALE dell’impianto funiviario deve servire, in ciascuna stazione, il locale di comando, i locali ed i luoghi ove devono essere effettuati ispezione e controllo agli organi dell’impianto, i piazzali e le vie di percorso dei viaggiatori, nonché il tratto di linea in avanstazione.

Il sistema di illuminazione normale deve essere alimentabile da ciascuna delle sorgenti di energia e impiegabili per l’esercizio normale, essere allacciabile a monte degli interruttori generali di funivia di ciascuna sorgente (2.8.3) ed essere dotato di proprio interruttore generale avente le caratteristiche di cui all’art. 2.8.5.

3) – Il SISTEMA DI ILLUMINAZIONE DI EMERGENZA deve poter funzionare in alternativa a quello normale, servire i luoghi ed i locali di cui sopra ad eccezione dei tratti di linea in avanstazione, e consistere in un impianto fisso, autonomo da quello del sistema normale (cfr. pt. 7 della Norma CEI 64-8); esso deve inoltre essere attivabile anche con impianto in servizio di recupero e/o di soccorso e quindi deve essere alimentabile anche dalle sorgenti di energia previste per questi ultimi tipi di servizio. È ammesso che detto impianto di illuminazione di emergenza sia costituito da lampade fisse dotate di proprio accumulatore mantenuto a ricarica permanente, eventualmente tramite l’impianto principale, e comunque a condizione che il funzionamento sia sempre assicurato per tutto il tempo necessario alle operazioni di recupero o di soccorso.

4) – Nelle stazioni non motrici nelle quali, per qualsiasi tipo di servizio previsto, non sia necessaria al funzionamento dell’impianto la presenza di sorgente locale di energia, esterna od interna, il sistema di illuminazione può limitarsi alla dotazione di lampade portatili del tipo a batteria ricaricabile, delle quali sarà da curare il controllo periodico della ricarica.

5) – Negli impianti funiviari per i quali è ammesso il servizio notturno, in accordo con le P.T.S. relative a ciascun tipo di impianto, devono essere illuminati, anche la linea ed eventualmente i veicoli; valgono quindi anche le seguenti condizioni:

5.1) – Nel caso l’impianto di illuminazione della linea impieghi i sostegni quali supporti per i conduttori di alimentazione e/o i centri luminosi, le relative apparecchiature devono corrispondere alla norma CEI 64-8, considerando i sostegni stessi come luoghi conduttori ristretti di cui alla sezione 706 della suddetta norma, rispettando in particolare la prescrizione di cui all’art. 706.471.2, relativa alle protezioni contro i contatti indiretti. Inoltre il sistema di protezione dovrà conseguire una congrua selettività verticale per protezioni locali, in corrispondenza dei singoli corpi illuminanti e dei singoli sostegni e per protezioni generali posti alla partenza della linea, al fine di evitare che un guasto locale provochi la messa fuori servizio dell’intera linea. Per il grado di protezione IP dei componenti dell’impianto di illuminazione si applicano le disposizioni di cui all’art. 3.1.10.3, con riferimento agli ambienti non protetti.

5.2) – L’attivazione dell’illuminazione di emergenza deve essere automatica, in assenza di alimentazione del sistema di illuminazione normale, almeno per il locale di comando di ciascuna stazione; in detto locale devono inoltre essere disponibili gli organi di inserzione di quelle eventuali parti del sistema di illuminazione di emergenza della stazione che non siano ad accensione automatica.

5.3) – Per le eventuali operazioni di recupero e/o soccorso dovranno essere disponibili mezzi di illuminazione autonomi per le operazioni lungo la linea i quali devono, di volta in volta, essere definiti per quantità e tipologie nel progetto dell’impianto, in relazione alle sue caratteristiche e a quelle della linea.

2.8.10 CRITERI PER LA DISPONIBILITÀ DELL’AZIONAMENTO DI RISERVA

Nel caso sia normativamente imposto l’azionamento di riserva (1.2.32), esso deve sempre essere allacciabile ad una sorgente di energia di riserva, in ogni caso distinta dalla sorgente primaria impiegata per l’esercizio con l’azionamento principale.

La sorgente di energia di riserva deve essere interna all’impianto elettrico di funivia, ai sensi della definizione di cui all’art. 1.2.2; l’azionamento di riserva può, ma non deve obbligatoriamente, essere alimentabile anche dalla sorgente di energia primaria impiegata per l’azionamento principale; tuttavia, ciascuno degli azionamenti principale o di riserva può impiegare, quale sorgente alternativa, quella principalmente usata per l’altro azionamento.

L’azionamento di riserva deve anche ottemperare all’art. 2.6.1, nel quale sono specificati i criteri di correlazione dell’azionamento di riserva con quello principale.

2.8.11 CRITERI PER LA DISPONIBILITÀ DEGLI AZIONAMENTI DI RECUPERO O DI SOCCORSO

1) – Negli impianti nei quali sia normativamente prescritta l’adozione di un azionamento di recupero o di soccorso, oppure di entrambi, deve essere prevista, in aggiunta a quella usata nel normale esercizio, denominata SORGENTE PRIMARIA, almeno una seconda sorgente di energia, denominata SORGENTE DI RISERVA, la quale dovrà essere conforme all’art. 2.8.12.

La sorgente di energia di riserva deve essere interna all’impianto elettrico di funivia, ai sensi della definizione di cui all’art. 1.2.2. La sorgente primaria è identificata, in generale ma non obbligatoriamente, con una sorgente di energia esterna; essa può anche essere costituita da una configurazione di sorgenti di energia interne, ridondanti nel caso di presenza di azionamenti di recupero o soccorso a trazione elettrica.

2) – I criteri realizzativi delle distribuzioni devono essere tali che un guasto singolo, susseguente alle preesistenti condizioni di efficienza di tutte le sorgenti e di tutti gli azionamenti, che si manifesti durante l’esercizio interessando un elemento dell’impianto elettrico di funivia oppure un elemento della sorgente di energia primaria, e che sia tale da comportare l’insorta indisponibilità dell’azionamento in uso, non possa impedire la rapida ripresa della marcia con un azionamento atto ad effettuare l’evacuazione della linea.

In relazione al presente art., si osserva che la perdita di alimentazione della rete elettrica è considerata un guasto, nelle condizioni precisate nell’art. 1.3.10.

Schemi esemplificativi di configurazioni con diverse possibilità di alimentazione, tutte realizzate con i dovuti criteri di separazione nelle distribuzioni sono riportati nell’all. n. 5.

3) – A condizione che le prove sulla sorgente di energia interna e sugli azionamenti di recupero e/o di soccorso siano svolte con la dovuta regolarità (pt. 4.1 e 4.2), si assume trascurabile la probabilità che insorga un guasto latente tale da renderli indisponibili durante lo stesso intervallo di tempo, intercorrente tra due prove, nel quale si renda necessario il ricorso al loro impiego, a causa di un guasto che abbia colpito gli azionamenti principale o di riserva oppure la sorgente primaria.

4) – Nel caso configurato, di cui al pt. 1, condizioni necessarie per l’esercizio dell’impianto sono:

4.1) – che tanto la sorgente di energia primaria quanto quella di riserva si possano ritenere disponibili, per effetto delle prove effettuate con la cadenza prescritta;

4.2) – che sia l’azionamento (principale o di riserva) da impiegarsi per l’esercizio, sia l’azionamento di recupero e/o quello di soccorso, si possano ritenere disponibili, per effetto delle prove effettuate con la cadenza prescritta.

5) – Nel caso specifico in cui sia normativamente prescritta l’adozione di entrambi gli azionamenti di recupero e di soccorso, l’ipotesi che un guasto alla sorgente di riserva che li alimenta si manifesti durante il loro impiego (e dunque successivamente ad un primo guasto che ha forzato il ricorso all’evacuazione della linea) non è considerata.

Comunque siano progettati gli argani per effettuare il servizio di recupero e di soccorso, l’alimentazione può quindi essere la medesima.

6) – Le prescrizioni di cui ai prec. pt. si applicano, in via di principio, anche agli impianti in cui uno o più azionamenti non richiedano l’impiego di sorgenti di energia elettrica.

Si intendono comprese tra le sorgenti di energia anche quelle che alimentano direttamente gruppi di trazione termoidraulici.

Il prec. pt. 2.3 implica pertanto, come chiarito nei succ. art., che – indipendentemente dall’essere gli azionamenti installati di tipo elettrico o no – si debbano impiegare quanto meno due azionamenti indipendenti tra loro e due sorgenti di energia pure indipendenti, di cui una interna all’impianto elettrico di funivia.

2.8.12 SORGENTI DI ENERGIA NECESSARIE ALLA MARCIA DI RECUPERO O DI SOCCORSO

1) – Qualora, anche nella marcia con gli azionamenti di recupero e/o di soccorso, risulti funzionalmente indispensabile alimentare i circuiti di potenza di una qualsiasi stazione (1.2.1, pt. 1), che siano appartenenti all’impianto elettrico di funivia, tali circuiti devono poter essere alimentati da una sorgente di energia di riserva, interna all’impianto elettrico di funivia (2.8.11 e 1.2.2), indipendente da quella primaria e tale quindi da rimanere disponibile anche in caso di indisponibilità di quest’ultima.

La possibilità di alimentare i circuiti menzionati anche dalla sorgente di energia primaria è invece facoltativa.

A tal fine, i circuiti di distribuzione devono essere organizzati in modo che la sorgente interna possa essere dedicabile esclusivamente ai predetti circuiti indispensabili per la marcia di recupero o di soccorso, eventualmente sezionando, in caso di necessità, collegamenti con altre utenze.

In particolare, dev’essere possibile il sezionamento con le utenze diverse di cui al pt. 2 dell’art. 2.8.8, laddove ammesse.

La dislocazione delle linee di alimentazione, dagli interruttori generali fino ai morsetti di ingresso dei quadri contenenti i citati circuiti di potenza necessari alla marcia di recupero e/o di soccorso, deve essere tale che un guasto singolo al sistema di distribuzione non possa comportare l’indisponibilità di entrambe le sorgenti di energia, primaria e di riserva. In particolare, la dislocazione delle due alimentazioni indipendenti deve essere improntata a criteri di separazione fisica in modo da mirare a mantenere la disponibilità di una delle sorgenti anche in caso di avaria diffusa ai circuiti di distribuzione dell’altra (incendio di un quadro). Inoltre, qualora gli azionamenti di recupero e di soccorso siano a trazione elettrica, la selezione tra le due alimentazioni deve avvenire per il tramite di apparecchi di manovra separati e dotati di idonei interblocchi, collocati all’interno dei quadri citati.

Qualora alcuni di tali circuiti vengano a trovarsi anche nelle stazioni di rinvio ed intermedie deve quindi essere disponibile una sorgente di energia di riserva avente le stesse caratteristiche di quella prevista per la stazione motrice; essa può essere una sorgente locale oppure impiegata in comune con altre stazioni.

Tra i circuiti di potenza indispensabili rientrano naturalmente i circuiti di trazione relativi all’eventuale motore elettrico di recupero o di soccorso (2.6.11), nonché i circuiti ausiliari per il sistema di frenatura. In altre stazioni possono trovarsi, ad es., circuiti ausiliari di travi motorizzate e di tenditrici idrauliche.

2) – Qualora inoltre si intenda impiegare una sorgente di energia interna all’impianto anche allo scopo di esercire il medesimo con l’azionamento principale o di riserva, tale sorgente può essere impiegabile anche per alimentare l’azionamento di recupero o di soccorso solo a condizione che vi sia ridondanza tale, nelle sorgenti di energia interne e nei relativi circuiti di distribuzione, che un guasto singolo che colpisca un elemento di una sorgente interna o dei circuiti di distribuzione non possa impedire l’alimentazione dell’azionamento di recupero o di soccorso medesimo, per l’evacuazione della linea.

Ciò si traduce nella necessità pratica di installare almeno due sorgenti di energia interne indipendenti. Le loro distribuzioni saranno strutturate, ad es., in uno dei seguenti modi:

– una sorgente dedicata agli azionamenti principale e/o di riserva, l’altra a quelli di recupero e/o di soccorso;

– ciascuna sorgente dedicabile, in alternativa, sia agli azionamenti principale e/o di riserva, con eventuale possibilità di parallelo (pt. 3), sia a quelli di recupero e/o di soccorso.

3) – In particolare, in caso di ridondanza delle sorgenti di energia interne è ammessa la loro connessione in parallelo, realizzata quanto meno tramite un sistema di manovra e sezionamento dedicato tale da garantire la protezione dalle sovracorrenti che, in caso di guasto, possono interessare il ramo di parallelo, nonché la sezionabilità sotto carico del ramo medesimo anche successivamente all’accadimento del guasto predetto. Qualora tali sorgenti siano da impiegare sia per l’esercizio che per la marcia di recupero e/o di soccorso, i circuiti di distribuzione dovranno garantire che:

3.1) – l’azionamento di recupero e/o di soccorso sia alimentabile da almeno due delle sorgenti interne suddette, ciascuna prelevata separatamente;

3.2) – gli eventuali conduttori che alimentano gli azionamenti principale e/o di riserva abbiano percorsi integralmente separati da quelli dei conduttori che alimentano gli azionamenti di recupero e/o di soccorso;

3.3) – che un guasto occorrente all’interno del quadro che attua il parallelo garantisca la disponibilità residua di almeno una sorgente interna per la marcia di recupero e/o di soccorso.

Qualora un impianto sia dotato di azionamenti sia di recupero che di soccorso, non sono tuttavia richiesti particolari criteri di indipendenza tra i due azionamenti (2.8.11, pt. 5).

Si osserva che la «separazione» prescritta per l’alimentazione degli azionamenti di recupero e/o di soccorso è distinta dalla mutua «indipendenza» e richiede la possibilità di allacciare gli azionamenti all’una o all’altra delle sorgenti ma non esige la ridondanza delle linee di distribuzione.

4) – Qualora più impianti funiviari siano sotto il controllo dello stesso Esercente e le rispettive stazioni motrici si trovino dislocate in posizioni adiacenti, è ammesso che un impianto centralizzato di produzione dell’energia serva come sorgente di energia interna appartenente, in comune, agli impianti elettrici di tutti gli impianti funiviari. In tal caso, tuttavia, in aggiunta ai requisiti di disponibilità di cui ai pt. prec., andranno rispettati i seguenti.

4.1) – Dal sistema centralizzato devono diramarsi linee di distribuzione agli azionamenti di recupero e/o di soccorso dei diversi impianti interessati, distinte per ciascun impianto e, inoltre, separate da quelle eventuali per il servizio continuativo.

Queste ultime, invece, non sono necessariamente distinte per ciascun impianto.

4.2) – Il sistema centralizzato deve essere realizzato con criteri di ridondanza nelle sorgenti, già a partire dai serbatoi di accumulo dell’energia, e con criteri realizzativi del sistema centralizzato di distribuzione, tali da essere in grado di servire contemporaneamente le diverse distribuzioni agli azionamenti di recupero e/o di soccorso di tutti gli impianti ed inoltre tali da garantire che un guasto singolo al sistema centralizzato, a carico tanto delle sorgenti quanto delle distribuzioni, non possa arrivare ad impedire la marcia di recupero o di soccorso su più di un impianto.

A titolo di chiarimento e specificazione, è ammesso – ad es. – che il guasto singolo alla linea di distribuzione che allaccia un impianto al sistema centralizzato comporti la mancata alimentazione da sorgente di riserva degli azionamenti di recupero e/o di soccorso per quell’impianto, ma non contemporaneamente per altri.

Schemi esemplificativi di configurazioni con diverse possibilità di alimentazione, tutte realizzate con i dovuti criteri di separazione nelle distribuzioni, sono riportati nell’all. n. 5.

2.9 ALIMENTAZIONE DEI SERVIZI DI SICUREZZA

2.9.1 SERVIZI DI SICUREZZA

Sono denominate «SERVIZI DI SICUREZZA» quelle sezioni dell’impianto elettrico di funivia che devono rimanere alimentate senza soluzione di continuità, almeno per un tempo determinato, anche in caso di improvvisa e prolungata interruzione dell’alimentazione fornita dalla sorgente di energia in uso, interna od esterna all’impianto elettrico di funivia. Sono considerati servizi di sicurezza:

– il sistema di sorveglianza (1.3.1);

– il sistema di frenatura (2.5.2);

– i circuiti del sistema informativo che forniscono informazioni indispensabili (2.7.4, pt. 2.1) e necessarie (2.7.4, pt. 2.2) nonché quelli di telecomunicazione fissi (1.2.9);

– i sistemi di teletrasmissione di sicurezza (1.2.23.1);

– i sistemi per l’inserzione delle sorgenti di energia di riserva, interne all’impianto (avviamento dei motori termici).

Il progetto dovrà specificare se, in relazione alle caratteristiche dell’impianto, siano da comprendere tra i servizi di sicurezza anche altri sistemi, in modo che possa esserne predisposto adeguato gruppo di alimentazione.

È inoltre considerato servizio di sicurezza, ancorché non appartenente all’impianto elettrico di funivia, e limitatamente agli impianti in cui è previsto il servizio notturno, l’impianto di illuminazione di emergenza di cui al pt. 5 dell’art. 2.8.9.

Le sezioni che devono rimanere attive anche in caso di improvvisa indisponibilità delle sorgenti di energia si possono infatti ricondurre a:

– controllo dell’arresto dell’impianto (sistema di frenatura, controllo di mancata decelerazione, ecc.);

– controllo dell’impianto arrestato (controllo dello stazionamento, freni, ecc.);

– inserzione della sorgente di energia di riserva, quanto meno per la marcia con gli azionamenti di recupero o di soccorso;

– marcia dell’impianto, quanto meno con gli azionamenti di recupero o di soccorso, per il tempo necessario per l’evacuazione della linea;

– illuminazione di emergenza dei locali previsti dal pt. 5 dell’art. 2.8.9.

Per quanto riguarda l’alimentazione dei sistemi di illuminazione normale e di emergenza, si veda l’art. 2.8.9.

2.9.2 COMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA

1) – Si denomina «GRUPPO DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA» ogni insieme di apparecchiature in grado di alimentare uno o più servizi di sicurezza; ogni gruppo di alimentazione di sicurezza deve essere costituito, quanto meno, dai seguenti elementi dedicati: un caricabatterie conforme all’art. 2.9.3, una batteria di accumulatori conforme all’art. 2.9.4, circuiti di smistamento e protezione, una linea (o gruppo di linee) di alimentazione di sicurezza, alla quale si intendono allacciati i carichi dei servizi di sicurezza, conforme all’art. 2.9.6.

2) – Si denomina «SISTEMA DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA» l’insieme dei gruppi di alimentazione impiegati per l’alimentazione dei servizi di sicurezza.

Ciascuno dei servizi di sicurezza di cui all’art. 2.9.1, ad eccezione dell’impianto di illuminazione di emergenza (2.9.7 e 2.8.9), deve essere alimentato da almeno un gruppo di alimentazione di sicurezza; uno stesso gruppo di alimentazione di sicurezza può comunque, in generale, alimentare più servizi di sicurezza, fatte salve specifiche prescrizioni contrarie contenute negli artt. succ.

L’impianto di illuminazione di emergenza può fare eccezione perché non è detto che la sua alimentazione sia in corrente continua a tensione di batteria; si vedano, al proposito, l’art. 2.8.9 ed i disegni esemplificativi sui circuiti di distribuzione.

2.9.3 CARICABATTERIE

I caricabatterie utilizzati per la ricarica in tampone delle batterie dei gruppi di alimentazione di sicurezza devono soddisfare ai seguenti requisiti.

1) – L’alimentazione dei caricabatterie deve essere prelevata a valle degli interruttori generali.

2) – Il caricabatterie di ciascun gruppo di alimentazione di sicurezza deve essere alimentabile da ciascuna delle sorgenti di energia primarie (2.8.11) impiegate per il normale esercizio dell’impianto; esso deve altresì essere alimentabile da ciascuna delle sorgenti di energia di riserva, nel caso che i servizi di sicurezza allacciati siano necessari per la marcia di recupero e/o di soccorso e che la loro alimentazione non sia assicurata, per il tempo necessario, in altro modo.

3) – Ciascun caricabatterie deve essere dotato delle necessarie protezioni e segnalazioni di stato e di un interruttore che ne consenta il sezionamento singolo.

4) – Al termine della carica, la tensione di uscita deve essere mantenuta stabile usando un sistema di regolazione automatica, per mantenere le batterie alla tensione di carica di mantenimento suggerita dal Costruttore.

5) – L’ondulazione residua (RIPPLE PICCO-PICCO) sovrapposta alla tensione continua deve essere opportunamente ridotta, ad es. mediante filtraggio, entro valori ben tollerabili dalle batterie e da tutte le altre apparecchiature alimentate, e comunque compresa entro il 10% del valore della tensione continua.

Tale valore è più stringente di quello ammesso in generale nell’art. 3.2.2.

6) – La corrente erogata dai caricabatterie deve essere limitata automaticamente in modo da non superare i valori consigliati dal Costruttore per la ricarica delle batterie.

7) – Deve essere assicurata, tramite un trasformatore ad avvolgimenti separati e ad isolamento rinforzato tra primario e secondario, la separazione galvanica tra ingresso e uscita del caricabatterie, al fine di garantire che, in seguito a guasto, risulti impossibile l’accomunamento del positivo di batteria con la linea di alimentazione a tensione alternata.

8) – Il caricabatterie deve essere collocato all’interno di un armadio od avere un’analoga adeguata protezione meccanica.

9) – Il circuito di conversione e le protezioni del caricabatterie devono essere concepiti in modo da ridurre la possibilità che un guasto del caricabatterie o la mancanza della sua alimentazione possa provocare danni alla batteria (ad es. per sovratensioni) o la scarica di questa attraverso il caricabatterie.

10) – Deve essere prevista la necessaria strumentazione di misura (2.9.7).

2.9.4 BATTERIE DI ACCUMULATORI

Relativamente alle batterie di accumulatori utilizzate devono essere seguite le seguenti indicazioni, sempre rispettando scrupolosamente le istruzioni del Costruttore.

1) – Devono essere collocate all’esterno dei quadri elettrici, salvo che si tratti di tipi ermetici, e comunque in contenitori ben aerati che le proteggano da vibrazioni, polvere, umidità, basse temperature, ecc., alloggiati in idonei locali (3.1.6). In ogni caso, devono trovare posto a breve distanza dai rispettivi caricabatterie, anche al fine di ridurre l’ondulazione residua.

2) – Il polo negativo deve essere collegato stabilmente al collettore comune dell’impianto di terra locale.

3) – Devono essere protette da fusibili collocati a ridosso del solo morsetto positivo.

4) – Devono essere equipaggiate con strumenti indicatori atti a consentire la sorveglianza continua delle loro condizioni di lavoro (2.9.7 e 2.9.9).

5) – Il loro stato di carica deve essere verificato periodicamente, mediante controlli automatici (ad es. mediante controllo della tensione sotto carico) e/o manuali (ad es. mediante misure di densità).

6) – Ne deve essere eseguita accurata manutenzione, secondo le raccomandazioni della ditta costruttrice.

2.9.5 CADUTE DI TENSIONE

I collegamenti elettrici interni alle stazioni tra le batterie e le relative utenze possono presentare una caduta di tensione massima del 15%, da attribuirsi per non più del 5% a conduttori interni ai quadri e per non più del 10% ai conduttori di distribuzione e alle linee di alimentazione esterni ai quadri. Le utenze esterne alla stazione in cui sono ubicate le batterie dovranno essere allacciate con linee opportunamente dimensionate, in modo tale da rispettare, nelle peggiori condizioni, le tolleranze ammesse dal Costruttore sulla tensione di alimentazione delle utenze stesse.

2.9.6 LINEE DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA

Si denominano linee di alimentazione di sicurezza le linee cui vengono allacciate le utenze (servizi di sicurezza) dei gruppi di alimentazione di sicurezza (2.9.2); tali linee ricevono quindi l’energia dalle sorgenti, tramite i caricabatterie oppure dalle batterie di stazione o di vettura (2.9.7, 2.9.9) e 2.9.8). Esse devono possedere i requisiti di seguito indicati.

1) – La tensione impiegata non deve superare i 60 V c.c. .

Per eventuali utenze (circuiti di segnale) che richiedano alimentazione a tensioni diverse, è ammesso che alle linee di alimentazione di sicurezza vengano allacciati idonei circuiti ausiliari dotati di apparecchiature (convertitori) dai quali ricavare altre tensioni, nel rispetto dei limiti stabiliti per i circuiti di segnale (2.7.2). Tali circuiti ausiliari sono comunque considerati a valle delle linee di alimentazione di sicurezza.

2) – Le linee devono, per quanto possibile, seguire percorsi fisici distinti rispetto a quelli degli altri circuiti di alimentazione, in particolare se di potenza.

3) – Ad almeno un’estremità (partenza o arrivo) di ciascuna linea in ciascun quadro deve essere disposto un interruttore di manovra dotato di lampada di segnalazione di presenza tensione.

4) – Le linee devono essere protette all’origine contro i corti circuiti ed i sovraccarichi.

2.9.7 GRUPPI DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA DI STAZIONE

1) – Le batterie di accumulatori appartenenti a ciascun gruppo di alimentazione di sicurezza situato nelle stazioni devono soddisfare ai seguenti requisiti.

1.1) – Le batterie devono essere mantenute in permanenza alla tensione costante di carica di mantenimento da un caricabatterie conforme all’art. 2.9.3, dedicato a quel gruppo di alimentazione di sicurezza.

1.2) – Devono essere equipaggiate con tre strumenti, indicatori rispettivamente della tensione, della corrente erogata dal caricabatterie e della corrente scambiata dalle batterie stesse.

2) – Ciascuna sorgente di energia interna per la cui inserzione si renda necessaria energia elettrica deve possedere un gruppo di alimentazione di sicurezza dedicato conforme all’art. 2.9.8.

Tale è il caso, ad es., dell’inserzione di gruppi Diesel – elettrici e simili.

3) – Alla stazione motrice, il sistema di sorveglianza di stazione deve essere alimentato mediante almeno due gruppi di alimentazione di sicurezza, le cui linee di alimentazione di sicurezza rispondano ai requisiti di cui all’art. 2.9.10.

Tale prescrizione discende, fra l’altro, dalla necessità di attuare una separazione tra i circuiti tale da impedire, per guasto, la caduta contemporanea dei due freni meccanici (cfr. pt. 4).

Inoltre, gli organi di sezionamento delle linee di alimentazione di sicurezza la cui apertura può determinare l’intervento di un freno meccanico con azione a scatto devono essere opportunamente protetti al fine di ridurre la possibilità di manovre involontarie o inopportune da parte dell’operatore.

Per raggiungere lo scopo si può, ad es., obbligare a far ricorso a manovre aggiuntive, quali l’apertura di un riparo o la rimozione di un fermo.

I circuiti di telecomunicazione (sistemi di diffusione sonora in linea e telefonici) ed il circuito delle sicurezze di linea devono essere alimentati secondo quanto prescritto al pt. 6 del 2.9.1O.

4) – Il sistema di frenatura deve essere alimentato mediante almeno due gruppi di alimentazione di sicurezza; tali sistemi possono essere i medesimi impiegati per l’alimentazione del sistema di sorveglianza di stazione motrice. Devono comunque essere prese idonee misure per evitare che un guasto previsto possa comportare l’intervento simultaneo di entrambi i freni meccanici con azione a scatto, secondo quanto prescritto nell’art. 2.9.10.

5) – Nelle stazioni di rinvio ed intermedie, l’eventuale sistema di sorveglianza di stazione deve essere alimentato mediante almeno un gruppo di alimentazione di sicurezza, che può essere costituito da uno dei gruppi impiegati per l’alimentazione del sistema di sorveglianza di stazione motrice oppure da un gruppo dedicato. In ogni caso, la struttura delle linee di alimentazione di sicurezza deve ottemperare alle prescrizioni dell’art. 2.9.11.

6) – La capacità delle batterie di ciascun gruppo di alimentazione di sicurezza impiegato per alimentare i diversi servizi di sicurezza di stazione deve consentire autonomia, in caso di mancanza dell’alimentazione per la ricarica, ampiamente sufficiente alla corretta alimentazione dei carichi serviti a compimento dell’esercizio in atto, fatto salvo quanto previsto nel succ. art. 2.9.12.

Tale durata, di regola, dev’essere superiore al tempo massimo previsto per l’arresto dell’impianto e per l’inserzione della sorgente di energia di riserva, qualora le batterie vengano a trovarsi nuovamente sotto carica una volta inserita la sorgente di riserva che alimenta gli azionamenti di recupero o di soccorso; diversamente, l’autonomia non può essere inferiore a quattro ore, ai sensi del pt. 2.1 dell’art. 2.9.12.

2.9.8 INSERZIONE DELLE SORGENTI DI ENERGIA A MOTORE TERMICO

Ogni motore termico costituente sorgente di energia interna, primaria o di riserva, utilizzabile per almeno uno degli azionamenti di riserva, di recupero o di soccorso deve essere dotato di un proprio gruppo di alimentazione di sicurezza per l’avviamento, la cui batteria di accumulatori sia di capacità tale da consentire almeno cinque avviamenti consecutivi.

Durante il funzionamento del motore termico, la batteria deve essere tenuta sotto carica mediante un sistema dedicato che prelevi l’energia dal motore stesso. Quando il motore non viene impiegato, la batteria deve essere tenuta nello stato di carica di mantenimento dal caricabatterie appartenente al gruppo di alimentazione di sicurezza dedicato e quindi distinto da quelli impiegati per l’alimentazione dei sistemi di sorveglianza e di frenatura (2.9.10); può tuttavia essere impiegato per mantenere sotto carica altre batterie, quale, ad es., un’eventuale batteria di scorta.

2.9.9 BATTERIE DI VETTURA

Negli impianti ove siano previsti servizi di sicurezza in vettura e quindi, in particolare, in caso di presenza di sistemi di sorveglianza di veicolo (2.1.15), si dovranno utilizzare batterie locali, nei modi e nei tipi tali da soddisfare inoltre, in particolare, ai seguenti requisiti.

1) – La loro capacità deve essere sufficiente per alimentare i circuiti collegati per almeno quattro ore senza ricarica ed in ogni caso per un tempo superiore al massimo previsto tra due ricariche.

2) – Ciascuna batteria deve essere ricaricata completamente con cadenza almeno quotidiana mediante un caricabatterie conforme all’art. 2.9.3, che può essere dedicato oppure appartenente ad uno dei gruppi di alimentazione di sicurezza che servono un sistema di sorveglianza di stazione.

3) – ll collegamento della batteria al caricabatterie all’ingresso in stazione e lo scollegamento all’uscita devono essere realizzati mediante efficienti sistemi automatici (trolley, pattini, ecc.) nel caso di ricarica ad ogni finecorsa, oppure con mezzi manuali semplici (spine, connettori), nel caso di ricarica giornaliera unica.

4) – Devono essere equipaggiate con strumenti indicatori della tensione e della corrente scambiata verso il carico.

2.9.10 ALIMENTAZIONE DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DI STAZIONE MOTRICE E DEL SISTEMA DI FRENATURA

I due gruppi di alimentazione di sicurezza che devono, quanto meno, essere installati nella stazione motrice per alimentare il sistema di sorveglianza ed il sistema di frenatura (2.9.7) devono essere tali che le rispettive linee di alimentazione di sicurezza (convenzionalmente denominate, per semplicità, «LINEA 1» e «LINEA 2»), soddisfino ai seguenti requisiti.

1) – A valle dei loro interruttori di manovra esse devono essere separate, nel senso che non devono avere punti in comune e non possono alimentare, in parallelo diretto, uno stesso dispositivo o circuito elettrico.

Gli unici punti in comune a più gruppi di alimentazione di sicurezza sono costituiti dai poli negativi delle batterie, in quanto tutti connessi al collettore comune di terra.

Si intende per parallelo diretto la connessione senza interposizione di elementi protettivi idonei. Sono quindi ammesse soluzioni («parallelo indiretto») tali da garantire, mediante interposizione di opportuni dispositivi, il rispetto delle prescrizioni di cui al succ. pt. 2.

2) – Devono essere indipendenti, nel senso che un qualsiasi guasto che determini il cortocircuito, l’interruzione oppure variazioni inammissibili della tensione di una linea non deve poter perturbare l’altra linea. In particolare, se uno di tali guasti provoca l’intervento a scatto di un freno meccanico, non deve in nessun caso provocare anche l’intervento a scatto dell’altro freno meccanico (2.5.9).

3) – La «LINEA 1» è destinata ad alimentare:

3.1) – tutti i circuiti ed i dispositivi di comando, controllo e, se previste, differenziazione o modulazione del freno meccanico di servizio (1.2.50 e seg.);

3.2) – gli attuatori (elettrovalvole, elettromagneti, ecc.) del freno meccanico di servizio, salvo che, per tale unità di frenatura, sia prevista la sola azione a scatto, nel qual caso è consentita l’alimentazione da rete – del circuito d’eccitazione (2.5.4);

3.3) – Nell’àmbito delle funzioni di sicurezza del sistema di sorveglianza di stazione motrice, per quei dispositivi di sicurezza che, in tutto o in parte, sono costituiti da elementi hardware ridondati, per i quali quindi si individuano, almeno in parte, canali indipendenti, la «linea 1» è destinata ad alimentare almeno uno di tali canali, o sezioni di canale, il quale non dovrà essere alimentato dall’altra linea.

4) – La «LINEA 2» è destinata ad alimentare:

4.1) – tutti i circuiti ed i dispositivi di comando, controllo e, se previste, differenziazione o modulazione del freno meccanico di emergenza (1.2.55 e 1.2.56);

4.2) – gli attuatori (elettrovalvole, elettromagneti, ecc.) del freno meccanico di emergenza (2.5.4);

4.3) – almeno uno dei canali, o sezioni dì canale, individuati al pt. 3.3 e non alimentati dalla «linea 1».

5) – Possono infine essere alimentate dalla «LINEA 1» oppure dalla «LINEA 2», senza necessità di commutazione dall’una all’altra, le seguenti utenze:

5.1) – gli elementi hardware costituenti il sistema informativo;

5.2) – eventuali elementi hardware dei sistemi di sorveglianza delle stazioni di rinvio ed intermedie, nonché della linea (pulsanti di arresto e rallentamento), non alimentate localmente;

5.3) – unità adibite a funzioni di regolazione, comando e simili;

5.4) – Nell’àmbito delle funzioni di sicurezza del sistema di sorveglianza di stazione motrice, tutte le parti (canali o sezioni di canali) di dispositivi di sicurezza e protezione che non sono realizzate con elementi hardware ridondati.

Come deducibile dai pt. 3.3 e 4.3, eventuali elementi ridondanti successivi ai primi due, quale ad es. una terza unità di controllo, sono allacciabili ad una qualsiasi delle due linee.

6) – Il ricevitore del circuito delle sicurezze di linea nonché, se alimentato dalla stazione motrice, il trasmettitore del circuito medesimo devono poter essere alimentati, in alternativa e tramite semplice manovra, da due linee di alimentazione di sicurezza scelte tra le seguenti:

– «linea 1»;

– «linea 2»;

– linea relativa al gruppo di alimentazione di sicurezza impiegato per la marcia con l’azionamento di recupero e/o di soccorso.

Analoga prescrizione si applica all’alimentazione dell’impianto di diffusione sonora in linea e a quello telefonico, con l’eccezione dei telefoni a batteria locale.

7) – Quando si verifichi un guasto ad uno dei gruppi di alimentazione di sicurezza che renda indisponibile una delle due linee di cui ai prec. pt. 3 e 4, si potrà prevedere la possibilità di spostare l’allacciamento di tutte le utenze sull’una o sull’altra linea. Tale spostamento dovrà essere realizzato mediante modifica manuale delle connessioni fisiche, realizzate in modo da rendere impossibili contatti accidentali tra le tue linee anche per effetto di guasti; non devono essere impiegati apparecchi di commutazione.

In relazione alle caratteristiche dell’impianto è di conseguenza da attuare idonea penalizzazione di velocità, la quale dovrà essere quanto meno di livello intermedio nei casi in cui i freni meccanici operino con modulazione; in ogni caso, apposite norme di comportamento sono da inserire nel Reg. di Esercizio.

2.9.11 ALIMENTAZIONE DEI SERVIZI DI SICUREZZA DELLE STAZIONI DI RINVIO ED INTERMEDIE

Nelle stazioni di rinvio ed intermedie in cui siano presenti servizi di sicurezza, se questi vengono alimentati mediante un unico gruppo di alimentazione di sicurezza, sia esso dedicato sia che serva anche un’altra stazione (ad es. per teletrasmissione di sicurezza), la distribuzione dell’energia deve avvenire secondo le seguenti prescrizioni.

A valle della batteria di accumulatori del gruppo di alimentazione devono avere origine due linee di alimentazione di sicurezza che, fatto salvo il comune punto d’allacciamento all’impianto di terra locale, devono mantenere gli stessi requisiti di protezione, di separazione e di sezionabilità richiesti per le linee della stazione motrice. In alternativa, è ammesso che dalla batteria sia derivata un’unica linea di alimentazione di sicurezza, a condizione che la distribuzione locale alle diverse utenze sia realizzata con criteri e protezioni tali da garantire che, in caso di guasto, avvenga il repentino distacco dell’utenza in avaria e che le conseguenze si estendano nel modo più limitato possibile.

La duplicazione completa non è richiesta perché nelle stazioni non motrici non si presentano pericoli relativi all’intervento simultaneo dei freni con azione a scatto. La separazione delle linee è tuttavia richiesta per limitare la probabilità di guasti di modo comune ai sistemi di sicurezza duplicati.

2.9.12 GRUPPI DI ALIMENTAZIONE DI SICUREZZA NELLA MARCIA DI RECUPERO O DI SOCCORSO

1) – Durante la marcia con gli azionamenti di recupero o di soccorso, e qualora, per quelle condizioni di marcia, sia ammissibile l’eventuale azione a scatto contemporanea dei due freni meccanici, alla stazione motrice può essere impiegata un’unica linea di alimentazione di sicurezza per alimentare anche le seguenti utenze specifiche dell’azionamento in uso:

1.1) – il sistema di sorveglianza della stazione motrice dedicato alla marcia di recupero e/o di soccorso;

1.2) – i freni meccanici impiegati nella marcia di recupero e/o di soccorso, unitamente ai relativi circuiti di comando e controllo.

2) – Per tale linea singola può adottarsi una delle seguenti soluzioni.

2.1) – La linea può essere alimentata da uno dei due gruppi normalmente impiegati per l’alimentazione del sistema di sorveglianza e dei freni, ed in tal caso deve essere possibile la selezione di uno qualsiasi dei due, in considerazione della necessità di continuare la marcia di recupero o di soccorso anche in caso di avaria di uno dei gruppi di alimentazione di sicurezza. Qualora tali gruppi non siano alimentabili in permanenza durante la marcia di recupero e/o di soccorso, le loro batterie devono avere capacità tale da mantenere, senza ricarica, le alimentazioni necessarie, almeno per il tempo massimo ammesso per l’evacuazione della linea con gli azionamenti di recupero o di soccorso, e comunque non inferiore a quattro ore.

2.2) – La linea può essere altresì alimentata dal gruppo di alimentazione di sicurezza associato all’eventuale motore termico (2.9.8).

2.3) – La linea può essere infine alimentata da un raddrizzatore direttamente allacciato alla sorgente di energia interna impiegata per la marcia di recupero e/o di soccorso, a condizione che ciò non provochi la disalimentazione di utenze che devono rimanere attive anche quando la sorgente di energia interna non è inserita.

Parte 3

Requisiti per i materiali e le apparecchiature.

3.1 REQUISITI DI CARATTERE GENERALE

PREMESSA.

Le presenti P.T.S. – I.E. fanno riferimento alla Norma CEI EN 60204-1, relativa all’equipaggiamento elettrico delle macchine. Gli impianti di trasporto a fune, e conseguentemente i relativi impianti elettrici di funivia, presentano requisiti e caratteristiche specifici che rendono necessarie precisazioni e/o differenziazioni rispetto al dettato della citata norma. In particolare, si è tenuto conto dei seguenti fattori:

– gli impianti sono adibiti al trasporto di persone, in condizioni climatiche che possono anche risultare severe; un disservizio può, di conseguenza, comportare forti disagi per i passeggeri, se non pericoli.

– gli impianti possono essere ubicati in località con situazioni climatiche estremamente variabili (mare, città, montagna) ed inoltre i diversi componenti di uno stesso impianto elettrico vengono installati in ambienti dalle caratteristiche completamente diversificate.

Le presenti P.T.S. – I.E. sono state redatte con particolare riferimento ad ambienti montani, caratterizzati da condizioni climatiche severe (ampie escursioni termiche, forti precipitazioni) ma da aria pulita, esente dalle polveri e dagli aggressivi di cui invece tiene conto la Norma CEI EN 60204-1. Ne derivano le prescrizioni speciali contenute in specifici art. del presente capitolo.

3.1.1 FORNITURA DEGLI EQUIPAGGIAMENTI

L’impresa che fornisce ed installa l’impianto elettrico di funivia deve essere di capacità riconosciuta nel settore. Tale requisito è richiesto, altresì, per effettuare manutenzioni, riparazioni e/o modifiche, in particolare nei sistemi inerenti la sicurezza (sistemi di sorveglianza e di frenatura); in tal caso, l’impresa deve dimostrare una positiva esperienza nello specifico tipo di impianto o, quanto meno, in impianti di complessità assimilabile.

Il possesso, da parte dell’impresa costruttrice, della certificazione di un Sistema Qualità aziendale secondo le Norme della serie EN 2900 (ISO 9000) può costituire titolo preferenziale.

3.1.2 PROTEZIONE CONTRO I CONTATTI DIRETTI ED INDIRETTI ED EQUIPOTENZIALITÀ DELLE MASSE METALLICHE

Ai fini della protezione delle persone e dei beni devono essere rispettate le prescrizioni contenute, per i rispettivi settori di competenza, nelle norme CEI EN 60204-1 (riguardanti l’equipaggiamento elettrico delle macchine) e CEI 64-8 (riguardanti gli impianti elettrici in bassa tensione), con l’avvertenza che per la messa a terra e per le equipotenzialità valgono inoltre le seguenti prescrizioni.

1) – Le stazioni ed i sostegni di linea devono essere dotati di impianto di terra locale al quale devono far capo, con idonee connessioni, le masse metalliche presenti nelle stazioni e lungo la linea; detti impianti locali realizzano la messa a terra di protezione e di funzionamento e devono essere assunte cautele speciali laddove, per la natura rocciosa del terreno, l’interramento dei dispersori risulti difficoltoso od impossibile.

Quando la funivia è alimentata da propria cabina di trasformazione, pur indipendente e separata dall’impianto elettrico di funivia (1.2.1), deve essere verificata l’effettiva separazione ed indipendenza degli impianti di messa a terra, di cabina e di funivia: nel caso negativo è applicabile anche la norma CEI 11-1 (riguardante, fra l’altro, la messa a terra degli impianti di II e di III categoria).

2) – Gli impianti di terra locale delle stazioni e dei sostegni di linea devono essere resi equipotenziali mediante connessioni aventi caratteristiche costruttive almeno pari a quelle indicate nella tab. 7 della norma CEI 81-1, relativa alla protezione delle strutture dalle scariche atmosferiche; nel caso di funivia bifune o di funicolare terrestre, l’equipotenzialità può essere ottenuta ricorrendo alle funi portanti o alle rotaie.

3) – Per la messa a terra delle funi valgono le seguenti prescrizioni.

3.1) – Per le funi non funzionalmente isolate, la messa a terra sarà assicurata:

3.1.1) – per le funi mobili (portanti-traenti e simili), durante l’esercizio: mediante elementi idonei a garantire un contatto galvanico applicato ad almeno una puleggia per ciascuna stazione, laddove l’angolo di avvolgimento dia garanzia di pressione di contatto sufficiente; nei periodi in cui l’impianto è fermo e fuori esercizio: mediante un ulteriore dispositivo supplementare ad ampio contatto, al fine di consentire il passaggio di eventuali correnti elettriche verso terra senza che si produca apprezzabile riscaldamento dei fili;

3.1.2) – per le funi normalmente ferme (portanti, tenditrici e simili), mediante morsetti stabilmente collegati alle funi, ad ampio contatto come sopra descritto;

3.2) – Per le funi funzionalmente isolate (traenti di impianti e funi simili), la messa a terra deve essere assicurata, nei periodi in cui l’impianto si trova fermo e fuori esercizio, mediante dispositivi di collegamento ad ampio contatto come sopra descritto.

3.3) – I dispositivi di messa a terra supplementare di cui sopra per i periodi di impianto fermo e fuori esercizio devono essere dotati di apposita protezione che impedisca la marcia dell’impianto quando detta messa a terra supplementare è applicata alla fune.

3.1.3 PROTEZIONI CONTRO LE SOVRACORRENTI

Fatta salva la rispondenza alle prescrizioni alla Norma CEI EN 60204-1 in materia di sicurezza delle persone e di protezione delle condutture, si specifica inoltre che a protezione dei circuiti interni e delle apparecchiature derivate a valle dell’interruttore di manovra devono essere previsti interruttori automatici o fusibili che soddisfino alle seguenti condizioni:

1) – per la protezione contro i sovraccarichi devono essere usati interruttori automatici con relé termici o contattori con relé termici;

2) – per la protezione contro i corti circuiti (richiesta per tutti i circuiti) possono essere usati interruttori automatici, fusibili o combinazioni di essi;

3) – per le apparecchiature di tipo non sovraccaricabile (scaldiglie, lampade, ecc.) non e richiesta la protezione contro il sovraccarico;

4) – per i semiconduttori devono essere impiegate protezioni di tipo adeguato.

3.1.4 PROTEZIONE DELLE STRUTTURE CONTRO I FULMINI

1) – Gli impianti funiviari devono essere protetti contro le fulminazioni dirette ed indirette secondo le modalità indicate dalla norma CEI 81-1, tenendo conto delle avvertenze contenute nei pt. seg.

2) – Per la scelta delle misure di protezione delle stazioni è applicabile la procedura semplificata di cui all’appendice G della norma; il progetto dell’impianto di protezione individua il tipo e le caratteristiche delle strutture secondo la classificazione di cui all’art. G2 della citata appendice, assumendo per il rischio di incendio il livello ridotto (tab. G2).

Ad es., le stazioni delle funivie bifuni e quelle di monofuni aventi analoghe caratteristiche costruttive e di utilizzazione possono essere assunte nel tipo B mentre le stazioni la cui parte in evidenza della struttura sia prevalentemente metallica possono essere assunte nel tipo C, ovvero D se di esclusivo utilizzo nella stagione invernale. Quanto al rischio di incendio, le P.T.S. relative alla costruzione per i vari tipi di impianto funiviario impongono per le stazioni un carico d’incendio il più basso possibile a causa della sensibilità delle funi agli effetti del calore; di conseguenza, il progettista deve porre particolare attenzione alle eventuali strutture connesse a quelle aventi esclusiva funzione funiviaria.

3) – I sostegni di linea a struttura metallica possono ritenersi protetti; peraltro essi devono essere efficacemente collegati al dispersore locale secondo i criteri disposti dalla norma CEI 81-1.

4) – Gli elementi metallici di stazione e di linea che costituiscono supporto e guida per le funi funzionalmente isolate (generalmente pulegge e rulliere di funivia bifune o di funicolari terrestri) devono essere protetti dalle sovratensioni pericolose mediante idonei limitatori (scaricatori) aventi caratteristiche coordinate con l’isolamento interessato.

5) – Le linee di alimentazione dell’energia elettrica e di conduttori dei circuiti di segnale esterni, di sicurezza e di telecomunicazione costituiscono «impianti esterni» ai sensi dell’art. 1.2.3.18 della norma CEI 81-1; al fine di protezione dalle sovratensioni di origine atmosferica valgono le seguenti avvertenze.

5.1) – Per le linee di alimentazione, al fine di impedire o limitare i danni ed i pericoli derivanti da questi eventi, si devono impiegare le misure tecniche ed i dispositivi (scaricatori, soppressori di sovratensione) più adeguati alle caratteristiche delle varie utenze dell’impianto elettrico di funivia (impiego di convertitori di conduttori aerei o in cavo, ecc.) ed al loro grado di esposizione.

5.2) – Per i conduttori di segnale provenienti dall’esterno delle stazioni (teletrasmissioni, sicurezze di linea, altoparlanti, ecc.) si devono impiegare idonei scaricatori, collocati in apposite cassette poste esternamente ai quadri ed in particolare in prossimità degli organi di deviazione che consentono la messa a terra del circuito medesimo per i periodi in cui l’impianto si trova fuori servizio.

Per ridurre l’entità delle sovratensioni indotte nel circuito di sicurezza esterno è consigliabile l’uso di un cavo bipolare: in tal modo si riduce l’area della spira interessata.

3.1.5 ACCESSO AI LOCALI E AI QUADRI ELETTRICI

L’accesso ai locali contenenti i quadri elettrici dell’impianto di funivia deve essere consentito esclusivamente a persone avvertite (cfr. art. 3.30 della Norma CEI EN 60204-1), ossia al personale addetto o a persone da questi sorvegliate.

Fatta salva la rispondenza alla citata norma e a quant’altre disposizioni siano vigenti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, specificamente per gli impianti a fune in esercizio (D.M. n. 94 del 1972), valgono le prescrizioni seguenti.

1) – Per il normale esercizio, nessuna manovra necessaria (comandi, regolazioni, selezioni, misure fondamentali) deve richiedere l’apertura delle porte dei quadri. Per le prove periodiche, il personale avvertito può aprire le porte che danno accesso ai comandi specifici. I comandi devono essere disposti in posizioni definite in modo che non insorga pericolo di contatti diretti con parti in tensione che superino i 25 V c.a. o i 60 V c.c.

2) – Per le operazioni più frequenti che richiedono l’apertura dei quadri (ordinaria manutenzione, ripristino, regolazione, sostituzione di lampade e fusibili, esecuzione delle prove periodiche), l’accesso deve avvenire tramite porte di tipo scorrevole o a battente, con serratura a chiave. Quelle aperture che sono impiegate solo per operazioni straordinarie di manutenzione o riparazione possono essere chiuse da pannelli con fissaggio a vite, o mediante dispositivi equivalenti per l’apertura dei quali sia necessario un attrezzo; tali aperture non sono considerate porte.

3) – Le porte di accesso ai quadri elettrici contenenti circuiti aventi tensioni superiori a 25 V c.a. o a 60 V c.c. devono essere dotate di dispositivi di blocco meccanici od elettrici, tali che alla loro apertura tutti i circuiti che si trovano all’interno siano posti fuori tensione, ad eccezione dei morsetti di ingresso dell’interruttore di manovra, i quali devono essere protetti contro i contatti diretti. È consentito realizzare sistemi che permettono l’esclusione temporanea dei predetti interblocchi, unicamente per interventi di natura eccezionale, nel rispetto delle prescrizioni vigenti (cfr. Norma CEI EN 60204-1, art. 6.2.1, pt. b).

L’installazione, all’interno dei quadri, di dispositivi lampeggianti di segnalazione di presenza tensione, preferibilmente allacciati immediatamente a valle dell’interruttore generale di quadro, ancorché non prevista dalle Norme, è vivamente raccomandata.

4) – Qualora si presenti la necessità di mantenere taluni circuiti ausiliari in tensione anche quando l’interruttore generale di quadro sia aperto, (caso, ad es., dei circuiti alimentati dalle batterie, di quelli per l’illuminazione interna al quadro e per l’alimentazione delle prese di corrente di servizio a 220 V), è ammesso che essi rimangano alimentati, purché quelli tra di essi la cui tensione supera i 60 V in c.c. o i 25 V in c.a. vengano cablati con fili di colore arancio, ed una targa di avviso sia posta su una porta dell’armadio al fine di mettere in guardia contro i pericoli ad essi connessi (cfr. Norma CEI EN 60204-1, artt. 5.3.5, 15.1.3 e 15.2.4).

3.1.6 DISLOCAZIONE DEI QUADRI ELETTRICI

1) – I quadri elettrici devono essere dislocati in locali idonei, da specificare in sede di progetto, atti a garantire le condizioni climatiche in esso dichiarate in relazione a quanto specificato nell’art. 3.2.5. In ogni caso, è fatto obbligo che, con riferimento agli ambienti considerati nell’art. 3.2.4, la dislocazione dei quadri elettrici rispetti le seguenti prescrizioni.

1.1) – Il locale che alloggia il banco di manovra (locale di comando) ed ogni locale che alloggi quadri ausiliari di comando devono rispondere alle caratteristiche degli ambienti totalmente protetti. Analoghe caratteristiche devono possedere i locali che ospitano le apparecchiature relative ai sistemi di sorveglianza, con l’esclusione dei relativi sensori e condizionatori di segnale, e le apparecchiature di controllo del sistema di frenatura, con l’esclusione dei relativi sensori ed attuatori.

Devono essere altresì ospitate in ambienti totalmente protetti apparecchiature dichiarate dal Costruttore particolarmente sensibili alle condizioni climatiche, fatte salve eventuali altre prescrizioni richieste da quest’ultimo.

1.2) – I locali che ospitano le batterie di accumulatori, sia relative a gruppi di alimentazione di sicurezza che a sorgenti di energia interne all’impianto (ossia destinate alla trazione) devono essere di tipo adeguato, conforme alle norme applicabili e alle indicazioni del Costruttore. In generale, tali ambienti dovranno presentare le caratteristiche degli ambienti totalmente protetti.

1.3) – Ogni apparecchiatura dell’impianto elettrico di funivia, diversa da quelle di cui ai pt. 1.1 ed 1.2 e dalle apparecchiature specificamente dedicate all’installazione in linea o sui piazzali, deve essere alloggiata in ambienti che rispondano, quanto meno, alle caratteristiche degli ambienti parzialmente protetti.

Si specifica che ciò vale, in particolare anche per le apparecchiature relative alle sorgenti di energia interne all’impianto, fatte salve le batterie di accumulatori di cui al pt. 1.2.

2) – In relazione ai rischi cui possono essere esposte le persone, anche ai fini della manutenibilità delle apparecchiature, ed in particolare per consentire l’accesso in condizioni di sufficiente sicurezza ai quadri ed ai circuiti interni, la disposizione dei quadri medesimi deve inoltre rispettare le prescrizioni seguenti.

2.1) – Le porte dei quadri devono potersi aprire completamente, senza interferire con altri quadri chiusi, con pareti od altri ostacoli.

2.2) – Dev’essere assicurato, a porta aperta, uno spazio sufficiente per consentire all’operatore di eseguire i movimenti necessari ad una distanza sufficiente dalle parti attive; per quadri con tensioni superiori a 25 V c.a. oppure 60 V c.c. lo spazio libero accessibile davanti all’apertura del quadro deve avere almeno le seguenti dimensioni: larghezza 0.7 m, profondità 1 m, altezza 2 m.

2.3) – Quando le porte di un quadro sono aperte nel modo previsto per le operazioni di manutenzione, deve rimanere almeno da un lato un passaggio sufficientemente ampio da consentire il rapido allontanamento dal quadro ed il rapido avvicinamento per l’eventuale soccorso di un infortunato.

2.4) – Devono essere applicate le norme generali sulla prevenzione degli infortuni (disponibilità di tappeti isolanti, protezioni individuali, cartelli monitori, regole di comportamento, ecc.).

3) – È compito del Progettista dell’impianto a fune effettuare adeguate analisi sui rischi connessi con le caratteristiche degli ambienti e gestire, di concerto con il Costruttore delle apparecchiature elettriche, la disposizione dei quadri e le eventuali misure di prevenzione dei rischi che possono rendersi necessarie.

Al proposito, si dovrà tenere conto dei pericoli considerati nel cap. 4 della Norma UNI EN 292-1, fra i quali si citano, a titolo di esempio, quelli derivanti dalle seguenti situazioni:

– umidità eccessiva, in particolare tale che si possano raggiungere condizioni di condensazione, tanto all’interno dei quadri quanto all’esterno di essi, e sulla pavimentazione dei locali;

– rumorosità eccessiva, sia ai fini della salvaguardia dell’udito delle persone esposte, sia nei riguardi della percezione di segnali di allarme e di comunicazioni relative alla sicurezza;

– vibrazioni e condizioni di instabilità meccanica dei quadri, che possono determinare rischi di insorgenza di guasti e caduta di oggetti;

– eccessiva vicinanza a parti pericolose (ad es., in movimento oppure sotto tensione), od insufficiente segregazione di queste;

– insufficiente agibilità degli ambienti e delle vie di accesso a quadri, con possibile presenza di materiali estranei o di ostacoli (olio, grasso, ghiaccio, pezzi meccanici, ecc.), tale da determinare, ad es., rischio di scivolamento, urto, impigliamento.

3.1.7 CARATTERISTICHE DEL BANCO DI MANOVRA

1) – Il banco di manovra di ciascun azionamento (1.2.27) deve essere progettato secondo validi princìpi ergonomici. Esso deve essere disposto in modo tale da consentire all’operatore di comandare agevolmente l’impianto e di verificare la risposta ai comandi. In particolare, dovrà essere possibile azionare i comandi e, contemporaneamente, osservare strumenti e segnalazioni nonché avere visione delle pedane di imbarco e sbarco e dell’avanstazione, senza impedimenti di visuale o difficoltà nello spostare rapidamente l’osservazione dal banco di manovra all’impianto; negli impianti a va e vieni è opportuno sia visibile la maggior parte possibile della linea.

Si ritiene che un banco a leggio, posto in corrispondenza della finestra prospiciente la zona d’imbarco, costituisca la soluzione ottimale.

2) – Il banco di ciascun azionamento, oppure ciascuna sezione in cui viene suddiviso un banco comune, deve essere suddiviso in zone secondo raggruppamenti funzionali, che saranno, in linea generale, quanto meno i seguenti:

– strumenti indicatori (2.7.6);

– lampade di segnalazione (2.7.5);

– organi di comando per l’avviamento, il rallentamento, l’arresto e l’inversione del senso di marcia;

– organi di comando diversi, selettori e simili.

Gli organi di comando d’arresto devono essere raggruppati e disposti, per ciascun azionamento, in modo che la scelta e la manovra ne risultino agevoli ed immediate.

Tutti i componenti del banco devono essere contrassegnati mediante apposite indicazioni che ne identifichino le funzioni.

3) – Ad ogni azionamento di trazione dotato di proprio motore deve corrispondere un banco di manovra dedicato oppure una sezione indipendente di un banco di manovra comune, secondo le seguenti specificazioni.

3.1) – Il banco di manovra degli azionamenti principale e di riserva può essere unico e deve essere ubicato nel locale di comando della stazione motrice. ll grado di separazione tra le sezioni relative ai due azionamenti sarà opportunamente correlato col livello di indipendenza tra essi esistente.

Se l’azionamento di riserva è costituito da una parte dell’azionamento principale, si può impiegare una sezione unica, essendo sufficiente una segnalazione dell’azionamento in uso.

3.2) – Il banco di manovra dell’azionamento di soccorso deve essere dedicato o, quanto meno, raccolto in una sezione totalmente indipendente e comunque collocato nel locale di comando vicino al banco di manovra dell’azionamento principale.

3.3) – Il banco di manovra dell’azionamento di recupero deve essere dedicato o, quanto meno, raccolto in una sezione totalmente indipendente; esso deve essere collocato nel locale di comando oppure nei pressi dell’azionamento medesimo, a condizione che rimanga comunque adeguata visibilità del movimento della fune e dei veicoli in stazione.

3.1.8 COMPATIBILITÀ ELETTROMAGNETICA

Le perturbazioni elettromagnetiche possono produrre una riduzione del grado di sicurezza dell’impianto e della funzionalità di apparecchiature elettriche interne od esterne ad esso. Le prescrizioni per il mantenimento del grado di sicurezza sono contenute nell’art. 1.3.19 (1.3.19). Per gli aspetti generali di protezione, gli impianti elettrici di funivia ricadono nel campo d’applicazione della Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 89/336/CEE e del relativo Decreto di recepimento (D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 476).

La Guida all’applicazione della Direttiva emessa dalla Commissione del Consiglio fornisce indicazioni utili per l’uniforme applicazione della Direttiva medesima. In termini generali, in base a tale Guida l’impianto elettrico di funivia può essere classificato come «fixed installation». La maggior parte dei prodotti elettrici impiegati è fornita esclusivamente ad operatori professionali («restricted distribution»). Gli azionamenti elettrici a velocità variabile impiegati negli impianti funiviari rientrano, di regola, nel campo di applicazione della Norma armonizzata di prodotto EN 61800-3 ed operano generalmente in àmbito di «second environment» (ambiente di tipo industriale).

3.1.9 CARATTERISTICHE ED INSTALLAZIONE DEI COMPONENTI

1) – Relativamente ai requisiti dei componenti elettrici e alle modalità della loro installazione, si farà riferimento, fatto salvo quanto già stabilito nelle presenti P.T.S. – I.E., alle prescrizioni contenute nella Norma CEI EN 60204-1.

Nella norma citata si vedano, in particolare, i cap. 10 (Interfaccia con l’operatore e dispositivi di comando montati sulla macchina), 11 (Interfacce di comando e di controllo), 12 (Equipaggiamento elettronico), 13 (Apparecchiature di comando: ubicazione, montaggio e involucri), 14 (Conduttori e cavi), 15 (Cablaggio), 16 (Motori elettrici ed equipaggiamenti associati). 17 (Accessori ed illuminazione) e 18 (Segnali di avvertimento e di identificazione dei componenti).

I componenti impiegati devono essere di buona qualità, idonei all’impiego in applicazioni industriali ed in ogni caso consoni alle condizioni di impiego specificate (cfr. cap. 3.2). Essi devono essere installati in modo da favorire la sicurezza e da agevolare il lavoro, sia nel corso del servizio ordinario che della manutenzione.

2) – Le schede contenenti circuiti elettronici impiegati per svolgere attività connesse con la sicurezza devono essere sottoposte a trattamento di invecchiamento accelerato (BURN-IN) in modo da far presumere scavalcato artificialmente il periodo di comparsa dei guasti precoci (raggiungimento di tasso di guasto costante). Il Costruttore deve rilasciare apposita dichiarazione in merito.

3) – Le apparecchiature ed i relativi componenti devono possedere affidabilità adeguata alle esigenze di sicurezza e di regolarità di esercizio, in relazione alla criticità delle funzioni loro assegnate. Al fine di conseguire l’affidabilità attesa, le apparecchiature devono essere utilizzate nel rispetto delle condizioni di impiego previste, delle scadenze degli interventi periodici di manutenzione preventiva nonché delle eventuali scadenze di sostituzione dei componenti (durata di esercizio prevista). Il Costruttore è tenuto a fornire, nel manuale d’uso e manutenzione, l’insieme delle suddette istruzioni operative; ciò è particolarmente importante per i componenti a vita limitata. L’Esercente è tenuto al rispetto di tali istruzioni, in particolare per quanto riguarda la durata massima d’esercizio dei componenti degli impianti, tenuto anche conto del D.M. 2 gennaio 1985, [n. 23] del Ministero dei trasporti.

3.1.10 GRADI DI PROTEZIONE MECCANICA

I gradi di protezione meccanica delle apparecchiature, per la protezione contro l’accesso a parti pericolose e l’ingresso di corpi solidi estranei oppure di acqua, devono essere scelti in relazione alle caratteristiche degli ambienti in cui sono destinati ad operare (3.2.4) e devono rispondere alle prescrizioni seguenti.

1) – AMBIENTE TOTALMENTE PROTETTO. Le apparecchiature collocate in ambiente totalmente protetto devono possedere grado di protezione minimo IP22, esteso a tutte le parti di ciascuna apparecchiatura, con le seguenti precisazioni.

1.1) – QUADRI ELETTRICI. A porte chiuse, le parti accessibili dei quadri devono possedere grado di protezione minimo IP43; sono ammesse eccezioni per le griglie ed i camini di ventilazione, per cui è richiesto grado minimo IP22, e per le fessure di porte o di pannelli di ispezione, per cui è richiesto grado minimo IP20.

1.2) – PANNELLI CON ORGANI DI COMANDO oppure PANNELLI ORIZZONTALI. I pannelli (ad es. di banchi) che riportano organi di comando quali pulsanti, selettori, ecc., e comunque quelli orizzontali che siano a portata di mano, devono possedere grado di protezione minimo IP54.

1.3) – MOTORI ED ATTUATORI. I motori e gli attuatori devono possedere grado di protezione minimo IP23.

1.4) – ELEMENTI VARI. Scatole di derivazione o contenenti morsettiere, oppure scatole, sensori, trasduttori fissati a parti di macchina (argano, centraline idrauliche, ecc.) devono possedere grado di protezione minimo IP44.

2) – AMBIENTE PARZIALMENTE PROTETTO. Le apparecchiature collocate in ambiente parzialmente protetto devono possedere grado di protezione minimo non inferiore a quello richiesto, per le stesse apparecchiature, in un ambiente totalmente protetto. Tale grado di protezione deve comunque essere convenientemente concordato tra il Progettista dell’impianto funiviario ed il Costruttore elettrico, in modo da assicurare un conveniente livello di sicurezza e di affidabilità nelle effettive condizioni ambientali.

3) – AMBIENTE NON PROTETTO. Le apparecchiature collocate in ambiente non protetto devono possedere grado di protezione minimo non inferiore a IP54; il grado di protezione IP55, comunque preferibile in tutti i casi, è tuttavia obbligatorio per i dispositivi più esposti, ed in particolare per tutti quelli montati in linea.

Per la descrizione del codice IP si veda la Norma europea EN 60529.

3.1.11 DISPOSITIVI VARI

1) – MORSETTIERE. Le morsettiere di interconnessione con l’esterno, montate all’interno dei quadri, devono avere le parti conduttrici protette contro i contatti accidentali, con grado normale di protezione meccanica non inferiore ad IP20. Le morsettiere da installarsi al di fuori dei quadri o di custodie destinati a contenere anche altre apparecchiature elettriche devono essere collocate in involucro rigido di tipo chiuso. Tutti i morsetti devono essere costruiti con materiale resistente all’ossidazione o comunque protetto da questa. Tutti i morsetti devono essere individuabili mediante numeri o lettere corrispondenti a quanto riportato sugli schemi. Essi devono mantenere la pressione di contatto anche in presenza di vibrazioni. La modalità con cui i cavi vengono portati agli involucri e quindi ai morsetti non devono ridurre né il grado di isolamento del cavo né il grado di protezione dell’involucro stesso.

2) – MICROINTERRUTTORI, PULSANTI E DISPOSITIVI ANALOGHI. I contatti dei microinterruttori (interruttori di arresto, di fine corsa, ecc.) ed i dispositivi analoghi devono essere contenuti in custodie rigide di tipo chiuso.

2.1) – I microinterruttori, i pulsanti ed i dispositivi analoghi impiegati per svolgere funzioni di sicurezza devono essere del tipo ad AZIONE POSITIVA.

Un commutatore elettromeccanico si dice ad azione positiva quando l’attuatore agisce direttamente sull’elemento di commutazione tramite un elemento meccanico rigido che forzi la disconnessione del circuito, anche in caso di saldatura tra i contatti; la funzione di commutazione non è perciò affidata ad elementi elastici (molle) (cfr. Norma EN 60947).

2.2) – I relé appartenenti alle catene finali (1.2.48, 2.1.5, 2.1.22 e 2.1.23) e quelli relativi ai due canali del ricevitore del circuito delle sicurezze di linea (2.1.37) devono essere del tipo «A CONTATTI GUIDATI» (altrimenti detti «A SICUREZZA AUMENTATA»).

2.3) – I sensori del circuito delle sicurezze di linea collocati sui sostegni devono essere barrette a frattura dotate di terminali flessibili collegati al resto del circuito con idonei connettori; i suddetti collegamenti devono avere caratteristiche non inferiori a quelle richieste per le morsettiere; sono ammessi altri sistemi che presentino affidabilità non inferiore a quella del sistema descritto.

3) – CONDUTTORI. Per i circuiti di comando e segnalazione i conduttori installati all’esterno dei quadri devono essere del tipo flessibile (cordato).

La sezione minima si considera pari ad 1.5 mm2; si ammettono sezioni inferiori per conduttori di circuiti comunque contenuti interamente all’interno delle stazioni e a condizione che siano meccanicamente protetti: in tal caso, la sezione minima si considera pari ad 1.0 mm2, ad eccezione di conduttori speciali per segnali, quali i cavi schermati, per i quali si possono adottare, ove sufficienti, valori inferiori.

Per i conduttori di tali circuiti che sono installati all’interno dei quadri valgono le prescrizioni della Norma CEI EN 60204-1.

Queste prescrizioni sono intese ad assicurare un grado minimo di robustezza meccanica e non tengono conto delle esigenze elettriche, che possono richiedere l’impiego di conduttori di maggiore sezione.

4) – CONTATTORI. Per i contatori e gli avviatori si farà riferimento, in particolare, alle Norme EN 60947-3 (CEI 17-11) e EN 60947-4-1 (CEI 17-50).

3.2 CONDIZIONI DI IMPIEGO E PRESTAZIONI DELLE APPARECCHIATURE

3.2.1 CONDIZIONI NORMALI PER L’IMPIEGO DELLE APPARECCHIATURE

1) – L’impianto elettrico di funivia deve essere progettato e costruito per operare correttamente da vuoto a pieno carico nelle condizioni di alimentazione elettrica normali di cui all’art. 3.2.2, a meno di specifiche diverse date dall’utilizzatore (3.2.3).

Si veda, al proposito, l’art. 4.3 della Norma CEI EN 60204-1.

2) – L’impianto elettrico di funivia, installato secondo le prescrizioni delle presenti P.T.S. – I.E. e collocato in ambienti adatti e caratterizzati da condizioni climatiche normali, deve altresì funzionare correttamente nel pieno delle prestazioni previste in sede di progetto.

3.2.2 CONDIZIONI DI ALIMENTAZIONE ELETTRICA NORMALI

1) – ALIMENTAZIONE IN CORRENTE ALTERNATA. Le condizioni di alimentazione elettrica, relative all’energia fornita all’impianto elettrico di funivia dalle sorgenti di energia in corrente alternata, sia esterne che interne all’impianto stesso, si considerano normali quando le grandezze caratteristiche si mantengono entro i campi di variazione ammissibili di seguito specificati.

1.1) – Tensione efficace a regime sinusoidale permanente compresa tra il 90% e il 110% del valore nominale (range ±10%).

1.2) – Frequenza compresa tra il 98% e il 102% del valore nominale, per sorgenti di energia interne all’impianto elettrico di funivia (range ±2%); compresa tra il 96% e il 104% del valore nominale, per sorgenti di energia esterne all’impianto (range ±4%).

1.3) – Distorsione armonica totale (T.H.D.) di tensione non superiore al 10% e distorsione armonica calcolata sulle sole armoniche di ordine dispari non superiore al 5%.

Si veda, al proposito, l’art. 5.1 della Norma EN 61800-1 (22G) (Adjustable speed electric drive systems. Part 1: General purpose low voltage adjustable frequency AC drive systems).

1.4) – Dissimmetria della tensione tale che il valore efficace delle componenti di sequenza inversa ed omopolare non superi il 2% di quello della componente diretta.

Si veda, al proposito, la Norma CEI EN 60204-1.

1.5) – Impulsi di tensione aventi durata non eccedente 1,5 ms, con tempi di salita / discesa compresi tra 500 ns e 500 µs e valore di picco non superiore al 200% del valore nominale della tensione.

Si veda, al proposito, la Norma CEI EN 60204-1.

1.6) – Interruzioni della tensione di alimentazione non superiori a 3 ms in ogni istante casuale del ciclo; il tempo tra due successive interruzioni deve superare il minuto secondo.

Si veda, al proposito, la Norma CEI EN 60204-1.

1.7) – Le tacche di tensione (notch) devono avere profondità non superiore al 40% della tensione efficace nominale; la loro durata, espressa in termini di intervallo di fase, non deve essere superiore a 6.3° (circa 0.11 rad) e l’area non deve superare il prodotto del 250% della tensione efficace nominale per la durata, espressa in gradi di intervallo di fase.

Si veda, al proposito, l’art. 5.3 della citata Norma EN 61800-1.

1.8) – Per le sorgenti di energia esterne all’impianto, il rapporto tra la potenza di corto circuito fornita dalla sorgente al punto di allacciamento e la potenza installata nell’impianto elettrico di funivia deve essere non inferiore a 20.

Si veda ancora, al proposito, l’art. 5.3 della citata Norma EN 61800-1.

1.9) – Per le sorgenti di energia interne all’impianto, è necessario un adeguato rapporto tra la potenza installata e quella del carico massimo previsto. Le caratteristiche di alimentazione fornite dalla sorgente devono essere oggetto di accordo tra i fornitori delle apparecchiature, in particolare in relazione all’eventuale necessità di alimentare convertitori statici. Devono essere previsti un tipo di collegamento ed una tecnica di regolazione del generatore idonei e la potenza scambiabile, in particolare recuperabile, deve essere consona alle esigenze dell’impianto e tale da far rispettare i limiti di frequenza sopra specificati.

1.10) – La distorsione armonica di corrente, nell’impiego di sorgenti di energia esterne all’impianto, deve essere contenuta nei limiti imposti dall’ente fornitore dell’energia medesima.

2) – ALIMENTAZIONE IN CORRENTE CONTINUA. Le condizioni di alimentazione elettrica, relative all’energia fornita all’impianto elettrico di funivia dalle sorgenti di energia in corrente continua, sia esterne che interne all’impianto stesso, si considerano normali quando le grandezze caratteristiche si mantengono entro i campi di variazione ammissibili di seguito specificati.

2.1) – Per alimentazione da batteria, la tensione continua (media) dovrà essere compresa tra l’85% ed il 115% del valore nominale, con interruzioni non superiori a 5 ms; per alimentazione da convertitore, la tensione dovrà essere compresa tra il 90% ed il 110% del valore nominale, con interruzioni non superiori a 20 ms; il tempo tra due interruzioni deve superare il minuto.

2.2) – Il valore dell’ondulazione di tensione, espresso come ripple picco-picco, deve essere non superiore al 15% del valore nominale della tensione continua.

Si veda, al proposito, il progetto di Norma europea prEN 50178 (Equipaggiamento elettronico per impiego in installazioni di potenza).

3.2.3 CONDIZIONI DI ALIMENTAZIONE ELETTRICA ECCEZIONALI

Qualora si rilevi che le condizioni effettive di alimentazione dell’impianto elettrico di funivia si trovano al di fuori dei limiti considerati normali, dovranno essere prese opportune misure che saranno oggetto di accordo tra il committente ed il fornitore dell’impianto elettrico.

3.2.4 AMBIENTI DI COLLOCAZIONE DELLE APPARECCHIATURE

In relazione al grado di protezione presente nei confronti degli agenti atmosferici, si individuano i seguenti tre tipi di ambiente.

1) – AMBIENTE TOTALMENTE PROTETTO. Ambiente ottenibile in un locale completamente protetto dagli agenti atmosferici, con particolare riferimento ad ogni tipo di precipitazione, all’umidità condensante, al gelo e al vento, e dotato perciò di sufficienti caratteristiche di coibentazione e di eventuale condizionamento.

Esempio tipico di ambiente totalmente protetto è quello di un locale di stazione isolato e riscaldato, tenuto a porte chiuse.

2) – AMBIENTE PARZIALMENTE PROTETTO. Ambiente dotato di elementi di copertura e riparo tali da garantire protezione totale nei confronti delle precipitazioni, sia dirette che sospinte dal vento, e dalle infiltrazioni di acqua e neve, comprese quelle dovute a stillicidio (ad es. dovuto all’acqua trasportata dalle funi), ma di protezione soltanto parziale nei confronti del vento, dell’umidità e del gelo.

Esempi tipici di ambiente parzialmente protetto sono quelli di una sala argano pensile e della parte interna di un sottotetto in cui sono alloggiati i convogliatori di giro stazione di molti impianti ad ammortamento automatico.

3) – AMBIENTE NON PROTETTO. Ambiente nel quale non sia presente alcuna protezione nei confronti degli agenti atmosferici o comunque nel quale le protezioni siano insufficienti per configurare le caratteristiche dell’ambiente parzialmente protetto.

Esempi tipici di ambiente non protetto sono l’ambiente esterno che si presenta in linea, sui sostegni, sui piazzali di imbarco delle stazioni di molti impianti a moto continuo e le zone terminali verso l’avanstazione dei sottotetti in cui sono alloggiate le travi di lancio e di rallentamento di molti impianti ad ammortamento automatico.

3.2.5 CONDIZIONI CLIMATICHE NORMALI

1) – Sono specificati nel seguito tre tipi di condizioni climatiche considerate normali in relazione agli ambienti in cui esse dovrebbero essere riscontrate. Dette condizioni climatiche si intendono normali solo se i valori normali dei parametri si presentano tanto in esercizio quanto fuori esercizio, fatti salvi i diversi campi di variazione ammessi per la temperatura e l’umidità, ivi specificati, con l’avvertenza che esse vanno riscontrate nell’ambiente immediatamente circostante l’oggetto di interesse (quadro elettrico, motore, sensore, ecc.) completo del suo eventuale involucro.

Pertanto, si precisa che le condizioni climatiche non sono riferite all’interno dell’involucro che contiene l’oggetto (armadio, scatola, quadro protetto, ecc.).

2) – TEMPERATURA ED UMIDITÀ. Sono definite condizioni climatiche normali quelle comprese nei seguenti campi di variazione di temperatura ed umidità, in relazione ai tipi di ambiente definiti nell’art. 3.2.4.

2.1) – CONDIZIONI CLIMATICHE NORMALI DI AMBIENTE TOTALMENTE PROTETTO. Le condizioni climatiche sono considerate normali, all’interno di un ambiente totalmente protetto, se la temperatura e l’umidità si mantengono nei seguenti limiti.

Temperatura (in esercizio):

           

+5 °C

           

÷

           

+40 °C

Temperatura (fuori esercizio):

           

-25 °C

           

÷

           

+55 °C

Umidità relativa:

           

5%

           

÷

           

           

85%

Umidità assoluta:

           

1 g/m3

           

÷

           

25 g/m3

                                                           

L’umidità assoluta è espressa in grammi di acqua per metro cubo di aria e, in relazione alla temperatura presente, non deve consentire che si presentino fenomeni di condensazione.

Le condizioni descritte corrispondono, limitatamente a temperatura ed umidità ed escludendo invece la pressione, alle condizioni climatiche di tipo B classificate nella Tabella 7 di cui all’art. 6.1 del progetto di Norma europea prEN 50178 (Equipaggiamento elettronico per impiego in installazioni di potenza).

2.2) – CONDIZIONI CLIMATICHE NORMALI DI AMBIENTE PARZIALMENTE PROTETTO. Le condizioni climatiche sono considerate normali, in un ambiente parzialmente protetto, se la temperatura e l’umidità si mantengono nei seguenti limiti.

Temperatura (in esercizio):

           

-20 °C

           

÷

           

+55 °C

Temperatura (fuori esercizio):

           

-25 °C

           

÷

           

+55 °C

Umidità relativa:

           

4%

           

÷

           

100%

Umidità assoluta:

           

0.9 g/m3

           

÷

           

36 g/m3

                                   

L’umidità assoluta, in relazione alla temperatura presente, non deve consentire che si presentino fenomeni permanenti di condensazione né, quindi, rilevanti formazioni di ghiaccio, sebbene possano presentarsi fenomeni di condensazione occasionali.

Le condizioni descritte corrispondono, limitatamente a temperatura ed umidità ed escludendo invece la pressione, alle condizioni climatiche di tipo C classificate nella Tabella 7 di cui all’art. 6.1 del progetto di Norma europea prEN 50178 (Equipaggiamento elettronico per impiego in installazioni di potenza).

2.3) – CONDIZIONI CLIMATICHE NORMALI DI AMBIENTE NON PROTETTO. Le condizioni climatiche sono considerate normali, in un ambiente non protetto, se la temperatura si mantiene nei seguenti limiti.

Temperatura (in esercizio):

           

-25 °C

           

÷

           

+55 °C

Temperatura (fuori esercizio):

           

-40 °C

           

÷

           

+55 °C

                                   

L’esposizione alle precipitazioni comporta. ovviamente, la possibilità di fenomeni permanenti di condensazione.

3) – DENSITÀ DELL’ARIA. La dissipazione del calore prodotto dalle apparecchiature è intesa ottenuta mediante ventilazione a convezione naturale o forzata, impiegando quale fluido di raffreddamento l’aria ambiente avente densità specificata. Data la natura degli impianti di trasporto a fune, frequentemente ubicati ad altitudini elevate, si considera normalmente densa l’aria tipo alla quota considerata, nell’àmbito delle escursioni termiche ammesse nelle condizioni climatiche normali di cui al pt. 2, e nell’àmbito delle variazioni di pressione legate all’evoluzione delle condizioni meteorologiche. L’altitudine di installazione delle diverse apparecchiature deve pertanto essere dichiarata in sede di progetto, fornendo la quota delle stazioni.

La pressione atmosferica standard a livello del mare e a +15 °C vale 1013.33 hPa; a quella pressione la densità dell’aria secca è 1.23 kg/m3; il rateo di variazione della pressione rispetto all’incremento di quota può essere approssimativamente assunto pari a -0.1 hPa/m.

4) – QUALITÀ DELL’ARIA. In ciascun tipo di ambiente, l’aria si intende pulita (pressoché priva di polvere, particolato in sospensione, ecc.) e non contaminata da sostanze gassose tossiche (combustibili, aggressivi, solventi, lubrificanti, ecc.); l’atmosfera non deve essere salmastra.

5) – QUALITÀ DEGLI AMBIENTI. Gli ambienti parzialmente o totalmente protetti non devono in alcun caso presentare concentrazioni o depositi salini (assenza di salsedine) né consentire l’aggressione da parte di muffe. Gli ambienti totalmente protetti devono garantire idonee difese nei confronti dei roditori. Le condizioni di installazione delle apparecchiature devono comunque garantire un livello di vibrazioni non eccessivo (cfr. Norma CEI EN 60204-1, art. 4.4.7).

3.2.6 CONDIZIONI CLIMATICHE ECCEZIONALI

Qualora si rilevi che gli ambienti in cui vengono installate le apparecchiature non possano, in tutto o in parte, garantire il rispetto delle rispettive condizioni climatiche normali, dovranno essere prese opportune misure, da riportare in sede di progetto, che saranno oggetto di accordo tra il committente ed il fornitore dell’impianto elettrico. In particolare, si specifica quanto segue.

1) – Se in ambiente totalmente protetto non sono garantite le condizioni climatiche normali ad esso relative, si rende necessario l’uso di un impianto di climatizzazione o di riscaldamento, oppure di componenti elettrici ad esteso campo di funzionamento, tropicalizzati, protetti, ecc.

2) – In presenza di atmosfera salmastra devono essere usati componenti opportunamente protetti contro la corrosione.

3) – In presenza di sensibili quantità di polvere (comunque non pericolosa) devono essere usati opportuni filtri, da mantenersi efficienti secondo gli intervalli di manutenzione prescritti dal Costruttore.

3.2.7 CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELL’IMPIANTO

1) – I valori delle seguenti grandezze caratteristiche, specifiche dell’impianto, devono essere riportati in sede di progetto e nel manuale d’uso e manutenzione ed inoltre essere facilmente leggibili presso il banco di comando dei relativi azionamenti:

1.1) – anno di costruzione;

1.2) – tensione nominale di alimentazione agli interruttori generali;

1.3) – tensione nominale di alimentazione dei circuiti di potenza;

1.4) – tensione nominale di alimentazione delle linee di alimentazione dei servizi di sicurezza;

1.5) – potenza nominale ed autonomia della sorgente di energia di riserva interna all’impianto;

1.6) – potenza e corrente nominale di ciascun azionamento;

1.7) – coppia nominale di impianto (2.4.3);

1.8) – velocità di marcia nominale con ciascuno degli azionamenti previsti;

1.9) – portata oraria dell’impianto, nelle diverse condizioni di esercizio previste;

1.10) – valori nominali delle grandezze di comando e regolazione degli attuatori dei freni meccanici;

1.11) – tensione nominale dell’anello trattivo e pressione nominale del dispositivo di tensione idraulica, se presente;

1.12) – tensione nominale delle funi ancorate, se presenti.

2) – I valori delle seguenti grandezze, inoltre, devono essere riportati su ciascun quadro cui si riferiscono, trascritti su apposite targhe:

2.1) – anno di costruzione;

2.2) – marchio di fabbrica;

2.3) – numero di serie o di commessa;

2.4) – numero di fasi e frequenza;

2.5) – tensione nominale di alimentazione;

2.6) – tensione nominale di uscita, se diversa da quella d’ingresso;

2.7) – corrente nominale di ingresso, a pieno carico;

2.8) – corrente nominale di uscita, a pieno carico, nel caso di utenza singola;

2.9) – potere d’interruzione dell’interruttore d’ingresso;

2.10) – limite di corrente massima del convertitore, ove esista.

Si osserva come debbano comunque essere inoltre riportate, trascritte su apposite targhe, le informazioni previste dall’art. 18.4 della Norma CEI EN 60204-1.

3.2.8 TRASPORTO, MAGAZZINAGGIO, INSTALLAZIONE ED IMPIEGO DELLE APPARECCHIATURE

1) – L’apparecchiatura elettrica deve essere trasportata, maneggiata, immagazzinata, installata ed impiegata, secondo le istruzioni del Costruttore, da persone qualificate o da persone addestrate per i vari compiti, sotto la supervisione di persone qualificate. Lo stesso vale per le operazioni di cablaggio, sostituzione di parti, manutenzione straordinaria e simili.

2) – Durante le operazioni di trasporto e di magazzinaggio delle apparecchiature è ammesso che esse siano esposte, per non più di 24 h, a temperature maggiori di quelle massime ammesse per le condizioni climatiche normali degli ambienti di installazione, e comunque comprese nell’intervallo -25 °C ÷ +70 °C (cfr. Norma CEI EN 60204-1, art. 4.5).

3) – L’installazione delle apparecchiature (posa in opera ed esecuzione dei collegamenti) deve essere eseguita in condizioni tali da evitare pericoli per le persone e danni alle apparecchiature medesime e ai cablaggi.

Durante e dopo l’installazione si devono evitare, per quanto possibile, lavori che possono comportare l’insorgere di tali effetti.

4) – È proibito apportare qualsiasi modifica alle apparecchiature elettriche che non sia espressamente autorizzata dal Direttore di esercizio, eventualmente sentito il Costruttore; la sostituzione di componenti guasti deve avvenire con parti di ricambio aventi caratteristiche non inferiori a quelle dell’elemento originale; eventuali ritarature devono avere l’unico scopo di ripristinare i valori di progetto, e rimane comunque valido quanto disposto dal pt. 4 dell’art. 2.1.24. Ogni variazione deve essere autorizzata dal Direttore di esercizio ed eventualmente, se del caso sentito il Costruttore, dall’Autorità di sorveglianza, secondo quanto previsto dalle P.T.S. nelle parti relative alle Norme di Esercizio. Opportuni accorgimenti devono essere adottati per evitare che persone estranee all’impianto possano manomettere le apparecchiature, i cui organi di comando e regolazione, a tal fine, devono poter essere chiusi con sigilli a piombo o chiavi.

3.2.9 REGOLARITÀ DI ESERCIZIO E RICAMBI

L’impianto elettrico di funivia deve essere progettato in maniera tale da rendere diagnosticabili e riparabili il più rapidamente possibile i guasti, affinché siano limitate le possibilità che, per guasto singolo, l’impianto a fune venga a trovarsi in una condizione che richiede l’evacuazione della linea.

Il Costruttore dovrà fornire, nel manuale d’uso e manutenzione, I’elenco dei ricambi consigliati che risultano fondamentali ai fini della regolarità d’esercizio.

Parte 4

Documentazione tecnica.

4.1 PROGETTO

4.1.1 DOCUMENTI DI PROGETTO

I documenti di progetto sono ripartiti in tre gruppi:

1) – PROGETTO PRELIMINARE. Per progetto preliminare si intende il progetto che definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dell’impianto elettrico in relazione a quelle dell’impianto funiviario e delle relative prestazioni; esso è richiesto, di regola, solo nel caso di impianti innovativi, ed in tal caso comprenderà una relazione illustrativa generale che dovrà scendere sufficientemente in dettaglio relativamente alle nuove soluzioni proposte per la parte elettrica e/o strettamente funiviaria; I’eventuale giudizio favorevole, ai sensi dell’art. 4 del Reg. Generale, non comporta il rilascio dell’approvazione o nulla osta di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 753 del 1980.

2) – PROGETTO DEFINITIVO. Per progetto definitivo si intende il progetto che comprende gli elaborati, descrittivi e grafici, contenenti i dati necessari per individuare compiutamente l’impianto, nonché quelli che ne condizionano caratteristiche, prestazioni e fattibilità in modo determinante, nella logica della «progettazione integrale», ovverossia di quella metodologia progettuale attraverso la quale si attua un’integrazione tra i progetti di tutte le discipline coinvolte (ad es. edile, meccanico, elettrico, di protezione conto i fulmini, ecc.); esso comprende tutti i documenti necessari al rilascio delle prescritte autorizzazioni alla realizzazione.

3) – PROGETTO ESECUTIVO. Per progetto esecutivo si intende il progetto che comprende gli elaborati descrittivi e grafici particolareggiati atti a definire le caratteristiche dell’impianto in ogni suo aspetto costruttivo, nonché le principali caratteristiche dei componenti scelti. Esso è redatto, in conformità al progetto definitivo, prima della realizzazione dell’impianto e deve consentire che ogni elemento sia identificabile per dislocazione, tipologia, funzione e qualità.

I documenti previsti sono in accordo con l’art. 16 («Attività di progettazione») della legge 2 giugno 1995, n. 216 in modifica alla legge n. 109 del 1994 relativa ai Lavori Pubblici.

I documenti di progetto devono essere redatti secondo le indicazioni della Norma CEI 0-2 («Guida per la definizione della documentazione di progetto degli impianti elettrici», 1995).

I documenti di progetto devono essere prodotti, in generale, in fogli di formato UNI A4; se necessario, per i disegni e per gli schemi si possono comunque utilizzare fogli di formato UNI A3. Andranno ivi utilizzati i simboli di cui all’art. 4.1.5.

4.1.2 PROGETTO PRELIMINARE

Il progetto preliminare dell’impianto elettrico deve, di norma, essere integrato con quello dell’impianto funiviario cui si riferisce.

La relazione illustrativa dev’essere corredata da:

1) – descrizione sommaria dell’impianto;

2) – dati essenziali di progetto;

3) – criteri di scelta delle soluzioni impiantistiche e delle caratteristiche funzionali;

4) – criteri di scelta dei componenti principali;

5) – schema strutturale dell’impianto elettrico e delle alimentazioni;

6) – descrizione delle eventuali soluzioni innovative, corredata da particolareggiata documentazione, atta a consentirne una valutazione di ammissibilità.

4.1.3 PROGETTO DEFINITIVO

Relativamente all’impianto elettrico di funivia, il progetto definitivo deve comprendere i documenti di seguito elencati.

Si rammenta che, in base all’art. 1.1.3, la documentazione tecnica di seguito specificata, relativa all’equipaggiamento elettrico, deve quanto meno rispondere alle raccomandazioni contenute nel Cap. 3.2 della Norma CEI EN 60204-1.

1) – Relazione descrittiva generale dell’impianto elettrico, comprendente:

1.1) – descrizione delle caratteristiche strutturali e tipologiche generali;

1.2) – illustrazione dei princìpi di funzionamento, con particolare riferimento ai criteri di sicurezza adottati;

1.3) – descrizione delle caratteristiche delle sorgenti di energia previste, sia esterne che interne all’impianto, e delle relative distribuzioni, con particolare riguardo ai requisiti di cui agli art. 2.8.11, 2.8.7 e 2.8.12; ove ricorra, sono da indicare eventuali differenze, rispetto alle condizioni di alimentazione elettrica normali (3.2.2), che siano state concordate tra Committente e Costruttore (3.2.3);

1.4) – caratterizzazione degli ambienti di collocazione delle apparecchiature (3.2.4) e descrizione delle condizioni climatiche in cui verranno a trovarsi le apparecchiature medesime, con indicazione delle eventuali differenze, rispetto alle condizioni climatiche normali (3.2.5), che siano state oggetto di accordo tra Committente e Costruttore (condizioni climatiche eccezionali (3.2.6));

1.5) – criteri di scelta e descrizione del sistema di protezione contro i fulmini con individuazione delle principali misure assunte, da definire in coerenza con l’eventuale progettista specifico delle opere edili.

2) – Rappresentazioni schematiche delle seguenti parti:

2.1) – schema, anche unifilare, del sistema delle alimentazioni, esterne ed interne, e delle relative distribuzioni ai vari armadi ed ambienti;

2.2) – schemi funzionali, anche a blocchi, dei circuiti di cui all’art. 1.2.1, riportante le funzioni realizzate ed il loro ordinamento logico, con particolare riguardo alle funzioni di regolazione e di sorveglianza previste, sia di sicurezza che di protezione; dovranno essere indicate le eventuali ridondanze con cui sono realizzate le funzioni di sicurezza o comunque con cui sono svolte sui segnali elaborazioni connesse con la sicurezza;

2.3) – rappresentazione topografica, anche sistematica, della dislocazione:

2.3.1) – dell’eventuale cabina elettrica, dei locali per le sorgenti d’energia interna, dei locali che contengono i quadri elettrici, anche in relazione ai requisiti di accessibilità e di funzionalità di cui agli artt. 3.1.6, 3.1.7 e 3.1.5, nonché dei sistemi di illuminazione;

2.3.2) – degli elementi costitutivi dell’impianto, dai quali sia desumibile l’ubicazione dei componenti elettrici che svolgono le funzioni di sorveglianza previste;

2.3.3) – dell’impianto di terra, con particolare riguardo all’ubicazione dei collettori principali di terra e dei dispersori.

3) – Relazione descrittiva e schemi funzionali di dettaglio relativi ad eventuali soluzioni, anche parziali, innovative o di nuova adozione.

4.1.4 PROGETTO ESECUTIVO

Relativamente all’impianto elettrico di funivia, il progetto esecutivo deve comprendere i seguenti documenti:

1) – Schemi elettrici delle apparecchiature costituenti l’impianto elettrico di funivia e dei relativi collegamenti, comprendente:

1.1) – legenda dei componenti rappresentati negli schemi elettrici, riportante le loro caratteristiche fondamentali anche ai fini dell’eventuale sostituzione;

1.2) – indicazione del valore della corrente di guasto a terra del sistema di alimentazione, se di II categoria (cfr. Norma CEI 11-1);

1.3) – indicazione dei valori della corrente di corto circuito presunta nel punto di consegna e a monte dell’interruttore generale;

1.4) – schemi elettrici dei circuiti di cui all’art. 1.2.1, redatti in conformità all’art. 4.1.5;

1.5) – relazione sugli impianti di messa a terra elettrica, riportante gli schemi dei medesimi, la descrizione delle misure adottate per assicurare le connessioni di equipotenzialità tra le strutture metalliche dell’impianto e delle funi non isolate con l’impianto di terra medesimo e la dimostrazione di ammissibilità delle tensioni di passo e di contatto secondo le Norme CEI 64-8 ed 11-1.

2) – Rappresentazione topografica degli organi meccanici dell’argano e di movimentazione del giro stazione, indicante l’ubicazione dei diversi componenti rappresentati negli schemi elettrici e le loro sigle di identificazione, con riferimento ai sistemi di regolazione e di sorveglianza.

3) – Disegno di insieme indicante la disposizione dei dispositivi di comando, di segnalazione e di misura collocati sui banchi di manovra e sui fronti dei quadri ausiliari di comando o di altri quadri, con particolare riferimento ai requisiti di cui all’art. 3.1.7.

4) – Documentazione relativa al software impiegato, secondo le indicazioni dell’art. 2.1.21.5.

5) – Copia del manuale di uso e manutenzione dell’impianto elettrico di funivia (4.2.2).

4.1.5 REDAZIONE DEGLI SCHEMI ELETTRICI

Fatto salvo quanto indicato dalle Norme CEI S452 («Raccolta di segni grafici da usare negli schemi elettrici relativi agli impianti a fune e modalità di rappresentazione degli schemi elettrici»), relativamente ai sistemi di individuazione di componenti, morsetti e conduttori, gli schemi elettrici devono essere redatti utilizzando i segni grafici e le modalità di rappresentazione stabiliti dalle norme vigenti per le apparecchiature elettriche di macchine industriali.

Si vedano, al proposito, i documenti della serie IEC 60617, cui sono armonizzate le Norme CEI della serie 3, con riferimento, in particolare, alle Norme CEI dalla 3-14 alla 3-22; si vedano inoltre la Norma 3-34 (pubblicazione IEC 750) e la Modifica I (CEI 446) alla Norma EN 60204-1.

4.1.6 ESAME DEL PROGETTO E DELLE PROCEDURE

In merito all’esame del progetto ed alle procedure da seguire per il rilascio dell’autorizzazione o del nullaosta ex art. 3 del D.P.R. n. 753 del 1980 valgono i criteri fissati nelle P.T.S. vigenti per le varie tipologie di impianti funiviari.

4.2 DOCUMENTAZIONE

4.2.1 DICHIARAZIONI DI CONFORMITÀ E RISPONDENZA

Il Costruttore dell’impianto elettrico di funivia deve rilasciare i seguenti documenti:

1) – dichiarazione di conformità generale alle presenti P.T.S. – I.E., accompagnata dalle specifiche dichiarazioni di rispondenza delle apparecchiature:

– alle condizioni di alimentazione elettrica normali di cui all’art. 3.2.2 e, se previste, a quelle eccezionali dichiarate dal Cliente (3.2.3), con particolare riferimento all’impiego delle sorgenti di energia interne;

– alle condizioni climatiche normali di cui all’art. 3.2.5 e, se previste, a quelle eccezionali dichiarate dal Cliente (3.2.6), in relazione alle caratteristiche degli ambienti entro i quali è prevista la collocazione delle apparecchiature;

2) – dichiarazione di costruzione a regola d’arte e di conformità alle Norme CEI applicate, secondo le leggi vigenti, accompagnata dalle specifiche dichiarazioni di conformità, in particolare, alle norme applicabili relativamente all’impianto di terra (3.1.2) e alla protezione delle strutture contro i fulmini (3.1.4);

3) – dichiarazione di rispondenza dell’impianto di illuminazione alla legge 5 marzo 1990, n. 46 (Norme per la sicurezza degli impianti).

Qualora, nella fornitura dell’impianto elettrico di funivia, si configuri un Costruttore primario avvalentesi di subfornitori, ciascuno di questi sarà tenuto a fornire le dichiarazioni di cui sopra per quanto attiene alla parte di loro competenza.

4.2.2 MANUALE D’USO E MANUTENZIONE

Il manuale di uso e manutenzione dell’impianto elettrico di funivia dovrà comprendere, quanto meno, le seguenti informazioni.

1) – Descrizione generale dell’impianto.

2) – Illustrazione del funzionamento dell’impianto e dei principali sottosistemi.

3) – Istruzioni d’impiego del software di sistema.

4) – Illustrazione del sistema di supervisione, con riferimento ad informazione e diagnostica.

5) – Periodicità obbligatorie e consigliate degli interventi di manutenzione sulle apparecchiature elettriche, con indicazione della durata di utilizzazione prevista per particolari tipologie di componenti a vita limitata, secondo gli artt. 3.1.9 e 3.2.9; indicazione delle scadenze di revisione e delle durate di esercizio previste, in riferimento a quanto specificato dal D.M. 2 gennaio 1985, [n. 23]; elenco dei componenti di ricambio obbligatori e consigliati, ai sensi del pt. 4 dell’art. 2.1.38.

6) – Modalità di esecuzione degli interventi di manutenzione di cui al pt. 5.

7) – Periodicità obbligatorie e consigliate delle prove periodiche, con particolare riguardo alla verifica delle tarature delle soglie di intervento delle funzioni di sorveglianza e di controllo.

8) – Modalità di esecuzione delle prove periodiche di cui al pt. 7.

9) – Elenco dei valori di taratura delle soglie di intervento di tutte le funzioni di sicurezza e delle principali funzioni di protezione, con indicazione dei dispositivi di taratura e della posizione dei loro eventuali indici.

Ad es.: massima velocità, taratura a 5 m/s, su potenziometro VEL MAX della scheda di controllo velocità, indice del potenziometro al 60% del fondo scala.

Parte 5

Disposizioni finali.

I progetti degli impianti presentati successivamente alla data di pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dovranno soddisfare i requisiti fissati dalle presenti norme.

Sono abrogate le precedenti disposizioni emanate in materia, tranne quelle espressamente richiamate nel testo.

 

ALLEGATI OMESSI

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