CASSAZIONE PENALE, SEZ. IV, sentenza 19 marzo 2013, n. 26239
CASSAZIONE PENALE, SEZ. IV, 19 MARZO 2013, N. 26239
Disastro aviatorio colposo – Circostanza aggravante/fattispecie autonoma – Concorso di persone nel reato – Responsabilità
In tema di colpa omissiva, l’obbligo giuridico di attivarsi gravante sull’agente può originare anche dall’esercizio di attività pericolose, dovendosi intendere per tali non solo quelle così identificate dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì ogni attività che per sua stessa natura o per le caratteristiche di esercizio comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno.
La disposizione prevista dal comma 2 dell’art. 449 c.p., relativa al raddoppio della pena in determinate ipotesi, prevede un titolo autonomo di reato e non una circostanza aggravante dell’ipotesi prevista nel comma 1 dello stesso articolo.
La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all’incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli. (Fattispecie in tema di disastro aviatorio colposo in cui la S.C. ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza di appello, che aveva riconosciuto la responsabilità anche del secondo pilota, unitamente a quella del primo pilota, in relazione al rovinoso ammaraggio di un velivolo per improvviso spegnimento in volo dei motori propulsori, reputando non rilevante che detto co-pilota non rivestisse una posizione apicale nella gerarchia dell’equipaggio di bordo ed affermando che egli dovesse parimenti rispondere di non essersi prudentemente attivato, una volta constatato l’atteggiamento colpevolmente omissivo da parte del superiore gerarchico, nel seguire le fasi del rifornimento di carburante, nell’operare una diminuzione di quota, nel posizionare correttamente le eliche durante l’ammaraggio e nell’avvertire per tempo i passeggeri).
In tema di colpa specifica, nell’ipotesi della violazione di una norma cautelare cosiddetta “elastica” – che indica, cioè, un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti – è comunque necessario che l’imputazione soggettiva dell’evento avvenga attraverso un apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico da parte dall’agente modello. (Fattispecie in tema di disastro aviatorio colposo in cui la S.C. ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza di appello, che aveva riconosciuto la responsabilità del primo pilota in relazione al rovinoso ammaraggio di un velivolo per improvviso spegnimento in volo dei motori propulsori, osservando che il predetto, ancorché avesse per tempo segnalato il guasto del misuratore di carburante, non potesse essere esonerato da colpe in presenza di una serie di omissioni – consistite nel non aver seguito le fasi del rifornimento di carburante, nel non aver operato una diminuzione di quota, nell’aver posizionato male le eliche durante l’ammaraggio e nell’aver avvertito tardivamente i passeggeri – senza le quali sarebbe stato possibile evitare il disastro e la conseguente morte di sedici persone a bordo dell’apparecchio).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –
Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere –
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) G.C., N. IL ***;
2) K.L.A., N. IL ***;
3) Z.M., N. IL ***;
4) C.Z., N. IL ***;
5) S.Z., N. IL ***;
6) B.H.R.A., N. IL ***;
7) CH.NE., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 814/2010 pronunciata dalla Corte di Appello di Palermo del 12/4/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Vito D’ambrosio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito l’avv. Antonino Agnello, per l’imputato G.C., che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udito l’avv. Borgogno Roberto, per l’imputato K.L., che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
uditi gli avv. Catalano Salvatore e Coppi Franco, per l’imputato Z.M., che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udito l’avv. Gioacchino Sbacchi, per gli imputati C.Z., S.Z. e B.H.R.A., che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udito l’avv. Battolo Pasquale, per l’imputato S.Z., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’avv. La Marra Mattia Maria, per l’imputato Ch.Na., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTO
1. Il 6 agosto 2005 il velivolo ATR 72-202 LBB della compagnia Tuninter, volo ***, adibito al trasporto passeggeri nella tratta Tunisi-Bari-Djerba, ammarava nelle acque antistanti la costa di Palermo rompendosi in tre tronconi. Nel sinistro trovavano la morte sedici persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, e si aveva il ferimento degli altri trasportati.
Nel procedimento penale che ne seguiva, all’esito di giudizio abbreviato celebrato dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo, G.C., K.L. A., Z.M., C.Z., S.Z., B. H.R.A. e Ch.Ne., venivano ritenuti responsabili dei reati loro ascritti (disastro aviatorio colposo, omicidio colposo in danno di più persone, lesioni personali colpose aggravate) e condannati a pene tra gli otto e i dieci anni di reclusione ciascuno, nonchè al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali in favore delle costituite parti civili.
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la decisione di primo grado limitatamente alla circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, che concedeva a tutti gli imputati, e alle pene inflitte, che riduceva; inoltre revocava le statuizioni civili, confermando nel resto la sentenza appellata.
2. La ricostruzione operata dai giudici di merito può ritenersi nelle sue grandi linee non controversa, avendo alcuni degli imputati posto in dubbio talune circostanze, invero non secondarie, incidenti però sui profili della colpa ascrivibile ai medesimi e non sulla descrizione della sequenza dei fatti che sfociarono nel disastro aviatorio.
Il 5 agosto 2005 l’aeromobile ATR *** era stato destinato a percorrere la tratta Tunisi- Bari-Djerba, che avrebbe intrapreso il giorno successivo, in luogo di quella alla quale era stata originariamente assegnato, ovvero Tunisi-Palermo. Era accaduto, infatti, che un altro ufficiale, il comandante Y., non avesse accettato il velivolo. Così questo, con il mutamento di destinazione, era passato sotto il comando del G., il quale aveva richiesto la sostituzione dell’indicatore di carburante, costituito da un segnalatore luminoso a quattro cifre per ogni serbatoio (c.d. FQI: Fuel Quantity Indicator), che egli stesso aveva constatato essere mal funzionante perchè non consentiva la lettura delle ultime cifre. Il giorno seguente, dopo che si era provveduto alla sostituzione del dispositivo e si era rifornito il velivolo di carburante secondo i calcoli eseguiti dai piloti, questo era partito da Tunisi alla volta di Bari dove, a differenza di quanto inizialmente previsto, si era provveduto ad un rabbocco di carburante. Sulla tratta Bari-Djerba si era però avuto lo spegnimento dei motori propulsori, sicchè il comandante aveva eseguito una manovra di ammaraggio che aveva portato l’aeromobile a circa dodici miglia dalla costa di Palermo. La violenza dell’impatto con la superficie del mare era stata tale da determinare la frattura in tre parti del velivolo, con i danni alle persone dei quali si è già scritto.
Il disastro aviatorio ed i relativi effetti sono stati ritenuti ascrivibili dal giudice di prime cure alle condotte colpose di più soggetti, le quali avevano caratterizzato diverse fasi: da quella della individuazione del ricambio da installare sul velivolo a quella della installazione del pezzo; da quella delle operazioni concernenti il rifornimento di carburante a quella della gestione dell’emergenza verificatesi sulla tratta Bari-Djerba.
2.1. Secondo il giudizio espresso dal Giudice dell’udienza preliminare, B.H., caposquadra nel reparto manutenzione della società Tuninter, proprietaria dell’aeromobile, una volta richiesto di fornire il ricambio necessario alla sostituzione dell’indicatore di carburante mal funzionante, aveva consultato il database in dotazione al reparto svolgendo una prima ricerca (sulla base del Part number del pezzo da sostituire: ***). Aveva così evidenziato l’esistenza di tre differenti apparecchi compatibili con l’ATR *** (identificati rispettivamente dai part number ***); ma utilizzando poi il programma denominato ***, che permetteva di effettuare ricerche all’interno del catalogo dei pezzi presenti nel reparto, si era accorto della indisponibilità di un indicatore di carburante contrassegnato dai part number restituiti dalla prima ricerca.
Egli aveva allora svolto una seconda ricerca, digitando questa volta soltanto le prime tre cifre ed il trattino (-) del numero seriale dell’FQI (***); il sistema gli aveva quindi restituito il numero di codice di un dispositivo installabile sia sull’ATR *** che sull’ATR ***, dispositivo a sua volta intercambiabile con altro (749-158). Ed era stato quest’ultimo ad esser fornito dal B. H. all’operatore e ad essere installato sul velivolo.
Tuttavia, il ricambio in questione non poteva essere inserito indifferentemente su l’uno o sull’altro tipo di velivolo; circostanza che l’imputato avrebbe avuto modo di constatare se egli al termine dell’operazione, come prescritto, avesse operato il raffronto tra il serial number e il part number impressi sul pezzo da installare e quelli riportati sul manuale illustrato delle parti (il cosiddetto IPC). Infatti, per procedere alla sostituzione di uno strumento di un velivolo, vige la regola fondamentale per la quale l’individuazione del pezzo di ricambio deve essere fatta attraverso la consultazione, prima e dopo le operazioni, dell’IPC. Se ciò fosse stato fatto si sarebbe constatato che il part number *** non era previsto nell’IPC dell’ATR ***. Pertanto al predetto imputato il primo giudice aveva ascritto sia di aver utilizzato modalità di ricerca del pezzo di ricambio non corrette, sia di non aver eseguito la prescritta verifica successiva alla individuazione del dispositivo da installare sul velivolo.
2.2. Ch.Ne., meccanico che aveva curato l’istallazione dell’apparecchio misuratore sull’ATR ***, dal canto suo non aveva provveduto a controllare che il pezzo fosse effettivamente quello previsto per il tipo di velivolo sul quale doveva essere installato.
Controllo reso possibile dal fatto che, per quanto i dispositivi previsti per l’ATR *** e per l’ATR *** risultassero simili nella loro conformazione esterna, essi riportavano sul frontale delle cifre, relative alle quantità massime di carburante imbarcatole in ogni serbatoio, che evidenziavano con grande facilità a quale tipo di velivolo ciascuno di essi si riferiva. Inoltre, l’imputato avrebbe dovuto esaminare il certificato che accompagnava il pezzo, dal quale emergeva che questo era installarle unicamente sull’ATR ***. Poichè egli avrebbe anche dovuto effettuare un controllo incrociato consultando l’IPC, l’omissione dei descritti controlli non gli aveva permesso di avvedersi che il pezzo installato aveva impresso un part number non ricompreso tra quelli caratterizzanti dispositivi compatibili con l’ATR ***. L’imputato quindi aveva trasgredito alla regola di installare solo pezzi indicati espressamente dall’IPC. 2.3. Al comandante dell’aereo G.C. ed al copilota K. L.A. veniva ascritto di non aver eseguito correttamente le procedure previste in tema di rifornimento di carburante e di controllo in volo del carburante, nonchè di non aver eseguito correttamente le procedure previste per la fase di emergenza. Sotto il primo profilo, si evidenziava che incombe al comandante calcolare la quantità di carburante richiesto dal volo. Orbene, secondo l’annotazione apposta sul Performance Record dagli stessi G. e K., la sera del 5 agosto il carburante nei serbatoi era pari a 790 kg. Dopo la sostituzione dell’FQI, quest’ultimo segnalava 3.100 kg. di carburante ed il G. aveva richiesto un rifornimento sino al raggiungimento di 3800 kg. Quando sul pannello ispezionarle dall’addetto, che replicava le indicazioni dell’FQI, venne segnalata la presenza di 3800 kg. l’operazione di rifornimento ebbe termine e l’addetto aveva rilasciato al comandante la bolla di rifornimento, dalla quale risultava il quantitativo prelevato dalla cisterna, ovvero 600 lt, pari a 465 kg, secondo la densità dichiarata di 0,775.
Pertanto, il comandante – che sapeva di aver lasciato a bordo 790 kg. di carburante, che aveva richiesto la sostituzione del misuratore, che non aveva avuto la disponibilità di una bolla che confermasse quanto, secondo la prospettazione difensiva, riferitogli oralmente dall’addetto al rifornimento, (ovvero che il comandante Y. aveva fatto eseguire un rifornimento sino a 3.100 kg.) -, oltre a decidere di effettuare il volo nonostante la mancanza della distinta di carburante che attestasse il rifornimento sino a 3.100 kg, senza dare il doveroso avviso al Direttore operazioni volo, non aveva eseguito o aveva eseguito senza la necessaria diligenza le operazioni, posto che egli avrebbe dovuto e potuto accorgersi della reale entità del rifornimento, e quindi dell’esistenza di anomalia perchè, pur aggiungendo ai 3.100 kg. indicati dall’FQI i 465 kg. imbarcati, risultava una non giustificata discrasia rispetto ai richiesti e conteggiati 3800 kg. Anche in occasione del rabbocco di carburante effettuato a Bari era stato omesso di valutare il significato del dato recato dalla bolla di rifornimento che, a fronte dei 400 kg. richiesti, indicava come erogati soltanto 265 kg mentre l’FQI segnalava il riempimento da 2300 a 2700 kg.
Il giudice ascriveva quindi al G. e al K. anche il fatto di non aver eseguito l’analisi dei consumi, tenendo conto del confronto tra le indicazioni dell’FQI e quelle del Fuel Used (che segnalava il carburante consumato), dal quale sarebbe emerso una differenza di 600 kg.
Nè maggiore adesione alle norme vigenti era stata posta nel volo Tunisi-Bari, atteso che, ove eseguita almeno durata la tratta la descritta analisi dei consumi, sarebbe emersa l’incoerenza delle due misurazioni.
Quanto alla gestione della fase di ammaraggio, il Giudice dell’udienza preliminare rimproverava al piloti di aver operato deliberatamente una diminuzione di quota; di non aver eseguito il posizionamento delle eliche in modo da offrire minore resistenza all’avanzamento e quindi favorire la gradualità della discesa del velivolo; di aver errato nella scelta del punto di ammaraggio, tale da rendere più difficoltosi i soccorsi; e di aver ritardato nell’allertare i passeggeri, di modo che questi avevano avuto tempi molto ridotti per predisporsi all’ammaraggio.
2.4. All’origine della catena di condotte colpose sin qui descritte veniva rinvenuto l’errore nella catalogazione del pezzo di ricambio (consistito nell’identificarlo all’interno del sistema informatico con i dati forniti dal costruttore Intertecnique e non secondo le diverse indicazioni dell’IPC). Pertanto, i fatti venivano ascritti anche a figure a vario titolo e livello responsabili dell’assetto organizzativo della società Tuninter.
2.5. S.Z., responsabile del reparto manutenzione, veniva ritenuto dotato della possibilità e dell’autonomia gestionale necessaria ad intervenire per rimuovere le macroscopiche e massificate manchevolezze che coinvolgevano direttamente il suo ambito operativo; pertanto responsabile della errata procedura di individuazione dell’FQI all’interno del sistema Amasis (nel quale i pezzi erano stati catalogati con il numero impresso sul medesimo dalla ditta costruttrice, ovvero senza il trattino tra le due terne di cifre, invece che con quello indicato dall’IPC, comprensivo di trattino, con l’effetto di una risposta negativa del sistema alla ricerca operata mediante la digitazione del trattino); anomalia che, era stato accertato, riguardava numerosi altri pezzi di ricambio, tra i quali anche patti di motori.
2.6. C.Z., direttore tecnico e quindi preposto a tutte le attività di manutenzione dei velivoli, veniva ritenuto responsabile di non essersi attivato per assicurare che venissero rispettati livelli organizzativi e gestionali minimi, idonei a garantire una situazione di effettiva sicurezza, come previsto dalla normativa vigente. In particolare al C. faceva capo l’obbligo di assicurare che l’esecuzione dell’attività di manutenzione fosse conforme agli standard richiamati dalla normativa vigente.
2.7. Z.M., direttore generale della Tuninter, veniva ritenuto responsabile della conclamata situazione di generalizzata carenza logistica ed organizzativa manifestata dalla mancanza del manuale generale di compagnia (essendo stato utilizzato quello della Tunisair, tuttavia non relativo agli ATR 42 e agli ATR 72); dallo scorretto utilizzo del sistema Amasis da parte di personale non formato dalla proprietaria del software perchè acquisitò dalla Tuninter senza licenza; dall’uso inadeguato del manuale IPC.
3. La Corte di appello di Palermo confermava i giudizi di responsabilità testè riassunti. In particolare con riferimento al B.H., essa reputava inconferente l’assunto difensivo che chiamava in causa una corresponsabilità delle aziende costruttrici tanto del velivolo che del pezzo di ricambio, essendo certo che l’imputato aveva deliberatamente proceduto alla ricerca di quest’ultimo attraverso modalità non corrette ed aveva omesso successivamente di svolgere un controllo sulla base dell’IPC. Quanto allo Ch., la Corte distrettuale respingeva la tesi difensiva dell’esonero di responsabilità in forza del principio di affidamento, ritenendolo non invocabile nel caso di specie perchè si era in presenza di attività di alta specializzazione, nelle quali è sempre richiesto il puntuale adempimento delle regole di cautela. Pertanto il fatto che altri avesse individuato, errando, il ricambio da sostituire, non poteva giustificare i gravissimi errori compiuti dal meccanico, che aveva a sua volta violato ulteriori regole fissate proprio perchè “le modalità di manutenzione degli aerei sono garantiti da plurimi livelli di sicurezza operabili a fasi successive e tutti indispensabili per garantire il trasporto su tali mezzi”.
Al responsabile del servizio di manutenzione S.Z. la Corte di Appello ascriveva, in risposta alle doglianze avanzate dalla difesa, di aver da un canto consentito l’utilizzo del software in assenza di licenza d’uso: circostanza causalmente rilevante in quanto la scorretta utilizzazione dello stesso, tanto in fase di catalogazione che di ricerca dei pezzi, derivante per la Corte distrettuale anche dalla mancanza degli aggiornamenti, era stata alla base della catena eziologica che aveva condotto al sinistro.
Dall’altro di aver omesso di predisporre controlli sulla regolarità delle operazioni del servizio di manutenzione, dalla catalogazione alla ricerca, dalla individuazione alla installazione dei pezzi di ricambio. A ciò il Collegio territoriale aggiungeva l’addebito di non aver segnalato ai tecnici in servizio presso il reparto l’obbligo dell’uso del manuale generale della casa costruttrice del velivolo (IPC) e comunque di aver consentito prassi irregolari e gravemente negligenti.
Con riferimento ai piloti, la Corte di Appello poneva in risalto il numero e la rilevanza delle violazioni cautelari commesse dagli stessi, giungendo quindi a rifiutare la tesi difensiva per la quale essi sarebbero stati tratti in inganno dalle rassicurazioni avute dal FD (addetto al rifornimento). E ciò sia perchè la tesi non trovava riscontro negli elementi acquisiti al processo e risultava illogica; sia per il fatto che, quand’anche la circostanza fosse stata vera, essa nulla toglieva alla concretezza, gravità ed incidenza delle condotte colpose tenute dai piloti. Proprio in ragione della evidenza e della gravità di tali condotte dal principio e fino alla fase di gestione dell’emergenza in volo innescata dall’esaurimento del carburante, la Corte di Appello reputava di non portare la propria attenzione sul comportamento tenuto dall’equipaggio nell’ultimo scorcio della complessa vicenda.
Quanto in particolare alla posizione del copilota, il K., i giudici territoriali ricavavano dalla previsione di compiti di collaborazione attiva con il comandante il principio per il quale egli “deve certamente collaborare costantemente perchè le attività di volo avvengano nel rispetto delle regole di sicurezza”. E tuttavia essi non mancavano di aggiungere che “il K. era perfettamente a conoscenza del cattivo funzionamento dell’FQI sostituito ed ebbe modo di accertare la presenza del nuovo strumento a bordo ma nonostante ciò anch’egli commise tutte quelle madornali violazioni precedentemente esposte senza mai effettuare un calcolo autonomo del carburante…” (cfr. p. 40 della sentenza).
In relazione allo Z. e allo C., rilevato che i motivi di appello reiteravano i rilievi inerenti all’organizzazione aziendale, che si asseriva non essere connotata negativamente come invece descritto dal primo giudice, la Corte di Appello rimarcava il fatto che nell’ambito di una compagnia aerea l’organizzazione del servizio e del reparto manutenzione degli aerei riveste una fondamentale importanza, tale da non poter essere delegata esclusivamente a figure di secondo plano. Pertanto l’inadeguata organizzazione del servizio non poteva essere attribuita esclusivamente agli organi tecnici delegati, in quanto direttamente riferibile ai suoi vertici. Affermazione questa che la Corte di appello faceva derivare dalle regole dettate dall’organizzazione internazionale dell’aviazione civile, le quali inoltre impongono che l’organizzazione della manutenzione contempli un sistema indipendente di assicurazione della qualità, per monitorare l’adeguatezza delle procedure, fornire un sistema di ispezione per assicurare che tutta la manutenzione sia correttamente eseguita nonchè impiegare il personale necessario per pianificare, attuare, supervisionare e certificare il lavoro da compiere (pg. 41). Procedure di controllo e di certificazione tanto del sistema di catalogazione dei pezzi che dell’operato degli addetti risultate assolutamente mancanti. E la responsabilità del direttore generale e del direttore tecnico per tali inadempienze veniva affermata sulla base dello specifico contenuto della relazione della Agenzia nazionale per la sicurezza del volo. Si concludeva che tali omissioni organizzative avevano avuto efficienza causale rispetto all’evento perchè se fosse stato predisposto un adeguato sistema di controllo della manutenzione gli errori nel sistema di catalogazione, nella ricerca dei pezzi e nell’attività di sostituzione sarebbero stati individuati. A ciò andava ad aggiungersi l’assenza del manuale generale della compagnia e l’irregolare utilizzazione del sistema Amasis, dei quali la Corte territoriale spiegava l’efficienza causale rimarcando come il manuale della compagnia madre (la Tunisair) adottato dalla controllata Tuninter fosse relativo a veicoli differenti dagli ATR e come questi ultimi fossero entrati in uso alla Tuninter solo a partire dal maggio 2005, quindi poco tempo prima del sinistro. Pertanto ravvisava l’assenza di qualsiasi regola generale delle attività operative della compagnia aerea.
4. Con riferimento al trattamento sanzionatorio determinato dal primo giudice, la Corte di appello riteneva che in ragione dell’elevato grado della colpa e della particolare gravità del fatto non potessero essere concesse le circostanze attenuanti generiche gli imputati. Proprio tale gravità giustificava, per il giudice distrettuale, una determinazione degli aumenti di pena per la ritenuta continuazione tra i reati in misura elevata anche se non coincidente con il massimo del triplo. Argomento ulteriore utilizzato per giustificare il livello sanzionatorio adottato era quello della non comparabilità del caso in esame con quello noto come disastro di Linate, caratterizzato anche da un numero di morti superiore a quello registrato nel caso che qui occupa. E ciò perchè, affermava la Corte territoriale, in quella occasione vi era stato il concorso di un fattore esterno concausale, non registrato nella vicenda oggetto del presente procedimento.
Infine, la Corte di appello concedeva l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 e rideterminava di conseguenza le pene già inflitte agli imputati.
5. Nell’interesse dell’imputato B.H.R.A., sono stati proposti più ricorsi.
5.1. Nell’atto a firma del difensore di fiducia avv. Gioacchino Sbacchi, si deduce in primo luogo violazione di legge e vizio motivazionale per avere la Corte di appello operato una ricezione acritica della decisione di primo grado, con l’attribuzione al ricorrente della erronea catalogazione dell’indicatore di carburante; e ciò nonostante il contenuto dei motivi di gravame. Sotto altro profilo si lamenta come sia stato trascurato che la causa scatenante dell’errore compiuto dal ricorrente era da ascrivere al sistema di catalogazione dei pezzi adottato dalla società ATR e dalla Intertecnique, rispettivamente costruttori del velivolo e del pezzo di ricambio. Si rileva, quindi, che da un verso il comportamento colposo del ricorrente non avrebbe avuto alcuna conseguenza ove non fosse stato seguito da ulteriori comportamenti colposi ad altri soggetti riferibili ed assolutamente abnormi ed imprevedibili; per altro verso la sentenza impugnata non ha reso una congrua motivazione sul punto della incidenza causale degli eventuali errori commessi dalle ditte costruttrici, ritenendo che essi non potessero essere oggetto di approfondimento ad opera del giudice di secondo grado.
5.2. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 449 c.p., comma 2 e art. 69 cod. pen.. La Corte di appello ha errato nell’escludere dal giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen. l’ipotesi di cui all’art. 449 c.p., comma 2, sul presupposto che questa concreti reato autonomo, perchè in realtà trattasi di circostanza del reato.
5.3. Con un terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale relativamente alla motivazione adottata dalla Corte territoriale per negare la concessione delle attenuanti generiche e una pena più tenue nell’applicazione dell’art. 81 cod. pen..
5.4. Con atto personalmente sottoscritto ha proposto ricorso per cassazione anche l’imputato B.H.R.A.. Con un primo motivo lamenta la nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), in relazione all’art. 143 c.p.p., comma 1, per non essere stata eseguita la traduzione della sentenza medesima in lingua conosciuta dal ricorrente.
5.5. Con un secondo motivo deduce analoga violazione in relazione alla mancata traduzione in lingua conosciuta dal ricorrente dell’estratto contumaciale della sentenza di appello.
Il ricorso richiama in primo luogo i principi espressi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza Luedicke, Belkacem e Koc c. Germania, 28.11.1978), per la quale dall’art. 6 CEDU discende che “l’imputato che non comprende o non parla la lingua utilizzata in udienza ha diritto ai servigi gratuiti di un interprete perchè gli siano tradotti o interpretati tutti gli atti del procedimento a suo carico…”. Tenuto conto dell’obbligo dello Stato italiano di adeguare le proprie disposizioni interne a quelle della Convenzione e dell’onere per il giudice di interpretare le norme dell’ordinamento interno in conformità a quelle della Convenzione, si deve ritenere che l’art. 143 cod. proc. pen. “contempli senz’altro il diritto -…
– alla traduzione delle sentenze pronunciate dal Giudice italiano in lingua nota all’imputato straniero alloglotta”. Si sostiene, ancora, che tanto discende anche dalla sentenza Corte cost. n. 10/1993, avendo questa stabilito che il diritto all’interprete può essere fruito “ogni volta che l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti cui partecipa, sia scritti che orali”. Anche l’art. 111 Cost., secondo quanto affermato dalle S.U. nella sentenza n. 5052/2003, ha elevato a costitutivo del diritto di difesa il diritto dell’indagato e dell’imputato ad esser messi in grado di comprendere il contenuto degli atti ad essi indirizzati in una lingua che conoscano. Si richiama, per l’affermazione del diritto alla traduzione della sentenza, Cass. Sez. 6, n. 4929 del 23/11/2006, Timev ed altro, Rv. 236409 e Cass. Sez. 6, n. 35571 del 21/09/2011, Paheshti, Rv. 250877.
Si rinviene poi nella Convenzione Italia-Tunisia del 15.11.1967 un’ulteriore fonte normativa del diritto alla traduzione; segnatamente nella previsione dell’art. 1, per il quale “I cittadini di ciascuna delle Alte Parti Contraenti godranno sul territorio dell’altra Parte dello stesso trattamento dei nazionali in materia giudiziaria. Essi avranno a tale scopo libero e facile accesso ai tribunali e potranno stare in giudizio alle stesse condizioni e con le stesse forme dei nazionali”.
Infine, si assume che l’omessa traduzione viola la previsione dell’art. 3, commi 1, 2 e 9 della Direttiva 2010/64/UE del 20.10.2010, in materia di diritto alla traduzione scritta di documenti fondamentali, tra i quali anche le sentenze, ancorchè lo Stato italiano non abbia ancora provveduto ad emanare le norme interne necessarie a dare ad essa attuazione, giacchè ciò non esime la giurisprudenza dal fornire delle norme un’interpretazione coerente con la voluntas legis Europea, richiamando in proposito – ed in particolare – la decisione delle S.U. civ. n. 27310/2008 e la ritenuta necessità di affermare l’obbligo del giudice di svolgere un’interpretazione evolutiva e sistematica della legge.
6.1. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato Ch. N. il difensore di fiducia avv. Mattia Maria La Marra.
Con un primo motivo lamenta che la Corte di Appello ha erroneamente escluso l’operatività del principio di affidamento, invocato dalla difesa, asserendo che nella fattispecie esso non può trovare applicazione perchè trattasi di attività di alta specializzazione, nelle quali è sempre richiesto il puntuale adempimento delle regole di cautela. Osserva l’esponente che il Ch. non era tenuto ad effettuare i controlli indicati nel corpo della sentenza e che questi aveva fatto affidamento sulla corretta scelta del pezzo di ricambio effettuata dal capo squadra B.H.R..
Segnala che lo stesso giudice di prime cure ha affermato che il Ch. “poteva ben sbagliarsi, in quanto: il suo caposquadra gli ha consegnato un pezzo errato; i pezzi sono quasi uguali e quindi era difficile distinguerli; i pezzi montati facevano accendere entrambi le spie luminose; non era tenuto a svolgere ulteriori controlli di funzionamento oltre a quelli relativi all’accensione delle spie”;
aggiunge che il giudizio di responsabilità si fonda solo sulla individuazione di una non meglio specificata colpa generica particolarmente rigorosa per il mondo aeronautico “votato alla professionalità, alla precisione, e ai controlli volti a prevenire e superare ogni possibile errore”.
Ma, rileva l’esponente, posto che i cc.tt. P. e D. hanno rilevato che il Ch. eseguì l’installazione del pezzo osservando le prescrizioni della Job Instruction Card JIC 28-42-81 1000, la quale non prevedeva una verifica della correttezza delle indicazioni fornite dallo strumento ma solo un test delle luci del display dopo il montaggio, non può essergli addebitato alcunchè.
6.2. Con un secondo motivo si deduce la carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto la Corte di Appello avrebbe equiparato le posizioni di soggetti ricoprenti ruoli gerarchicamente differenti, ignorando peraltro “tutti gli altri parametri indicati dal codice sostanziale per l’applicabilità delle circostanza in oggetto e segnatamente i precedenti penali e giudiziari e la condotta antecedente il reato”.
6.3. Con un terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 143 c.p.p., comma 1 per essere stata omessa la traduzione della sentenza e dell’estratto contumaciale.
7.1. Con atto a firma dei difensori di fiducia avv. Gioacchino Sbacchi e avv. Pasquale Battolo, l’imputato S.Z. deduce, con un primo motivo, vizio motivazionale per non aver la sentenza impugnata preso in considerazione i rilievi che con l’atto di appello erano stati mossi alla sentenza di primo grado, nella parte in cui questa riduceva il fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato unicamente al ruolo dallo stesso ricoperto nell’organico della compagnia aerea. Nell’appello, infatti si dava conto dell’esistenza di un’adeguata organizzazione, della predisposizione di regole ferree vigenti nel reparto manutenzione, dell’impossibilità in concreto dell’imputato di attivarsi nel caso di specie per evitare la concatenazione di imprevedibili e grossolani errori commessi da altri soggetti conducenti al disastro aereo. A fronte di ciò la sentenza di secondo grado si è limitata a riproporre le argomentazioni già utilizzate dal giudice di primo grado. Non sono state offerte adeguate giustificazioni in ordine all’affermazione dell’esistenza di un’autonomia gestionale di spesa in capo all’imputato; non si è valutato che esistevano procedure corrette per la catalogazione e l’individuazione dei pezzi di ricambio, che i meccanici preposti a tali operazioni erano dotati di adeguate competenze professionali, che il sistema informatico di catalogazione non aveva la funzione di individuare il pezzo di ricambio, di talchè l’errore era dipeso unicamente da una imprevedibile forzatura delle procedure previste da parte del caposquadra responsabile della individuazione del pezzo di ricambio.
Peraltro l’imputato non era nemmeno presente al momento della sostituzione del pezzo e questa era una operazione di routine affidata a tecnici esperti, che non aveva dato corso a problemi di sorta in passato. A fronte di tali rilievi la sentenza di secondo grado ripropone le medesime argomentazioni della sentenza di primo grado, aggiungendo peraltro un ulteriore di profilo di responsabilità mai contestato in precedenza al ricorrente.
Inoltre, si assume essere illogica l’affermazione della sentenza di secondo grado per la quale il ricorrente sarebbe stato in colpa per aver accettato che all’interno del reparto dallo stesso diretto venisse fatto utilizzo del software privo di licenza d’uso. Rileva l’esponente che la sentenza avrebbe dovuto verificare se il software era idoneo rispetto alle funzioni che doveva svolgere e alla capacità degli operatori di utilizzarlo. Posto che tale programma aveva unicamente la funzione di verificare la presenza del pezzo in magazzino, giacchè per l’individuazione del ricambio da utilizzare doveva farsi ricorso al manuale delle parti, è evidente che non assume alcuna rilevanza il fatto che il software fosse privo di licenza d’uso. A dimostrazione di ciò sovviene il fatto che allorquando il software fu interpellato sulla presenza in magazzino del pezzo relativo all’aereo, esso rispose negativamente, soddisfacendo quindi la funzione assegnatagli. Di talchè, tanto l’iniziale errata catalogazione del pezzo che l’assenza della licenza d’uso non hanno assunto alcun efficienza causale rispetto al disastro aereo, che si è verificato per il comportamento del tutto anomalo dell’operatore che forzò il sistema.
Anche l’ulteriore addebito mosso al ricorrente, quello di non aver predisposto un sistema di controllo della regolarità delle attività poste in essere dal servizio di manutenzione, è censurato dal ricorrente, in primo luogo perchè del tutto nuovo rispetto alla sentenza di primo grado; quindi perchè è incongrua l’attribuzione di esso all’imputato, che non aveva competenza in tema di organizzazione della compagnia, la quale aveva dei tecnici addetti alla manutenzione ed una direzione tecnica. Quindi, da un canto, si contesta che vi fosse la necessità di una procedura di verifica della correttezza dell’attività del reparto di manutenzione; dall’altro l’eventuale omessa istituzione di tale procedura non potrebbe essere in ogni caso attribuita al ricorrente che non aveva poteri organizzativi nè poteva avere funzione di controllore del proprio stesso operato. Si coglie poi l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione laddove si ascrive al ricorrente di non aver segnalato ai tecnici in servizio presso il proprio reparto l’obbligo dell’uso del manuale delle parti e poi si trae da questo dato il giudizio dell’inesistenza all’interno del reparto medesimo di regole precise.
Si contesta l’affermazione dell’esistenza di una sostanziale disorganizzazione del reparto manutenzione, posto che risulta accertato da entrambe le sentenze di merito che all’interno della compagnia aerea vigeva la regola per la quale l’identificazione di un pezzo e la sua catalogazione dovevano essere effettuate esclusivamente secondo i criteri forniti dalla casa costruttrice dell’aereo. Tale regola, di semplice natura e di facile applicazione, che esisteva da sempre nella compagnia, e che era conosciuta dagli operatori, nel caso che occupa ove osservata avrebbe determinato una risposta negativa del sistema di catalogazione, il quale avrebbe segnalato l’assenza del pezzo in magazzino. Proprio in ragione della semplicità dell’operazione di catalogazione e dell’esperienza degli operatori addetti, l’errore era imprevedibile e non avrebbe potuto portare in nessun caso ad alcuna conseguenza, vista la risposta negativa elaborata dal sistema. Ne ricava l’esponente che la procedura prevista nel reparto manutenzione era tale che, ove osservata, il primo errore sarebbe stato certamente neutralizzato. E ciò anche in ragione del successivo controllo attraverso i numeri del manuale delle parti. Le violazioni alla corretta esecuzione delle procedure, quindi, non sono riconducibili alla disorganizzazione del reparto ma a condotte impreviste ed imprevedibili di singoli operatori.
7.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’aumento di pena a titolo di continuazione tra i reati. Si ritiene mancante la motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche laddove si giustifica tale statuizione “avuto riguardo all’elevato grado della colpa”. Si tratterebbe di una affermazione di principio, valida indistintamente per tutti gli imputati, laddove la Corte territoriale avrebbe dovuto analizzare posizione per posizione la concedibilità o meno delle circostanze attenuanti generiche. Nei motivi di appello la difesa aveva rappresentato quali fossero le circostanze che dovevano condurre, in relazione alla posizione dello specifico imputato, alla concessione delle attenuanti generiche: il fatto che questi non fosse presente al momento della sostituzione del pezzo e che non fosse stato mai informato degli inconvenienti avvenuti al momento della ricerca del medesimo. Anche con riferimento agli aumenti di pena la sentenza impugnata non ha distinto la posizione dei singoli imputati, e ciò sempre a ragione della gravità del fatto, senza svolgere quindi una valutazione sulla posizione di ciascuno degli imputati.
8. Con distinti atti dall’identico contenuto, sottoscritti rispettivamente dall’avv. Franco Coppi e dell’avv. Antonino Agnello, difensori di fiducia di G.C., si propone ricorso nell’interesse del predetto imputato.
8.1. Con un primo motivo si deduce vizio motivazionale avendo la Corte di appello ritenuto la responsabilità e la colpa grave del G. senza tener conto che questi non poteva prevedere che il misuratore di carburante appena sostituito non fosse idoneo. E’ illogico ritenere, come fa la Corte territoriale, che trovi causa unicamente in scopi difensivi l’affermazione dell’imputato secondo la quale egli ricevette dal FD informazioni sul rifornimento di carburante che aveva portato l’aereo ad avere nei serbatoi 3100 kg. di carburante, a fronte dei 790 kg. che constavano allo stesso G., posto che il rifiuto della versione dell’imputato non spiega come questi avesse potuto mettere a rischio anche la propria vita; per contro, e anche su ciò la sentenza omette la valutazione, il comandante non aveva alcun motivo di dubitare che la segnalazione del FQI non fosse corretta.
Lamenta l’esponente che la sentenza impugnata “non prende in considerazione la situazione per come è apparsa all’imputato al momento dei fatti”. Anche nella fase del rabbocco di carburante verificatosi a Bari, il G. si affidò ai responsabili e agli addetti al rifornimento oltre che alla strumentazione di bordo.
Nè risponde al vero che l’imputato si sarebbe passivamente affidato all’operato di terzi del tutto incompetenti.
Con riferimento alla valutazione della condotta dell’imputato nella fase dell’ammaraggio, si contesta in primo luogo che la sentenza impugnata abbia ritenuto superfluo analizzare nel dettaglio i fattori allo scopo rilevanti, posto che tali condotte sono riportate nel capo di imputazione; inoltre si lamenta che non si è tenuto conto della particolarità della condizione venutasi a creare a bordo.
8.2. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La Corte di Appello ha omesso di valutare le singole e diverse posizioni processuali e quindi i dati che, attinenti ai singoli imputati, militavano per la concessione delle attenuanti generiche. Nell’atto di appello si sono evidenziate le particolarissime condizioni di stress nelle quali si trovarono ad operare i piloti una volta prodottasi l’emergenza e come il comportamento di questi fosse stato ritenuto immune da censure dal ct. del P.m., ing. D.M..
A fronte del relativo motivo di gravame il giudice di appello ha ignorato le conclusioni del consulente del p.m..
8.3. Con un terzo motivo si censura, tanto con riferimento alla pena base che agli aumenti stabiliti a titolo di continuazione tra i reati, il trattamento sanzionatorio, che si ritiene eccessivo ed espressivo della ingiustificata attribuzione al G. della maggiore responsabilità rispetto ad ogni altro imputato, nonchè indifferente al fatto che altri soggetti, pure autori di condotte decisive, sono rimasti estranei al processo. Si rammenta che nell’appello si rimarcavano le responsabilità delle ditte costruttrici rispettivamente del FQI e dell’aereo, le cui manchevolezze sono state per l’esponente decisive nella verificazione del disastro.
Inoltre, l’aumento per la continuazione non ha tenuto conto del fatto che i reati concorrenti sono di diversa e minore gravità.
Illogica è poi la motivazione resa dalla Corte territoriale per giustificare il gravoso trattamento sanzionatorio, laddove opera il raffronto con altro disastro aviatorio, che giudica illogicamente meno grave, nonostante il ben più elevato numero di vittime.
9. Anche i ricorsi che investono la posizione di K.L. A. sono due.
9.1. Con atto pervenuto il 7 novembre 2012 alla Corte di appello di Palermo, redatto in lingua francese e accompagnato da traduzione asseverata, si propone ricorso a nome di K.L.A..
Con unico motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 143 c.p.p., comma 1 per non essere stati tradotti in lingua francese o in lingua araba la sentenza e l’estratto della medesima.
9.2. Con atto pervenuto alla Corte di appello di Palermo il 5 novembre 2012 propone ricorso per cassazione nell’interesse del K. il difensore di fiducia avvocato Roberto Borgogno.
Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato. Si richiama il quadro normativo, che ad avviso dell’esponente pone il comandante dell’aeromobile in posizione di supremazia gerarchica rispetto al secondo pilota e lo rende quindi unico soggetto al quale possono essere riferiti gli obblighi procedurali che sono stati posti a fondamento del giudizio di responsabilità. Sulla base di tale premessa si assume che la responsabilità del secondo pilota avrebbe potuto essere affermata solo dimostrando che questi era stato direttamente coinvolto dal comandante nelle procedure di rifornimento prima del decollo, nella compilazione dei relativi documenti, nelle decisioni conseguentemente assunte oppure che, non essendo stato coinvolto, il copilota fosse stato in condizioni di notare qualcosa di macroscopicamente errato nelle scelte operate dal comandante, tanto da dover intervenire personalmente. Ad avviso dell’esponente tale dimostrazione non è stata fornita ed anzi la sentenza impugnata opera una totale equiparazione dei due ruoli parlando frequentemente di equipaggio, senza dare indicazioni su ciò che il secondo pilota avrebbe potuto e dovuto fare. Nè menziona quali sarebbero state gli eventuali errori macroscopici che avrebbero dovuto imporre l’intervento del secondo pilota; a tal riguardo rileva che non poteva farsi riferimento a questo scopo al fatto che la quantità di carburante indicata dallo strumento sostituito era nettamente superiore a quella lasciata la sera prima dal comandante a bordo dell’aereo. E ciò perchè, considerato che il volo era iniziato alle ore 12:00, ben poteva ritenersi che colui il quale aveva rifiutato di utilizzare il velivolo avesse disposto un rabbocco di carburante.
L’esponente ritiene altresì incomprensibile quali addebiti possano muoversi al secondo pilota per le condotte successive all’arresto dei motori, in considerazione del fatto che egli cooperò con il comandante secondo le disposizioni da questi date. Contesta che possa parlarsi di colpa grave al riguardo di una asserita violazione di regole cautelari che interviene a valle di una complicatissima sequela di errori ed omissioni imprevedibilmente concatenatisi, tale da creare una situazione talmente incomprensibile ed ingannevole, da non poter essere immaginata.
9.3. Con un secondo motivo si deduce violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen., in relazione all’eccessività della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Si ritiene erronea in diritto l’affermazione della Corte di appello che ancora il diniego delle circostanze generiche alla gravità del fatto, poichè il giudizio sulla concedibilità delle stesse è indipendente dalle vantazioni circa la gravità dei fatti commessi. Avrebbe dovuto tenersi conto che l’imputato è stato tratto in errore da una serie di imprevedibili circostanze che hanno dato luogo ad una situazione nemmeno lontanamente immaginabile e che egli si è trovato a gestire una situazione estremamente drammatica quale lo spegnimento dei motori in volo. Inoltre si sarebbe dovuto tener conto della specifica posizione del secondo pilota. Si ritiene poi incongruo il riferimento fatto dalla sentenza impugnata al diverso caso noto come il disastro di Linate, per assumere che non era possibile fare una comparazione quanto alle pene dei due casi, perchè in quello oggetto del presente processo non si registra il concorso di un fattore esterno, quale la nebbia, che invece si diede nell’altro.
9.4. Con un terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 143 c.p.p., comma 1, per essere stata omessa la traduzione della sentenza impugnata e dell’estratto contumaciale.
10.1. Con atto sottoscritto personalmente, C.Z., ricorre per cassazione deducendo la violazione dell’art. 143 c.p.p., comma 1, per essere stata omessa la traduzione della sentenza impugnata e dell’estratto contumaciale.
10.2. Ulteriore ricorso è proposto con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. Gioacchino Sbacchi. Un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio motivazionale.
In primo luogo si lamenta che la Corte di appello non ha dato risposta alle censure avanzate con l’atto di gravame. Quanto alla ritenuta disorganizzazione strutturale della compagnia, si osserva che quest’ultima, in conformità alle prescrizioni internazionali in materia di sicurezza del volo, si era dotata oltre che di regole anche di un preciso sistema di procedure allo scopo di prevenire il verificarsi di incidenti. In particolare era previsto che nell’ipotesi di sostituzione di un pezzo dell’aereo, il caposquadra del reparto di manutenzione effettuasse l’operazione di individuazione del pezzo consultando il manuale delle parti; verificasse attraverso il sistema Amasis l’esistenza del pezzo in magazzino; una volta individuato, procedesse a un raffronto tra i numeri seriali impressi e quelli riportati sul manuale delle parti.
Vi era poi l’obbligo, che gravava sul medesimo soggetto, di informare il servizio manutenzione qualora il pezzo non fosse stato reperito.
In altri termini, esisteva una procedura ben cadenzata e collaudata, affidata a personale dotato di adeguate competenze tecniche; si trattava peraltro di operazioni di semplice fattura.
Pertanto il direttore tecnico della compagnia, che non può ritenersi preposto anche alle singole attività o obbligato ad eseguire il controllo dell’operato dei tecnici, aveva adempiuto ai propri obblighi. Erano inoltre previste verifiche di qualità delle lavorazioni affidate all’unità di controllo della manutenzione avente in organico due controllori. Prima dell’evento, per la manutenzione di base era operante un sistema di controllo qualità basato su controllori/ispettori, come previsto dall’annesso 6 ICAO. Questa circostanza è stata negata dalla sentenza impugnata.
Per altro verso si ritiene non imputabile al direttore tecnico l’erronea catalogazione del pezzo di ricambio perchè di competenza del servizio di manutenzione e perchè il caposquadra era soggetto esperto e perito.
10.3. Con un secondo motivo di ricorso si lamenta che la mancata concessione delle attenuanti generiche e la misura degli aumenti di pena apportati a titolo di continuazione tra i reati ritenuti si fondino unicamente sulla gravità dei fatti e delle condotte poste in essere dagli imputati, con una generalizzazione che non tiene conto della posizione di ciascuno di essi.
11. Avverso la descritta sentenza sono stati proposti due ricorsi concernenti la posizione di Z.M.. Il primo in relazione alla data di deposito è quello a firma dell’avv. Franco Coppi.
11.1. Con un primo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale e per mancanza ed illogicità della motivazione.
Il ricorrente lamenta in primo luogo il fatto che la sentenza di secondo grado non abbia dato risposta ai rilievi formulati con l’atto di appello. Ricordato che allo Z. viene ascritta una grave disorganizzazione della società, coinvolgente le strutture e le attività connesse e strumentali al trasporto aereo, disorganizzazione che si ritiene abbia avuto efficienza causale rispetto al disastro, l’esponente investe con la propria critica entrambi i piani.
Evidenzia che l’appello segnalava come la compagnia Tuninter, partecipata all’80% dalla compagnia di bandiera della Tunisia Tunisair, fosse stata in possesso del certificato di operatore aereo rilasciato dalla direzione generale dell’aviazione civile presso il ministero dei trasporti della Tunisia. Essa nel luglio 2004 era stata sottoposta ad ispezioni da parte dell’organismo internazionale che presiede la regolamentazione dell’aviazione civile internazionale, la ICAO, e a ventuno ispezioni della SAFA. Rispetto a tali fatti la sentenza impugnata opta per una svalutazione tanto della certificazione che dei controlli, senza tener conto che la prima può essere rilasciata solo dopo aver verificato che la compagnia aerea presenta i requisiti di efficienza e di sicurezza.
Sotto altro profilo, l’esponente rileva che la sentenza non ha preso in esame i rilievi difensivi che evidenziano come il direttore generale avesse soprattutto compiti di rappresentanza legale della compagnia nei confronti delle autorità competenti, mentre mansioni tecniche erano affidate a soggetti diversi, facenti capo ad un direttore tecnico ed il fatto che il sistema di deleghe e di incarichi interno alla compagnia aveva comportato l’investitura di soggetti dotati di adeguata competenza professionale. Pertanto non poteva essere espressiva della ritenuta disorganizzazione l’attribuzione a tali soggetti di mansioni, svolgendo le quali ciascuno aveva portato un contributo al verificarsi del disastro.
Quanto al fatto che la compagnia aerea non aveva predisposto un adeguato sistema di controllo sull’attività dei soggetti incaricati di svolgere le diverse operazioni, la difesa contesta che possa essere ritenuto sussistente l’obbligo di duplicare ciascuna operazione attraverso una prima fase di esecuzione ed una seconda di controllo della prima; assumendo che quel che rileva è che per lo svolgimento delle varie operazioni e per l’assolvimento dei vari compiti erano costituite squadre di operatori alla cui testa era posto un capo dotato di adeguate competenze professionali e l’intera struttura faceva capo a un direttore tecnico titolare dei necessari requisiti professionali. Inoltre le operazioni coinvolte nella vicenda in esame non erano particolarmente complesse. Il giudice di secondo grado non ha preso in considerazione tali elementi o se lo ha fatto li ha disattesi senza alcuna giustificazione; non ha spiegato come potesse conciliarsi l’assunto della disorganizzazione strutturale con la presenza di operatori dotati di curriculum adeguati e con il fatto che non era certamente la prima volta che il velivolo veniva rifornito di carburante. Quanto al fatto che la compagnia era priva di un proprio manuale generale, l’esponente contesta l’assenza di un manuale di riferimento posto che la compagnia utilizzava per le istruzioni e gli indirizzi di carattere generale la parte generale del manuale della controllante, mentre le parti specifiche relative agli aerei in dotazione (ricorda che la compagnia utilizzava gli ATR mentre la controllavano) la compagnia impiegava i manuali forniti dai “costruttori”. E, inoltre all’epoca del sinistro era già stato elaborato un manuale proprio della compagnia, che era stato depositato presso la direzione dell’aviazione civile. In ogni caso si ritiene non dimostrato che la mancanza di un manuale generale proprio abbia avuto una qualche incidenza causale sul verificarsi del disastro. Circa l’uso indebito del sistema Amasis, si contesta che possa essere dato rilievo al fatto che la compagnia utilizzava siffatto sistema in assenza di licenza per l’uso poichè, si assume, ciò che importa è l’idoneità del sistema rispetto alle necessità della catalogazione dei pezzi e della loro individuazione, in rapporto alla capacità di servirsene degli operatori. Sotto tale profilo si evidenzia che il sistema doveva servire solo a far conoscere se il pezzo era presente nel magazzino e dove si trovava; si tratta di un sistema diffuso in tutto il mondo ed utilizzato da numerose compagnie; il fatto che fosse utilizzato contemporaneamente anche dalla controllante non assume alcun rilievo; gli operatori della compagnia provenivano dalla controllante e quindi avevano maturato esperienza nell’utilizzo del sistema, che peraltro era facile da usare; per inserire un pezzo nel catalogo si deve fare esclusivo riferimento ai numeri di identificazione imposti dalla casa costruttrice dell’aereo e impressi sul pezzo. Pertanto, per l’esponente, l’assenza della licenza d’uso in capo alla compagnia non sta a dimostrare una condizione di disorganizzazione strutturale ma deriva unicamente dal fatto che entrambe le compagnie si servivano del medesimo magazzino. La Corte di appello avrebbe ignorato i rilievi appena ricordati.
Sotto altro profilo, posto che le regole vigenti presso la compagnia imponevano di utilizzare esclusivamente i dati forniti dal manuale delle parti per la registrazione del pezzo nel catalogo, la condotta dell’operatore che violando tale regola registrò il pezzo con il numero della casa costruttrice costituisce una violazione imprevedibile che non può essere imputata a una presunta disorganizzazione, tanto più che ove si fosse osservata la procedura dettata dalla compagnia questo primo errore non avrebbe avuto ulteriori effetti. La procedura prevede infatti che una volta individuato il pezzo ne venga controllata la identificazione e la funzione facendo riferimento al manuale delle parti. Ove ciò fosse stato fatto, nel caso di specie sarebbe risultato evidente che il pezzo rilevato dal magazzino non corrispondeva all’originale indicato dal manuale delle parti e che quindi esso non era compatibile con l’aereo sul quale avrebbe dovuto essere montato. La decisione di procedere comunque all’istallazione del pezzo non può essere ricondotta al vertice della compagnia tanto più che l’operatore che forzò il sistema era persona dotata di esperienza e di perizia ed avrebbe dovuto prendere atto dell’assenza del pezzo in magazzino e segnalare la circostanza. Il comportamento arbitrario dell’operatore che decise di cercare un pezzo compatibile con quello mancante, individuandolo attraverso lo scorretto impiego del sistema Amasis, non ha nulla a che vedere con una presunta disorganizzazione della compagnia. La forzatura del sistema Amasis, della quale parlano anche le sentenze di merito, è circostanza imprevista ed imprevedibile che, attesa l’esperienza e la perizia dell’operatore, non può essere addebitata al vertice della compagnia o comunque a una presunta disastrosa organizzazione della stessa. Il medesimo schema concettuale viene applicato dall’esponente anche alla condotta del meccanico che curò la sostituzione del pezzo ritenuto difettoso e alla condotta dei piloti.
Conclude quindi il ricorrente che tutti i rilievi appena ricordati non sono stati tenuti in considerazione dal provvedimento impugnato.
11.2. Il secondo e terzo motivo di ricorso sono comuni a quelli enunciati nell’interesse degli altri imputati e riguardano la mancata traduzione in lingua francese della sentenza e dell’estratto contumaciale.
11.3. Un secondo ricorso è stato depositato a firma dell’avv. Salvatore Catalano, egli pure difensore dello Z..
Con un primo motivo si deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine all’esistenza di strutturali carenze organizzative gestionali della compagnia aerea. Il ricorso propone la medesima impostazione di quello già esaminato; affermazioni che meritano una esplicita menzione appaiono i seguenti:
– non è possibile addebitare l’utilizzo di un software senza licenza d’uso, ove assicurato un adeguato addestramento di coloro che avrebbero dovuto utilizzare il sistema informatico. Rileva l’esponente che non è stato contestato che tale addestramento non sia stato assicurato; – gli operatori coinvolti nella prima fase della vicenda erano dotati di adeguato curriculum professionale, come riconosciuto dalla sentenza di primo grado, sicchè non si vede a che cosa avrebbe potuto giovare l’ulteriore formazione da parte della ditta produttrice del software. Sul punto la sentenza impugnata nulla dice.
11.4. Con un secondo motivo di ricorso si deduce l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla riconducibilità all’imputato dei difetti di organizzazione del servizio di manutenzione.
La sentenza impugnata attribuisce le ritenute falle organizzative indistintamente ai vertici aziendali e quindi al direttore generale e al direttore tecnico, anche se esse riguardano essenzialmente l’organizzazione del servizio e del reparto manutenzione. Il reparto manutenzione faceva capo alla direzione tecnica e quindi non si vede come le carenze organizzative indicate nella sentenza possano essere addebitate al direttore generale, posto che secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sicurezza del lavoro, in presenza di una organizzazione aziendale che contempla la distribuzione di deleghe, al datore di lavoro possono imputarsi solo le carenze che attengono a scelte di carattere generale della politica aziendale o a carenze strutturali rispetto alle quali nessuna capacità di intervento può essere attribuita ai delegati.
Nel caso che occupa è da escludersi che l’utilizzo di un software senza essere titolare della relativa licenza d’uso, che solo immotivatamente si riconduce a scelta del direttore generale, possa rappresentare una scelta di carattere generale della politica aziendale o una carenza strutturale di carattere ampio e generale.
11.5. Con un terzo motivo si deducono analoghi vizi in ordine al nesso causale tra i difetti organizzativi e gli eventi finali. Ad avviso del ricorrente, nella sentenza impugnata non è spiegato in quale modo l’assenza di un manuale proprio della compagnia abbia inciso sul verificarsi del disastro. Inoltre si parla di mancata previsione dei controlli periodici degli interventi di manutenzione senza considerare che questi, anche qualora previsti, non avrebbero potuto garantire la scoperta dell’errore commesso nel caso che occupa in tempo utile per evitare l’istallazione del pezzo. La grossolanità degli errori commessi dai vari soggetti intervenuti nella individuazione del pezzo e la sostituzione di quello mal funzionante, esclude che possa essere ritenuto il nesso causale con una pretesa disorganizzazione aziendale. In ogni caso anche a voler ritenere che le condotte colpose poste in essere da chi aveva sostituito l’indicatore di carburante fossero state originate dagli errori latenti dei vertici aziendali, certo è per l’esponente che la sequenza causale doveva ritenersi comunque interrotta per i comportamenti colposi dei piloti, che anche per i giudici di merito risultano essere incorsi in errori e manchevolezze gravi e del tutto imprevedibili.
11.6. Con un quarto motivo si censura l’erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per aver la Corte territoriale rigettato la relativa richiesta facendo riferimento soltanto alla gravità dei fatti e all’elevato grado della colpa. Tale motivazione non è corretta poichè nell’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. occorre valutare se esistono circostanze favorevoli che possono giustificare la prevista diminuzione della pena, indipendentemente dalla presenza di elementi sfavorevoli.
11.7. Con un quinto motivo si deduce violazione della legge penale con riferimento all’art. 449 c.p., comma 2 per aver la Corte di Appello erroneamente qualificato l’ipotesi di cui all’articolo appena menzionato quale titolo autonomo di reato piuttosto che come circostanza aggravante.
DIRITTO
12. Tutti i ricorsi sono infondati e pertanto non meritano accoglimento.
Per il carattere pregiudiziale della questione, posta in sede di discussione in pubblica udienza dalla difesa di G.C., va esplicitato che i reati ascritti agli imputati non risultano estinti per prescrizione. Essi risultano commessi il 6.8.2005; reputata più favorevole la disciplina della prescrizione del reato conseguente alle modifiche recate dalla L. n. 251 del 2005, e quindi applicata la stessa in ragione del disposto dell’art. 2 c.p., comma 4, il più breve termine di prescrizione al quale fare riferimento per i reati in contestazione è pari a sette anni e sei mesi, non ancora decorsi al momento in cui è stata pronunciata la presente decisione.
13. Ancora di carattere pregiudiziale, sicchè è necessario prendere le mosse dallo stesso, è il motivo di ricorso enunciato da diversi tra i ricorrenti (5.4, 5.5, 6.3, 9.1, 9.4, 10.1, 11.2), concernente la nullità della sentenza e dell’estratto contumaciale per non essere stati tradotti in lingua nota all’imputato.
Il motivo è infondato.
Ancorchè parte della giurisprudenza di legittimità sia orientata nel senso che la parziale ed incompleta traduzione del contenuto della sentenza in lingua comprensibile dall’imputato alloglotta integra una causa di nullità, peraltro deducibile dal solo imputato e sanata qualora con il ricorso per cassazione non venga dedotta esclusivamente l’impossibilità di comprendere la motivazione (cfr. Cass. Sez. 6, n. 4929 del 23/11/2006, Timev ed altro, Rv. 236409; Cass. Sez. 6, n. 35571 del 21/09/2011, Paheshti, Rv. 250877; Sez. 4, n. 8059 del 12/01/2012, Pichler, Rv. 252337; nel caso che occupa ciò implica l’inammissibilità del motivo proposto dal difensore del Ch.: 6.3), questa Corte ritiene di dover aderire all’indirizzo maggioritario per il quale dalla disciplina vigente non è ricavabile l’obbligo di provvedere alla traduzione della sentenza e dell’estratto contumaciale della medesima nella lingua nazionale dell’imputato che non conosca la lingua italiana. La sentenza, infatti, non è compresa tra gli atti rispetto ai quali la legge processuale assicura all’imputato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, il diritto alla nomina di un interprete per la traduzione nella lingua a lui conosciuta (Sez. 1, n. 24514, 31.3.2010, Hassan, rv. 247760). Si rileva, al riguardo, che, sussiste la necessità di offrire la traduzione degli atti processuali agli imputati alloglotti solo per quelli cui lo straniero, che non comprende la lingua italiana, partecipi direttamente, e non per quelli – come l’estratto contumaciale della sentenza – che, essendo preordinati a dare impulso alla fase successiva solo eventuale, sono rimessi all’iniziativa ed alla valutazione della parte interessata (Sez. 1, n. 15745 del 2.4.2002, Corasciuc, rv.; Sez. 6, n. 8722, 12.4.2000, Carvajol, rv.). L’orientamento tiene conto della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ricordandone l’insegnamento per il quale l’art. 6, par. 3, CEDU richiede che la persona, che non comprenda o non si esprima nella lingua usata nel processo, sia assistita da un interprete, ma non che sia effettuata la traduzione scritta di ogni documento della procedura (tra le tante, Corte Europea dei diritti dell’uomo, 24/02/2005, Husain c. Italia; 11/01/2011, Hacioglu c. Romania).
La circostanza che, al fine dell’esercizio della facoltà di impugnazione, l’interessato debba avvalersi di un interprete per la traduzione della sentenza (anche senza oneri personali, quando sussistano i presupposti del patrocinio a spese dello Stato) può soltanto comportare l’eventuale differimento del relativo termine per l’impugnazione (Sez. 2, Sentenza n. 46897 del 07/12/2011, Oragbon e altri, Rv. 251453; Sez. 6, n. 38639 del 30/09/2009, Pantovic, Rv. 245314; Sez. 6, 4-15.2.2011; Cass. 1, 21.4-3.5.2010 n. 16807).
Altra ha preso in esame anche la direttiva: invero, si è affermato che “non sussiste obbligo di traduzione in lingua nota allo straniero alloglotta che non comprenda la lingua italiana dell’estratto contumaciale di sentenza” (Sez. l, n. 16807 del 21.4.2010, Culi, rv. 247073).
Nella specie, quindi, non è fondato il ricorso che lamenta la mancata traduzione in lingua francese o araba della sentenza e/o dell’estratto contumaciale poichè questi, essendo atti processuali cui l’interessato non partecipa direttamente, destinati a consentire l’eventuale proposizione di impugnazione, non rientrano tra quelli per i quali è prescritta la traduzione all’imputato che non comprende la lingua italiana (in tal senso anche Sez. 2, n. 5572 del 21.2.2007, rv. 239495; Sez. 1, n. 28595 del 3.7.2008, rv. 240813; Sez. 6, n. 44101 del 21.10.2008, rv. 242227; Sez. 2, n. 6084 del 9.1.2009, rv. 243281; Sez. 1, n. 40603 del 22,9.2009, Yang, rv. 245564).
Quanto alla incidenza della direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali, mette conto ricordare innanzitutto che essa prevede all’art. 3, commi 1 e 2, che gli Stati membri assicurino che gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa; e che tra i documenti fondamentali rientrano anche le sentenze. Ai sensi dell’art. 8, peraltro, gli Stati membri hanno tempo, per emanare le norme interne necessarie per attuare la direttiva, fino al 27 ottobre 2013. Ciò ha condotto questa Corte ad escludere che dalla menzionata direttiva possa essere ricavato un obbligo immediatamente cogente di assicurare la menzionata traduzione (Sez. 3, n. 26703 del 18/03/2011, Kara, Rv. 250636).
Nè a diverse conclusioni può giungersi tenuto conto di quanto previsto dalla L. 28 gennaio 1971, n. 267 di ratifica ed esecuzione della convenzione tra l’Italia e la Tunisia relativa all’assistenza giudiziaria in materia civile, commerciale e penale, al riconoscimento ed alla esecuzione delle sentenze e delle decisioni arbitrali e all’estradizione, conclusa a Roma il 15 novembre 1967.
Tra le norme recate dal provvedimento non se ne rinviene alcuna dalla quale dedurre il diritto del cittadino tunisino di ricevere gli atti del processo celebrato in Italia nella lingua alloglotta, avendo esse ad oggetto le modalità attraverso le quali le rispettive autorità nazionali si prestano reciprocamente assistenza giudiziaria. Non casualmente, d’altronde, il ricorrente ha fatto riferimento all’art. 1, unica norma di carattere generale e programmatico. La quale, tuttavia, non può essere interpretata nel senso patrocinato in chiave difensiva, trattandosi di norma di principio, compatibile con forme diverse di attuazione, che in tema di conoscenza degli atti processuali, ben può ritenersi soddisfatta anche dall’assicurazione del diritto all’assistenza di un interprete e dalla regola della interdipendenza tra conoscenza del contenuto dell’atto e termine per l’impugnazione (secondo la prospettiva tracciata da Cass. n. 46897/2011, cit.).
14. Ricorsi nell’interesse di B.H..
Il motivo di ricorso sub 5.1. è infondato. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Appello non ha operato alcuna adesione acritica al giudizio espresso in primo grado. Essa ha preso in considerazione i motivi di appello, dando ad essi puntuale ancorchè sintetica risposta.
Non risponde al vero che la Corte di appello abbia attribuito all’imputato la erronea catalogazione del pezzo di ricambio; infatti al caposquadra del servizio manutenzione si è ascritto di aver fatto esclusivo uso del terminale e quindi del software Amasis, laddove si sarebbe dovuto individuare il corretto ricambio attraverso la consultazione del manuale della casa costruttrice (I.P.C.) nonchè di aver effettuato una ricerca successiva alla prima risposta negativa del sistema informatico, attraverso l’indebito ricorso a criteri non corretti.
Priva di pregio è poi l’affermazione per la quale le condotte colpose ascrivibili alle imprese costruttrici e al sistema di catalogazione, pur rilevanti, non sarebbero state valutate dalla Corte territoriale, in quanto questa ha preso in esame il rilievo difensivo a pg. 31, sostenendo l’irrilevanza di un’eventuale corresponsabilità delle aziende costruttrici per la errata catalogazione dei pezzi e per difetto di coordinamento tra le stesse, in ragione della consapevole violazione da parte dell’imputato della regola della ricerca del pezzo di ricambio attraverso l’IPC. L’affermazione risulta corretta, anche quando riferita alle condotte sopravvenute a quelle dell’imputato in parola, stante il principio dell’equivalenza causale delle condotte che non siano state in grado di produrre l’evento in assoluta autonomia. Dovendosi intendere per cause autonome, idonee ad escludere il rapporto di causalità ai sensi dell’art. 41 cod. pen., non solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall’agente, bensì anche quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta (attiva od omissiva) dell’agente, presentino caratteri di assoluta anomalia, eccezionalità ed imprevedibilità (ex multis, Sez. 4, n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens e altro, Rv. 239593).
I motivi 5.2 e 5.3 risultano comuni agli altri ricorsi e saranno trattati sub 21. Sin d’ora si deve esplicitare che trattasi di motivi infondati.
15. Ricorso nell’interesse di Ch.Na.. Il ricorso è infondato.
Le censure del ricorrente si dipanano lungo due versanti: l’assenza di colpa in senso obiettivo, perchè il giudice di merito da atto che l’imputato non violò alcuna norma cautelare specifica e che era stato tratto in errore dal caposquadra, salvo poi menzionare una colpa generica non meglio precisata; il principio di affidamento.
A fronte di ciò mette conto rilevare, in primo luogo, che la Corte di Appello ha esplicitato che allo Ch. va ascritta la violazione della regola cautelare che gli imponeva di controllare la compatibilità del P-N del pezzo di ricambio con quelli indicati nel manuale generale della casa costruttrice dell’ATR. Tale regola, già identificata dal primo giudice, derivava dalle istruzioni contenute nella Job instruction card (manuale di installazione) che accompagnava il pezzo, le quali prescrivevano di confrontare, prima dell’installazione, i numeri di matricola del pezzo di ricambio con quelli indicati nell’IPC. Altri profili di colpa sono stati rinvenuti nell’omesso controllo della JAA form, ovvero del certificato del pezzo dal quale risultava l’utilizzabilità dello stesso solo per l’ATR 42; nell’omessa rilevazione della diversità del ricambio da installare rispetto a quello da sostituire, immediatamente percepibile dall’indicazione del livello massimo di carburante caricabile; nell’omessa rilevazione del fatto che il pezzo di ricambio installato misurava un quantitativo di carburante pari al quadruplo di quello indicato dal pezzo sostituito (3100 in luogo di 790 kg.).
Così puntualizzati i contenuti della colpa ascrivibile all’imputato la Corte di Appello ha anche esaminato il rilievo difensivo che invocava il principio di affidamento, giungendo ad escluderne ogni rilevanza nel caso di specie, in ragione del fatto che “nelle attività di alla specializzazione è sempre richiesto il puntuale adempimento delle regole di cautela” e che le regole cautelari violate dall’imputato era “fissate proprio perchè le modalità di manutenzione degli aerei sono garantite da plurimi livelli di sicurezza operabili a fasi successive e tutti indispensabili per garantire il trasporto su tali mezzi”.
In tal modo la Corte territoriale ha colto la funzione sinergica della condotta doverosa richiesta allo Ch., nell’ambito di quella gestione collettiva del rischio della quale si scriverà diffusamente nel successivo paragrafo 18., al quale si rinvia, ed ha quindi correttamente escluso ogni rilievo ai principio di affidamento.
L’evidenziazione del profilo di responsabilità testè individuato non comporta alcuna immutazione del fatto contestato all’imputato, atteso che nel processo, come rivelano le doglianze difensive e le argomentazioni fornite in risposta dai decidenti, la responsabilità del Ch. rispetto alle dinamiche organizzative è stata oggetto di specifica considerazione.
Il motivo sub 6.2. sarà trattato nel paragrafo 21. Sin d’ora può esplicarsi che esso è infondato.
16. Ricorso nell’interesse di S.Z.. Il ricorso è infondato.
Si tende nel complesso ad accreditare che l’imputato ebbe ad adempiere gli obblighi derivanti dal ruolo ricoperto all’interno della Tuninter e che gli è stata ascritta la violazione di un obbligo, quello di non aver predisposto un sistema di controllo di regolarità delle attività poste in essere dal servizio di manutenzione, che esulava dalle sue competenze.
Stante l’insistito accento posto dal ricorrente sulla insoddisfacente valutazione che il giudice di secondo grado avrebbe operato delle circostanze evidenziate con l’impugnazione, in sostanza rifacendosi alle affermazioni svolte dal Giudice dell’udienza preliminare, appare utile rammentare in primo luogo che allorquando il giudice dell’appello ritenga di condividere la decisione impugnata, l’onere motivazionale si atteggia in modo peculiare. Infatti, è pacificamente ammessa la motivazione c.d. per relationem, ovvero l’esplicazione delle ragioni del convincimento attraverso l’assorbimento dei contenuti della decisione impugnata. Siffatta tecnica, che trova la propria legittimazione anche nell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) (oltre che nella struttura del giudizio di secondo grado), incorre in un limite, che deriva dalla necessità di dare risposte alle censure mosse dall’appellante. Ecco, quindi, che da un canto “è legittima la motivazione della sentenza di secondo grado che, disattendendo le censure dell’appellante, si uniformi, sia per la “ratio decidendi”, sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti valorizzati dal primo giudice, soprattutto se la consistenza probatoria di essi è così prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione. Nell’ipotesi in cui siano dedotte questioni già esaminate e risolte, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione può motivare “per relationem” e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati” (Cass. Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722). Dall’altro, è viziata da carenza di motivazione la sentenza di appello, confermativa della decisione di primo grado, che si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi (ex multis, Cass. Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli e altri, Rv. 254102). Orbene, lungi dall’affermare una responsabilità da posizione, la Corte di Appello ha con puntualità indicato quali siano state le condotte colpose attribuite al responsabile del servizio di manutenzione S.Z.. Esse sono state ricordate nella parte narrativa della presente decisione. Rispetto a quelle puntualizzazioni il ricorso propone per taluni aspetti una ricostruzione alternativa dei fatti, come laddove asserisce che esistevano procedure corrette per la catalogazione e l’individuazione dei pezzi di ricambio, che i meccanici preposti a tali operazioni erano dotati di adeguate competenze professionali e più in generale che il servizio non era afflitto da alcuna disorganizzazione.
Dall’altro rinviene vizi logici invero insussistenti: la rilevanza assegnata alla mancanza di licenza d’uso del software Amasis è tutt’altro che irragionevole, posto che dalla circostanza ben può dedursi l’assenza di idoneo addestramento degli utilizzatori e il mancato aggiornamento del sistema. Le sentenze, poi, hanno chiaramente indicato quale fosse stato il vizio del sistema in specie nella fase di ricerca (accettazione di parametri non corretti), di talchè non è alla motivazione impugnata che può ascriversi di non aver valutato la concreta funzionalità di quel sistema.
Quanto ai rilievi concernenti l’addebito di non aver predisposto un sistema di controllo della regolarità delle attività poste in essere dal servizio di manutenzione, la Corte di Appello ha chiamato in causa iniziative certamente nella disponibilità di colui che dirigeva il servizio manutenzione. D’altro canto, il ricorrente non ha neppure allegato di aver segnalato le carenze organizzative accertate a chi era titolare di poteri decisionali.
I motivi sub 7.2. sono comuni ad altri ricorsi e saranno quindi trattati ai successivi paragrafi 21.2. e 21.3. Sin d’ora può esplicitarsi che trattasi di motivi infondati.
17. I ricorsi proposti nell’interesse di G.C..
I ricorsi sono infondati. Essi si concretano in affermazioni che non sembrano tener conto del nucleo degli addebiti mossi al G..
A questi si è ascritto di aver omesso in più fasi di eseguire i controlli che pure le istruzioni imponevano, limitandosi in modo del tutto superficiale e negligente alla rilevazione delle misure mostrate dall’indicatore di carburante improvvidamente installato. E ciò nonostante egli avesse gli elementi di conoscenza e procedurali per rilevare l’errore occorso nella sostituzione del pezzo di ricambio. A fronte di ciò non è decisivo che si potesse o meno prevedere l’errore nell’installazione ma il fatto che quell’errore non venne rilevato pur in presenza di specifiche prescrizioni operative volte a garantire l’adeguatezza della provvista di carburante del velivolo.
Nell’ambito della colpa specifica il ruolo della prevedibilità dell’evento risulta più ridotto rispetto alle ipotesi di colpa generica. Qui la prevedibilità ed evitabilità dell’evento sovvengono quali criteri necessari alla identificazione della regola cautelare che governa la gestione del rischio, oltre che – in un momento successivo – come parametri di valutazione della rimproverabilità soggettiva del fatto. Nell’area della colpa specifica la prevedibilità dell’evento è già stata ritenuta dal legislatore, che da quella ha tratto la norma cautelare. Un residuo ruolo alla prevedibilità in chiave di fondazione della regola cautelare risulta concepibile solo in presenza di norme cautelari “elastiche” – che indicano, cioè, un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti. Allora è comunque necessario che l’imputazione soggettiva dell’evento avvenga attraverso un apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico da parte dall’agente modello (Sez. 4, n. 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 237050).
Nel caso che occupa, entrambe le sentenze di merito offrono ampia illustrazione della dettagliata regolamentazione delle procedure di controllo alle quali il pilota in comando doveva attenersi quanto alla preparazione del volo e alla verifica del carburante. Pertanto non può assumere alcun rilievo che fosse o meno prevedibile un difetto di funzionamento di uno strumento, e segnatamente dell’FQI; che l’addetto al rifornimento avesse dato – in ipotesi – una informazione errata in ordine all’entità del rifornimento di carburante eseguito.
Stante l’opzione della Corte di Appello in merito alla fase di ammaraggio i relativi rilievi del ricorrente risultano superati.
I motivi sub 8.2 e 8.3. siccome comuni ad altri ricorsi, saranno trattati sub 21.
18. I ricorsi proposti nell’interesse di K.L..
18.1. Il motivo di ricorso sub 9.2 E’ infondato. L’assunto di fondo del ricorrente è l’errata individuazione in capo al copilota di una posizione di garanzia dalla quale germinano quegli obblighi di facere la cui violazione si è posta in relazione di efficienza causale rispetto al sinistro. Si tratta, tuttavia, di un assunto che già la sentenza di primo grado aveva persuasivamente confutato.
Il Giudice dell’udienza preliminare, infatti, ha ricordato che il manuale in dotazione all’ATR 72 al paragrafo 8.01.10.5 intitolato Consegne per la preparazione del volo, al punto 17 affermava: “L’equipaggio montante deve verificare che il valore registrato del carburante rimanente dal volo smontante (o precedente), sia in accordo con la somma di ciascun serbatoio”. Al punti 18 si prescriveva: “L’equipaggio deve annotare nella colonna il carburante aggiunto, espresso in kg…”; al punto 19: “L’equipaggio deve poi annotare la somma della quantità di carburante di ciascun serbatoio dopo il rifornimento…”.
Le citazioni appena fatte evidenziano che le regole cautelari (che in ciò si sostanziano le menzionate prescrizioni) concernenti il controllo del carburante in funzione della preparazione del volo si indirizzano all’intero equipaggio e non solo al comandante (a differenza, ad esempio, della prescrizione del paragrafo 8.03.02.07, per la quale “il comandante deve assicurarsi siano effettuati controlli sul carburante a intervalli regolari…” (pg. 81 della sentenza di primo grado)). Già questa sola precisazione mette a nudo la correttezza dell’interpretazione fornita dei giudici di merito quanto alla posizione del copilota. La Corte di Appello ha affermato che il copilota è incaricato di un ruolo di collaborazione attiva del comandante, ciò significando che egli è tenuto a collaborare affinchè le attività di volo avvengano nel rispetto delle regole di sicurezza. Oltre al dato latu sensu normativo che si è già evidenziato, va tenuto presente che, in tema di colpa omissiva, l’obbligo giuridico di attivarsi gravante sull’agente può originare anche dall’esercizio di un’attività pericolosa, dovendosi intendere per tali non solo quelle così identificate dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì ogni attività che per sua stessa natura o per le caratteristiche di esercizio comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno (in tal senso, Sez. 4, n. 39619 del 11/07/2007, Bosticco e altro, Rv. 237833). Si è già scritto che tra le attività pericolose deve essere ricondotta quella di trasporto aereo di persone; di talchè l’obbligo di assicurare l’osservanza delle regole cautelari che sovrintendono all’esercizio di tale attività non può che gravare anche su ogni soggetto che, in diverso ruolo, collabora all’effettuazione del trasporto.
18.2. Tratto comune a tutti i ricorsi è l’evocazione delle altrui violazioni cautelari in funzione escludente della responsabilità dello specifico ricorrente; in alcuni si rimarca la posizione di subalternità che avrebbe sottratto l’esponente alla titolarità del dovere cautelare rimasto inadempiuto. Una simile prospettiva è coltivata in particolare dai ricorsi proposti nell’interesse del copilota K. e del meccanico installatore Ch..
Essa pone un tema cruciale, che in realtà percorre l’intera trama ricostruttiva della vicenda in esame ed influenza la compiuta comprensione delle più decisive ragioni dell’attribuzione di responsabilità agli odierni ricorrenti.
Ancorchè non argomentato e neppure esplicitamente nominato dai giudici di merito, ed anzi negato dai capi di imputazioni, che si richiamano all’art. 41 cod. pen., quel tema è rappresentato dalla riconducibilità delle condotte dei diversi imputati all’istituto della cooperazione colposa.
18.3. La differenza tra questa e il concorso di condotte colpose tra loro indipendenti viene comunemente individuata nel fatto che in quest’ultimo caso più persone, pur avendo contemporaneamente violato una regola cautelare, pongono in essere un’autonoma condotta, che sfocia nella produzione dell’evento non voluto, in mancanza della reciproca consapevolezza di contribuire all’azione od omissione altrui (tra le molte, Sez. 4, n. 48318 del 12/11/2009, P.C. in proc. Gigli e altri, Rv. 245736).
Intorno all’esatta definizione dei contenuti del coefficiente psicologico che caratterizza la cooperazione colposa si coglie invece un progressivo distacco dalla tesi tradizionale, per la quale essa si verifica quando più persone pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all’azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell’evento non voluto (Sez. U, n. 5 del 25/11/1998, Loparco, Rv. 212576). Si afferma, infatti, che nell’ipotesi di cooperazione colposa il legame psicologico tra i partecipi è quello della coscienza in ciascuno della condotta degli altri, senza che sia richiesta la “specifica coscienza o conoscenza sia delle persone che cooperano sia delle specifiche condotte da ciascuno poste in essere”. Ove si ritenesse diversamente, ovvero che sia necessaria la consapevolezza anche della natura colposa dell’altrui condotta, la cooperazione sarebbe configurabile solo nel caso di colpa cosciente. Pertanto, si conclude, la cooperazione è ipotizzabile anche in tutti quelle ipotesi nelle quali un soggetto interviene essendo a conoscenza che la trattazione del caso o la sistemazione di un’opera non è a lui soltanto riservata perchè anche altri operanti ne sono investiti (Sez. 4, n. 26020 del 29/04/2009, Cipiccia e altri, Rv. 243932).
L’opzione interpretativa appena ricordata è stata ulteriormente approfondita in una coeva pronuncia che, preso atto che il campo delle opinioni è diviso tra coloro che ritengono costitutiva della cooperazione colposa la sola coscienza della partecipazione di altri e quanti sostengono la necessità della consapevolezza del carattere colposo della condotta altrui, ha ritenuto entrambe le tesi insoddisfacenti: l’una, quella della mera consapevolezza dell’altrui condotta, perchè “sembra implicare il rischio di creare un’indiscriminata estensione dell’imputazione”; l’altra, perchè “richiedere la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui comportamento reca il rischio opposto di svuotare la norma e di renderla inutile, giacchè una tale consapevolezza ben potrebbe implicare un atteggiamento autonomamente rimproverabile”.
Onde evitare l’eccessiva estensione della fattispecie di cooperazione connesse alla mera consapevolezza dell’altrui condotta concorrente si è quindi ritenuto necessario che “il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza. In tali situazioni, l’intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di condotte che, come si è accennato, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche.
In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame ed un’integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto”.
La Corte ha quindi individuato una “pretesa d’interazione prudente”, quale canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. Ed è in ragione di essa che troverebbe giustificazione “la deviazione rispetto al principio di affidamento e di auto responsabilità”. Ciò consente di dire che la funzione della cooperazione è quella di fornire un “modello di doveroso accrescimento dell’efficienza delle cautele”; e così di giustificare il coinvolgimento anche di soggetti che, nell’ambito di una determinata organizzazione, svolgono un ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante. Subalterni che, hanno quindi il dovere di assumere un ruolo critico-dialettico e conseguentemente il dovere di manifestare l’eventuale dissenso rispetto alle scelte del sovraordinato (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1786 del 02/12/2008, Tomaccio e altri, Rv. 242566; Sez. 4, n. 1428 del 02/11/2011, Gallina, Rv. 252940).
Questa Corte ritiene di condividere tal ultimo orientamento, dal quale si possono trarre i seguenti principi: 1) nell’ambito delle attività nelle quali la gestione del rischio è affidata a più soggetti ancorchè in ruoli diversi (gestione collettiva del rischio), perchè possa aversi cooperazione colposa è necessario ma anche sufficiente che alla violazione della regola cautelare (che può dar luogo anche a condotta atipica, avendo l’art. 113 cod. pen. funzione incriminatrice) si accompagni la consapevolezza della valenza sinergica del proprio comportamento; 2) in presenza dei due requisiti appena menzionati, si prospetta un’ulteriore regola cautelare di condotta, individuata in un particolare dovere di “interazione prudente”, aggiuntiva rispetto alle regole di diligenza che contengono lo svolgimento dell’attività specifica entro i limiti del rischio consentito.
18.4. Il trasporto aereo di persone espone ad elevato rischio beni primari quali la vita e l’incolumità delle persone (non solo i soggetti trasportati, ma anche quanti possono trovarsi a vario titolo coinvolti in un eventuale sinistro). Ne costituisce plastica dimostrazione la disciplina di particolare rigore che il codice penale riserva alla caduta di un aeromobile (art. 428), al danneggiamento dal quale derivi pericolo di disastro aviatorio (art. 429), al pericolo per la sicurezza dei pubblici trasporti per aria (art. 432) e alle correlate manifestazioni colpose (art. 449 cod. pen.); rigore espresso tanto dall’anticipazione della soglia di punibilità (si tratta infatti di reati di pericolo) che dai termini edittali.
Rilevano le sentenze di merito pronunciate nel presente giudizio, che “l’operatore aereo, proprio perchè deputato ad occuparsi del trasporto di un numero indeterminato e indeterminabile di persone, non è qualificabile come un’impresa tout court che offre un qualsiasi servizio o prodotto. L’organizzazione di una compagnia aerea quindi, ancor prima di perseguire il conseguimento di un utile, deve privilegiare garantire la sicurezza della prestazione offerta e ciò anche contravvenendo ai criteri di economicità” (pg. 22 sentenza di primo grado).
Il rango dei beni esposti a pericolo e la gravità del danno potenziale è quindi all’origine di una normativa internazionale ricca di prescrizioni cautelari, tale da fare del trasporto aereo un’attività ipernormata, nella quale pressocchè tutte le disposizioni sono strumentali al perseguimento dell’obiettivo della massima riduzione del rischio. Ciò in quanto, è ancora il primo giudice ad averlo rilevato, “il trasporto aereo è concepito ed organizzato in nome della sicurezza del passeggero”. Le attività di tutti gli operatori concorrono al raggiungimento di tale obiettivo.
Per quanto esse possano essere diacroniche (ma nel caso dei membri dell’equipaggio risultano sovente sincrone), ne è indubitabile il carattere sinergico, germinato dalla comune funzionalità ad un medesimo scopo. Per tale profilo, sembra possibile cogliere una certa analogia con l’attività medicochirurgica di equipe, ambito nel quale più che per altri si è riflettuto sui contenuti della responsabilità derivante dalla cooperazione colposa.
Le conseguenze che se ne devono trarre sono almeno due: a) ciascun garante è tenuto ad assolvere gli obblighi che direttamente gli incombono ma anche a soddisfare quella pretesa di interazione prudente che si è sopra ricordata, nel caso del trasporto aereo derivante quanto meno dalle esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio; b) in tale contesto, il principio di affidamento sul comportamento osservante degli ulteriori obbligati recede rispetto all’obbligo di tener conto delle condotte altrui.
18.5. Alla luce dei principi appena ricordati deve escludersi che l’articolazione gerarchica dei diversi ruoli abbia quale effetto la concentrazione degli obblighi in capo alla sola figura apicale – nella specie il comandante del velivolo. Piuttosto, nella relazione tra il pilota di comando ed il copilota (e più in generale tra i membri dell’equipaggio), i doveri facenti capo ai subordinati assumono un contenuto aggiuntivo, consistente – in presenza di una ravvisata omissione da parte del superiore gerarchico – nell’obbligo di attivarsi, nei limiti fattuali che caratterizzano la specifica posizione.
Inoltre, come è stato precisato nella sentenza di primo grado, alla quale quelle impugnata si è richiamata, il K. avrebbe dovuto annotare nel piano di volo tempi di volo e consumi del carburante, verificando periodicamente la quantità di combustibile consumato per confrontarlo con quanto pianificato. La relativa prescrizione si rivolgeva, infatti, all’equipaggio (pg. 91 s.). Se ciò fosse stato fatto sarebbe stato possibile rendersi conto che risultava dalla strumentazione un consumo anomalo. Nel caso di specie, quindi, non vi è alcun dubbio in ordine al fatto che, o perchè direttamente gravato del relativo obbligo o perchè richiesto dalle palesi e ripetute negligenze del comandante G., il copilota avrebbe dovuto attivarsi per assicurare il rispetto delle procedure di controllo del carburante, sia nella fase di preparazione del volo che durante ì percorsi Tunisi-Bari e Bari-Djerba.
Il motivo sub 9.3. sarà trattato nel prosieguo in quanto comune ad altri ricorsi. Sin d’ora si esplicita che è infondato.
19.1. I ricorsi proposti nell’interesse di C..
Il ricorso a firma del difensore è infondato. Esso si incentra sulla dimostrazione dell’inesistenza di defaillances organizzative riferibili alla figura del direttore tecnico. Per larga parte si tratta di censure in fatto, che rendono necessario rimarcare come il sindacato di legittimità trovi la propria ragion d’essere non già nella necessità di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì in quella di verificare, alla luce dei rilievi mossi con il ricorso, se la motivazione della Corte di merito si presenti o meno strutturalmente compiuta. L’incompiutezza che rileva è quella che deriva dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Simili acquisizioni, invero consolidatesi sino ad apparire ovvie, risultano ciò non di meno disattese da prospettazioni che, attraverso l’evocazione della violazione di legge e/o del vizio motivazionale, tendono in realtà a proporre una ricostruzione dei fatti diversa ed alternativa rispetto a quella assunta dal decidente.
Il dato essenziale, che permette di evitare un simile errore prospettico, è rappresentato dal fatto che la decisione non merita di essere rescissa sol perchè persistano ancor dopo il vaglio processuale ipotesi ricostruttive patimenti logiche. Nè ciò risulta in antitesi con il principio secondo il quale la condanna va pronunciata quando la responsabilità dell’imputato è accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Infatti, come ancor di recente è stato ribadito, il principio dell’oltre ragionevole dubbio, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello (Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579). Ancora una volta, quindi, la critica che può esser mossa attraverso il ricorso per cassazione attiene alla compiutezza strutturale della motivazione, la quale deve aver tenuto conto delle ipotesi alternative meritevoli di considerazione (beninteso, ove il tema sia stato devoluto con i motivi di appello) ed esplicato le ragioni per le quali queste non risultano preferibili.
19.2. Ciò posto, occorre aggiungere che il ripetuto richiamo operato dalla Corte di Appello alla doverosità e alla decisività di sistemi di qualità che garantissero il controllo della correttezza delle procedure previste per l’espletamento dei compiti assegnati al servizio manutenzione della compagnia rende manifesta l’insignificanza di ogni argomentazione difensiva che rimarchi l’esistenza delle procedure di primo livello, poichè in tal modo non viene colto il nucleo dell’addebito che investe il C.. Alla stessa stregua, è palese che a questi non è stato ascritto di non essersi adoperato nel controllo minuto di quanto eseguito dagli addetti al servizio, ma piuttosto di non aver organizzato il medesimo secondo le prescrizioni vigenti in materia (e ricordate nella parte narrativa della presente decisione).
In rapporto alla ripetività delle censure difensive è sufficiente in questa sede richiamare quanto esposto al superiore paragrafo 3 per l’evidenziazione delle ragioni poste dalla Corte di Appello a base della conferma della condanna pronunciata nei confronti dell’imputato in parola.
20. I ricorsi proposti nell’interesse di Z.M..
20.1. Destituita di fondamento è la censura per la quale la Corte di Appello non avrebbe dato risposta al rilievo avanzato con l’atto di impugnazione per il quale era da escludersi lo stato di grave disorganizzazione della Tuninter per il positivo esito che avevano avuto i controlli operati dalla ICAO e dalla SAFA, nonchè per il fatto che alla compagnia era stato rilasciato il certificato di operatore aereo. In realtà si tratta di rilievi che erano stati presi in esame già dal primo giudice, il quale aveva compiutamente esplicato le ragioni per le quali essi non potevano avere il valore assegnato loro dalla difesa, trattandosi per la gran parte di verifiche successive al disastro per cui è processo, le quali peraltro non avevano investito l’organizzazione della compagnia.
Infatti, rimarcava il Giudice dell’udienza preliminare, gli audit condotti dall’ICAO avevano verificato soltanto l’ammissibilità delle licenze erogate e non l’assenza di carenze organizzative, mentre le ispezioni della SAFA avevano avuto natura eminentemente amministrativa. Soprattutto, continuava il decidente, i controlli in questione erano intervenuti prima che la compagnia mutasse il proprio profilo strutturale e il parco velivoli (cfr. pg. 129 ss.)- Motivazione assolutamente puntuale e logica, alla quale la Corte di Appello ha consapevolmente inteso aderire, aggiungendo, peraltro, che il giudizio espresso in primo grado risultava altresì confermato dalla circostanza che, a seguito del disastro per cui è processo, le ispezioni condotte dall’Enac e la interdizione al volo per otto mesi stavano a dimostrare la presenza di molteplici deficit organizzativi (cfr. pg. 45).
Con riferimento agli analitici rilievi in ordine agli elementi che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare o malamente valutato nel ritenere accertata una profonda disorganizzazione della compagnia, da ricondurre in primo luogo al Direttore generale della stessa, ovvero allo Z., appare utile richiamare anche a riguardo del ricorso in esame quanto si è ribadito nel trattare quello proposto nell’interesse del C. (par. 19.1).
Nel caso che occupa, quel che i giudici di merito hanno posto in evidenza in termini assolutamente chiari e netti è la presenza di carenze organizzative di natura radicale (assenza di un manuale generale proprio della compagnia – sulla negazione della circostanza operata dal ricorrente basti dire che trattasi di censura in fatto -, messa in esercizio di un software senza che il personale chiamato ad utilizzarlo avesse avuto idonea formazione per l’assenza di licenza d’uso (al riguardo, difformemente a quanto affermato dal ricorrente, si vedano pg. 145 ss. della sentenza di primo grado, alla quale quella qui impugnata si richiama), mancanza di un controllo di qualità delle procedure di manutenzione).
Le argomentazioni con le quali si è giustificato tale giudizio appaiono immuni da vizi censurabili in questa sede. Da un canto si tratta di dati fattuali sostanzialmente incontroversi; dall’altro la valutazione della prevalenza dei riscontrati fattori su altri, per la difesa espressivi di una corretta organizzazione della compagnia, non appare manifestamente illogica, tenuto conto del valore fondamentale di un manuale generale della compagnia e dell’assoluta centralità del processo di catalogazione e di ricerca dei pezzi di ricambio, in relazione ai rischi connessi al trasporto aereo di persone. Carenze strutturali rispetto alle quali il fatto – asserito dal ricorrente – che fossero state costituite squadre di operatori alla cui testa era posto un capo dotato di adeguate competenze professionali, che l’intera struttura facesse capo a un direttore tecnico dotato dei necessari requisiti professionali ed infine che le operazioni coinvolte nella vicenda in esame non fossero particolarmente complesse, quand’anche fosse stato accreditato dall’accertamento processuale, non è in grado di esprimere alcuna efficacia compensativa. Quanto alla titolarità da parte dello Z. di compiti di mera rappresentanza legale della compagnia, si tratta di affermazione che non risulta documentata in sede di merito ove, piuttosto, le prospettazioni difensive hanno fatto perno sull’esistenza di deleghe in virtù delle quali le funzioni facenti capo allo Z. sarebbero state trasferite a soggetti diversi incardinati nell’organigramma aziendale (pg. 167). E dunque, se a questa circostanza allude il ricorso, deve constatarsi come già il primo giudice abbia diffusamente argomentato, con coerenza al quadro normativo, in ordine alla concreta riconducibilità della disorganizzazione aziendale al Direttore generale della compagnia (cfr. pg. 168). Sulla medesima direttrice, la Corte di Appello ha più volte sottolineato la radicalità delle carenze organizzative accertate e la conseguente riferibilità delle stesse ai vertici aziendali, costituiti appunto dallo Z. e dal direttore tecnico C. (cfr. 41), per il fatto che “nell’ambito di una compagnia aerea l’organizzazione del servizio e reparto manutenzione degli aerei rivesta una fondamentale importanza e rilevanza tale da non poter essere delegato esclusivamente a figure di secondo profilo”. Ed ancora, “trattandosi di attività di trasporto di vite umane, l’inadeguata organizzazione del servizio manutenzione non può essere attribuito esclusivamente agli organi tecnici ma in quanto investe profili di responsabilità per l’intera società è direttamente incombente sui suoi vertici”. Tali affermazioni sono del tutto in linea con l’insegnamento di questa Corte in ordine alle condizioni di esonero del vertice nell’ambito delle organizzazioni complesse. I principi di diritto espressi al riguardo evidenziano la necessità di mantenere ferma la relazione tra potere decisionale e responsabilità penale, di talchè questa può investire anche soggetti non ricompresi nel vertice societario, quando ad essi siano stati trasferiti i poteri necessari a tenere la condotta doverosa. Tanto implica che ad assumere rilievo è la “qualità” del potere decisionale richiesto dalla condotta doverosa, direttamente proporzionale al grado di rilevanza strategica per la vita dell’impresa del comportamento che deve esser tenuto. In assenza della prova di adeguate ed efficaci deleghe di funzioni, quanto più la condotta doverosa è incidente sulla vita della compagine sociale – e quindi quanto più implica l’esercizio di poteri di particolare ampiezza – tanto più la sua omissione va ricondotta ai vertici societari.
Quanto alla valenza causale delle violazioni attribuite allo Z., la Corte di Appello ne ha argomentato l’affermazione ponendo in evidenza la capacità di un sistema di controllo delle procedure di manutenzione, ove implementato, di far emergere tempestivamente l’errore dell’operatore o del sistema di catalogazione dei pezzi di ricambio (cfr. pg. 42). Si tratta di un giudizio immune da vizi censurabili in sede di legittimità, in quanto dotato di elevata credibilità razionale. Mette conto ricordare che “in tema di causalità, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e “processualmente certa” la conclusione che la condotta omissiva dell’imputato è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica” (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235658).
Peraltro, dall’integrazione tra le decisioni di merito emergono specifiche circostanze nelle quali la mancanza del manuale proprio della Tuninter, e quindi che tenesse conto della tipologia di velivoli in dotazione, manifesta icasticamente la propria incidenza nella catena causale. Il primo giudice ha fatto riferimento al fatto che anche durante il volo Tunisi-Bari vi fu un errore essenziale nel calcolo del carburante, dovuto proprio alla discrepanza delle previsioni del manuale in uso. Nè la difesa ha criticato l’affermazione per la quale il manuale sia stato usato anche per le operazioni sul carburante. D’altro canto, molto puntualmente, il primo giudice ricorda che nel sotto capitolo 8.1 del manuale disponibile “si danno indicazioni sui margini di scelta del pilota in merito alla quantità di carburante che, però, considerano solo i velivoli Airbus e B737” (pg. 142). Non si è mai negato che si trattasse di indicazioni diverse e fuorvianti, che hanno inciso sull’errore dei piloti.
Tutto ciò rimanda alle scelte di direzione dell’azienda, posto che la mancata acquisizione della licenza d’uso, l’utilizzo di un programma inadeguato, la mancata adozione di un manuale proprio non possono che farsi risalire al vertice, dal momento che le relative scelte implicano impegni di spesa che non risulta siano state nella possibilità di decisione del direttore tecnico. A questi può essere ascritto di aver consentito l’uso del programma a tutti, di non aver designato un responsabile di gestione, unico titolare del potere di immissione dei dati e di non aver previsto procedure per il controllo delle modalità di immissione dei dati.
Le fondamentali carenze organizzative identificate dai giudici di merito si pongono a monte di ogni altra condotta colposa addebitabile al singolo operatore.
Pertanto, che tali ultime violazioni siano qualificabili come imprevedibili ed abnormi, tali da recidere la relazione causale tra il grave evento e la condotta attribuita allo Z., è escluso dal fatto che si tratta di errori compiuti dai vari operatori nell’applicazione delle procedure in uso per l’assolvimento delle rispettive mansioni. La particolare ampiezza della divergenza tra la prescrizione procedurale e la concreta operazione eseguita nulla toglie alla prevedibilità dell’errore. Valga ricordare, al proposito, il principio secondo il quale “in tema di causalità, la condotta negligente od imprudente originata dall’altrui condotta colposa non costituisce causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, non risultando abnorme nè del tutto imprevedibile (Sez. 4, n. 32303 del 02/07/2009, Concas, Rv. 244865).
21. Altri motivi comuni ai ricorsi.
21.1. Eccessività o omessa motivazione in relazione alla pena base.
Il motivo espresso sub 8.3 e 9.3 è inammissibile, siccome aspecifico o manifestamente infondato. Quanto al giudizio di non commisurabilità di condotte produttive dell’evento, le une delle quali abbiano visto prodursi un fattore concausale esterno non presentatosi nelle seconde, in esso non si rinviene alcun vizio logico. Si tratta di un parametro che ben può essere suscettibile di valutazione ai fini della graduazione della pena e pertanto il relativo giudizio si sottrae alle censure del giudice di legittimità. Sotto altro profilo, vale ricordare che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 – dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596) e che in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 – dep. 26/03/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
21.2. Diniego delle attenuanti generiche.
Il motivo espresso sub 5.3, 6.2, 7.2, 8.2, 9.3, 10.3, 11.6 è infondato.
E’ opportuno rammentare che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
21.3. Determinazione della pena infllitta per i reati satellite in applicazione dell’art. 81 cpv. cod. pen.. Il motivo sub 5.3, 7.2, 8.3, 10.3 è infondato.
In tema di determinazione della pena nel reato continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza che faccia riferimento alle modalità dei fatti ed ai precedenti penali specifici degli imputati; non sussiste, invece, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena a titolo di continuazione, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 5, n. 27382 del 28/04/2011, Franceschin e altro, Rv. 250465).
21.4. Qualificazione della fattispecie di cui all’art. 449 cod. pen. come reato autonomo.
Ai punti sub 5.2. ed 11.7. si censura che la Corte di Appello abbia qualificato come reato autonomo l’ipotesi di cui all’art. 449 cod. pen. e di conseguenza non abbia compreso la stessa nel giudizio di comparazione eseguito ai sensi dell’art. 69 cod. pen..
Il motivo è infondato.
Va ricordato che il prevalente orientamento giurisprudenziale qualifica la fattispecie configurata dalla norma in parola come originante un autonomo reato, e non una circostanza aggravante dell’ipotesi di cui al comma 1 dello stesso art. 449 (cfr. Cass. Sez. 4, 27/3/1984, Bergamasco; Cass., Sez. 1, 18/3/1982, Castellani; contra, isolatamente, Cass., Sez. 5, 17 maggio 1977, Narducci).
L’esattezza della conclusione discende dalla disamina di tale ipotesi criminosa, che si caratterizza, tanto da meritare un trattamento sanzionatorio particolarmente severo, in ragione della particolarità del disastro, riguardante le strade ferrate, le navi e gli aeromobili adibiti al trasporto di persone (Sez. 4, n. 36639 del 19/06/2012, R.C. in proc. Castelluccio e altro, Rv. 254163; Cass. Sez. 4, sent. n. 27851 del 04/03/2004, Del Bono, Rv. 229072).
22. Segue al rigetto dei ricorsi a condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2013.