Tribunale di Livorno, sentenza 2 maggio 2016
Tribunale di Livorno, sentenza 2 maggio 2016, Giud Arcudi, A.M. (Avv. Cantisani) c. G.V. (Avv.ti Ca. Ci. e Pa. Lu. Pu) e Fondiaria Sai spa (Avv. Pizzo).
Responsabilità civile – “Banana Boat” – Organizzazione di gioco acquatico – Attività pericolosa – Responsabilità del gestore – Non sussiste (Cod. civ., art. 2050)
Responsabilità civile – “Banana Boat” – Organizzazione di gioco acquatico – Lesioni al partecipante – Accettazione del rischio – Sussiste – Colpa dell’organizzatore del gioco – Non sussiste (Cod. civ., art. 2043)
L’attività di organizzazione del gioco acquatico “banana boat” non può considerarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., considerato che nell’ambito delle attività pericolose “atipiche” (ossia, quelle che non sono qualificate tali dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali) rientrano quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportano una rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva (nella specie, nell’ambito dell’attività in esame la caduta in acqua dal galleggiante, a seguito dei sobbalzi e dei repentini cambi di direzione della moto d’acqua, non determina di per sé una rilevante possibilità di danni, risultando a tale fine determinante a valutazione dell’età e dello stato di salute dei partecipanti). (1)
L’organizzatore del gioco acquatico “banana boat” non risponde in via extracontrattuale del danno derivante dalla lesioni di un partecipante riportate in esito alla corsa, se egli abbia adottato le cautele necessarie per prevenire eventuali rischi di danni derivanti dalle caratteristiche peculiari di chi vi partecipa o da situazioni anomale ed estranee alla dinamica del gioco stesso (nella specie, l’organizzatore del gioco acquatico “banana boat” non può ritenersi responsabile per le lesioni riportate da un partecipante durante lo svolgimento della corsa, a causa dell’impatto di quest’ultimo con l’acqua, tenuto conto della consapevole accettazione del rischio derivante dal fatto che l’evento potenzialmente dannoso – la caduta in acqua – è non solo accettato ma, addirittura, voluto dal danneggiato) (2)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI LIVORNO
SEZIONE UNICA CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del Dott. Luciano Arcudi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. di R.G. 30148/2013, tra:
A. M. rappresentato e difeso dall’Avv. Daniela Cantisani
– attore
E
FONDIARIA SAI S.P.A., rappresentata e difesa dell’Avv. Fausto Bianchi,
-convenuta
G. V. rappresentata e difesa unitamente dagli Avv.ti Ca. Ci. e Pa. Lu. Pu.
-convenuta
Oggetto: responsabilità per esercizio attività pericolosa – gioco acquatico con moto d’acqua
Conclusioni all’udienza del 28.01.2016
Motivi della decisione e svolgimento del processo
I fatti di causa possono essere sintetizzati come segue.
Il 27.8.2012 l’attore si recava in località “La Biodola”, nell’Isola d’Elba, ove acquistava una corsa su un galleggiante a rimorchio (c.d. “banana boat”) dall’impresa, della quale la convenuta G. V. è titolare, esercente l’attività di noleggio di natanti da diporto e di gestione sport e giochi acquatici.
Deduce quindi l’attore che, nel corso del gioco, il galleggiante, portato ad elevata velocità dalla moto d’acqua che lo trainava, si capovolgeva determinando la sua caduta in acqua e che egli, accusando dolori alla schiena, veniva quindi soccorso e condotto presso il P.S. di Portoferraio, ove gli veniva diagnosticata una frattura vertebrale.
Richiede quindi il risarcimento del danno “biologico”, quantificato nell’importo di € 78.850,55, in via principale ai convenuti in solido tra loro, giustificando l’azione diretta nei confronti della Fondiaria SAI con la dedotta applicabilità dell’art. 144 C.A.P., ed, in via subordinata, alla sola convenuta G..
Entrambi i convenuti resistono all’azione.
Ciò premesso, si rileva quanto segue.
Il gioco in questione consiste nel traino da parte di una moto d’acqua, tramite una cima lunga circa 15 metri, di un ciambellone gonfiabile: il corpo dei partecipanti, collocati sul gonfiabile muniti di giubbetti di galleggiamento, a seguito del movimento volutamente impresso dal conducente subisce accelerazioni e decelerazioni nonchè ripetuti cambi di direzione fino a cadere in acqua.
È infondata la pretesa della parte attrice di ricondurre l’attività di cui trattasi al contratto di trasporto di persone: infatti, lo scopo del gioco è estraneo alla causa di tale contratto ex art. 1678 c.c. e, conseguentemente, non trova applicazione il disposto dell’art. 1681 c.c.
Parimenti, non trova applicazione il disposto dell’art. 2054 c.c.
A ritenere che la sopra citata norma introduca una responsabilità oggettiva, essa non può ragionevolmente trovare applicazione al caso in cui sia oggettivamente impossibile fornire la prova liberatoria, posto che, come detto, l’unica misura che dovrebbe essere adottata per evitare il possibile danno da caduta in acqua dal galleggiante consisterebbe puramente e semplicemente nell’evitare il gioco stesso, il cui scopo è, appunto, essenzialmente quello di provocare tale caduta. La norma in questione si giustifica con l’esigenza di assicurare una maggiore tutela a coloro che sono coinvolti in un sinistro derivante dalla circolazione dei veicoli, e ciò sull’evidente presupposto che l’evento potenzialmente dannoso non sia voluto dal danneggiato.
Per le stesse ragioni, non possono trovare applicazione gli artt. 144 e 141 C.A.P. e valgono le considerazioni che saranno svolte in seguito in merito alla consapevole accettazione del rischio da parte dell’attore.
L’attore evoca il disposto dell’art. 2050 c.c. e, tuttavia, non si ritiene di poter qualificare l’attività di cui trattasi come “pericolosa” ai sensi della citata disposizione.
Nell’ambito delle attività pericolose “atipiche” (ossia, quelle che non sono qualificate tali dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali) rientrano quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportano una rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva (giurisprudenza consolidata, cfr. Cass. civ. sez. III, sent. n. 7571 del 27.7.1990; Cass. civ. sez. I, sent. n. 10951 del 9.12.1996; Cass. civ. sez. III, sent. n. 12193 del 2.12.1997; Cass. civ., sez. III, sent. n. 5341 del 29.5.1998; Cass. civ., sez. III, sent. n. 11206 del 6.11.1998; Cass. civ. sez. III, sent. n. 8148 del 5.6.2002; Cass. civ., sez. III, sent. n. 7187 del 12.5.2003 e Cass. civ. sez. III, sent. n. 1195 del 19.1.2007).
Il giudicante non dispone di elementi per ritenere che dall’attività di cui trattasi discenda in ogni caso la “rilevante” possibilità del verificarsi di un danno a carico di chi la pratica in ragione della sua “spiccata potenzialità offensiva”.
Fermo quanto si dirà in seguito in merito alla necessità di osservare le regole cautelari dettate dal buon senso al fine di evitare danni ai partecipanti, la caduta in acqua dal galleggiante a seguito dei sobbalzi e dei repentini cambi di direzione, non determina di per sè una rilevante possibilità di danni, risultando a tale fine determinante l’età e lo stato di salute dei partecipanti.
Si può quindi dire che la pericolosità non è intrinseca ma, trattandosi di attività che sollecita in misura significativa il fisico di chi vi partecipa, dipende in misura determinante dalle caratteristiche peculiari dei partecipanti stessi, al pari di quanto avviene per determinate discipline sportive. In questo senso, non v’è dubbio che chi gestisce l’attività stessa sia tenuto a compiere tutte le preliminari verifiche e, se del caso, evitare di ammettervi soggetti che non presentino caratteristiche idonee o, comunque, utilizzare tutte le opportune cautele.
L’attore, all’epoca dei fatti, era in procinto di compiere ventitre anni e non è emerso dagli atti che si trovasse in situazioni di salute tali da rendere sconsigliabile la partecipazione al gioco.
Pertanto, non si ravvisa ragione per ritenere applicabile il disposto dell’art. 2050 c.c.
In ogni caso, l’impatto con l’acqua è connaturale al gioco e, pertanto, deve ritenersi che chi vi partecipa accetta il rischio di eventuali danni che possano derivare da tale specifico fattore causale.
Naturalmente, chi organizza e gestisce il gioco è – come già rilevato – tenuto a prevenire eventuali rischi di danni derivanti dalle caratteristiche peculiari di chi vi partecipa o da situazioni anomale ed estranee alla dinamica del gioco stesso, come quello derivante dal contatto con altri corpi solidi durante il traino o la caduta in mare, dotandosi ad esempio di un gonfiabile adeguato per caratteristiche e materiali ed evitando di farvi salire un numero eccessivo di persone; così anche chi guida l’unità da traino deve evitare di eccedere nell’effettuazione delle manovre finalizzate a provocare bruschi cambi di direzione, in quanto potenzialmente dannose.
Ciò che invece non può ragionevolmente pretendersi è che siano adottate misure volte ad impedire le cadute in acqua, posto che, come già rilevato, queste costituiscono uno degli scopi del gioco: chi vi partecipa ne è evidentemente ben conscio e, se vuole evitarle, deve segnalarlo al conducente, cui non è quindi ascrivibile alcuna responsabilità per il solo fatto di agire in modo da provocarle.
Quanto poi alle condizioni meteo-marine, non è emerso dall’istruttoria che queste rendessero sconsigliabile il gioco o, comunque, che avessero avuto una rilevanza causale ai fini del verificarsi del danno.
In definitiva, la consapevole accettazione del rischio derivante dal fatto che l’evento potenzialmente dannoso (nella specie, la caduta in acqua) è non solo accettato ma, addirittura, voluto dal danneggiato, costituisce ad avviso del giudicante un antecedente che impedisce di considerare “contra jus” e, dunque, ingiusto, il danno occorso a seguito di tale evento.
Anche le attività ricreative, motorie o sportive – suscettibili (come, d’altra parte, larga parte delle attività umane) di provocare danni a chi le pratica – costituiscono una manifestazione della personalità dell’individuo tutelata costituzionalmente ex art. 2 Cost. e, come tali, meritevoli di protezione e suscettibili di essere valutate comparativamente con altri interessi dello stesso individuo potenzialmente antagonisti: ove nel corso di tali attività, al cui compimento concorre la condotta di terzi, chi le esercita subisce un danno, al fine di valutarne l’ingiustizia occorre svolgere un giudizio volto all’individuazione del soggetto sul quale è più giusto che ricadano le conseguenze dannose. Nella fattispecie, non essendo emersa dall’istruttoria alcuna condotta attiva od omissiva ascrivibile alla convenuta G. tale da giustificare l’attribuzione di una responsabilità alla stessa e non risultando il gioco in questione particolarmente pericoloso (invero, non risulta neppure ben chiaro come il fatto dedotto, ossia il semplice impatto con l’acqua derivante dalla caduta dal galleggiante da un’altezza modesta, possa avere provocato una frattura), deve ritenersi che il danno occorso all’attore debba rimanere a carico di questo.
Quanto sin qui esposto risulta assorbente ogni altra questione, inclusa la prova del nesso di causalità tra l’impatto con l’acqua e la frattura che l’attore deduce di aver subito.
Deve essere rigettata la domanda della convenuta G. di rifusione delle spese di lite per “inadempimento al suo obbligo di gestione della lite”: ad essa convenuta è stata rivolta, in via subordinata, una domanda di risarcimento del danno al di fuori dell’azione diretta ex art. 144 C.A.P. e dunque di una corresponsabilità della Compagnia convenuta, sicchè – essendo peraltro controversa l’applicabilità di tale disposizione al caso di specie – sussisteva sin dalla fase stragiudiziale il suo evidente interesse alla difesa tecnica con un legale di fiducia.
La difficoltà di individuare precedenti giurisprudenziali omologabili al caso di specie e gli orientamenti non univoci sulla responsabilità per danni derivanti da attività ludiche o sportive, anche con riguardo al tema della “accettazione del rischio”, giustificano la compensazione integrale delle spese tra le parti in relazione alle domande presentate dall’attore, secondo il disposto dell’art. 92 comma 2. c.p.c. applicabile ratione temporis.
Il rigetto della domanda di rimborso delle spese di difesa da parte della convenuta G. nei confronti della Fondiaria SAI comporta invece, in base al principio di soccombenza, l’obbligo di rifusione delle relative spese, limitatamente a tale domanda.
P.Q.M.
il Tribunale di Livorno, definitivamente pronunciando:
1. respinge le domande tutte presentate dall’attore M. A. nei confronti delle convenute Fondiaria SAI S.p.A. e G. V., dichiarando, per l’effetto, assorbita la domanda di garanzia svolta in via subordinata da quest’ultima nei confronti della stessa Fondiaria SAI S.p.A.;
2. respinge la domanda di rifusione delle spese di difesa svolta dalla convenuta G. V. nei confronti della convenuta Fo. SA. S.p.A.
3. in relazione alle domande di cui al punto 1 che precede, dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite;
4. in relazione alla domanda di cui al punto 2 che precede, condanna la convenuta G. V. alla rifusione in favore della convenuta Fondiaria SAI S.p.A. delle spese di lite, che liquida in complessivi € 1.250,00 per compenso di difensore, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge.
Così deciso in Livorno il 30 aprile 2016.
Dott. Luciano Arcudi