CASSAZIONE CIVILE, sezione III, 18 febbraio 2020 n. 4009.
CASSAZIONE CIVILE, sezione III, 18 febbraio 2020 n. 4009. Conferma App. Venezia 29 dicembre 2016
Responsabilità civile – Sci – Maestro di sci – Scuola di sci – Contratto atipico di insegnamento dello sci – Inadempimento – Onere della prova – Prova del nesso causale – Non sussiste
Il creditore che si assume danneggiato ha l’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del debitore asseritamente inadempiente e il danno di cui chiede il risarcimento, con la conseguenza che se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che, in relazione ad un infortunio occorso durante una lezione di un corso di sci per principianti, aveva respinto la domanda risarcitoria per difetto di prova del nesso di derivazione causale del danno, riportato dall’allievo, dall’inadempimento dell’obbligazione di garanzia a carico del maestro di sci e della sua scuola di appartenenza)
FATTI DI CAUSA
R.S. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 3005/2016 della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 29/12/2016, formulando due motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso Faloria S.p.A., la Scuola di sci Cortina e A.I..
Nessuna attività difensiva è svolta da Unipol Assicurazioni S.p.A., già Aurora Assicurazioni S.p.A.
Il (OMISSIS), durante lo svolgimento di una lezione di sci, la quarta per principianti in (OMISSIS), impartitale da A.I., appartenente all'(OMISSIS), R.S. perdeva il controllo degli sci è impattava violentemente contro uno degli alberi che costeggiavano il tracciato, riportando la rottura del legame crociato anteriore del ginocchio destro e la contusione del ginocchio sinistro.
Conveniva in giudizio il maestro di sci, l'(OMISSIS), la Faloria S.p.A., che gestiva la pista, per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni subiti, imputando loro, rispettivamente, di non averle impartito gli insegnamenti indispensabili per affrontare la difficoltà della pista e di non aver predisposto le cautele necessarie ad evitare impatti e cadute rovinose.
Faloria S.p.A. otteneva di chiamare in causa la propria assicuratrice, Aurora Assicurazioni S.p.A., che si costituiva in giudizio.
Il Tribunale di Belluno, con sentenza n. 44/2012, respingeva la domanda attorea, ritenendo che, alla stregua degli artt. 1218 e 1176 c.c., non fossero emerse prove dell’inadempimento del maestro di sci e della sua Scuola di appartenenza.
La Corte d’Appello di Venezia, adita dall’attuale ricorrente, con la sentenza qui impugnata, confermava integralmente la decisione del giudice di prime cure.
Il ricorso, trattato nella Camera di Consiglio del 26 settembre 2018, veniva riconosciuto improcedibile, per violazione dell’art. 369 c.p.c., stante il mero deposito presso la Cancelleria di questa Corte, da parte del difensore della ricorrente, della copia analogica della sentenza di appello (v. p. 33 del ricorso) e la accertata mancanza della copia analogica della sentenza con attestazione di conformità, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis e iter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto nonchè della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio, con sottoscrizione autografa, ai sensi del D.Lgs. n. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1, – Codice dell’amministrazione digitale -.
Nelle more della pubblicazione della ordinanza, era stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte (ord. 9.11.2018 n. 28844) la decisione della questione di massima importanza concernente la “sanabilità” del mancato deposito della sentenza impugnata e della relata di notifica in copia conforme all’originale, avuto riguardo alla estensione della applicabilità dei principi già enunciati da Cass., Sez. un.; 24/09/29018 n. 22438, in relazione alla diversa fattispecie del deposito in Cancelleria della copia analogica del ricorso per cassazione notificato in forma digitale, ma privo della attestazione di conformità del difensore prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis ed 1 ter: vizio ritenuto sanato qualora tutti i controricorrenti non abbiano disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificato ovvero quando il ricorrente depositi l’asseverazione di conformità della copia analogica all’originale sino alla udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio.
In conseguenza, investendo la questione rimessa alle Sezioni Unite diretta rilevanza sulla verifica di procedibilità del ricorso per cassazione, era stato disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite (ord. n. 6046/2019).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va dato atto, in via preliminare, che il ricorso, sulla scorta di Cass. sez. un., 25/03/2019, n. 8312, risulta procedibile.
Con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la ricorrente imputa alla Corte territoriale “di aver omesso la motivazione circa la circostanza relativa alla errata valutazione della prova con riferimento alla responsabilità del maestro di sci”.
Specificamente, la ricorrente lamenta che il giudice a quo si sia limitato, senza motivazione e in totale assenza di qualsiasi logica e diretta valutazione delle censure formulate, a confermare la decisione di primo grado, omettendo un puntuale esame del materiale istruttorio raccolto e, per dimostrarlo, riproduce, per l’ennesima volta – cioè dopo averlo già fatto per assolvere all’onere di esporre sinteticamente i fatti di causa – integralmente, ritenendo di soddisfare in tal modo il principio di autosufficienza del ricorso, la parte motiva della sentenza, da cui, suo giudizio, emergerebbe il vizio di motivazione apparente e vi aggiunge una serie di massime di legittimità non pertinenti.
Tutta la prospettazione è volta dimostrare che il maestro di sci sarebbe stato inadempiente all’obbligo di garanzia che gli imponeva di vigilare sull’incolumità degli allievi, basata su una diversa valutazione di stralci della CTU e di alcune deposizioni.
Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1176 e 2043 c.c. nonché della L. n. 363 del 2003, in relazione al capo di sentenza nel quale viene esclusa una responsabilità della società Faloria e della garante Unipol.
Ancora una volta la premessa da cui muove la censura della ricorrente è che la Corte d’Appello abbia tratto conseguenze errate ed incompatibili con le risultanze istruttorie, in ordine all’ampiezza del tratto di pista, all’assenza di pericoli nelle vicinanze, alla successiva, rispetto all’incidente occorsole, modifica del tracciato da parte della società Faloria “allargandolo, e rimuovendo le piante che potenzialmente costituivano fonte di rischio”.
Ulteriore errore attribuito al giudice a quo è quello di avere ritenuto extracontrattuale la responsabilità del gestore degli impianti sciistici di cui alla L. n. 363 del 2003 – piuttosto che contrattuale, in conseguenza della stipulazione di un contratto di skipass, o per omessa custodia ex art. 2051 c.c. – e quindi di avere ritenuto non soddisfatto da parte sua l’onere della prova.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della comunanza delle prospettazioni che li supportano, e risultano in parte, inammissibili, in parte, infondati.
Va premesso che nell’ipotesi di doppia conforme prevista dall’art. 348 ter, commi 4 e 5 codice di rito – applicabile alle sentenze pubblicate dopo le 11 settembre 2012: quella impugnata è stata depositata il 29 dicembre 2016 – quando la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione impegnata, non può essere dedotto il vizio di omesso esame, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis cfr. Cass. 23/06/2017, n. 15647).
Il motivo numero uno è da ritenersi inammissibile anche sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, stante che per la ricorrenza del lamentato error in procedendo la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’impercepibilità del fondamento della decisione, perché recante argomentazioni “obiettivamente inidonee un lontano conoscere il ragionamento seguito del giudice per la formazione del proprio convincimento”(Cass. 22/02/2018, n. 4294); la decisione, al contrario, si basa su una esaustiva valutazione delle prove raccolte collimante con quella operata dal giudice di prime cure, nonchè sulla confutazione delle censure formulate dell’appellante. Il giudizio di legittimità non consente il riesame del merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma comporta solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolta del giudice di merito, al quale aspetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esso sotteso, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia individuabile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Nel caso di specie, il ricorso non individua la ricorrenza di errori idonea a giustificare una decisione diversa da quella assunta, giacché esso si limita ad una complessiva denuncia della valutazione compiuta dal giudice, proponendone una affatto diversa (Cass. 04/08 2017, n. 19547; Cass. 07/04/2017, n. 9097; Cass. 19/10/2016, n. 21098).
Il motivo numero due, deducendo la violazione o falsa applicazione di precise norme di legge, avrebbe richiesto l’individuazione delle affermazioni della sentenza impugnata in cui le norme sarebbero state violate o falsamente applicate anche con riferimento all’interpretazione offertane dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti. Manca, ex adverso, nella sua illustrazione ogni correlazione tra le deduzioni del ricorrente e la parte motivazionale della sentenza da cui emerga l’asserita violazione; ad eccezione del riferimento alla L. n. 363 del 2003 in materia di sicurezza degli impianti sciistici che, ad avviso della ricorrente, non individuerebbe la responsabilità del gestore sulla scorta dell’art. 2043 c.c., come affermato dal giudice a quo. Anche in questo caso si tratta di una argomentazione della ricorrente che muove da una premessa erronea atteso che la L. n. 360 del 2003, art. 4 è rubricato “Responsabilità civile dei gestori” e l’espressione responsabilità civile, di norma, implica l’applicazione dell’art. 2043 c.c.
Le ragioni di infondatezza dei motivi sono quelle di seguito elencate.
Per la Corte territoriale, dall’esame del compendio probatorio, comprendente la CTU, il verbale dei vigili del fuoco, alcune deposizioni testimoniali “sottoposte ad un penetrante controllo di credibilità oggettiva e soggettiva e di confronto con le risultanze della CTU”, non erano risultati provati nè l’inadempimento del maestro di sci nè il nesso di derivazione causale tra il dedotto inadempimento e la caduta, causa dei danni; posta l’incertezza eziologica del danno lamentato il giudice non poteva far altro che rigettare la domanda risarcitoria della ricorrente.
Colui che si assume danneggiato ha l’onere, infatti, di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto asseritamente inadempiente e il danno di cui chiede il risarcimento, con la conseguenza che se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. 14/11/2017 n. 26824; Cass. 07/12/2017, n. 29315).
La previsione dell’art. 1218 c.c. esonera il creditore dell’obbligazione asseritamente non adempiuta – in questo caso l’obbligazione di garanzia nei confronti degli allievi – dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento. Il principio di vicinanza dell’onere della prova, su cui si fonda la decisione delle sezioni unite n. 13533 del 31/10/2001, implicitamente evocata dalla ricorrente, non coinvolge il nesso causale tra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato del creditore, rispetto al quale si applica la distribuzione dell’onus probandi di cui all’art. 2697 c.c. Tale disposizione, mentre fa carico all’attore della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa, non permette di ritenere che l’asserito danneggiante debba farsi carico della prova liberatoria rispetto al nesso di causa (Cass. 19/07/2018, n. 19204; Cass. 13/07/2018, n. 18557; Cass. 09/05/2018, n. 11165); la previsione dell’art. 1218 c.c. trova giustificazione nell’opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente, o non esattamente adempiente, l’onere di fornire la “prova positiva” dell’avvenuto adempimento o dell’esattezza dell’adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova, secondo cui essa va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla (Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, cit.); tale criterio non appare predicabile con riguardo al nesso causale fra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragion d’essere l’inversione dell’onere della prova prevista dall’art. 1218 c.c., e non può che valere il principio generale espresso dall’art. 2697 c.c., che onera l’attore della prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Trattandosi di elementi egualmente “distanti” da entrambe le parti (e anzi, quanto al secondo, maggiormente “vicini” al danneggiato), non c’è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una “prova liberatoria” rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade per la prova dell’avvenuto adempimento o della correttezza della condotta; né può valere, in senso contrario, il riferimento, contenuto nell’art. 1218 c.c. alla “causa”, là dove richiede al debitore di provare che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”: come affermato da questa Corte (Cass. 26/07/2017, n. 18392), la causa in questione attiene alla “non imputabilità dell’impossibilità di adempiere, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione, costituenti tema di prova della parte debitrice, e concerne un “ciclo causale” che è del tutto distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto.
Sulla scorta di tali premesse deve concludersi che il motivo di ricorso non coglie nel segno, perché, insistendo sulla responsabilità del maestro di sci, la ricorrente dimostra di non aver fatto corretto impiego dei principi di distribuzione dell’onere della prova, così come individuata dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (per l’applicazione all’obbligazione del sanitario cfr. CasS. 11/11/2019, n. 28992), sia perché non tiene conto che la Corte territoriale, valorizzando alcuni passaggi della relazione di CTU e attingendo – come ben poteva – dagli esiti della prova testimoniale emersi nel procedimento, è pervenuta alla conclusione dell’esistenza di una incertezza sul nesso di causa, ricorrendo la quale non aveva accolto la domanda risarcitoria.
Tali argomenti valgono tanto con riferimento alla asserita responsabilità del maestro di sci e della scuola di cui faceva parte quanto con riferimento alla responsabilità delle società Faloria, evocata anch’essa sulla scorta dell’art. 1218 c.c. In primo luogo, non c’è traccia nei motivi di appello della chiamata in causa del gestore dell’impianto, ai sensi dell’art. 2051 c.c.; e, comunque, benché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in caso di caduta sulla pista da sci, la responsabilità del gestore possa essere qualificata sia come contrattuale che extracontrattuale, la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. per essere integrata avrebbe richiesto la prova del fatto, del danno e del nesso di causalità (Cass. 28/11/2017, n. 24739), sì da consentire, con una valutazione ex post sulle modalità di verificazione dell’evento dannoso, di accertare se la partecipazione della cosa, la pista da sci, potesse ritenersi causalmente idonea a fondare la responsabilità del custode, cioè la società Faloria, per i danni derivati, oppure se la pista da sci avesse costituito il semplice mezzo del quale si era servita un’autonoma azione pregiudiziale, di per sé capace di produrre il danno. Solo nel primo caso la società Faloria per liberarsi avrebbe dovuto fornire la prova positiva dell’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva concernente le modalità di causazione del danno, idoneo ad interrompere quel nesso causale, e, cioè, un fatto esterno che presentasse i caratteri del fortuito. Anche la rilevanza del fortuito attiene, infatti, al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla res che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.
Per il giudice a quo era risultato provato, invece, che la pista non era difficile e che la sua larghezza era sufficientemente ampia; inoltre l’attrice aveva già ricevuto diverse lezioni, non era principiante assoluta e, quindi, era in grado di affrontare la discesa. La ricorrente, invece, confuta tali risultanze, pretendendo di avere dimostrato in senso opposto che la pista era piuttosto stretta e difficoltosa e di non avere ricevuto una preparazione adeguata a percorrerla.
Quanto all’assenza delle minimali dotazioni di sicurezza – nonostante la relazione del CTU avesse obiettivamente escluso la necessità di misure di sicurezza in considerazione dello sviluppo pressoché rettilineo, la pendenza minima e l’assenza di gravi pericoli nelle vicinanze – e alla dimensione della pista – che il CTU aveva descritto come inferiore alla larghezza minima prevista in rapporto alla pendenza, precisando, però, che poteva considerarti accettabile nelle particolari circostanze – le argomentazioni di parte ricorrente (che si fondano su alcuni stralci della CTU da cui emergerebbe che la pista all’epoca dell’incidente e nel tratto in cui avvenne l’incidente era più stretta di due metri rispetto agli attuali 11,5 metri, che sul tratto di pista non vi erano più gli alberi contro cui la ricorrente era andata ad impattare – non sono in tutta evidenza tali da provare nè l’insicurezza della pista nè il nesso di derivazione causale. Si tratta infatti di congetture che la ricorrente oppone al convincimento del giudice (cfr. le censure presenti del controricorso della (OMISSIS) e di A.I., pagina 17) e che, lungi dal dimostrare che il giudice a quo sia incorso in un error in procedendo, mirano, per giunta senza fondamento oggettivo, a rimettere in discussione gli accertamenti di fatto da lui compiuti. E’ inammissibile però il ricorso per cassazione quando lo esso sia volto a sollecitare una nuova valutazione delle risultanze probatorie da contrapporre a quella del giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica dei dati processuali o una diversa di costruzione di fatti storici o un diverso giudizio di attendibilità e di rilevanza delle fonti di prova: ex plurimis cfr. Cass. 05/07/2018,n. 17611.
Mette conto aggiungere che la valutazione dell’attendibilità dei testi è attività interamente ed esclusivamente rimessa al giudice di merito e per consolidata giurisprudenza non è oggetto di scrutinio di legittimità; che le deposizioni testimoniali sono state più di una e non solo quella della cognata del maestro di sci, attuale controricorrente. Anche la deduzione che gli alberi erano stati abbattuti e la pista era stata allargata dopo l’incidente per adeguarla agli standard di sicurezza non si fonda su prove, ma sù congetture della ricorrente e, comunque, non ha alcuna relazione significativa con il dedotto inadempimento, atteso che la CTU aveva escluso che la pista difettasse di misure di sicurezza o che fosse di larghezza tale da essere pericolosa.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno controricorrenti, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 4 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020