Cassazione civile, sezione III, sentenza 8 marzo 2019. n. 6737

Cassazione civile, sezione III, sentenza 8 marzo 2019. n. 6737. Rigetta Corte d’Appello L’Aquila , 12 settembre 2016.

Responsabilità civile – Gestore maneggio – Infortunio a cavallo – Responsabilità ex art. 2050 c.c. – Responsabilità ex art. 2052 c.c. – Sussiste

Il gestore del maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora gli allievi siano principianti, ed ai sensi dell’art. 2052 c.c., nel caso di allievi esperti, con la conseguenza che il danneggiante è onerato, nel primo caso, della prova liberatoria consistente nell’aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, nel secondo caso, della prova del caso fortuito interruttivo del nesso causale, che può derivare anche da comportamento del terzo o dello stesso danneggiato (in applicazione del principio di cui in massima, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito, pur correggendone la motivazione, tenuto conto che lo stesso giudice di appello erroneamente aveva qualificato la fattispecie come una ipotesi di responsabilità derivante da danni cagionati da animali, sebbene avesse posto in rilievo che l’allieva fosse una principiante).

 

Svolgimento del processo

Il giudizio di primo grado. Nel 2012 B.M. convenne in giudizio il Circolo Ippico Siamo a Cavallo di L.A., allegando di aver acquistato nel 2010 un pacchetto di dieci lezioni equestri presso il suddetto Circolo; di aver partecipato ad alcune lezioni, sempre sotto la guida della istruttrice Ba.Ma., effettuando solo andature al passo e al trotto; che il 27 novembre 2010, durante lo svolgimento della settima e dell’ottava lezione, all’interno dell’area del maneggio, L.A., titolare del maneggio stesso, ritenendo la B. pronta a iniziare il galoppo, malgrado i timori palesati dalla stessa, avesse intimato al cavallo ad alta voce l’ordine di partire al galoppo provocando il repentino scatto dell’animale e la caduta a terra della attrice, che riportava danni alla persona (trauma contusivo distorsivo del polso sinistro con frattura del radio). L’attrice chiedeva accertarsi la responsabilità del convenuto ex art. 2050 c.c. quale gestore del maneggio, o ai sensi dell’art. 2052 c.c., con condanna del Centro Ippico Siamo a Cavallo di L.A. al pagamento dei danni pari a Euro 38.362,43.

Si costituì in giudizio il convenuto, eccependo la nullità della citazione ex art. 163 comma 3, n. 2, c.p.c. (risultando l’incertezza assoluta sull’individuazione della persona giuridica chiamata in giudizio), l’improponibilità della domanda in presenza di clausola compromissoria, e chiedendo il rigetto della domanda; chiese altresì l’autorizzazione alla chiamata in causa dell’assicurazione.

Si costituì in giudizio la Sara Assicurazioni S.p.a., chiedendo il rigetto della domanda.

Con la sentenza n. 194/2015, pronunciata in data 3 aprile 2015, il Tribunale di Chieti, rigettate le eccezioni preliminari, accolse la domanda dell’attrice. In particolare, il Tribunale diede atto della rinuncia alla chiamata in causa dell’assicurazione da parte del convenuto; rigettò l’eccezione preliminare di nullità della citazione, ritenendo che il Circolo Siamo a Cavallo fosse l’unico circolo del quale era socia l’attrice, essendo peraltro intervenuta sanatoria con la costituzione in giudizio; ritenne che fosse tardiva l’eccezione di incompetenza per territorio (non essendo stata sollevata nella comparsa di risposta a pena di decadenza ex art. 38 c.p.c., ma solo con la prima memoria ex art. 183 comma 6, n. 1, c.p.c.), e che dallo statuto non fosse dato evincere la presenza della dedotta clausola compromissoria; reputò, inoltre, non integrato il caso fortuito di cui all’art. 2052 c.c., atto a liberare da responsabilità il circolo ippico, in quanto il L. aveva impartito l’ordine al cavallo di andare al galoppo – seppure nella consapevolezza della disinvoltura e dell’esperienza maturata dalla danneggiata con le precedenti lezioni-, e che non vi fosse stata alcuna condotta imprevedibile della danneggiata tale da integrare il caso fortuito.

Il giudizio d’appello. Avverso tale sentenza propose appello il Circolo Ippico, deducendo preliminarmente la illogicità ed erroneità della gravata sentenza in ragione della fondatezza delle eccezioni formulate dal convenuto in primo grado relativamente alla nullità dell’atto introduttivo, all’incompetenza per territorio, nonché all’improponibilità dell’avversa domanda in ragione della sussistenza di espressa clausola compromissoria. Nel merito, l’appellante addusse che, nella fattispecie, il convenuto non avrebbe potuto rispondere ai sensi dell’art. 2052 c.c., stante la rilevanza del fortuito nell’accadimento dannoso (il danno concretamente verificatosi essendo da ricondurre all’elemento esterno dell’accidentalità, anzichè all’animale); e che l’attrice, benchè onerata, non avesse offerto la prova circa l’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo.

Si costituì in giudizio B.M., chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

La Corte adita rigettò l’appello. In particolare, la Corte rigettò le doglianze preliminari e, nel merito, affermò che, dalle deposizioni dei testi e dal contenuto della stessa comparsa costitutiva del convenuto, emergesse come fosse stato il L. a impartire l’ordine di andare al galoppo al cavallo. La Corte ritenne inoltre che, anche se l’attrice avesse chiesto all’istruttore di andare al galoppo, non avendone le capacità, questi avrebbe dovuto impedire alla stessa di procedere al galoppo; aggiungendo come fosse stata la stessa istruttrice dell’attrice, Ba.Ma., presente anche il giorno dell’incidente, a smentire l’assunto degli altri testi addotti dalla parte convenuta circa una maggiore esperienza dell’attrice nella conduzione del cavallo, e rilevando l’inattendibilità del teste L.A. quale istruttore che diede l’ordine al cavallo di partire al galoppo, sia per la sua incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. – ben potendo essere chiamato in causa nel giudizio in corso – che per il contrasto con quanto riferito dai testi di parte attrice ritenuti più attendibili. Avverso la sentenza n. 1162/2016, depositata il 12 settembre 2016, della Corte d’appello dell’Aquila, propone ricorso per Cassazione, con un unico motivo, articolato in cinque censure, il Circolo Ippico Siamo a Cavallo.

B.M. non ha svolto in questa sede attività difensiva.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, nelle quali chiede il rigetto del ricorso, previa se del caso correzione della motivazione riqualificando la responsabilità del circolo ippico ex art. 2050 e non ex art. 2052, trattandosi di cavallerizza non esperta.

Motivi della decisione

Il motivo di ricorso è unico, ma articolato in quattro distinte censure; con esso si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2052 c.c..

Il ricorrente -premesso che la responsabilità ex art. 2052 c.c. del proprietario dell’animale postuli un nesso causale tra il fatto dell’animale e il danno subito dall’attore; che l’attore, pertanto, al fine di far valere detta responsabilità, sia tenuto a provare l’esistenza di tale nesso; che soltanto a seguito di siffatta dimostrazione il convenuto sia tenuto, per sottrarsi alla responsabilità ex art. 2052 c.c. (la quale sarebbe presunta e prescinderebbe, quindi, dalla sussistenza della colpa), a fornire la prova del caso fortuito; che il caso fortuito sia costituito da un fattore esterno, consistente anche nel fatto del terzo o nella colpa del danneggiato, ma comunque dotato dei caratteri dell’imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, sicchè detta imprevedibilità operi sotto il profilo oggettivo nel senso di accertare l’eccezionalità del fattore esterno, e non come elemento idoneo a escludere la colpa del danneggiato; e che, nella specie, l’applicazione del paradigma di cui all’art. 2052 c.c. appaia corretta laddove si escluda la responsabilità del proprietario sul rilievo che la condotta imprudente della danneggiata abbia avuto carattere assorbente nel verificarsi dell’evento, ossia abbia svolto un ruolo causale autonomo tale da interrompere qualunque nesso tra la custodia dell’animale e l’evento – muove, avverso il provvedimento impugnato, cinque specifiche censure.

Con la prima censura, si deduce l’errata e/o omessa qualificazione dell’evento occorso altrimenti sussumibile nell’alveo della responsabilità ex art. 2050 c.c.. Il ricorrente deduce che l’intero portato motivazionale avrebbe potuto semmai sorreggere una valutazione nell’ambito del diverso e alternativo profilo di cui alla condotta ex art. 2050 c.c.; la quale non viene in discussione nella gravata sentenza, nonostante che ivi non si escluda il grado di principiante o l’inesperienza nella pratica equestre dell’attrice.

Il ricorrente adduce il principio giurisprudenziale per cui il gestore del maneggio risponda quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti, qualora gli allievi siano cavallerizzi principianti o inesperti; salvo comunque rilevare come, anche sotto tale profilo, il convenuto sarebbe andato esente da responsabilità per aver mostrato di adottare ogni cautela possibile onde evitare l’evento occorso.

Con la seconda censura, si deduce l’evenienza del caso fortuito nell’accadimento occorso.

Il ricorrente lamenta che, in ogni caso, fosse stata sufficientemente dimostrata, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la configurabilità del caso fortuito, l’evento essendo occorso all’attrice anche per suo stesso fatto; mentre l’attrice non avrebbe fornito alcun elemento onde assolvere all’onere probatorio gravante sulla persona danneggiata, non potendosi considerare tale la mera rappresentazione di una connessione tra l’esercizio della pratica equestre e l’accadimento dannoso (considerata anche la preparazione alla pratica equestre, così come risultante dall’istruttoria, in capo alla B.; la quale, secondo la prospettazione del ricorrente, non poteva considerarsi principiante nè timorosa dell’animale, come assunto anche in sentenza).

Il ricorrente deduce, inoltre, che il cavallo montato dall’attrice sia stato espressamente richiesto, sin dalle prime lezioni, dalla stessa; e che l’animale si contraddistinguesse sia per l’estremo equilibrio comportamentale, sia per l’adeguatezza di preparazione in ordine al tipo di attività svolta dalla cavallerizza, nonché per il suo impiego finanche in attività riservate agli allievi principianti.

Il ricorrente segnala, infine, che la lezione si sia svolta sotto il controllo costante dell’istruttrice Ba.Ma.; la quale peraltro aveva confermato in sede testimoniale che fosse stata precipuamente l’attrice a chiedere di poter andare al galoppo, e che analoga richiesta era stata indirizzata anche alla Ba. stessa, la quale tuttavia non aveva acconsentito.

Con la terza censura, a sua volta articolata in due profili, si deduce la sussistenza del caso fortuito per fatto e colpa dell’attrice danneggiata.

Sotto il primo profilo, il ricorrente sostiene che la condotta della cavallerizza rappresentasse la causa esclusiva dell’evento dannoso al medesimo occorso e, come tale, fosse idonea a integrare il caso fortuito ex art. 2052 c.c..

Il ricorrente deduce che il principio dell’onere della prova non impedisca l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte; e che proprio la stessa parte attrice abbia fornito la prova liberatoria a favore del convenuto, rappresentando che, nel caso di specie, la B. era caduta in conseguenza della propria disattenzione e imprudenza, in quanto la stessa ebbe a cadere in occasione di un banalissimo cambio di direzione del cavallo, assolutamente naturale, proprio dell’incedere dell’animale e proprio per questo prevedibile e prevenibile.

Sotto il secondo profilo, il ricorrente lamenta che la danneggiata, come rappresentato anche in sentenza, abbia attuato un comportamento cosciente che avrebbe assorbito l’intero rapporto causale, mettendo in atto una duplice condotta, consistente nello sferrare calci ai fianchi del cavallo onde farlo incedere al galoppo, e nel rivolgersi a personale tecnico estraneo alla propria sfera di insegnamento ovvero quanto meno nel non aver consapevolmente disatteso l’invito a prendere il galoppo, conseguente a una sua espressa e precedente richiesta, da parte di soggetto terzo estraneo alla sua sfera di insegnamento, così esponendosi al rischio e rendendo questo possibile in concreto; con la conseguenza che la condotta dell’attrice rientrerebbe nel concetto di caso fortuito, utile all’esonero di responsabilità in capo al convenuto odierno ricorrente.

Con la quarta censura, si deduce la sussistenza del caso fortuito per fatto del terzo.

Il ricorrente lamenta che la circostanza per cui l’ordine di impartire il galoppo provenisse da soggetto terzo nella persona del L., e non anche dall’istruttrice assegnata all’attrice nella persona di Ba.Ma., fornisca contezza dell’insistenza di un chiaro fattore esterno riconducibile al fatto del terzo, onde escludere la responsabilità del convenuto.

Il ricorrente deduce che, nella fattispecie, non venisse neppure in rilievo un rapporto di affidamento dell’animale dal proprietario a un terzo (nella persona dell’istruttrice Ba.), il fatto del terzo -individuato nell’azione del L.- apparendo del tutto estraneo a qualsiasi incarico o affidamento inerente al rapporto dell’attrice con la gestione dell’animale.

Il ricorrente lamenta che, pertanto, il fatto del terzo si sia inserito in modo imprevedibile ed eccezionale nel paradigma del rapporto, apparendo idoneo ad accertarne l’eccezionalità e a interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, e costituendo elemento idoneo a dispiegare efficacia causale nella produzione del danno, unitamente al fattore relativo alla colpa della danneggiata.

Il ricorrente deduce che, parimenti, non possa riconoscersi una qualche forma di vincolo di solidarietà tra il proprietario convenuto e l’utilizzatore occasionale nella persona del L. in relazione allo specifico rapporto che lega l’attrice con la proprietà dell’animale, stante anche il carattere alternativo e non cumulativo della responsabilità in caso di utilizzazione dell’animale.

Ciò premesso, il ricorso va rigettato, sebbene debba essere corretta la motivazione della corte d’appello laddove ha ricondotto la responsabilità del maneggio all’ipotesi disciplinata dall’art. 2052 c.c. di danno cagionato da un animale, di proprietà o sotto il controllo del danneggiante e non, come suggerito dallo stesso ricorrente, alla diversa ipotesi di cui all’art. 2050 c.c., di responsabilità per attività pericolose.

La diversa qualificazione dell’ipotesi di responsabilità discende, come osservato dal Procuratore generale, dal principio per cui l’attività svolta presso un maneggio è quando si verta in tema di danni conseguenti ad esercitazioni di un principiante non in grado di governare le imprevedibili reazioni dell’animale con applicazione della presunzione di cui all’articolo indicato, che prevede l’obbligo per il gestore dell’attività pericolosa di risarcire il danno a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo. A questo proposito, Cass. n. 12392 del 2016 chiarisce che “l’attività di equitazione viene notoriamente annoverata tra le attività pericolose e sussunta nell’art. 2050 c.c. ma se la cavallerizza è esperta, la medesima attività rientra tra i danni cagionati dagli animali ex art. 2052 c.c.”. le attività pericolose, infatti, non solo quelle qualificate come tali dalla legge di pubblica sicurezza e da altre leggi speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportino, in ragione della loro spiccata potenzialità offensiva, una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, con accertamento concreto demandato al giudice di merito. La corte d’appello appunto chiarisce e pone alla base del suo ragionamento decisorio responsabilizzante il soggetto che doveva esercitare il controllo sulla attività pericolosa, ovvero il circolo, il fatto che la B. non fosse una cavallerizza esperta, avendo sostenuto soltanto sette o otto lezioni di equitazione.

Benchè il primo motivo faccia correttamente riferimento ad una più esatta qualificazione della ipotesi di responsabilità di cui si discute, riconducendola all’art. 2050 c.c., a tale riqualificazione non consegue l’accoglimento del motivo perché la decisione di rigetto della domanda risarcitoria è comunque corretta. Nè il ricorrente lamenta che questa diversa qualificazione della responsabilità si riverberi significativamente sul contenuto della prova liberatoria richiesta (nel caso dell’art. 2050, l’aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, nel caso dell’art. 2052 c.c., il caso fortuito interruttivo del nesso causale, che può derivare anche da comportamento del terzo o dello stesso danneggiato) e quindi che essa comporti un pregiudizio al danneggiante che si sia difeso tentando – senza riuscirvi – di fornire il contenuto della prova ex art. 2052 invece che ex art. 2050 c.c..

Al contrario, il ricorrente sostiene che l’impianto motivazionale “reggerebbe” in riferimento ad una responsabilità per attività pericolosa, ma non reggerebbe a fronte di una qualificazione in termini di responsabilità per danno da animali (in cui, si aggiunga, l’ipotesi astrattamente tutelata sarebbe quella, diversa, del danno provocato a terzi dalla stessa cavallerizza esperta, soggetto responsabile).

Gli stessi elementi addotti a fondamento della decisione dalla corte, non adeguatamente censurati dai motivi successivi altro che con la suggestione volta alla inammissibile rinnovazione del giudizio in fatto, si ricompongono nel quadro del tentativo di prova liberatoria della responsabilità del gestore del maneggio, all’interno del quale un cavallerizzo inesperto abbia riportato un danno, e che non abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno stesso (evitando la presenza in pista, e la possibilità di interferire con i comandi dati dall’istruttore, a un terzo soggetto che non conosca le capacità dell’allieva e non sia legittimato ad incidere sulla andatura del cavallo ad imporre allo stesso comandi).

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensive da parte dell’intimato.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2019

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