CASSAZIONE PENALE; sezione IV; sentenza 14 novembre 2018 – dep. 2 aprile 2019, n. 14263.

CASSAZIONE PENALE; sezione IV; sentenza 14 novembre 2018 – dep. 2 aprile 2019, n. 14263. Conferma Corte Appello Milano 11 gennaio 2018.

Responsabilità penale – Valanga colposa – Sci fuoripista – Zona di fatto antropizzata – Sussiste – Condanna

Ai fini della configurabilità del delitto di disastro colposo, costituente un reato di pericolo astratto, va comunque accertata l’offensività in concreto del fatto, verificando, con giudizio “ex ante”, se, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, dell’espansività e della potenza del danno materiale, il fatto fosse in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone. (Fattispecie in cui la Corte ha condannato due sciatori che, usciti dalla pista battuta in violazione di uno specifico divieto previsto da un regolamento regionale, avevano provocato tre valanghe di “cospicua portata”, ritenendo irrilevante che il versante in cui si era prodotta la valanga non fosse antropizzato, in virtù dell’assenza di costruzioni, strade o altre piste, non potendosi escludere la possibilità di danni ad altre persone che avessero impegnato il pendio fuori pista sciando o passeggiando).

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 11 gennaio 2018 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Sondrio con cui R.R.F. e J.B. sono stati riconosciuti colpevoli dei reati di cui agli artt. 449e 426 c.p., perché l’uno praticando lo sci e l’altro lo snowboard, cagionavano la caduta di valanghe, per imprudenza, negligenza ed imperizia, nonchè con violazione delle norme cautelari di cui all’art. 58 del Regolamento della Regione Lombardia del 6 dicembre 2010, scendendo fuori pista.
  2. La vicenda è stata ricostruita dalle sentenze di merito nel modo che segue: in data 1 aprile 2011 i due sciatori, R.R.F. e J.B., dopo essere saliti con la seggiovia, in località (OMISSIS), nel comune di (OMISSIS), diretti alla pista nera (OMISSIS), intorno alle 16.30, uscivano dalla pista battuta, superando la palinatura posta ai bordi della medesima, benchè ciò fosse vietato ai sensi dell’art. 58 del regolamento della regione Lombardia del 6 dicembre 2010, benché il pericolo di valanghe fosse segnalato lungo la pista da cartelli multilingue e benché fosse stato annunciato dal bollettino meteorologico il pericolo 3 su 5 del distacco di valanghe. J. attraversava il pendio muovendo da un punto più basso da quello ove si trovava R. e, dopo alcune curve, innescava la prima valanga di medie dimensioni, riuscendo ad evitarla, ma nel farlo ne innescava una seconda, anch’essa di medie dimensioni, evitando anche questa. R. che aveva imboccato il pendio da un punto più alto, avvertito del pericolo da J., appena iniziata la discesa fuoripista, riusciva a tornare indietro. Una terza valanga si staccava in quel momento. L’evento era osservato da C.R. che allertava i soccorsi. Il giorno successivo al fatto la Guardia di Finanza di Bormio effettuava un sopralluogo e dava atto di avere rilevato le tracce di due snowboard.
  3. Sulla base di siffatto accertamento, condiviso da entrambi i giudici di merito, la Corte d’appello, nel rigettare il gravame ha ritenuto l’ininfluenza del riscontro della G.d.F. nella parte in cui dava atto di avere rilevato le tracce di due snowboard, anziché di un paio di sci, indossati da R. ed uno snowboard utilizzato da J., posto che era altrimenti provato che i due avessero impegnato il pendio fuoripista e che il distacco delle valanghe fosse stato materialmente causato da J.; ha altresì ritenuto il contributo causale di R. che, impegnato il pendio da un punto più alto, seppure per un breve tratto, con il suo peso influiva sul distacco del manto nevoso, come verificato dai Carabinieri giunti sul posto nell’immediatezza. Infine, ha respinto la censura inerente all’assenza di pericolo per l’incolumità pubblica, osservando che nell’ipotesi in cui si verifica l’evento valanga, il pericolo è presunto per legge e non deve essere specificamente provato.
  4. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore, affidandolo a due motivi.
  5. Con il primo fanno valere, ex art. 606, comma 1, lett. e) il vizio di motivazione. Rilevano come i giudici del merito abbiano fondato la loro decisione sulla relazione stilata dalla G.d.F. (fogli da 55 a 59) che indica le tracce di due snowboarder come quelle che, per effetto della poca portanza della neve, risultavano le più profonde e le più recenti, mentre gli imputati utilizzavano uno gli sci e l’altro lo snowboard. Sicchè le tracce seguite dalla G.d.F., che individuano il percorso seguito dai due sciatori su snowboard, non possono corrispondere alle tracce lasciate dai due imputati. Con la conseguenza, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non solo della rilevanza della differenza fra le tracce rilevate ed il percorso seguito da R. e J., ma dell’insufficienza degli elementi per addivenire alla loro condanna.
  6. Con il secondo motivo lamentano ex art. 606, comma 1, lett. b), la violazione della legge penale in relazione al disposto dell’art. 449 c.p.. Criticano la sentenza impugnata per avere ritenuto che il pericolo di cui alla disposizione, nel caso del prodursi di una valanga, sia presunto per legge e non necessiti, pertanto, di alcuna prova. Al contrario, secondo la giurisprudenza maggioritaria per la configurabilità del disastro innominato colposo è necessaria la concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, secondo un giudizio di probabilità ex ante in concreto relativo all’attitudine a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone. Nel caso di specie siffatta prova è del tutto mancata, non avendo la valanga interessato una zona antropizzata ed essendo la medesima sfociata in un canale. Concludono per l’annullamento senza rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso va rigettato.
  2. Il primo motivo è inammissibile.
  3. Va, infatti, sottolineato che la motivazione della sentenza impugnata – con la quale il Collegio premette di condividere l’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado- affrontando la censura proposta in appello chiarisce in che senso la descrizione contenuta nella relazione della G.d.F., a seguito del sopralluogo avvenuto il giorno successivo all’evento, sia irrilevante. La Corte sottolinea, infatti, che l’evidenza della riconducibilità dello slittamento della massa di neve all’azione dei due sciatori è emersa anche da altre prove. Si tratta, innanzitutto, della dichiarazione del C. che vide l’evento in diretta e, inoltre, del fatto che il J. fu trovato dai soccorritori sul luogo e che entrambi gli imputati descrissero i loro movimenti in modo tale da poter essere considerati sovrapponibili alle tracce rilevate dalla G.d.F.. A fronte di questi elementi il collegio giudica elemento privo di significato la circostanza che la relazione descriva le tracce come entrambe formate da snowboard, anzichè l’una impressa da un paio di sci e l’altra da una tavola. Ciò perché l’esame complessivo del quadro probatorio non viene incrinato dalla rappresentazione di una traccia di snowboard, al posto di una di sci.
  4. L’analisi compiuta dalla sentenza impugnata, benchè succinta, è accurata e scevra da qualsivoglia incoerenza. Essa non rivela alcun difetto motivazionale evidente che consenta l’intervento di questa Corte, risolvendosi i vizi denunciati nella pretesa di una diversa concreta valutazione del complessivo quadro probatorio, con l’indicazione di parametri alternativi a quelli posti a fondamento della decisione.
  5. Il secondo motivo è infondato.
  6. Senza alcuna pretesa di completezza, ma solo al fine di inquadrare la questione giuridica sollevata dal ricorrente ai fini della presente. decisione, vanno qui rammentati i principi ricavabili dai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità in ordine ai reati di comune pericolo, con specifico riferimento al requisito del “pericolo per la pubblica incolumità” che connota, sul piano della integrazione del fatto tipico, tali figure criminose. Nell’ambito di siffatta categoria di reati è nota la tradizionale distinzione tra fatti caratterizzati da pericolo concreto o presunto, a seconda che per la consumazione del reato sia o meno necessario accertare il sorgere di una situazione di effettivo pericolo per la incolumità pubblica derivante da uno degli accadimenti, per lo più disastrosi, descritti dal codice quali delitti di comune pericolo (incendio, frana, valanga, disastro aviatorio, ferroviario, naufragio ecc.).
  7. Per meglio comprendere l’inquadramento delle fattispecie in esame, giova richiamare la ricostruzione storica dell’evoluzione esegetica, contenuta in una recente pronuncia di questa sezione (Sez. 4, n. 12631 del 20/12/2017 – dep. 19/03/2018, Casella Pacca Di Matrice), cui si rimanda, e ricordare che tali figure di disastro venivano configurate come reati di pericolo presunto, per essere – si diceva – superflua la valutazione ex post della pericolosità della condotta (cfr. ad es. Sez. 4, n. 10388 del 09/04/1991, Bonetto, Rv. 18837301, in un caso di incendio colposo di cosa altrui, in cui si affermava che “non è necessaria la prova del pericolo effettivo per la pubblica incolumità, in quanto (…) tale pericolo è presunto iuris et de iure quando il fuoco venga a svilupparsi su cosa che non sia di proprietà dell’agente). Ci si riferisce, invero, a situazioni tipicamente caratterizzate nella comune esperienza per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità personale, trattandosi di eventi normalmente dotati di forza dirompente, in grado di coinvolgere numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile.
  8. In tal senso, il pericolo per la pubblica incolumità è caratterizzato dalla tipica e qualificata possibilità che delle persone si trovino coinvolte nella sfera d’azione dell’evento disastroso descritto nella fattispecie, in quanto esposte alla sua forza distruttiva. Di qui l’idea di indeterminatezza del danno che caratterizza i reati di comune pericolo (Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, Tedesco e altri, Rv. 25350101).
  9. E’ stato, tuttavia, osservato che la categoria del pericolo presunto si pone in irrimediabile contrasto con il principio di offensività e, correlativamente, con il principio di colpevolezza. Perciò, anche sulla scorta di una serie di prese di posizione della Corte costituzionale (tra le molte, Corte Cost. n. 286/1974, n. 333/1991, n. 133/1992, n. 360/1995, n. 296/1996, n. 247/1997, n. 263 e n. 519/2000, n. 265/2005; n. 225/2008), la ricostruzione delle fattispecie incentrate sul pericolo si è mossa all’indirizzo del rinvenimento, nel tessuto normativo della fattispecie tipica, di elementi che consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta. Si tende, così, a sostituire il pericolo presunto con il pericolo astratto, nel senso che il pericolo non può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo, ma è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati. Quando questa potenzialità offensiva non sia rinvenibile nella fattispecie definita dal legislatore, si apre la strada della censura costituzionale. Allorché la fattispecie astratta non proponga profili di incompatibilità con il canone di offensività, dovrà essere il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una minima offensività (…) sicché il pericolo va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, dell’espansività e della potenza del danno materiale, verificando se fosse o non fosse in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone. Siffatto giudizio va condotto secondo una prospettiva ex ante, ovvero verificando se alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente al momento del compiersi della condotta (se trattasi di reato di mera condotta) o a quello del verificarsi dell’evento (nel caso di reati di evento, come quello in esame), quest’ultimo si presentava, ove realizzato, come in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità (Sez. 4, n. 36639 del 19/06/2012, R.C. in proc. Castelluccio e altro, Rv. 25416301). Anche nelle ipotesi di pericolo astratto occorre, dunque, che il giudice ordinario verifichi che la situazione di pericolo, che comunque rappresenta il presupposto al quale si ricollega la fattispecie in esame, presenti una pur apprezzabile concretezza, in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso di potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone (Sez. 4, n. 5397 del 20/05/2014 – deo. 2015, Meile, Rv. 26202401).
  10. Ora, sebbene la sentenza errando faccia riferimento alla categoria del pericolo presunto senza affrontare in concreto l’attitudine dell’evento a produrre un effettivo pericolo per la incolumità pubblica, nondimeno, descrive l’evento valanga, dando atto della sua cospicua portata, cosicchè essa può essere inquadrata come “accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sè una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile”, cioè come evento non solo astrattamente idoneo a produrre pericolo per l’incolumità di un numero indeterminato di persone, ma effettivamente suscettibile, alla luce del criterio di contestualizzazione dell’evento, con giudizio ex ante, di esporre a pericolo un numero non individuabile di persone.
  11. A nulla rileva, a questo proposito, la circostanza richiamata con il ricorso, secondo cui il versante dove si produsse la valanga non era antropizzato, il che avrebbe comunque impedito anche la sola eventualità di recare danno ad altri. E ciò perchè una siffatta possibilità non è esclusa dall’assenza di costruzioni, strade o altre piste, posto che altri sciatori o praticanti altri sport o semplici passeggiate sulle neve, che avessero, come gli imputati, impegnato il pendio fuori pista, avrebbero potuto subire gravi danni, trovandosi al di sotto del livello di distacco della neve.
  12. Potendosi rinvenire nel tessuto motivazionale tutti gli elementi tipici della norma incriminatrice, avuto riguardo alla corretta soluzione conclusivamente adottata, non può che ritenersi infondata l’impugnazione della sentenza.
  13. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2019

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