Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 13 agosto – 15 settembre 2015
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 13 agosto – 15 settembre 2015, n. 37267, Pres. Zecca – Rel. Sabeone.
Sci – Gestore dell’area sciabile – Posizione di garanzia – Pericoli atipici – Fuoripista – Responsabilità penale – Omicidio colposo – Sussiste
Incombe sul gestore di impianti sciistici l’obbligo di porre in essere ogni cautela per prevenire i pericoli, anche esterni alla pista, ai quali lo sciatore può andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima, là dove la situazione dei luoghi renda probabile tale evenienza, atteso che la posizione di garanzia del gestore di un’area sciabile – con riferimento alla necessità di adottare ogni cautela tesa a prevenire che un utente fuoriesca dal tracciato e si inoltri su un tratto esterno alla pista, ma percorso regolarmente da altri utenti e di cui è nota la pericolosità – deriva dall’obbligo contrattuale assunto dal gestore con la conclusione del contratto, in base al quale l’obbligazione del gestore degli impianti di risalita comprende prestazioni accessorie, che trascendono dal mero trasporto e riguardano l’intera attività dell’utente, quali la messa a disposizione di piste dotate delle necessarie misure di sicurezza.
La sentenza pubblicata si inserisce nel noto filone giurisprudenziale che ha affrontato il tema del fondamento della responsabilità penale dei gestori di aree sciabili seguendo differenti criteri di imputazione, tutti però accomunati da un medesimo scopo, ovvero quello di garantire la maggiore sicurezza possibile agli utenti delle piste.
L’aumento del carico di responsabilità per le società gerenti gli impianti di risalita ha imposto una progressiva estensione delle misure cautelari preventive, che finiscono per coinvolgere (come nel caso di specie) anche pericoli atipici localizzati al di fuori del tracciato, allorquando la conformazione dei luoghi renda probabile un’uscita di pista dell’utente.
Nonostante il riconoscimento, sotto il profilo teorico, che nell’adempimento dei propri doveri il gestore-garante non può esercitare un “controllo assoluto” sull’esercizio della pratica sportiva, neutralizzando qualsiasi fonte di pericolo, pronunce come quella in commento argomentano, in realtà, il contrario, contribuendo a rafforzare una pervasiva cultura della protezione “attesa” a tutti i costi (e al contempo “dovuta”), che non si rinviene oltre i confini nazionali, dove la pratica dello sci è ugualmente diffusa.
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Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 26 novembre 2014, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia il 21 novembre 2013 con la quale, per quanto d’interesse del presente giudizio, T.L. era stato condannato in relazione al reato di cui agli articoli 113 e 589 cod. pen., primo comma perché, in cooperazione con altri, in qualità di direttore delle piste e della sicurezza della S.I.T. s.p.a. (XXX), società gerente le piste da sci denominate S. e S. A., per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché in violazione di normative specifiche e, in particolare, della L. 24 dicembre 2003, n. 363 (Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport da discesa e da fondo) e del Regolamento Regionale Lombardia 6 dicembre 2004, n. 10 (promozione e tutela delle discipline sportive di montagna) cagionava la morte dello sciatore G.F.
All’imputato era ascritto di aver omesso di predisporre la prevista segnaletica sulle piste e di aver omesso di apporre idonee protezioni anti caduta in corrispondenza di un dirupo dell’altezza di circa 4 metri che si trovava a lato di uno Skiweg e cioè di un sentiero di collegamento.
Era accaduto, infatti, che G.F. , di anni 11, scendendo dalla pista denominata S. A., dopo essersi immesso nello c.d. Skiweg (sentiero di collegamento) che collegava la pista G. alla pista S. era caduto in uno strapiombo di circa 4 metri posto a lato dello Skiweg ed era finito rovinosamente sulla sottostante pista S. rimanendo impigliato con gli sci sulla rete di protezione laterale di tale pista e battendo fortemente il capo a terra.
Il fatto si era verificato in (OMISSIS) ed il decesso del piccolo G.F. era sopraggiunto in (OMISSIS).
Osservava la Corte d’Appello che l’accaduto era riconducibile alla responsabilità dell’imputato, in quanto il punto in cui lo sciatore era caduto era risultato privo di qualsiasi protezione in un tratto che non era definibile fuori pista, perché risultava che il G. proveniva dalla pista S. A. e si era immesso su un percorso costituente un collegamento con la pista G. comunemente denominato Skiweg, che era un tratto di pista non solo utilizzato da mezzi di servizio e soccorso ma che costituiva un raccordo tra piste ovvero un percorso di collegamento o di trasferimento.
E che non si trattasse di un fuoripista ma di un percorso di transito tra piste abitualmente percorso dagli sciatori si evinceva anche dalle fotografie a colori, eseguite dai Carabinieri subito dopo l’incidente, che evidenziavano i numerosi solchi impressi dagli sci sulla neve battuta nonché dalle testimonianze degli addetti al servizio di soccorso, maestri di sci e dipendenti della società di gestione.
Inoltre, sul tratto percorso dal G. si notava pure un cartello di indicazione delle piste regolari ed una palina, ovvero un segna pista, che non avrebbero potuto essere installati su un fuoripista.
Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’imputato, non si trattava di un fuoripista e la situazione di grave irregolarità e rischio per l’incolumità degli sciatori era evidenziata dal fatto che al limitare di detto Skiweg non risultava alcuna palina segna pista né, soprattutto, alcuna rete anti caduta idonea a trattenere gli sciatori dalla caduta nel dirupo laterale.
Inoltre, andava considerato che, prima di immettersi sullo Skiweg, lo sciatore aveva percorso la pista S. A. alla fine della quale non vi era una idonea barriera ma un grosso varco che consentiva agli sciatori di immettersi nello Skiweg privo di protezione e da lì, come era avvenuto, cadere nel dirupo di 4m. Da ciò si doveva dedurre che il direttore delle piste e della sicurezza non aveva posto in essere le idonee cautele per prevenire i pericoli, anche esterni alla pista, al quale lo sciatore poteva andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima laddove la situazione dei luoghi rendeva probabile, per conformazione naturale del percorso, siffatta evenienza accidentale.
2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando: a) una illogicità della motivazione, laddove non si tiene conto della precisa traiettoria posta in essere dallo sciatore e di conseguenza non si tiene conto dei tratti fuori pista percorsi dallo stesso; b) una motivazione carente e illogica in merito all’ordinanza di rigetto dell’istanza, presentata dalla difesa, in merito alla necessità di disporre perizia quale prova decisiva ai fini del decidere; c) una violazione di legge e una motivazione illogica in riferimento alle norme regionali e nazionali in materia di pista da sci dove non si riconosce l’idoneità dei presidi protettivi e indicativi posti sulla pista;
d) una illogicità della motivazione o addirittura la sua assenza in merito alla posizione di garanzia del padre del piccolo sciatore minorenne con esclusiva responsabilità dello stesso, alle norme generali del contratto relativo all’utilizzazione degli impianti di risalita e di uso delle piste non applicabili ai tratti fuori pista e, infine, alla posizione di garanzia dell’imputato;
e) una violazione di legge in merito alla determinazione inerente le statuizioni civili.
3. Risulta, inoltre, pervenuta una memoria redatta nell’interesse delle parti civili G.M. e S.P. , genitori del piccolo F. , con la quale si evidenzia l’inammissibilità del ricorso dell’imputato e in particolare l’inesistenza di alcun concorso di colpa sia dello sciatore che del padre.
4. Risulta, infine, prodotta, a cura della difesa dell’imputato, la sentenza 19 marzo 2015 n. 15711 della Quarta Sezione Penale di questa Corte emessa nei confronti di B.M. , coimputato per i medesimi fatti e giudicato con il rito abbreviato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Il primo motivo è infondato.
Invero, la Corte d’appello ha dato conto della dinamica dei fatti sia sulla base delle testimonianze oculari (F. e Fa. ) che dei rilievi effettuati dai Carabinieri di XXX nell’imminenza dei fatti ed ha evidenziato come lo sciatore avesse impegnato la pista di destra riservata solitamente agli allenamenti agonistici e denominata S. A.; a valle di tale pista si trovava una rete la cui funzione era quella di impedire che gli sciatori proseguissero in un tratto non battuto ma la rete stessa presentava un largo varco attraverso il quale è passato il G. che, proseguendo lungo il tratto non battuto, si è poi immesso trasversalmente nella bretella di collegamento con la pista G. comunemente denominato Skiweg e da lì, proseguendo nella sua corsa apparentemente fuori controllo, è caduto nel dirupo atterrando nella sottostante pista S. Ora, a nulla rileva il fatto che il G. non stesse percorrendo regolarmente lo Skiweg dato che egli aveva intrapreso regolarmente la discesa della pista S. A., l’accesso alla quale non era interdetto pur non essendo stata autorizzata, e, anziché arrestarsi contro la rete che avrebbe dovuto delimitare la pista nel suo tratto finale, ha imboccato il varco lasciato libero, da lì è proseguito attraverso lo Skiweg ed è poi caduto nel dirupo non protetto.
Dunque non sussiste alcuna illogicità della motivazione sulla base di un travisamento dello stato dei luoghi, avendo la Corte territoriale individuato correttamente nella mancanza di idonee protezioni anti caduta sia alla fine della pista S. A. sia a lato dello Skiweg la causa del sinistro mentre il T. , nella sua qualità di direttore delle piste e della sicurezza, avrebbe avuto l’obbligo di porre in essere tali presidi onde prevenire il pericolo che lo sciatore proveniente dalla pista S. A. potesse uscire da essa, tenuto conto della pendenza e del fatto che subito dopo vi era un tratto non battuto seguito dalla bretella di collegamento e dal dirupo risultato fatale, il che rendeva probabile il verificarsi dell’incidente.
A ciò si aggiunga come sia stata esclusa la natura di “fuoripista” sia del tracciato denominato S. A. sia dei c.d. Skyweg con motivazione del tutto logica (v. pagina 22 della motivazione) sulla scorta dell’accertato utilizzo degli sciatori comuni degli indicati tracciati e senza che vi fossero cartelli o altre segnalazioni o indicazioni circa il divieto di percorrerli a cagione della impraticabilità per non essere i tracciati battuti o inutilizzati dai più.
3. Quanto al secondo motivo, si osserva che la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, possa essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’articolo 495 cod. proc. pen., comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al Giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (v. di recente Cass. Sez. I 15 aprile 2010 n.16772).
Inoltre, si osserva come l’articolo 507 cod. proc. pen. (e l’articolo 603 cod. proc. pen. per il grado d’appello) conferisca al Giudice un potere e non un dovere di integrazione probatoria; l’esercizio di tale potere presuppone, poi, la sussistenza dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova e postula l’apprezzamento e la valutazione al riguardo da parte del Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente dall’effettuata valutazione, adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v. Cass. Sez. VI 16 febbraio 2010 n. 24430); l’iniziativa deve essere, pertanto, “assolutamente necessaria” (sia l’articolo 507 che il 603 del codice di rito per l’appello usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe “assolutamente necessaria”), diversamente da quanto avviene nell’esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti; nella specie, in fatto questa volta, la Corte, di fronte alla richiesta della difesa dell’imputato, ha chiaramente motivato non solo il diniego dell’ammissione della prova ma, altresì, il suo carattere di inammissibilità (v. pagine 18 e 19 della motivazione).
È appena il caso di rilevare, peraltro, come secondo l’insegnamento di questa giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. Sez. IV 17 gennaio 2013 n. 7444), deve ritenersi “prova decisiva”, ai sensi dell’articolo 606 cod. proc. pen., lett. d), quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (v. Cass. Sez. VI n. 25 marzo 2010 n. 14916), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (v. Cass. Sez. III 15 giugno 2010 n. 27581).
Con riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa Corte di legittimità ha già statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, giacché la sua disposizione, da parte del Giudice, in quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi dell’articolo 606 cod. proc. pen., lett. d) (v. da Cass. Sez. V 6 aprile 1999 n. 12027 e successive conformi fino a Cass. Sez. IV 22 gennaio 2007 n. 14130).
4. Il terzo motivo di ricorso è del tutto generico e ai limiti dell’inammissibilità in quanto con esso si contesta, mediante una diversa ed alternativa lettura dello stato dei luoghi così come concordemente evidenziato in entrambi i gradi di merito, la corretta applicazione della normativa regionale circa le segnalazioni e delimitazioni mediante reti o paline delle piste praticabili ovvero delle situazioni di pericolo.
In particolare, si ribadisce inammissibilmente, l’applicabilità della suddetta disciplina alle sole piste battute reiterando l’affermazione, concordemente disattesa nel giudizio di merito, circa la natura di “fuori pista” del tracciato seguito dalla vittima dell’incidente.
Và, innanzitutto, sottolineato che le deduzioni del ricorrente, più che denunciare plateali errori di lettura da parte del Giudice “a quo” di inequivoche rappresentazioni di circostanze di fatto, si risolvono: nella prospettazione, con rilevanti profili di genericità, di punti di vista semplicemente alternativi a quelli fatti propri, nella lettura del fatto, dalla Corte di merito (ad esempio, in ordine alla esistenza di reti di delimitazione e di segnali di indicazione); nella prospettazione apodittica di opinioni generiche del ricorrente (ad esempio, in ordine alla natura di “fuoripista” del tracciato seguito dallo sciatore). Orbene, a fronte di motivi di ricorso così formulati, compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte di merito, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata.
In realtà, le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (v. Cass. Sez. VI 26 settembre 2006 n. 38698) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione.
5. Con il quarto motivo, si censura l’impugnata sentenza che non avrebbe correttamente interpretato il rapporto giuridico nascente tra gestore delle piste e sciatore sulla base dell’acquisto del biglietto per l’utilizzazione degli impianti di risalita e delle piste, con particolare riferimento alla minore età dello sciatore deceduto, che avrebbe comportato una diversa e maggiore responsabilità del genitore nel sorvegliare l’attività del figlio.
Si osserva, comunque, quanto alla fonte dell’obbligo giuridico, che nel caso in esame sussisteva l’obbligo di garanzia a carico dell’imputato, nei termini correttamente argomentati dalla Corte di merito, atteso che l’obbligazione del gestore degli impianti di risalita ricomprende prestazioni accessorie, costituenti un pacchetto di servizi che trascendono il mero trasporto da valle a monte e riguardano l’intera attività dell’utente, quali la messa a disposizione di piste dotate delle necessarie misure di sicurezza. Quanto all’estensione di tale obbligo, deve ritenersi che, nella concreta fattispecie, correttamente la Corte di merito abbia argomentato nel senso per il quale il pericolo da prevenire, oggetto della posizione di garanzia, non fosse solo quello interno alla pista: ed invero l’obbligo di protezione che è proiezione della posizione di garanzia riguardava anche i pericoli atipici, cioè quelli che lo sciatore non si attende di trovare, diversi, quindi, da quelli connaturati a quel quid di pericolosità insito nell’attività; certo, deve escludersi che un tale obbligo di protezione si possa dilatare sino a comprendervi i c.d. pericoli esterni, ma, nondimeno, il gestore, nel caso in esame, doveva prevenire quei pericoli fisicamente esterni alle piste, ma cui si poteva andare incontro in caso di uscita di pista, giacché la situazione naturale dei luoghi rendeva altamente probabile, per le ragioni dinanzi citate, che si fuoriuscisse dalla pista.
Quanto alla colpa, alla stregua di tutto quanto fin qui detto, appare indubbia la sussistenza dei profili di colpa riconducibili alla condotta omissiva dell’imputato e quanto, ancora, al rapporto di causalità, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che, nel caso di specie, il pericolo esterno alla pista, nel senso sopra precisato, non fosse estraneo alla posizione di garanzia, con la conseguente necessità di congrue protezioni e segnalazioni al bordo della pista stessa: sul punto, basta annotare che la qualificazione dell’elemento soggettivo del reato come colpa ha la sua essenza negli elementi della prevedibilità e prevenibilità, mentre gli stessi aspetti hanno rilievo quale patrimonio soggettivo del leso in ordine alla sussistenza dell’insidia o del trabocchetto, e non può dirsi illogica la motivazione che ha ravvisato, nel caso di specie, un’insidia nella non visibilità dello strapiombo di 4 metri posto al limitare della pista.
Privo di fondamento è l’assunto del ricorrente secondo cui il Giudice di secondo grado avrebbe effettuato in maniera superficiale e carente l’operazione del giudizio controfattuale, laddove la stessa Corte di merito ha osservato che “la semplice segnalazione di una situazione di pericolo o della presenza di un ostacolo, avrebbe certamente indotto F. a optare per un percorso diverso oppure a ridurre la velocità tenuta, quest’ultima strettamente dipendente da quanto egli poteva percepire dello stato dei luoghi (ed è circostanza pacifica, non intaccata dalle prospettazioni meramente ipotetiche delle difese, che il dislivello esistente non fosse visibile da chi teneva la direzione del G. ), apparentemente privi di pericoli”.
Certo, il comportamento del piccolo sciatore fu consapevole e volontario ma tanto non basta ad ipotizzare l’intervenuta interruzione del nesso di causalità, né possono condividersi le considerazioni in punto di concorso di colpa, che il ricorrente vorrebbe insinuare, in ordine al suo comportamento o a quello del genitore che lo accompagnava.
Ed invero il punto dirimente del tema non è questo, e non ha rilievo alcuno il richiamo, quale espresso dal ricorrente, ad un asserito obbligo del padre di ispezionare preventivamente il percorso prima di far discendere il figlio.
In realtà, proprio la considerazione delle dianzi indicate condotte omissive del ricorrente vale ad escludere la fondatezza della prospettazione oggetto del motivo di ricorso in esame, ove si abbia mente al consolidato orientamento di questa Corte in tema di causalità omissiva, secondo cui l’omissione ha valore assorbente rispetto al comportamento della vittima, la cui condotta può, infatti, assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano state osservate le prescrizioni di loro competenza.
In altri termini, la responsabilità del destinatario della posizione di garanzia non può essere esclusa, per causa sopravvenuta, una volta riscontrato l’inadempimento dell’obbligo, allorché il comportamento della vittima, che pure abbia dato occasione all’evento, sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento.
Giova, altresì, rammentare come la giurisprudenza civile di questa Corte abbia affermato anche di recente come, in tema di responsabilità da illecito omissivo del gestore di impianto sciistico, l’omittente risponde del danno derivato a terzi non solo quando debba attivarsi per impedire l’evento in base ad una norma specifica o ad un rapporto contrattuale, ma anche quando, secondo le circostanze del caso concreto, insorgano a suo carico, per i principi di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione, doveri e regole di azione la cui inosservanza integra un’omissione imputabile.
Ne consegue che il medesimo non é tenuto, di norma, a vigilare sulla condotta dei singoli utenti, attesa la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, le dimensioni solitamente ragguardevoli di queste ultime, nonché la normale imprevedibilità, anche per la contestuale incidenza di “fattori” naturali non governabili dal gestore, delle condotte degli utenti, salvo che alleghi e provi l’intervenuta segnalazione dell’anomalo comportamento dello sciatore, ovvero la diretta percezione di tale comportamento da parte degli addetti all’impianto (che avrebbero dovuto allertare un accorto titolare della struttura), la cui mancata considerazione costituisce omissione inescusabile (v. Cass. Sez. III 22 ottobre 2014 n. 22344).
Tali principi, applicabili anche in tema di fatto illecito costituente reato, sono stati richiamati dalla Corte distrettuale (v. la citata Cass. Sez. IV 11 luglio 2007 n. 39619 e più di recente Sez. IV 19 marzo 2013 n. 26239) e rendono pertanto non meritevole di accoglimento il quarto motivo di doglianza posto che si è logicamente motivato in merito alle omissioni realizzate dall’imputato e come il comportamento tenuto sia dal giovane sciatore che dal genitore che l’accompagnava non avessero interrotto il nesso di causalità tra le omissioni dell’imputato e l’evento letale.
6. Con l’ultimo motivo si censura, del pari, genericamente l’avvenuta condanna al risarcimento del danno nonché la mancata sospensione della provvisoria esecuzione.
Si osserva come, da un lato, la quantificazione del danno sia stata, anche in questa sede, contestata senza indicare precisi e puntuali elementi da cui poter desumere l’erroneità della stessa; inoltre, la mancata sospensione della provvisoria esecutività della provvisionale, concessa dal Tribunale, appare giustificata dalla Corte territoriale dal mancato effettivo versamento di alcuna somma di denaro in favore delle parti civili.
L’affermazione pur non essendo corretta non è contrastata dalla necessaria indicazione, da parte dell’imputato, del “grave e irreparabile danno” che solo potrebbe legittimare, ex articolo 600, comma 3 cod. proc. pen. la concessione della chiesta sospensione.
7. Infine, la decisione di questa stessa Corte emessa nei confronti di altro coimputato giudicato con il rito abbreviato, non può costituire precedente vincolante in quanto l’identità del fatto viene a scontrarsi con l’eventuale diverso titolo di responsabilità dell’imputato e soprattutto con la diversità dei motivi di ricorso, che delimitano l’oggetto della decisione.
8. Dal rigetto del ricorso deriva, per concludere, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.