Corte di Cassazione, sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2563
Corte di Cassazione, sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2563; Pres. Fiduccia, Est. Fantacchiotti, P. M. Sgroi (parz. diff.); Carbognin (Avv. Dragone) c. Soc. Paganella 2001 (Avv. Fronza). Conferma App. Trento, 31 dicembre 2002.
Responsabilità civile – Sci – Gestore dell’area sciabile – Caduta dello sciatore – Responsabilità del custode – Natura oggettiva – Fortuito incidentale – Nesso di causalità – Concorso di colpa – Fattispecie
La responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza; la responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l’evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell’evento e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata rilevandone l’adeguatezza della motivazione con riferimento all’esclusione della responsabilità da custodia di una società gestrice di un impianto di sci per le lesioni occorse ad uno sciatore conseguenti alla collisione, durante la discesa, con un casotto in muratura per il ricovero di un trasformatore dell’energia elettrica necessaria per il sistema di risalita posto in prossimità della pista, sul presupposto dell’accertata assenza del nesso di causalità tra la cosa e l’evento, invece determinato, così configurandosi un’ipotesi di caso fortuito, dalla condotta colposa della medesima vittima che non aveva osservato una velocità adeguata al luogo e che si era, perciò, imprudentemente portato fino al margine estremo del piazzale di arrivo, risultato comunque sufficientemente ampio, senza riuscire ad adottare manovre di emergenza idonee ad evitare l’urto contro il predetto ostacolo).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ca.Si. e B.A., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sul figlio minore S., con atto di citazione notificato il 6 ed il 15 ottobre 1993, chiesero al Tribunale di Trento la condanna della società ENEL e della società Paganella al risarcimento dei danni sofferti dal figlio per le gravi lesioni riportate il 14 gennaio 1993 a seguito di un sinistro occorsogli mentre sciava sulla pista (OMISSIS) di (OMISSIS), gestita appunto dalla società Paganella.
Gli attori chiarirono che l’incidente si era verificato a causa della presenza, in prossimità della pista, di un casotto in muratura per il ricovero del trasformatore della energia elettrica necessaria ai motori dell’impianto di risalita, contro il quale il giovane S., avendo perduto il controllo della propria andatura, era andato a cozzare violentemente.
Sia l’ENEL che la società Paganella chiesero il rigetto della domanda il primo eccependo di non essere proprietario o possessore del casotto, la seconda eccependo che il sinistro si era verificato per esclusiva colpa del ragazzo che, in una gara con alcuni compagni, era arrivato nel piazzale in cui terminava la pista ad eccessiva velocità attraversandolo completamente senza rallentare, avendo tentato solo di arrestare la sua corsa, senza riuscirvi, nel tratto finale dello spiazzo e finendo, così, contro il casotto che si trovava oltre il piazzale ed a dovuta distanza di margini dello stesso.
Essendo stata formalizzata rinuncia degli attori alla domanda proposta contro l’ENEL, che dichiarò di accettare la rinuncia alla azione, il Tribunale di Trento respinse la domanda proposta contro la società Paganella addebitando alla imprudente condotta della vittima la esclusiva responsabilità del sinistro.
La Corte di Appello di Trento, con sentenza in data 3 dicembre/31 dicembre 2002, respinse, l’appello proposto contro la predetta decisione del Tribunale da C.S., nel frattempo divenuto maggiorenne, rilevando, per quello che ancora interessa, che: 1) l’azione risarcitoria non poteva essere sostenuta nè dalla disposizione dell’art. 2050 c.c., dato che la gestione di un impianto sciistico non poteva considerarsi attività pericolosa, nè dalla disposizione dell’art. 2051 c.c., dato che il “gestore delle piste” non ne è anche custode; 2) mancavano i presupposti necessari dell’azione aquiliana posto che la casetta in muratura, in quanto posta a dovuta distanza dal vasto spiazzo in cui terminava la pista, non creava alcuna situazione di pericolo per gli sciatori che, giungendo in discesa, avrebbero dovuto rallentare prima ed arrestare poi la loro corsa e che il sinistro si era pertanto verificato solo a causa della spericolata condotta del ragazzo che era giunto nello spiazzo ad alta velocità, nonostante l’affollata presenza, in quello spiazzo, di numerosi sciatori in coda per la risalita, e che proprio a causa di questa velocità e delle difficoltà di manovra creata dalla presenza di persone, non era riuscito a fermare la sua corsa.
C.S. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione.
La società Paganella resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
Si sostiene che il Giudice di merito non ha spiegato come potesse negarsi alla società raganella, proprietaria della casetta contenente il trasformatore dell’energia elettrica occorrente per il motore della funivia (o della seggiovia), la qualità di custode del predetto immobile.
Con il sesto motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.”.
Si afferma che la Corte Territoriale non ha considerato che la società Paganella doveva considerarsi custode del manufatto e perciò responsabile, ai sensi della disposizione dell’art. 2051 c.c., dei danni che dalla presenza dello stesso potevano derivare ai terzi dato che la responsabilità del custode si estende anche ai danni che non derivano dal “dinamismo proprio della cosa” e che “anche le cose inerti e prive di un proprio dinamismo sono quindi idonee, magari in concorso con altri fattori causali, a cagionare danni”.
1.1. I due motivi debbono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente collegati.
Essi traggono spunto da un errore della Corte Territoriale che: a) ha ritenuto di potere negare al “gestore della pista” (come è appunto considerata, nella sentenza, la società Paganella) la qualità di custode della stessa sulla base di un precedente giurisprudenziale di questa Corte (la sentenza n. 2216 del 2001, specificamente richiamata nella sentenza della Corte Territoriale) che si riferisce, anzitutto, non al gestore della pista ma al gestore degli impianti di risalita che, per altro, la predetta sentenza del 2001 distingue dal soggetto responsabile della manutenzione delle piste, senza darsi carico, siccome evidentemente estraneo al thema decidendum, della possibilità di considerare gli impianti di risalita e le piste che essi servono un’unica area attrezzata di regola affidata, di fatto o per disposizione normativa regionale (come nella Regione Valle d’Aosta, ai sensi della L.R. 12 marzo 1992, n. 9, e, per le “piste interdipendenti”, nella Provincia Autonoma di Trento), ad un medesimo soggetto; b) ha ignorato, comunque, che, nel caso in esame, il C. ha legato il danno da lui subito non alla condizione della pista, in sé e per sé considerata, ma alla presenza, in prossimità dello spiazzo antistante la stazione a valle della funivia (o della seggiovia), di una casa utilizzata dal gestore dell’impianto di risalita ed alla asserita pericolosità di tale casa, all’evidente intento di valorizzare la qualità di custode di tale casa, da parte del predetto gestore, e di evitare, così, ogni dubbio sulla possibilità di considerare il gestore degli impianti di risalita anche custode delle piste interdipendenti con gli impianti predetti;
c) non si è accorta che, nel momento stesso in cui ha considerato la società Paganella come “gestore della pista” ed, implicitamente ma inequivocamente, come proprietaria ed utilizzatrice della casetta di ricovero dell’impianto di trasformazione dell’energia elettrica, essa non avrebbe potuto negare, senza una specifica giustificazione, nella specie del tutto mancata, il rapporto di custodia che, come è stato anche recentemente ribadito nella sentenza di questa Corte n. 15383 del 2006, sulla base, del resto, di un consolidato orientamento giurisprudenziale, è, essenzialmente, rapporto di fatto legato all’effettiva presenza di un potere fisico del soggetto sulla cosa e alla effettiva possibilità, quindi, di controllo delle modalità di uso e di conservazione della stessa e che deve necessariamente essere, pertanto riconosciuto al soggetto che utilizza, gestisce ed amministra la cosa medesima.
Il rilevato errore non è, tuttavia, esiziale per la sentenza impugnata che, negando, per un verso, la obbiettiva pericolosità della casetta ed addebitando il sinistro solo alla imprudente condotta della vittima, che, ad elevata velocità, è arrivato nella spiazzo in cui termina a valle, la pista, ha sostanzialmente negato, sia pure in una prospettiva non collegata al paradigma normativo dell’art. 2051 c.c., il rapporto di causalità tra la casetta e l’evento e, perciò, un presupposto essenziale tanto della responsabilità aquiliana disciplinata dall’art. 2043 c.c., quanto della responsabilità del custode, disciplinata dall’art. 2051 c.c..
Tale accertamento, che è di merito, e che, come si chiarirà, non presta affatto il fianco alla censura di contraddittoria motivazione di cui al secondo ed il terzo motivo di ricorso, non è frutto dell’errore di diritto che, con il sesto motivo, il ricorrente denuncia addebitando alla Corte territoriale di avere fatto dipendere l’accertamento del nesso causale dalla circostanza che la casetta è priva di un dinamismo proprio e si rileva giuridicamente corretta anche nella prospettiva della responsabilità del custode, oltre che in quella della responsabilità aquiliana, siccome in linea con i principi che governano la responsabilità (oggettiva) del custode.
Superando un suo più remoto orientamento giurisprudenziale, che tralaticiamente riteneva applicabile “la presunzione di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia” solo agli eventi “che derivino dall’intrinseco dinamismo della cosa medesima, per la sua obbiettiva consistenza o per l’effetto di agenti che ne abbiano alterato la natura o il modo di operare” (tra le molte sentenza in tal senso, sent. 27-6-1984 n. 3774 ced n. 435747) e che sembrava così richiedere l’accertamento della pericolosità della cosa, questa Corte ha chiarito, già in alcune sentenze del passato (sent. 15 ottobre 1955 n. 3203; sent. 12 marzo 1959 n. 738; sent. 9 giugno 1983 n. 3971) ma soprattutto nelle sue più recenti pronunce, che la responsabilità del custode riguarda tutti i danni dalla cosa custodita cagionati sia per sua intrinseca natura sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi (sent. 1 giugno 1995 n. 6125 Ced n. 492602) così negando il fondamento di una classificazione fondata sul parametro della pericolosità e riaffermando l’applicabilità della disposizione dell’art. 2051 c.c., sul semplice presupposto del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa, e perciò anche per le cose inerti.
Ma la giurisprudenza di questa Corte ha anche chiarito che il predetto rapporto di causalità non può farsi dipendere dalla meccanica applicazione della regola della condicio sine qua non ma deve piuttosto riscontrarsi secondo il criterio della teoria penalistica della causalità adeguata, per la quale si considera causa giuridica dell’evento solo quell’antecedente necessario che appartiene ad una sequenza causale che, valutata ex ante, non sia stata alterata da fattori esterni eccezionali, e perciò imprevedibili, e non sia stata così neutralizzata da questi fattori.
Sulla base di questa premessa, esplicitamente enunciata da questa Corte nella recentissima sentenza n. 15383 del 2006, ma sostanzialmente presente in tutte le altre sentenze di questa Corte in materia, e, del resto, imposta dalla stessa disposizione dell’art. 2051 c.c., che, appunto, esclude la responsabilità del custode in tutti i casi in cui l’evento sia imputabile ad un caso fortuito, si è ritenuto che il nesso causale debba essere negato non solo, come è ovvio, in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per se prodotto l’evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ma anche nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e per ciò stesso imprevedibile – c.d. fortuito incidentale (sent. 2 febbraio 2004 n. 2430 CED n. 570001; sent. 12 maggio 1999 n. 4689 – non massimata dall’Ufficio massimario della Corte di Cassazione e perciò non presente nell’archivio del CED) – ancorchè dipendente dalla condotta colpevole della vittima (sent. 23 ottobre 1979 n. 5545 Ced n. 402136; sent. 16 febbraio 1976 n. 506 Ced n. 379162).
Questa Corte ha, poi, ulteriormente precisato, con specifico riferimento alla causa esterna prodotta dal fatto del danneggiato, che “il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno estraneo alla cosa deve essere parametrato sulla natura della cosa e sulla sua pericolosità nel senso che quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale dell’imprudente condotta della vittima (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno fino ad interrompere il nesso causale tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (sent. 17 gennaio 2001 n. 584 Ced n. 543213), nonostante il ruolo di antecedente necessario svolto dalla cosa che dal fattore esterno è stata resa fattore eziologico dell’evento.
A questi principi la Corte di merito, pur nella diversa prospettiva della responsabilità aquiliana, si è sostanzialmente attenuta per escludere il rapporto di causalità.
Essa ha, anzitutto, accertato, infatti, che: 1) “lo slargo terminale di fermata della pista era obbiettivamente ampio ed adeguato all’utilizzo della medesima”; 2) la presenza della casamatta, proprio a causa della ampiezza dello slargo terminale di fermata della pista, non costituiva un obbiettivo pericolo per gli sciatori in tal modo sostanzialmente servendosi dell’apprezzamento sulla assenza di una situazione di pericolo legata alla posizione della cosa rispetto allo spiazzo di sosta posto a valle della pista per esaltare l’incidenza causale del comportamento della vittima piuttosto che per negare in radice i presupposti per l’applicabilità, nel caso concreto, della disposizione dell’art. 2051 c.c., e la possibilità o meno di costruire il rapporto di causalità richiesto dall’art. 2051 c.c., come presupposto, del resto comune alla responsabilità aquiliana, della responsabilità del custode;
3) lo scontro del C. con l’ostacolo fisso costituito dalla casa in muratura è dipeso dalla situazione di pericolo nella quale il C. si è posto incautamente astenendosi dal rallentare la velocità in discesa prima di immettersi nello slargo ed anzi mantenendo questa velocità nonostante la presenza di persone, fino al margine estremo del piazzale ove, non essendo riuscito a svoltare, a causa della presenza di persone in attesa, è finito fuori pista cozzando contro il predetto ostacolo.
E’, infatti, evidente che dalla predetta ricostruzione della dinamica del sinistro risulta accertata una condotta colposa della vittima che la Corte ha considerato, nel contesto in cui è stata posta in essere, del tutto eccezionale, a causa della funzione propria dello slargo nel quale terminava la pista, che è quella di spazio di arresto e non prolungamento della pista, e che, parametrato alla posizione della casa, posta ben al di fuori dello slargo, in zona non destinata alla discesa ed agli spostamenti veloci degli sciatori, ha, perciò, considerato di tale incidenza nel dinamismo causale del danno da rendere la cosa fattore eziologico dell’evento; in altri termini, appunto l’assenza del nesso di causalità tra la casa e l’evento del quale la casa è stata resa solo fattore eziologico a causa di un evento esterno eccezionale.
2. Con il secondo motivo si denuncia ulteriore vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” avendo il Giudice di merito riconosciuto completa attendibilità alle dichiarazioni del teste F. senza curarsi di rilevare le numerose contraddizioni che hanno caratterizzato la sua deposizione e senza accorgersi così che esistevano “forti ragioni per dubitare della credibilità endogena ed esogena” del predetto teste.
Con il terzo motivo si insiste nella denuncia di ulteriore vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” sostenendosi che la Corte Territoriale si contraddice quando per un verso afferma che la casetta, in quanto posta al di fuori dello spiazzo posto al termine della discesa, non creava alcuna situazione di pericolo e per altro verso riconosce che il giovane C. non è riuscito ad arrestare la sua corsa a causa della presenza, nello spiazzo, di molte persone, così indirettamente evidenziando come in presenza di una situazione di sovraffollamento dello spiazzo la casetta potesse essere fonte di pericolo per gli sciatori in discesa.
2.1. Anche questi motivi debbono essere disattesi.
Il secondo perchè relativo ad un apprezzamento sulla attendibilità dei testi che, per costante indirizzo giurisprudenziale, è sottratto al controllo di legittimità se, come nella specie, congruamente motivato con lo specifico esame delle deposizioni dei diversi testimoni escussi, che la Corte di merito ha puntualmente raffrontato per chiarire le ragioni della asserita attendibilità del teste F..
Il terzo motivo perchè trasforma un argomento, la affollata presenza, cioè, di sciatori nella pista e nello slargo di arresto, che la Corte Territoriale ha utilizzato per esaltare la gravità della imprudenza della vittima, in un elemento di contraddizione che, in realtà, non è dato ravvisare nel ragionamento della Corte, per la quale la presenza di un elevato numero di persone nello slargo è circostanza che avrebbe dovuto imporre maggiore prudenza allo sciatore, che, comunque, era tenuto a ridurre la velocità prima dello slargo di arresto ed a maggior ragione avrebbe dovuto rispettare questa regola in presenza di un tratto di fine pista affollato e perciò più difficilmente percorribile.
In altri termini la Corte di merito non ha affermato affatto che la casetta, nei casi di affollamento delle piste e dello slargo di arresto, è fattore di rischio che di per se assume rilevanza causale del danno di quanti possono cozzare contro di essa, ma afferma, piuttosto, che, in quanto posta al di fuori ed a distanza dallo slargo, ove gli sciatori non possono e debbono solo scivolare lentamente per portarsi nel punto di accesso alla funivia (o seggiovia) o per porre termine alla loro attività sportiva, la casetta non può considerarsi pericolosa per l’incolumità degli sciatori, che non possono correre il rischio di un impatto contro la stessa neppure in caso di imperizia o imprudenza che non superi i limiti dell’aberrante dispregio di ogni norma di cautela.
3. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del regolamento esecutivo della Provincia di Trento 21 aprile 1987 n. 7 che, anzitutto, prescrive che la larghezza ed il profilo delle piste sia tale da permettere l’agevole e sicuro arresto degli sciatori, in relazione alla categoria della pista, tenuta presente anche la possibilità di stazionamento delle persone in tale zona, ed, inoltre, fa divieto assoluto, nelle zone riservate a piste sciistiche, sia della costruzione di edifici sia della istallazione di recinzioni, di rimboschimenti ed ingombri che possono importare ostacoli alla libera discesa.
3.1. Il motivo merita la sorte dei precedenti.
Da escludere è, infatti, la violazione della disposizione dell’art. 18, comma 2, lettera c) del D.P.G.P. 22 settembre 1987, n. 11-51/leg (contenente il regolamento per l’esecuzione della Legge Provinciale 21 aprile 1987, n. 7 sulla discipline delle linee funiviarie in servizio pubblico) dato che la Corte di merito ha accertato che la parte terminale della pista formata dallo slargo era sufficientemente ampio da permettere, come è appunto richiesto dalla disposizione invocata dal ricorrente, l’agevole e sicuro arresto degli sciatori in relazione alla categoria della pista, tenuta presente anche la possibilità di stazionamento della gente e dato che tale accertamento è frutto di un apprezzamento di merito, senza fondamento censurato dal ricorrente, sotto il profilo della coerenza logica della motivazione, con il terzo motivo, rivelatosi, come si è chiarito, privo di fondamento.
Da escludere è anche la violazione della disposizione dell’art. 16 legge Prov. Trento 11 novembre 1968, n. 20, che, se in generale esclude “nelle zone riservate a piste sciistiche”, la possibilità di costruzione di edifici, recinzioni, rimboschimenti o ingombri che possono comportate ostacoli per la libera discesa, espressamente consente la costruzione, in sicurezza, delle opere necessarie per la sistemazione e la manutenzione delle piste con una disposizione che, avuto riguardo allo scopo della deroga, deve ovviamente riferirsi ad ogni opera essenziale per la gestione e l’esercizio delle piste, tra le quali rientrano gli impianti di risalita delle piste.
4. Con il quinto motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.” sostenendosi che la Corte territoriale ha escluso l’obiettiva pericolosità della pista quando si trattava, invece, di rilevare la obbiettiva pericolosità della “casamatta”, priva di qualsiasi segnalazione e di idonea recinzione e perciò prevedibile ostacolo per gli sciatori in discesa.
L’errore, in altri termini, consisterebbe nel non avere considerato che la responsabilità aquiliana può anche dipendere dalla omessa predisposizone delle cautele necessarie per impedire possibili e probabili eventi dannosi.
4.1. Quanto esposto sul contenuto della motivazione della sentenza impugnata e sull’iter logico nella stessa seguito per escludere il rapporto di causalità tra la presenza della c.d. casamatta e l’evento traumatico sofferto dal C. giustifica, senza necessità di ulteriori chiarimenti, anche il rigetto di questo motivo, del resto piuttosto confuso, dato che il cuore della questione che il ricorrente sostanzialmente solleva, e che la Corte Territoriale ha puntualmente esaminato, non è quello della pericolosità della pista, piuttosto che della casetta, ma quello della attitudine causale della casetta, nel luogo in cui è stata collocata rispetto alla pista, a produrre, senza l’intervento di un fattore esterno eccezionale ed imprevedibile, l’evento dannoso subito dal C..
5. Con il settimo motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322 e 1218 cod. civ.”.
Si afferma, ripetendosi integralmente la motivazione di una sentenza pronunciata (ovviamente in altra controversia) dal Tribunale di Pinerolo il 18 ottobre 2001, che il contratto di ski-pass, avendo per oggetto non solo il trasporto per la risalita ma anche l’utilizzazione della pista, rende il gestore responsabile dei vizi di queste piste, della cui manutenzione in sicurezza il predetto gestore assume la responsabilità.
Tale principio sarebbe stato del tutto ignorato dalla Corte Territoriale nel momento stesso in cui ha omesso di riconoscere la responsabilità presunta del gestore della pista per il danno subito dal giovane C. in assenza di prova certa della imputabilità del predetto danno a caso fortuito o a forza maggiore.
5.1. Neppure questo motivo può essere condiviso.
Non vi è dubbio che il contratto di ski-pass presenta caratteri propri di un contratto atipico nella misura in cui il gestore dell’impianto assume anche, come di regola, il ruolo di gestore delle piste servite dall’impianto predetto ed è vero, dunque, che con il predetto contratto il gestore dell’impianto, in quanto obbligato alla manutenzione in sicurezza della pista, può essere chiamato a rispondere dei danni prodotti (ai soggetti che con il gestore hanno stipulato il contratto di ski-pass) dalla cattiva manutenzione, sulla base delle norme che governano la responsabilità contrattuale per inadempimento.
Ma nel caso in esame l’accertamento della dinamica del sinistro compiuto dalla Corte di merito, benchè condotto, come si è detto, solo nella prospettiva indicata dalla disposizione dell’art. 2043 c.c., indirettamente ha escluso anche l’inadempimento, per altro solo confusamente dedotto nelle fasi di merito, dell’obbligo di manutenzione in sicurezza delle piste nel momento stesso in cui ha escluso la pericolosità della situazione creata con la costruzione della casetta a breve distanza dallo spiazzo di fermata a valle, ed il nesso di causalità tra questa situazione e l’evento.
6. Con l’ottavo ed ultimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., addebitandosi alla Corte Territoriale di avere completamente ignorato il motivo di appello che investiva la pronuncia del Giudice di primo grado sulle spese.
6.1. Nei termini in cui è stato dedotto, anche questo ultimo motivo si rivela privo di fondamento.
E’ vero che nella sentenza impugnata manca una distinta considerazione della doglianza circa la opportunità che, anche nel caso di rigetto dei motivi di appello, fosse comunque diversamente regolato l’onere delle spese processuali del giudizio di primo grado.
Ma la specifica evidenziazione della condizione del C. di parte soccombente, contenuta nella sentenza, inequivocamente indica che la Corte Territoriale, valorizzando il dato della soccombenza, non ha ritenuto di dovere riconoscere la presenza di motivi che in qualche modo potessero giustificare la deroga del generale principio del dell’art. 91 c.p.c., che appunto pone di regola sulla parte soccombente l’onere delle spese sostenute dalla parte vittoriosa e che, così, consente al Giudice la condanna della parte soccombente al pagamento delle predette spese senza necessità di specifica giustificazione, invece necessaria ove il Giudice ritenga di dovere derogare alla predetta regola.
La Corte Territoriale non ha cioè omesso di pronunciare sul motivo di appello indicato dal ricorrente ma ha solo rigettato senza particolare motivazione tale motivo (che, del resto, era stato giustificato solo da considerazioni di carattere umanitario) così esponendosi, semmai, alla censura di insufficiente motivazione, non dedotta dal ricorrente con il motivo in esame.
7. La rilevata infondatezza dei motivi che lo sostengono conduce al rigetto del ricorso ed alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5100,00 (cinquemilacento), di cui Euro 5000,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio in Cassazione, liquidate in Euro 5100,00 (cinquemilacento), di cui Euro 5000,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte, il 16 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2007