D.M. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007
D.M. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007 (1)
Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS) (2) (3). [recante all’art. 6 divieti d’interesse per la pratica di attività sportive in montagna]
(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 novembre 2007, n. 258.
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
(3) Emanato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
IL MINISTRO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Vista la direttiva n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
Vista la direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;
Vista la legge 11 febbraio 1992, n. 157, e successive modificazioni, «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»;
Vista la deliberazione del 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 1997;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, «Regolamento recante attuazione della direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonchè della flora e della fauna selvatiche»;
Visto il decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 3 settembre 2002, «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 24 settembre 2002;
Visto il regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003 che stabilisce norme comuni relative al regime di sostegno diretto nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC);
Visto il regolamento (CE) n. 796/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, recante modalità di applicazione della condizionalità, della modulazione del sistema integrato di gestione e controllo di cui al regolamento (CE) n. 1782/2003 e successive modifiche e integrazioni;
Visto il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR);
Visto il regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo e recante modifica del regolamento (CEE) n. 2847/1993 e che abroga il regolamento (CE) n. 1626/94;
Vista la legge 6 febbraio 2006, n. 66 «Adesione della repubblica italiana all’accordo sulla conservazione degli uccelli migratori dell’Africa-Eurasia, con Allegati e Tabelle, fatto a L’Aja il 15 agosto 1996» e in particolare l’art. 1: «Piena ed intera esecuzione è data all’Accordo di cui all’art. 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità con quanto disposto dall’art. XIV dell’Accordo stesso» e l’art. 4.1.4. dell’Allegato 3 dell’Accordo, che costituisce parte integrante della legge: «Le Parti contraenti si impegnano a sopprimere l’utilizzazione del piombo per la caccia nelle zone umide entro il 2000»;
Tenuto conto che la valutazione d’incidenza, di cui all’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, costituisce una misura preventiva di tutela legata ai piani o ai progetti cui devono necessariamente aggiungersi le misure di conservazione opportune al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle specie e degli habitat dei siti natura 2000;
Considerata altresì la necessità che nel definire le misure di conservazione da applicare ai siti della rete Natura 2000, a far data dalla loro designazione, sia garantita la coerenza ecologica della rete e la conservazione adeguata dei medesimi;
Considerato che la Commissione europea, in data 28 giugno 2006, ha emesso nei confronti dello Stato italiano, nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2006/2131, avviata per non conformità al diritto comunitario della normativa italiana di recepimento della direttiva 79/409/CEE, un parere motivato nel quale contesta la violazione, fra gli altri, degli artt. 2, 3 e 4 della direttiva 79/409/CEE che prevedono l’obbligo di adottare, ai sensi dell’art. 3 «le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire per tutte le specie di cui all’allegato 1, una varietà ed una superficie di habitat», nonchè, ai sensi dell’art. 4 «per le specie elencate nell’allegato 1, misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat»;
Vista la legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (legge Finanziaria 2007)» e in particolare l’art. 1, comma 1226, che, al fine di prevenire ulteriori procedure d’infrazione, demanda ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, l’individuazione di criteri minimi uniformi sulla base dei quali le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano debbono adottare le misure di conservazione di cui agli artt. 4 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni;
Sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 20 settembre 2007;
Decreta:
1. Finalità.
Il presente decreto integra la disciplina afferente la gestione dei siti che formano la rete Natura 2000 in attuazione delle direttive n. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 e n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, dettando i criteri minimi uniformi sulla cui base le regioni e le province autonome adottano le misure di conservazione o all’occorrenza i piani di gestione per tali aree, in adempimento dell’art. 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
I criteri minimi uniformi garantiscono la coerenza ecologica della rete Natura 2000 e l’adeguatezza della sua gestione sul territorio nazionale.
L’individuazione dei criteri minimi uniformi è altresì tesa ad assicurare il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat di interesse comunitario e degli habitat di specie di interesse comunitario, nonchè a stabilire misure idonee ad evitare la perturbazione delle specie per cui i siti sono stati designati, tenuto conto degli obiettivi delle direttive n. 79/409/CEE e n. 92/43/CEE.
Per ragioni connesse alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente, si può provvedere all’autorizzazione di interventi o progetti eventualmente in contrasto con i criteri indicati nel presente atto, in ogni caso previa valutazione di incidenza, adottando ogni misura compensativa atta a garantire la coerenza globale della rete Natura 2000 (4).
(4) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
2. Definizione delle misure di conservazione per le Zone speciali di conservazione (ZSC).
1. I decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di designazione delle ZSC, adottati d’intesa con ciascuna regione e provincia autonoma interessata, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, indicano il riferimento all’atto con cui le regioni e le province autonome adottano le misure di conservazione necessarie a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat e le specie per i quali il sito è stato individuato, conformemente agli indirizzi espressi nel decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 3 settembre 2002 «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000» e alle disposizioni del presente decreto, assicurando la concertazione degli attori economici e sociali del territorio coinvolto.
Eventuali modifiche alle misure di conservazione, che si rendessero necessarie sulla base di evidenze scientifiche, sono adottate dalle regioni e dalle province autonome e comunicate entro i trenta giorni successivi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
2. Le misure di conservazione previste nei rispettivi decreti di designazione per le ZSC o per le loro porzioni ricadenti all’interno di aree naturali protette o di aree marine protette di rilievo nazionale istituite ai sensi della legislazione vigente, sono individuate ad eventuale integrazione delle misure di salvaguardia ovvero delle previsioni normative definite dai rispettivi strumenti di regolamentazione e pianificazione esistenti.
3. Entro sei mesi dalla designazione delle ZSC le regioni e le province autonome adottano le relative misure di conservazione, provvedendo altresì a comunicare al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare il soggetto affidatario della gestione di ciascuna ZSC. Per le ZSC o per le loro porzioni ricadenti all’interno di aree naturali protette o di aree marine protette di rilievo nazionale istituite ai sensi della legislazione vigente, la gestione rimane affidata all’ente gestore dell’area protetta.
4. Le misure di cui ai commi precedenti del presente articolo sono stabilite sulla base dei seguenti criteri minimi uniformi, da applicarsi a tutte le ZSC:
a) divieto di bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonchè della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati, sulle superfici specificate ai punti seguenti:
1) superfici a seminativo ai sensi dell’art. 2, punto 1 del regolamento (CE) n. 796/2004, comprese quelle investite a colture consentite dai paragrafi a) e b) dell’art. 55 del regolamento (CE) n. 1782/2003 ed escluse le superfici di cui al successivo punto 2);
2) superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/2003.
Sono fatti salvi interventi di bruciatura connessi ad emergenze di carattere fitosanitario prescritti dall’autorità competente o a superfici investite a riso e salvo diversa prescrizione della competente autorità di gestione;
b) sulle superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/2003, obbligo di garantire la presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno, e di attuare pratiche agronomiche consistenti esclusivamente in operazioni di sfalcio, trinciatura della vegetazione erbacea, o pascolamento sui terreni ritirati dalla produzione sui quali non vengono fatti valere titoli di ritiro, ai sensi del regolamento (CE) n. 1782/2003. Dette operazioni devono essere effettuate almeno una volta all’anno, fatto salvo il periodo di divieto annuale di intervento compreso fra il 1° marzo e il 31 luglio di ogni anno, ove non diversamente disposto dalle regioni e dalle province autonome. Il periodo di divieto annuale di sfalcio o trinciatura non può comunque essere inferiore a 150 giorni consecutivi compresi fra il 15 febbraio e il 30 settembre di ogni anno.
È fatto comunque obbligo di sfalci e/o lavorazioni del terreno per la realizzazione di fasce antincendio, conformemente a quanto previsto dalle normative in vigore.
In deroga all’obbligo della presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno sono ammesse lavorazioni meccaniche sui terreni ritirati dalla produzione nei seguenti casi:
1) pratica del sovescio, in presenza di specie da sovescio o piante biocide;
2) terreni interessati da interventi di ripristino di habitat e biotopi;
3) colture a perdere per la fauna, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 7 marzo 2002;
4) nel caso in cui le lavorazioni siano funzionali all’esecuzione di interventi di miglioramento fondiario;
5) sui terreni a seminativo ritirati dalla produzione per un solo anno o, limitatamente all’annata agraria precedente all’entrata in produzione, nel caso di terreni a seminativo ritirati per due o più anni, lavorazioni del terreno allo scopo di ottenere una produzione agricola nella successiva annata agraria, comunque da effettuarsi non prima del 15 luglio dell’annata agraria precedente all’entrata in produzione.
Sono fatte salve diverse prescrizioni della competente autorità di gestione;
c) divieto di conversione della superficie a pascolo permanente ai sensi dell’art. 2, punto 2, del regolamento (CE) n. 796/2004 ad altri usi;
d) divieto di eliminazione degli elementi naturali e seminaturali caratteristici del paesaggio agrario con alta valenza ecologica individuati dalle regioni e dalle province autonome con appositi provvedimenti;
e) divieto di eliminazione dei terrazzamenti esistenti, delimitati a valle da muretto a secco oppure da una scarpata inerbita; sono fatti salvi i casi regolarmente autorizzati di rimodellamento dei terrazzamenti eseguiti allo scopo di assicurare una gestione economicamente sostenibile;
f) divieto di esecuzione di livellamenti non autorizzati dall’ente gestore; sono fatti salvi i livellamenti ordinari per la preparazione del letto di semina e per la sistemazione dei terreni a risaia;
g) divieto di esercizio della pesca con reti da traino, draghe, ciancioli, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia e reti analoghe sulle praterie sottomarine, in particolare sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine, di cui all’art. 4 del regolamento (CE) n. 1967/06;
h) divieto di esercizio della pesca con reti da traino, draghe, sciabiche da spiaggia e reti analoghe su habitat coralligeni e letti di maerl, di cui all’art. 4 del regolamento (CE) n. 1967/06;
i) divieto di utilizzo di munizionamento a pallini di piombo all’interno delle zone umide, quali laghi, stagni, paludi, acquitrini, lanche e lagune d’acqua dolce, salata, salmastra, nonchè nel raggio di 150 metri dalle rive più esterne a partire dalla stagione venatoria 2008/09 (5).
5. Le regioni e le province autonome, in collaborazione con AGEA e/o con gli Organismi Pagatori regionali, provvedono a individuare, e ove necessario ad aggiornare, i precisi riferimenti catastali delle aree ZSC, anche al fine di una corretta attuazione del regolamento (CE) n. 1782/2003 e del regolamento (CE) n. 1698/05 (6).
(5) La presente lettera era stata modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Successivamente, il TAR del Lazio – sezione seconda bis – con sentenza n. 5239 del 25 maggio 2009, ha annullato le disposizioni di cui al 1°, 2°, 3° ed 8° capoverso del citato art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Pertanto, a seguito di tale pronuncia e come previsto dal Comunicato 14 aprile 2011, la presente lettera è riportata nel testo antecedente alle modifiche disposte dal suddetto D.M. 22 gennaio 2009.
(6) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
3. Definizione delle misure di conservazione per le Zone di protezione speciale (ZPS).
1. Le misure di conservazione ovvero gli eventuali piani di gestione previsti dall’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, sono adottati ovvero adeguati dalle regioni e dalle province autonome con proprio atto entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, sulla base degli indirizzi espressi nel decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 3 settembre 2002 «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000», nonchè dei criteri minimi uniformi definiti col presente decreto e articolati come segue:
criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione valide per tutte le tipologie di ZPS;
criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione valide per specifiche tipologie di ZPS.
2. Per le ZPS o per le loro porzioni ricadenti all’interno di aree naturali protette o di aree marine protette di rilievo nazionale istituite ai sensi della legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, le misure di conservazione sono individuate ad eventuale integrazione delle misure di salvaguardia e delle previsioni normative definite dai rispettivi strumenti di regolamentazione e pianificazione esistenti.
3. Le ZPS si intendono designate, ovvero istituite, dalla data di trasmissione alla Commissione europea da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei formulari e delle cartografie delle medesime ZPS individuate dalle regioni e dalle province autonome, ovvero dalla sola data di trasmissione alla Commissione europea dei formulari e delle cartografie delle ZPS, da parte del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, nel caso in cui la stessa designazione sia avvenuta precedentemente all’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992, n. 157.
4. Entro sei mesi dalla loro adozione, le regioni e le province autonome comunicano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare le misure di conservazione nonchè il soggetto affidatario della gestione di ciascuna ZPS. Per le ZPS o per le loro porzioni ricadenti all’interno di aree naturali protette o di aree marine protette di rilievo nazionale istituite ai sensi della legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, la gestione rimane affidata all’ente gestore dell’area protetta.
5. Le regioni e le province autonome, in collaborazione con AGEA e/o con gli Organismi Pagatori regionali, provvedono a individuare, e, ove necessario ad aggiornare, i precisi riferimenti catastali delle aree ZPS, anche al fine di una corretta applicazione del regolamento (CE) n. 1782/2003 e del regolamento (CE) n. 1698/05 (7).
(7) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
4. Individuazione di tipologie ambientali di riferimento per le ZPS.
1. Tenuto conto dei criteri ornitologici indicati nella direttiva n. 79/409/CEE e delle esigenze ecologiche delle specie presenti nelle diverse ZPS, sono individuate le tredici tipologie ambientali di riferimento di seguito elencate:
ambienti aperti alpini;
ambienti forestali alpini;
ambienti aperti delle montagne mediterranee;
ambienti forestali delle montagne mediterranee;
ambienti misti mediterranei;
ambienti steppici;
colonie di uccelli marini;
zone umide;
ambienti fluviali;
ambienti agricoli;
risaie;
corridoi di migrazione;
valichi montani, isole e penisole rilevanti per la migrazione dei passeriformi e di altre specie ornitiche.
2. Con l’atto di cui all’art. 3, comma 1, le regioni e le province autonome assegnano ciascuna ZPS ad una o più delle tipologie ambientali previste dal comma 1 del presente articolo sulla base della descrizione e della caratterizzazione delle tredici tipologie ambientali contenute nell’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente provvedimento. L’assegnazione delle ZPS, anche di nuova designazione, o la variazione di assegnazione di ZPS che dovesse rendersi necessaria per motivazioni scientifiche, sempre relative alle caratteristiche tipologiche dell’area, sono comunicate entro trenta giorni al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale può formulare osservazioni entro i trenta giorni successivi alla ricevuta comunicazione.
3. Nel caso di ZPS assegnate ad un’unica tipologia ambientale, nella definizione delle misure di conservazione si applicano i criteri minimi uniformi individuati per la tipologia specifica, oltre a quelli validi per tutte le ZPS. Nel caso di ZPS assegnate a due o più tipologie ambientali, nella definizione delle misure di conservazione si applicano i criteri minimi uniformi individuati per ognuna delle tipologie specifiche, oltre a quelli validi per tutte le ZPS (8).
(8) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
5. Criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione per tutte le ZPS.
1. Per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, con l’atto di cui all’art. 3, comma 1, del presente decreto, provvedono a porre i seguenti divieti:
a) esercizio dell’attività venatoria nel mese di gennaio, con l’eccezione della caccia da appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante per due giornate, prefissate dal calendario venatorio, alla settimana, nonchè con l’eccezione della caccia agli ungulati (9);
b) effettuazione della preapertura dell’attività venatoria, con l’eccezione della caccia di selezione agli ungulati;
c) esercizio dell’attività venatoria in deroga ai sensi dell’art. 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva n. 79/409/CEE;
d) utilizzo di munizionamento a pallini di piombo all’interno delle zone umide, quali laghi, stagni, paludi, acquitrini, lanche e lagune d’acqua dolce, salata, salmastra, nonchè nel raggio di 150 metri dalle rive più esterne a partire dalla stagione venatoria 2008/09 (10);
e) attuazione della pratica dello sparo al nido nello svolgimento dell’attività di controllo demografico delle popolazioni di corvidi. Il controllo demografico delle popolazioni di corvidi è comunque vietato nelle aree di presenza del lanario (Falco biarmicus);
f) effettuazione di ripopolamenti faunistici a scopo venatorio, ad eccezione di quelli con soggetti appartenenti a sole specie e popolazioni autoctone provenienti da allevamenti nazionali, o da zone di ripopolamento e cattura, o dai centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale insistenti sul medesimo territorio;
g) abbattimento di esemplari appartenenti alle specie pernice bianca ( Lagopus mutus), combattente (Philomacus pugnax), moretta (Aythya fuligula), fatte salve, limitatamente alla Pernice Bianca, le zone ove sia stato monitorato e verificato un favorevole stato di conservazione di tali specie (11);
h) svolgimento dell’attività di addestramento di cani da caccia prima del 1° settembre e dopo la chiusura della stagione venatoria. Sono fatte salve le zone di cui all’art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157/1992 sottoposte a procedura di valutazione positiva ai sensi dell’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni (12);
i) costituzione di nuove zone per l’allenamento e l’addestramento dei cani e per le gare cinofile, nonchè ampliamento di quelle esistenti fatte salve quelle sottoposte a procedura di valutazione positiva ai sensi dell’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 e successive modificazioni (13);
j) distruzione o danneggiamento intenzionale di nidi e ricoveri di uccelli;
k) realizzazione di nuove discariche o nuovi impianti di trattamento e smaltimento di fanghi e rifiuti nonchè ampliamento di quelli esistenti in termine di superficie, fatte salve le discariche per inerti;
l) realizzazione di nuovi impianti eolici, fatti salvi gli impianti per i quali, alla data di emanazione del presente atto, sia stato avviato il procedimento di autorizzazione mediante deposito del progetto. Gli enti competenti dovranno valutare l’incidenza del progetto, tenuto conto del ciclo biologico delle specie per le quali il sito è stato designato, sentito l’INFS. Sono inoltre fatti salvi gli interventi di sostituzione e ammodernamento, anche tecnologico, che non comportino un aumento dell’impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione della ZPS, nonchè gli impianti per autoproduzione con potenza complessiva non superiore a 20 kw;
m) realizzazione di nuovi impianti di risalita a fune e nuove piste da sci, ad eccezione di quelli previsti negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento, nonchè di quelli previsti negli strumenti adottati preliminarmente e comprensivi di valutazione d’incidenza; sono fatti salvi gli impianti per i quali sia stato avviato il procedimento di autorizzazione, mediante deposito del progetto esecutivo comprensivo di valutazione d’incidenza, nonchè interventi di sostituzione e ammodernamento anche tecnologico e modesti ampliamenti del demanio sciabile che non comportino un aumento dell’impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione della ZPS;
n) apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto o che verranno approvati entro il periodo di transizione, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall’attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento; in via transitoria, per 18 mesi (14)dalla data di emanazione del presente atto, in carenza di strumenti di pianificazione o nelle more di valutazione d’incidenza dei medesimi, è consentito l’ampliamento delle cave in atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti, fermo restando l’obbligo di recupero finale delle aree a fini naturalistici; sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d’incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e semprechè l’attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici;
o) svolgimento di attività di circolazione motorizzata al di fuori delle strade, fatta eccezione per i mezzi agricoli e forestali, per i mezzi di soccorso, controllo e sorveglianza, per i mezzi degli aventi diritto, in qualità di proprietari, gestori e lavoratori e ai fini dell’accesso agli appostamenti fissi di caccia, definiti dall’art. 5 della legge n. 157/1992, da parte delle persone autorizzate alla loro utilizzazione e gestione, esclusivamente durante la stagione venatoria (15);
p) eliminazione degli elementi naturali e seminaturali caratteristici del paesaggio agrario con alta valenza ecologica individuati dalle regioni e dalle province autonome con appositi provvedimenti;
q) eliminazione dei terrazzamenti esistenti, delimitati a valle da muretto a secco oppure da una scarpata inerbita, sono fatti salvi i casi regolarmente autorizzati di rimodellamento dei terrazzamenti eseguiti allo scopo di assicurare una gestione economicamente sostenibile;
r) esecuzione di livellamenti non autorizzati dall’ente gestore; sono fatti salvi i livellamenti ordinari per la preparazione del letto di semina e per la sistemazione dei terreni a risaia;
s) conversione della superficie a pascolo permanente ai sensi dell’art. 2, punto 2 del regolamento (CE) n. 796/2004 ad altri usi;
t) bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonchè della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati, sulle superfici specificate ai punti seguenti:
1) superfici a seminativo ai sensi dell’art. 2, punto 1 del regolamento (CE) n. 796/2004, comprese quelle investite a colture consentite dai paragrafi a) e b) dell’art. 55 del regolamento (CE) n. 1782/2003 ed escluse le superfici di cui al successivo punto 2);
2) superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/03.
Sono fatti salvi, in ogni caso, gli interventi di bruciatura connessi ad emergenze di carattere fitosanitario prescritti dall’autorità competente o a superfici investite a riso e salvo diversa prescrizione della competente autorità di gestione;
u) esercizio della pesca con reti da traino, draghe, ciancioli, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia e reti analoghe sulle praterie sottomarine, in particolare sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine, di cui all’art. 4 del regolamento (CE) n. 1967/06;
v) esercizio della pesca con reti da traino, draghe, sciabiche da spiaggia e reti analoghe su habitat coralligeni e letti di maerl, di cui all’art. 4 del regolamento (CE) n. 1967/06.
2. Per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, con l’atto di cui all’art. 3 comma 1 del presente decreto, provvedono a porre i seguenti obblighi:
a) messa in sicurezza, rispetto al rischio di elettrocuzione e impatto degli uccelli, di elettrodotti e linee aeree ad alta e media tensione di nuova realizzazione o in manutenzione straordinaria o in ristrutturazione;
b) sulle superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/2003, garantire la presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno e di attuare pratiche agronomiche consistenti esclusivamente in operazioni di sfalcio, trinciatura della vegetazione erbacea, o pascolamento sui terreni ritirati dalla produzione sui quali non vengono fatti valere titoli di ritiro, ai sensi del regolamento (CE) 1782/03. Dette operazioni devono essere effettuate almeno una volta all’anno, fatto salvo il periodo di divieto annuale di intervento compreso fra il 1° marzo e il 31 luglio di ogni anno, ove non diversamente disposto dalle regioni e dalle province autonome. Il periodo di divieto annuale di sfalcio o trinciatura non può comunque essere inferiore a 150 giorni consecutivi compresi fra il 15 febbraio e il 30 settembre di ogni anno.
È fatto comunque obbligo di sfalci e/o lavorazioni del terreno per la realizzazione di fasce antincendio, conformemente a quanto previsto dalle normative in vigore.
In deroga all’obbligo della presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno sono ammesse lavorazioni meccaniche sui terreni ritirati dalla produzione nei seguenti casi:
1) pratica del sovescio, in presenza di specie da sovescio o piante biocide;
2) terreni interessati da interventi di ripristino di habitat e biotopi;
3) colture a perdere per la fauna, ai sensi dell’articolo 1, lettera c), del decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 7 marzo 2002;
4) nel caso in cui le lavorazioni siano funzionali all’esecuzione di interventi di miglioramento fondiario;
5) sui terreni a seminativo ritirati dalla produzione per un solo anno o, limitatamente all’annata agraria precedente all’entrata in produzione, nel caso di terreni a seminativo ritirati per due o più anni, lavorazioni del terreno allo scopo di ottenere una produzione agricola nella successiva annata agraria, comunque da effettuarsi non prima del 15 luglio dell’annata agraria precedente all’entrata in produzione.
Sono fatte salve diverse prescrizioni della competente autorità di gestione;
c) regolamentazione degli interventi di diserbo meccanico nella rete idraulica artificiale, quali canali di irrigazione e canali collettori, in modo che essi vengano effettuati al di fuori del periodo riproduttivo degli uccelli, ad eccezione degli habitat di cui all’art. 6 comma 11;
d) monitoraggio delle popolazioni delle specie ornitiche protette dalla Direttiva 79/409/CEE e in particolare quelle dell’Allegato I della medesima direttiva o comunque a priorità di conservazione.
3. Per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, con l’atto di cui all’art. 3 comma 1 del presente decreto, indicano, quali attività da promuovere e incentivare:
a) la repressione del bracconaggio;
b) la rimozione dei cavi sospesi di impianti di risalita, impianti a fune ed elettrodotti dismessi;
c) l’informazione e la sensibilizzazione della popolazione locale e dei maggiori fruitori del territorio sulla rete Natura 2000;
d) l’agricoltura biologica e integrata con riferimento ai Programmi di Sviluppo Rurale;
e) le forme di allevamento e agricoltura estensive tradizionali;
f) il ripristino di habitat naturali quali ad esempio zone umide, temporanee e permanenti, e prati tramite la messa a riposo dei seminativi;
g) il mantenimento delle stoppie e delle paglie, nonchè della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi dei terreni seminati, nel periodo invernale almeno fino alla fine di febbraio (16).
(9) La presente lettera era stata soppressa dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Successivamente, il TAR del Lazio – sezione seconda bis – con sentenza n. 5239 del 25 maggio 2009, ha annullato le disposizioni di cui al 1°, 2°, 3° ed 8° capoverso del citato art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Pertanto, a seguito di tale pronuncia e come previsto dal Comunicato 14 aprile 2011, la presente lettera è riportata nel testo antecedente alla soppressione disposta dal suddetto D.M. 22 gennaio 2009.
(10) La presente lettera era stata modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Successivamente, il TAR del Lazio – sezione seconda bis – con sentenza n. 5239 del 25 maggio 2009, ha annullato le disposizioni di cui al 1°, 2°, 3° ed 8° capoverso del citato art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Pertanto, a seguito di tale pronuncia e come previsto dal Comunicato 14 aprile 2011, la presente lettera è riportata nel testo antecedente alle modifiche disposte dal suddetto D.M. 22 gennaio 2009.
(11) Lettera così modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009.
(12) Lettera così modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009.
(13) Lettera così modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009.
(14) Per la proroga del termine vedi il comma 5-bis dell’art. 8, D.L. 30 dicembre 208, n. 208, aggiunto dalla relativa legge di conversione.
(15) Lettera così modificata dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009.
(16) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
6. Criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione per tipologie di ZPS.
In relazione alla assegnazione delle ZPS alla tipologia ambientale di riferimento, di cui all’art. 4 del presente decreto, le regioni e le province autonome, con l’atto di cui all’art. 3 comma 1, provvedono a porre i seguenti:
1. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti aperti alpini.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
escursionismo ai sentieri negli ambienti d’alta quota;
uso di eliski e motoslitte;
avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione da gipeto (Gypaetus barbatus), aquila reale (Aquila chrysaetos), falco pellegrino (Falco peregrinus), gufo reale (Bubo bubo) e gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità;
tagli selvicolturali nelle aree che interessano i siti di nidificazione delle specie caratteristiche della tipologia ambientale, in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione.
Attività da favorire:
mantenimento delle attività agrosilvopastorali estensive e in particolare il recupero e la gestione delle aree aperte a vegetazione erbacea;
mantenimento e recupero delle aree a prato pascolo;
pastorizia, evitando il sovrapascolo;
attività tradizionale di coltivazione dei prati magri di media montagna;
manutenzione e ripristino dei muretti a secco esistenti e realizzazione di nuovi attraverso tecniche costruttive tradizionali e manufatti in pietra;
mantenimento e recupero delle aree a vegetazione aperta;
pastorizia estensiva nei pascoli marginali di media e bassa quota.
2. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti forestali alpini.
Obblighi e divieti:
obbligo di integrazione degli strumenti di gestione forestale al fine di garantire il mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
tagli selvicolturali nelle aree che interessano i siti di nidificazione delle specie caratteristiche della tipologia ambientale, in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione;
avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione da gipeto (Gypaetus barbatus), aquila reale (Aquila chrysaetos), falco pellegrino (Falco peregrinus), gufo reale (Bubo bubo) e gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità;
attività forestali in merito all’eventuale rilascio di matricine nei boschi cedui, alla eventuale indicazione di provvigioni minime o riprese massime, di estensione ed epoca degli interventi di taglio selvicolturale, di norme su tagli intercalari;
apertura di nuove strade e piste forestali a carattere permanente.
Attività da favorire:
conservazione del sottobosco;
attività agrosilvopastorali in grado di mantenere una struttura disetanea dei soprassuoli e la presenza di radure e chiarie all’interno delle compagini forestali;
conservazione di prati all’interno del bosco anche di medio/piccola estensione e di pascoli ed aree agricole, anche a struttura complessa, nei pressi delle aree forestali;
mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna;
mantenimento degli elementi forestali, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali;
manutenzione, senza rifacimento totale, dei muretti a secco e dei manufatti in pietra esistenti e realizzazione di nuovi attraverso tecniche costruttive tradizionali;
gestione forestale che favorisca l’evoluzione all’alto fusto e la disetaneità e l’aumento della biomassa vegetale morta;
conservazione di radure e chiarie all’interno delle compagini forestali;
mantenimento degli elementi forestali, anche di parcelle di ridotta estensione, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali.
3. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti aperti delle montagne mediterranee.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione da capovaccaio (Neophron percnopterus), aquila reale (Aquila chrysaetos), aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), falco pellegrino (Falco peregrinus), lanario (Falco biarmicus), grifone (Gyps fulvus), gufo reale (Bubo bubo) e gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità;
tagli selvicolturali nelle aree che interessano i siti di nidificazione delle specie caratteristiche della tipologia ambientale, in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione;
pascolo al fine di ridurre fenomeni di eccessivo sfruttamento del cotico erboso, anche per consentire la transumanza e la monticazione estiva.
Attività da favorire:
mantenimento delle attività agrosilvopastorali estensive e in particolare recupero e gestione delle aree a prato permanente e a pascolo;
mantenimento e recupero del mosaico di aree a vegetazione erbacea e arbustiva.
4. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti forestali delle montagne mediterranee.
Obblighi e divieti:
obbligo di integrazione degli strumenti di gestione forestale al fine di garantire il mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
tagli selvicolturali nelle aree che interessano i siti di nidificazione delle specie caratteristiche della tipologia ambientale, in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione;
avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione da capovaccaio (Neophron percnopterus), aquila reale (Aquila chrysaetos), aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), falco pellegrino (Falco peregrinus), lanario (Falco biarmicus), grifone (Gyps fulvus), gufo reale (Bubo bubo) e gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità;
attività forestali in merito all’eventuale rilascio di matricine nei boschi cedui, alla eventuale indicazione di provvigioni massime, di estensione ed epoca degli interventi di taglio selvicolturale, di norme su tagli intercalari;
apertura di nuove strade e piste forestali a carattere permanente.
Attività da favorire:
attività agro-silvo-pastorali in grado di mantenere una struttura disetanea dei soprassuoli e la presenza di radure e chiarie all’interno delle compagini forestali;
conservazione di prati e di aree aperte all’interno del bosco anche di media e piccola estensione e di pascoli ed aree agricole, anche a struttura complessa, nei pressi delle aree forestali;
mantenimento degli elementi forestali di bosco non ceduato, anche di parcelle di ridotta estensione, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali e negli impluvi naturali;
mantenimento ovvero promozione di una struttura delle compagini forestali caratterizzata dall’alternanza di diversi tipi di governo del bosco (ceduo, ceduo sotto fustaia, fustaia disetanea);
conservazione del sottobosco;
mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna;
gestione forestale che favorisca l’evoluzione all’alto fusto, la disetaneità e l’aumento della biomassa vegetale morta;
mantenimento degli elementi forestali di bosco non ceduato, anche di parcelle di ridotta estensione, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali.
5. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti misti mediterranei.
Obblighi e divieti:
divieto di eliminazione dei muretti a secco funzionali alle esigenze ecologiche delle specie di interesse comunitario.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione da capovaccaio (Neophron percnopterus), aquila reale (Aquila chrysaetos), aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), falco pellegrino (Falco peregrinus), lanario (Falco biarmicus), grifone (Gyps fulvus), gufo reale (Bubo bubo) e gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità;
tagli selvicolturali nelle aree che interessano i siti di nidificazione delle specie caratteristiche della tipologia ambientale, in connessione alle epoche e alle metodologie degli interventi e al fine di non arrecare disturbo o danno alla loro riproduzione.
Attività da favorire:
conservazione, manutenzione e ripristino, senza rifacimento totale, dei muretti a secco esistenti e realizzazione di nuovi attraverso tecniche costruttive tradizionali e manufatti in pietra;
creazione di filari arborei-arbustivi con specie autoctone lungo i confini degli appezzamenti coltivati;
conservazione e ripristino degli elementi naturali e seminaturali dell’agroecosistema come siepi, filari, laghetti, boschetti, stagni;
conservazione di una struttura disetanea dei soprassuoli e di aree aperte all’interno del bosco anche di media e piccola estensione e di pascoli ed aree agricole, anche a struttura complessa, nei pressi delle aree forestali;
mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna;
mantenimento degli elementi forestali di bosco non ceduato, anche di parcelle di ridotta estensione, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali e negli impluvi naturali;
mantenimento ovvero promozione di una struttura delle compagini forestali caratterizzata dall’alternanza di diversi tipi di governo del bosco (ceduo, ceduo sotto fustaia, fustaia disetanea);
controllo della vegetazione arbustiva nei prati e pascoli aridi;
ripristino di prati pascoli e prati aridi a partire da seminativi in rotazione;
ripristino di prati e pascoli mediante la messa a riposo dei seminativi;
conservazione del sottobosco.
6. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti steppici.
Obblighi e divieti:
divieto di eliminazione dei muretti a secco funzionali alle esigenze ecologiche delle specie di interesse comunitario;
divieto di irrigazione delle superfici steppiche che non abbiano già avuto una destinazione agricola.
Regolamentazione di:
pascolo al fine di ridurre fenomeni di eccessivo sfruttamento del cotico erboso;
circolazione sulle strade ad uso silvo-pastorale;
costruzione di nuove serre fisse;
dissodamento con successiva macinazione delle pietre nelle aree coperte da vegetazione naturale.
Attività da favorire:
conservazione ovvero ripristino degli elementi naturali e seminaturali dell’agroecosistema tra cui alberi isolati, pozze di abbeverata, piccoli stagni;
manutenzione, senza rifacimento totale, dei muretti a secco esistenti e realizzazione di nuovi attraverso tecniche costruttive tradizionali e manufatti in pietra;
mantenimento ovvero ripristino di piccole raccolte d’acqua e pozze stagionali;
controllo della vegetazione arbustiva infestante nei prati e pascoli aridi;
ripristino di pascoli e prati aridi mediante la messa a riposo di seminativi;
pratiche pastorali tradizionali evitando il sovrapascolo;
pratiche pastorali tradizionali estensive.
7. ZPS caratterizzate dalla presenza di colonie di uccelli marini.
Obblighi e divieti:
obbligo di segnalazione delle colonie riproduttive delle seguenti specie di uccelli marini, con particolare riferimento ai relativi periodi di riproduzione: uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus) 15 marzo-30 settembre; marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) 1° gennaio-1° maggio; falco della regina (Falco eleonorae) 15 giugno-30 ottobre; gabbiano corso (Larus audouinii) 15 aprile-15 luglio;
divieto di accesso per animali da compagnia nonchè regolamentazione dell’accesso, dell’ormeggio, dello sbarco, del transito, della balneazione, delle attività speleologiche, di parapendio e di arrampicata, nonchè del pascolo di bestiame domestico entro un raggio di 100 metri dalle colonie riproduttive delle seguenti specie di uccelli marini, durante i seguenti periodi di riproduzione e se non per scopo di studio e di ricerca scientifica espressamente autorizzati dall’ente gestore: uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus) 15 marzo-30 settembre; marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) 1° gennaio-1° maggio; falco della regina (Falco eleonorae) 15 giugno-30 ottobre; gabbiano corso (Larus audouinii) 15 aprile-15 luglio;
obbligo di punti luce schermati verso l’alto e verso il mare e di utilizzo di lampade ai vapori di sodio a bassa pressione, per gli impianti di illuminazione esterna di nuova realizzazione o in manutenzione straordinaria posti entro il raggio di 1 chilometro dalle colonie di nidificazione, e visibili da queste e dai tratti di mare antistanti, di uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus), berta maggiore (Calonectris diomedea) e berta minore (Puffinus puffinus), salvo le necessità di illuminazione di approdi.
Regolamentazione di:
caratteristiche tecniche delle illuminazioni esterne entro 1 chilometro dalle colonie di uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus), berta maggiore (Calonectris diomedea) e berta minore (Puffinus puffinus).
Attività da favorire:
sorveglianza alle colonie di uccelli durante il periodo di riproduzione;
adeguamento degli impianti esistenti di illuminazione esterna posti entro il raggio di 1 chilometro dalle colonie di nidificazione, e visibili da queste e dai tratti di mare antistanti, di uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus), berta maggiore (Calonectris diomedea) e berta minore (Puffinus puffinus) secondo le indicazioni tecniche sopra riportate;
incentivazione dell’utilizzazione di dispositivi per accensione/spegnimento automatico al passaggio di persone/automezzi.
8. ZPS caratterizzate dalla presenza di zone umide.
Obblighi e divieti:
divieto di bonifica idraulica delle zone umide naturali;
divieto di abbattimento, in data antecedente al 1° ottobre, di esemplari appartenenti alle specie codone (Anas acuta), marzaiola (Anas querquedula), mestolone (Anas clypeata), alzavola (Anas crecca), canapiglia (Anas strepera), fischione (Anas penelope), moriglione (Aythya ferina), folaga (Fulica atra), gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), porciglione (Rallus aquaticus), beccaccino (Gallinago gallinago), beccaccia (Scolopax rusticola), frullino (Lymnocryptes minimus), pavoncella (Vanellus vanellus);
obbligo di monitoraggio del livello idrico delle zone umide, in particolar modo durante la stagione riproduttiva delle specie ornitiche presenti, al fine di evitare eccessivi sbalzi del medesimo.
Regolamentazione di:
taglio dei pioppeti occupati da garzaie, evitando gli interventi nei periodi di nidificazione;
costruzione di nuove serre fisse;
caccia in presenza, anche parziale, di ghiaccio;
trattamento delle acque reflue dei bacini di ittiocoltura intensiva o semintensiva;
attività che comportino improvvise e consistenti variazioni del livello dell’acqua o la riduzione della superficie di isole ovvero zone affioranti. Sono fatte salve le operazioni di prosciugamento delle sole vasche salanti delle saline in produzione;
realizzazione di sbarramenti idrici e interventi di artificializzazione degli alvei e delle sponde tra cui rettificazioni, tombamenti, canalizzazioni, arginature, riduzione della superficie di isole ovvero zone affioranti;
epoche e metodologie degli interventi di controllo ovvero gestione della vegetazione spontanea arborea, arbustiva e erbacea all’interno delle zone umide e delle garzaie, in modo che sia evitato taglio, sfalcio, trinciatura, incendio, diserbo chimico, lavorazioni superficiali del terreno, durante il periodo riproduttivo dell’avifauna, fatti salvi interventi straordinari di gestione previa autorizzazione dell’ente gestore, al fine di non arrecare disturbo o danno alla riproduzione della fauna selvatica;
realizzazione di impianti di pioppicoltura;
utilizzo dei diserbanti e del pirodiserbo per il controllo della vegetazione della rete idraulica artificiale (canali di irrigazione, fossati e canali collettori);
pesca con nasse e trappole.
Attività da favorire:
riduzione dei nitrati immessi nelle acque superficiali nell’ambito di attività agricole;
messa a riposo a lungo termine dei seminativi, nonchè la conversione dei terreni da pioppeto in boschi di latifoglie autoctone o in praterie sfalciabili o per creare zone umide o per ampliare biotopi relitti e gestiti per scopi ambientali nelle aree contigue a lagune costiere, valli, torbiere e laghi;
mantenimento e coltivazione ecocompatibile delle risaie nelle aree adiacenti le zone umide;
incentivazione dei metodi di agricoltura biologica;
creazione e mantenimento di fasce tampone a vegetazione erbacea (spontanea o seminata) o arboreo-arbustiva di una certa ampiezza tra le zone coltivate e le zone umide;
creazione di zone a diversa profondità d’acqua con argini e rive a ridotta pendenza;
mantenimento ovvero ripristino del profilo irregolare (con insenature e anfratti) dei contorni della zona umida;
mantenimento ovvero ripristino della vegetazione sommersa, natante ed emersa e dei terreni circostanti l’area umida;
mantenimento dei cicli di circolazione delle acque salate nelle saline abbandonate al fine di conservare gli habitat con acque e fanghi ipersalati idonei per Limicoli, Sternidi e Fenicottero;
interventi di taglio delle vegetazione, nei corsi d’acqua con alveo di larghezza superiore ai 5 metri, effettuati solo su una delle due sponde in modo alternato nel tempo e nello spazio, al fine di garantire la permanenza di habitat idonei a specie vegetali e animali;
creazione di isole e zone affioranti idonee alla nidificazione in aree dove questi elementi scarseggiano a causa di processi di erosione, subsidenza, mantenimento di alti livelli dell’acqua in primavera;
mantenimento di spiagge naturali e di aree non soggette a pulitura meccanizzata tra gli stabilimenti balneari;
conservazione ovvero ripristino di elementi naturali tra gli stabilimenti balneari esistenti;
trasformazione ad agricoltura biologica nelle aree agricole esistenti contigue alle zone umide;
realizzazione di sistemi per la fitodepurazione;
gestione periodica degli ambiti di canneto, da realizzarsi esclusivamente al di fuori del periodo di riproduzione dell’avifauna, con sfalci finalizzati alla diversificazione strutturale, al ringiovanimento, al mantenimento di specchi d’acqua liberi, favorendo i tagli a rotazione per parcelle ed evitando il taglio raso;
ripristino di prati stabili, zone umide temporanee o permanenti, ampliamento di biotopi relitti gestiti per scopi esclusivamente ambientali, in particolare nelle aree contigue a lagune costiere, valli, torbiere, laghi tramite la messa a riposo dei seminativi;
conversione dei terreni adibiti a pioppeto in boschi di latifoglie autoctone;
colture a basso consumo idrico e individuazione di fonti di approvvigionamento idrico, tra cui reflui depurati per tamponare le situazioni di stress idrico estivo;
adozione, attraverso il meccanismo della certificazione ambientale, di pratiche ecocompatibili nella pioppicoltura, tra cui il mantenimento della vegetazione erbacea durante gli stadi avanzati di crescita del pioppeto, il mantenimento di strisce non fresate anche durante le lavorazioni nei primi anni di impianto, il mantenimento di piccoli nuclei di alberi morti, annosi o deperienti.
9. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti fluviali.
Regolamentazione di:
taglio dei pioppeti occupati da garzaie, evitando gli interventi nei periodi di nidificazione;
caccia in presenza, anche parziale, di ghiaccio;
realizzazione di sbarramenti idrici e degli interventi di artificializzazione degli alvei e delle sponde tra cui rettificazioni, tombamenti, canalizzazioni, arginature, riduzione della superficie di isole ovvero zone affioranti;
captazioni idriche e attività che comportino il prosciugamento, anche solo temporaneo, dei corsi d’acqua, o improvvise e consistenti variazioni del livello dell’acqua, o la riduzione della superficie di isole o zone affioranti;
impianti di pioppicoltura e arboricoltura da legno a ciclo breve all’interno delle golene;
interventi di controllo ovvero gestione della vegetazione spontanea arborea, arbustiva e erbacea all’interno delle zone umide e delle garzaie, in modo che sia evitato taglio, sfalcio, trinciatura, incendio, diserbo chimico, lavorazioni superficiali del terreno, durante il periodo riproduttivo dell’avifauna, fatti salvi interventi straordinari di gestione previa autorizzazione dell’ente gestore;
utilizzo, in tutta l’area interessata dalla vegetazione, di diserbanti e del pirodiserbo per il controllo della vegetazione della rete idraulica artificiale (canali di irrigazione, fossati e canali collettori);
interventi, durante il periodo riproduttivo dell’avifauna, di taglio, sfalcio, trinciatura della vegetazione e delle formazioni arbustive.
Attività da favorire:
messa a riposo a lungo termine dei seminativi, nonchè conversione dei terreni da pioppeto in boschi di latifoglie autoctone o in praterie sfalciabili, per ampliare biotopi relitti e per creare zone umide gestite per scopi ambientali all’interno delle golene;
creazione e mantenimento di fasce tampone a vegetazione erbacea (spontanea o seminata) o arboreo-arbustiva di una certa ampiezza tra le zone coltivate e le zone umide;
riduzione dei nitrati immessi nelle acque superficiali nell’ambito di attività agricole;
rinaturalizzazione dei corsi d’acqua;
interventi di taglio della vegetazione, nei corsi d’acqua con alveo di larghezza superiore ai 5 metri, effettuati solo su una delle due sponde in modo alternato nel tempo e nello spazio, al fine di garantire la permanenza di habitat idonei a specie vegetali e animali;
realizzazione di sistemi per la fitodepurazione;
riduzione del carico e dei periodi di pascolo nelle aree golenali;
gestione periodica degli ambiti di canneto, da realizzarsi solamente al di fuori del periodo riproduttivo dell’avifauna, con sfalci finalizzati alla diversificazione strutturale, al ringiovanimento, al mantenimento di specchi d’acqua liberi, favorendo i tagli a rotazione per parcelle ed evitando il taglio raso;
ripristino di prati stabili, zone umide temporanee o permanenti, ampliamento di biotopi relitti gestiti per scopi esclusivamente ambientali, in particolare nelle aree contigue a lagune costiere, valli, torbiere, laghi tramite la messa a riposo dei seminativi;
conversione dei terreni adibiti a pioppeto in boschi di latifoglie autoctone;
adozione, attraverso il meccanismo della certificazione ambientale, di pratiche ecocompatibili nella pioppicoltura, tra cui il mantenimento della vegetazione erbacea durante gli stadi avanzati di crescita del pioppeto, il mantenimento di strisce non fresate anche durante le lavorazioni nei primi anni di impianto, il mantenimento di piccoli nuclei di alberi morti, annosi o deperienti.
10. ZPS caratterizzate dalla presenza di ambienti agricoli.
Regolamentazione di:
taglio dei pioppeti occupati da garzaie nei periodi di nidificazione;
utilizzazione e limitazione nell’uso dei fanghi di depurazione, fatte salve le prescrizioni e i divieti recati dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 recante attuazione della direttiva 86/278/CEE.
Attività da favorire:
messa a riposo a lungo termine dei seminativi per creare zone umide (temporanee e permanenti) e prati arbustati gestiti esclusivamente per la flora e la fauna selvatica, in particolare nelle aree contigue alle zone umide e il mantenimento (tramite corresponsione di premi ovvero indennita) dei terreni precedentemente ritirati dalla produzione dopo la scadenza del periodo di impegno;
mantenimento ovvero ripristino di elementi di interesse ecologico e paesaggistico tra cui siepi, frangivento, arbusti, boschetti, residui di sistemazioni agricole, vecchi frutteti e vigneti, maceri, laghetti;
mantenimento ovvero creazione di margini o bordi dei campi, quanto più ampi possibile, lasciati incolti, mantenuti a prato, o con essenze arboree e arbustive non trattati con principi chimici e sfalciati fuori dal periodo compreso tra l’1 marzo e il 31 agosto;
adozione dei sistemi di coltivazione dell’agricoltura biologica;
adozione di altri sistemi di riduzione o controllo nell’uso dei prodotti chimici in relazione: alle tipologie di prodotti a minore impatto e tossicità, alle epoche meno dannose per le specie selvatiche (autunno e inverno), alla protezione delle aree di maggiore interesse per i selvatici (ecotoni, bordi dei campi, zone di vegetazione semi-naturale, eccetera);
mantenimento quanto più a lungo possibile delle stoppie o dei residui colturali prima delle lavorazioni del terreno;
adozione delle misure più efficaci per ridurre gli impatti sulla fauna selvatica delle operazioni di sfalcio dei foraggi (come sfalci, andanature, ranghinature), di raccolta dei cereali e delle altre colture di pieno campo (mietitrebbiature);
interventi di taglio delle vegetazione, nei corsi d’acqua con alveo di larghezza superiore ai 5 metri, effettuati solo su una delle due sponde in modo alternato nel tempo e nello spazio, al fine di garantire la permanenza di habitat idonei a specie vegetali e animali;
riduzione e controllo delle sostanze inquinanti di origine agricola;
mantenimento di bordi di campi gestiti a prato per almeno 50 centimetri di larghezza;
agricoltura biologica e integrata;
adozione, attraverso il meccanismo della certificazione ambientale, di pratiche ecocompatibili nella pioppicoltura, tra cui il mantenimento della vegetazione erbacea durante gli stadi avanzati di crescita del pioppeto, il mantenimento di strisce non fresate anche durante le lavorazioni nei primi anni di impianto, il mantenimento di piccoli nuclei di alberi morti, annosi o deperienti.
11. ZPS caratterizzate dalla presenza di risaie.
Regolamentazione di:
taglio dei pioppeti occupati da garzaie nei periodi di riproduzione.
Attività da favorire:
riduzione e controllo delle sostanze inquinanti di origine agricola;
mantenimento delle stoppie nella stagione invernale;
mantenimento dell’acqua nelle risaie nel periodo autunnale ed invernale;
gestione idrica, in modo da garantire in alcune aree il mantenimento dell’acqua durante tutto l’anno e, in particolare, nel periodo autunnale e invernale;
interventi di taglio delle vegetazione, nei corsi d’acqua con alveo di larghezza superiore ai 5 metri, effettuati solo su una delle due sponde in modo alternato nel tempo e nello spazio, al fine di garantire la permanenza di habitat idonei a specie vegetali e animali;
creazione di zone umide prati umidi su seminativi ritirati dalla produzione;
messa a riposo a lungo termine dei seminativi per creare zone umide, sia temporanee che permanenti, e prati arbustati gestiti esclusivamente per la flora e la fauna selvatica, in particolare nelle aree contigue alle risaie;
mantenimento delle stoppie nella stagione invernale;
creazione all’interno delle risaie di canali profondi al minimo 40 centimetri e larghi al minimo 60 centimetri disposti in modo da non intralciare il movimento dei mezzi per garantire la sopravvivenza degli organismi acquatici anche nei periodi di asciutta;
iniziative volte alla riduzione ed al controllo delle sostanze inquinanti di origine agricola;
conservazione delle risaie, in particolare di quelle situate nei pressi delle principali garzaie esistenti;
gestione delle risaie con metodo tradizionale e agricoltura biologica, in ogni caso disincentivando il livellamento al laser, la «falsa semina» e le coltivazioni «in asciutta».
12. ZPS caratterizzate da presenza di corridoi di migrazione.
Obblighi e divieti:
divieto di esercizio dell’attività venatoria in data antecedente al 1° ottobre, con l’eccezione della caccia agli ungulati.
Regolamentazione di:
circolazione su strade ad uso forestale e loro gestione, evitandone l’asfaltatura salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti;
utilizzo di elicottero, deltaplano e parapendio al fine di non arrecare disturbo al flusso migratorio dell’avifauna.
Attività da favorire:
conservazione delle aree aperte in cui si creano le correnti termiche utilizzate dagli uccelli veleggiatori;
sorveglianza durante il periodo di migrazione.
13. ZPS caratterizzate dalla presenza di valichi montani, isole e penisole rilevanti per la migrazione dei passeriformi e di altre specie ornitiche.
Obblighi e divieti:
divieto di esercizio dell’attività venatoria in data antecedente al 1° ottobre, con l’eccezione della caccia agli ungulati.
Attività da favorire:
riduzione dell’inquinamento luminoso (17) (18).
(17) Il presente paragrafo era stato modificato dall’art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Successivamente, il TAR del Lazio – sezione seconda bis – con sentenza n. 5239 del 25 maggio 2009, ha annullato le disposizioni di cui al 1°, 2°, 3° ed 8° capoverso del citato art. 1, D.M. 22 gennaio 2009. Pertanto, a seguito di tale pronuncia e come previsto dal Comunicato 14 aprile 2011, il presente paragrafo è riportato nel testo antecedente alle modifiche disposte dal suddetto D.M. 22 gennaio 2009.
(18) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
7. Termini per le regolamentazioni.
Le regolamentazioni previste agli articoli 5 e 6 dovranno essere adottate dalle regioni e le province autonome entro nove mesi dalla data di emanazione del presente decreto (19).
(19) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.
8. Clausola di salvaguardia.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei rispettivi Statuti speciali e relative norme di attuazione.
Allegato 1 (20)
DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE AMBIENTALI DI RIFERIMENTO PER LE ZPS
1. Ambienti aperti alpini
Specie ornitiche caratteristiche.
Biancone (Circaetus gallicus), Aquila reale (Aquila chrysaetos), Gipeto (Gypaetus barbatus), Pernice bianca (Lagopus mutus), Coturnice (Alectoris greca), Gallo forcello (Tetrao tetrix), Gufo reale (Bubo bubo), Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), Tottavilla (Lulla arborea), Codirossone (Monticola saxatilis), Fringuello alpino (Montifingilla nivalis), Venturone (Serinus citrinella), Re di quaglie (Crex crex).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa praterie alpine d’alta quota, sia primarie che secondarie, nonchè tutti gli ambienti aperti di montagna come pascoli, pietraie ed aree cespugliose (ad esempio Ontano verde, Pino mugo, Rododendro eccetera). I cambiamenti socioeconomici verificatisi dal dopoguerra nel territorio delle Alpi hanno avuto come conseguenza principale l’abbandono di molte zone montane, la modifica delle attività agrosilvopastorali e il diffondersi di una fruizione turistica del territorio alpino. Il cambiamento ambientale più rilevante a scala alpina (soprattutto sul versante italiano) è rappresentato dal progressivo e generale aumento della copertura forestale.
Fra le nuove attività economiche, il turismo di massa ha portato alla realizzazione di infrastrutture e strutture ricettive (rifugi), sportive e ricreative. Piste da sci, impianti di risalita, costruzione di strade a diversa viabilità rappresentano le principali forme di alterazione del paesaggio ed hanno, come effetto indiretto, l’aumento generalizzato della presenza e del disturbo antropico anche alle quote più elevate, favorito dalle nuove tipologie di impianti funiviari, e dal diffondersi dell’uso di mezzi di trasporto un tempo non utilizzati quali motoslitte ed eliski.
Diversi sono gli effetti sulle specie più sensibili. Nel breve termine si assiste al progressivo decremento numerico e alla locale scomparsa delle specie legate agli ambienti aperti d’origine antropica (ad esempio Coturnice); nel medio-lungo termine si ipotizza anche una diminuzione delle popolazioni di specie attualmente in ripresa (ad esempio Aquila reale, Biancone). L’aumento del disturbo antropico rappresenta una delle fonti di turbative che possono arrecare danno alla produttività di molte specie e/o causare l’abbandono delle aree di nidificazione. La maggiore accessibilità può inoltre aumentare l’impatto dell’attività venatoria e favorire azioni di bracconaggio. Data la notevole importanza conservazionistica del Re di quaglie (specie globalmente minacciata) e l’habitat peculiare in cui sopravvive in Italia (prati da sfalcio di media montagna), se ne fa particolare menzione. Il fattore fondamentale per la conservazione di tale specie è il mantenimento della tradizionale gestione del suo habitat, in particolare gli ambienti prativi e i pascoli a limitata fruizione agro-pastorale e le aree prative a conduzione agricola tradizionale, entrambe caratterizzate da adeguata copertura e densità della vegetazione erbacea.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat idoneo:
1.1. aree e versanti a solatio, occupati da vegetazione rada o cespugliata (Biancone);
1.2. vegetazione erbacea, inframmezzata da pietraie, sfasciume di roccia e materiale morenico oltre la fascia degli arbusti contorti (Pernice bianca);
1.3. versanti a vegetazione cespugliata, oltre il limite della vegetazione arborea (Gallo forcello);
1.4. pendii erbosi ad elevata acclività. Quelli a solatio svolgono un ruolo vitale nei mesi invernali per la Coturnice (Coturnice e Codirossone);
1.5. alpeggi, coltivazioni terrazzate e altri ambienti idonei per la ricerca di cibo (Coturnice e Codirossone);
1.6. pareti rocciose, versanti detritici e praterie oltre il limite della vegetazione (Fringuello alpino);
1.7. ambienti a vegetazione erbosa in zone magre in parte cespugliate, su pianori e pendii poco accentuati (Tottavilla);
1.8. vegetazione ad arbusti contorti e peccete rade, nei pressi di aree pascolate (campivoli, malghe d’altura) in genere oltre il limite della vegetazione arborea (Venturone).
2. Disponibilità di habitat di nidificazione:
2.1. versanti rocciosi acclivi con pinete di difficile accesso, comunque a bassa antropizzazione (Biancone);
2.2. pareti rocciose di difficile accesso per l’uomo (Aquila reale, Gipeto, Gufo reale);
2.3. pareti rocciose ricche di siti adatti all’installazione delle colonie, quali fessure profonde, inghiottitoi e cavità profonde (Gracchio corallino);
2.4. manufatti ed edifici d’altura, quali rifugi alpini utilizzabili per la nidificazione (Fringuello alpino).
3. Disponibilità di fonti alimentari:
3.1. rettili (Biancone);
3.2. prede di medie dimensioni (Aquila reale, Gufo reale);
3.3. Ungulati (Gipeto);
3.4. Formicai, piccoli frutti di bosco, piante arbustive fruticose (Gallo forcello).
4. Presenza di greggi nei mesi estivi e/o sfalcio dell’erba (Coturnice e Codirossone).
5. Scarsa frequentazione antropica degli habitat idonei:
5.1. nei mesi invernali e primaverili-estivi (Pernice bianca);
5.2. nella stagione riproduttiva (Gracchio corallino).
6. Limitata presenza di Corvidi, in primo luogo Corvo imperiale, favoriti da fonti artificiali di cibo (rifiuti) presso i rifugi (Pernice bianca, Coturnice).
2. Ambienti forestali alpini
Specie ornitiche caratteristiche.
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), Tetraonidi (Tetrao tetrix, Tetrao urogallus, Bonasa bonasia), Civetta nana (Glaucidium passerinum), Civetta capogrosso (Aegolius funereus), Picidi (Picchio nero (Dryocopus martius), Picchio cenerino (Picus canus), Picchio tridattilo (Picoides tridactylus).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia caratterizzata da rilevanti porzioni di ambienti forestali rappresentativi delle diverse tipologie vegetazionali alpine. Le attività silvicolturali legate alla produzione di legname sono la principale possibile fonte di turbativa ambientale a danno dell’ornitofauna. In particolare il taglio può avere effetti diretti eliminando siti idonei all’alimentazione, quali piante annose e marcescenti (Picidi), e alla nidificazione (Picchio nero, Civetta nana, Civetta Capogrosso). La modificazione strutturale e di composizione delle foreste può localmente incidere sull’idoneità per alcune specie (in primis Gallo cedrone, secondariamente Francolino di monte). La conduzione dell’attività silvicolturale determina nel contempo un generale periodico disturbo, per la maggior presenza dell’uomo durante le operazioni di esbosco. Inoltre la necessità di usufruire di infrastrutture temporanee (vie di accesso, funicolari eccetera) e permanenti (strade forestali a viabilità limitata) aumenta l’antropizzazione delle foreste che incide negativamente sulla loro naturalità e favorisce la frequentazione e quindi il disturbo turistico-ricreativo.
Per contro, l’abbandono dell’alta montagna, incide negativamente sulle disponibilità di aree aperte (radure) e porta all’innalzamento del limite della vegetazione arborea e alla diffusione di quella cespugliata, con conseguente perdita di habitat idoneo per il Gallo forcello.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat idoneo:
1.1. Gallo Forcello: versanti a vegetazione cespugliata;
1.2. Gallo Cedrone: foreste di conifere e miste disetanee, frammiste a radure;
1.3. Francolino di monte: boschi misti di conifere e latifoglie;
1.4. Falco pecchiaiolo: disponibilità di aree forestali su versanti acclivi per la nidificazione. Disponibilità di radure e aree a pascolo intercalate ad aree forestate idonee per l’alimentazione;
1.5. Civetta nana: foreste di conifere e latifoglie a fustaia;
1.6. Civetta capogrosso: foreste di conifere e latifoglie a fustaia.
2. Disponibilità di habitat di nidificazione:
2.1. Civetta nana, Civetta capogrosso: nidi di Picidi;
2.2. Picidi: alberi annosi e fustaie.
3. Disponibilità di fonti alimentari:
3.1. Formicai, piccoli frutti di bosco, piante arbustive fruticose (Gallo forcello);
3.2. Gallo cedrone: formicai, piccoli frutti di bosco, piante arbustive fruticose;
3.3. Picidi: formicai, alberi morti o marcescenti.
4. Disponibilità di aree non frequentate dall’uomo (Gallo cedrone, Gallo forcello, Falco pecchiaiolo, Francolino di monte, Civetta nana, Civetta caporosso, Picidi).
3. Ambienti aperti delle montagne mediterranee
Specie ornitiche caratteristiche.
Aquila reale (Aquila chrysaetos), Grifone (Gyps fulvus), Falco pellegrino (Falco peregrinus), Coturnice (Alectoris graeca), Quaglia (Coturnix coturnix), Allodola (Alauda arvensis), Tottavilla (Lulla arborea), Calandro (Anthus campestris), Codirossone (Monticola saxatilis), Sordone (Prunella collaris), Picchio muraiolo (Tychodroma muraria), Averla piccola (Lanius collurio), Averla capirossa (Lanius senator), Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus), Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), Zigolo muciatto (Emberiza cia), Ortolano (Emberiza hortulana).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa i siti montani ed alto-collinari caratterizzati da ambienti aperti quali praterie (per lo più secondarie), cespuglieti ed ambienti rupestri e rocciosi. Si tratta in prevalenza di ambienti modellati nei secoli dall’attività umana, primariamente dal pascolo, che tendono a scomparire con la riduzione delle attività agropastorali tradizionali. Il declino di queste attività tradizionali, particolarmente marcato nelle aree montane della dorsale appenninica, sta determinando il progressivo deterioramento dei suddetti ambienti ed il conseguente declino di molte specie ad esso legate. Le misure gestionali principali dovranno quindi indirizzarsi al mantenimento degli ambienti aperti. Tra le attività umane più impattanti vanno invece segnalati lo sviluppo di infrastrutture turistiche, l’installazione di impianti per la produzione di energia eolica e le piantumazioni forestali.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat idoneo:
1.1. Aquila reale: ambiti rupestri e vaste praterie primarie e secondarie prive di disturbo antropico;
1.2. Grifone, Falco pellegrino: ambiti rupestri privi di disturbo antropico;
1.3. Coturnice: vasti cespuglieti dell’orizzonte subalpino e di praterie primarie e secondarie prive di disturbo antropico ed interdette all’attività venatoria;
1.4. Quaglia: altopiani del piano montano coltivati o pascolati in forme tradizionali, con assenza di pressione venatoria nel periodo riproduttivo e della dipendenza dei pulli;
1.5. Gufo reale: ambienti rupestri con bassa pressione antropica, idonei alla riproduzione in prossimità di ambienti aperti con adeguate risorse trofiche disponibili tutto l’anno;
1.6. Allodola: formazioni erbacee dei piani montani e culminali; nell’orizzonte montano inferiore predilige le coltivazioni diversificate di tipo tradizionale o con attività di pascolo non intensivo;
1.7. Tottavilla: formazioni erbacee o coltivi semplici con situazioni a mosaico e con presenza di tratti di terreno scoperto intervallato da coltivi o pascoli di tipo tradizionale e da fasce arborate (nidificazione e roosting);
1.8. Calandro e Codirossone: praterie montane e d’altitudine interessate da una discreta intensità di pascolo da parte di bestiame domestico anche con scheletro roccioso affiorante;
1.9. Sordone: orizzonte alpino con costoni rocciosi più o meno ripidi ed aridi intercalati da cenge e terrazzi erbosi, caratterizzati da una copertura vegetale scarsa e discontinua;
1.10. Picchio muraiolo: ambienti rupestri, di solito al di sopra del limite della vegetazione arborea, anche con pareti di piccole dimensioni caratterizzate dalla presenza di vegetazione erbacea discontinua e di sfasciume detritico alla base (ambiente riproduttivo);
1.11. Averla piccola e Averla capirossa: altopiani dell’orizzonte montano inferiore coltivati o pascolati in forme tradizionali, con una bassa densità di cespugli e nuclei boscati;
1.12. Gracchio corallino e Gracchio alpino: praterie montane e d’altitudine interessate da una discreta intensità di pascolo da parte di bestiame domestico, insieme ad ambiti rupestri indisturbati;
1.13. Fringuello alpino: praterie d’altitudine, caratterizzate anche dalla presenza di massi sparsi e brecciai;
1.14. Zigolo giallo: aree del piano montano con coltivi o pascoli in forme tradizionali, con una bassa densità di cespugli e fasce boscate; radure nelle formazioni forestali montane;
1.15. Zigolo muciatto: versanti montani con formazioni erbacee discontinue e presenza di scheletro roccioso affiorante, alberi ed arbusti sparsi.
2. Disponibilità trofica:
2.1. Aquila reale: disponibilità di specie-preda (soprattutto Leporidi e Fasianidi);
2.2. Grifone: presenza di bestiame domestico mantenuto al pascolo brado e di consistenti popolazioni di Ungulati selvatici;
2.3. Gufo reale: abbondanza di prede di taglia medio-grande (ad esempio Coniglio selvatico, Lepre, Ratto, Riccio, Fagiano, Starna).
4. Ambienti forestali delle montagne mediterranee
Specie ornitiche caratteristiche.
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), Nibbio bruno (Milvus migrans), Nibbio reale (Milvus milvus), Astore di Sardegna (Accipiter gentilis arrigonii), Picchio nero (Dryocopus martius), Picchio rosso mezzano (Dendrocopus medius), Picchio dorsobianco (Dendrocopus leucotus), Balia dal collare (Ficedula albicollis).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa le aree propriamente forestali dell’Italia peninsulare e delle isole maggiori. Si tratta per lo più di faggete e querceti concentrati lungo la dorsale appenninica e in altre zone montuose. Sono stati inclusi in questa tipologia anche siti collinari di bassa quota caratterizzati da boschi con caratteristiche, problematiche gestionali e specie ornitiche similari. Sono invece state escluse da questa tipologia le pinete costiere e le leccete mediterranee, che si è ritenuto opportuno includere nella tipologia «ambienti misti mediterranei», dato che tali ambienti non ospitano di norma specie di uccelli legate in modo stretto ed univoco a specifici habitat (com’è invece il caso di alcuni picchi per i boschi appenninici), bensì ad un mosaico ambientale composto da macchia mediterranea, pascoli, coltivi, dune costiere eccetera. Il valore conservazionistico dei siti, per quel che riguarda l’avifauna, dipende in maniera preponderante dall’età e dalla qualità ambientale dei boschi, a sua volta dipendenti dalla gestione forestale passata e presente. I boschi maturi e ben strutturati sono assai rari nel nostro paese anche se si assiste alla progressiva maturazione di boschi non più sottoposti a sfruttamento commerciale, in particolare in molte aree protette. In molti di questi siti si assiste anche ad una progressiva maturazione dei cedui, spesso ricondotti a fustaia da appositi interventi gestionali e ad una progressiva colonizzazione degli ambienti aperti non più sfruttati dalle attività agropastorali da parte del bosco. La gestione dei boschi deve in questi siti tenere conto delle specifiche esigenze delle specie prioritarie, sia presenti che potenziali. In linea generale va favorito il ripristino di un variegato mosaico ambientale con alternanza di vecchie fustaie, cedui attivi e zone aperte.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat idoneo:
1.1. Falco pecchiaiolo: boschi planiziali e collinari, generalmente aperti, di latifoglie dai 0 ai 1500 m s.l.m., preferibilmente fustaie di Castagno e Faggio di media e vasta estensione, inframmezzati da aree aperte con presenza di Imenotteri sociali (preda principale della specie);
1.2. Nibbio bruno: aree forestali planiziali e collinari dai 0 ai 1200 m s.l.m., con presenza di aree aperte, pascoli e aree agricole inframmezzate da alberi, preferibilmente nei pressi di aree umide o discariche urbane a cielo aperto;
1.3. Nibbio reale: aree forestali planiziali e collinari dai 0 ai 1000 m s.l.m., con presenza di vaste aree aperte, pascoli e aree agricole inframmezzate da alberi, spesso in prossimità di discariche. Pratica tradizionale della pastorizia brada, soprattutto ovina;
1.4. Astore di Sardegna: vaste superfici coperte da foreste pure di Leccio o miste con Pino marittimo, Pino d’Aleppo e Pino nero, con presenza di radure all’interno;
1.5. Picchio nero: mature fustaie pure di Faggio;
1.6. Picchio rosso mezzano: mature fustaie di Cerro;
1.7. Picchio rosso minore: aree boscate con abbondanza di alberi morti e vetusti;
1.8. Balia dal collare: aree forestali mature prevalentemente a Faggio comprese tra i 1.200 e i 1.800 m di altitudine.
5. Ambienti misti mediterranei
Specie ornitiche caratteristiche.
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), Nibbio bruno (Milvus migrans), Nibbio reale (Milvus milvus), Grifone (Gyps fulvus), Capovaccaio (Neophron percnopterus), Biancone (Circaetus gallicus), Albanella minore (Circus pygargus), Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), Pellegrino (Falco peregrinus), Lanario (Falco biarmicus), Grillaio (Falco naumanni), Coturnice di Sicilia (Alectoris greca whitakeri), Pernice sarda (Alectoris barbara), Quaglia (Coturnix coturnix), Occhione (Burhinus oedicnemus), Ghiandaia marina (Coracias garrulus), Gufo reale (Bubo bubo), Succiacapre (Caprimulgus europaeus), Calandra (Melanocorypha calandra), Calandrella (Calandrella brachydactyla), Allodola (Alauda arvensis), Tottavilla (Lulla arborea), Cappellaccia (Galerida cristata), Calandro (Anthus campestris), Monachella (Oenanthe hispanica), Averla piccola (Lanius collurio), Averla capirossa (Lanius senator), Averla cenerina (Lanius minor), Magnanina (Sylvia undata), Magnanina sarda (Sylvia sarda), Sterpazzola di Sardegna (Sylvia conspicillata), Sterpazzolina (Sylvia cantillans), Zigolo capinero (Emberiza melanocephala).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa una vasta gamma di paesaggi, anche molto diversificati tra loro, raggruppati in una tipologia unica in quanto caratterizzati per lo più da specie tipicamente mediterranee e da una serie di problematiche comuni (bracconaggio, incendi, urbanizzazione diffusa eccetera). Tra gli habitat inclusi in questi siti si possono annoverare pinete costiere, leccete, macchia e gariga mediterranee, coltivi di vario genere, pascoli aridi eccetera. Nella gran parte dei casi, i siti inclusi in tale tipologia sono caratterizzati da paesaggi a mosaico, composti da vari ambienti, inframmezzati gli uni agli altri e spesso profondamente modellati dalle attività umane e sottoposti ad elevatissima pressione antropica. Le minacce a questi siti sono, di conseguenza, numerose e differenziate. Si può tuttavia indicare la sottrazione e frammentazione degli habitat in seguito alla crescente antropizzazione (urbanizzazione, realizzazione di infrastrutture, intensificazione agricola) come la problematica centrale di questi ambienti. Per alcune specie, come ad esempio molti rapaci, il problema principale rimane il disturbo antropico e la persecuzione diretta, estremamente diffusi in questi siti.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat idoneo:
1.1. mosaici di pascoli e coltivi con ricca entomofauna, in particolare Imenotteri sociali e Ortotteri (Falco pecchiaiolo);
1.2. mosaici di pascoli con coltivi come aree di alimentazione e boschi adatti alla nidificazione (Nibbio bruno, Nibbio reale);
1.3. mosaici di pascoli con abbondanza di bestiame allo stato brado con presenza di falesie indisturbate. Macchia mediterranea alta con abbondanti popolazioni di ungulati selvatici, in particolare di Cervo e Cinghiale (Grifone);
1.4. mosaici di pascoli, macchia mediterranea bassa e gariga con abbondanza di ovini allo stato brado e con buona disponibilità di mammiferi selvatici di piccola taglia come Riccio e Coniglio selvatico. Presenza di falesie indisturbate per la nidificazione (Capovaccaio);
1.5. mosaici di pascoli, gariga con abbondanza di ofidi e boschetti o grossi alberi isolati adatti alla nidificazione (Biancone);
1.6. incolti, pascoli, coltivi e macchia a bassa copertura del suolo con ricche popolazioni di micromammiferi e Passeriformi (Albanella minore);
1.7. pascoli, coltivi, gariga con ricche popolazioni di Ortotteri e Sauri. Importante inoltre la disponibilità di siti riproduttivi idonei, situati in centri storici, edifici agricoli abbandonati e falesie indisturbate (Grillaio);
1.8. mosaici di incolti, pascoli, coltivi e gariga (Coturnice di Sicilia, Pernice sarda, Quaglia e Occhione);
1.9. pascoli, coltivi, gariga con ricche popolazioni di Ortotteri e Sauri. Importante inoltre la disponibilità di siti riproduttivi idonei: presenza di grandi alberi isolati, manufatti abbandonati e rupi (Ghiandaia marina);
1.10 ambienti rupestri con bassa pressione antropica idonei alla riproduzione in prossimità di aree idonee all’alimentazione; presenza di ambienti aperti con adeguate risorse trofiche disponibili tutto l’anno, ovvero abbondanza di prede di taglia medio-grande, ad esempio Coniglio selvatico, Lepre, Ratto, Riccio, eccetera (Gufo reale);
1.11 gariga e macchia bassa con ricche popolazioni di Lepidotteri (Succiacapre);
1.12 mosaici di incolti, pascoli, coltivi e gariga (Calandra, Calandrella, Allodola, Tottavilla);
1.13. mosaici di incolti, pascoli, coltivi e gariga con affioramento roccioso (Calandro),
1.14. mosaici di incolti e pascoli con affioramenti rocciosi (Monachella);
1.15. pascoli, coltivi, gariga con ricche popolazioni di Ortotteri e Sauri (Averla piccola, Averla capirossa e Averla cenerina);
1.16. macchia mediterranea, gariga e coltivi inframmezzati da siepi con ricca entomofauna (Canapino, Magnanina, Magnanina sarda, Sterpazzola di Sardegna, Sterpazzolina, Occhiocotto);
1.17. coltivi e pascoli in forme tradizionali, con una bassa densità di cespugli e fasce boscate; radure nelle formazioni forestali, formazioni erbacee discontinue, alberi ed arbusti sparsi (Zigolo capinero);
1.18. ambienti rupestri indisturbati con abbondanza di prede (conigli e uccelli) (Aquila del Bonelli, Lanario, Pellegrino).
6. Ambienti steppici
Specie ornitiche caratteristiche.
Grillaio (Falco naumanni), Albanella minore (Circus pygargus), Biancone (Circaetus gallicus), Capovaccaio (Neophron percnopterus), Gallina prataiola (Tetrax tetrax), Occhione (Burhinus oedicnemus), Pernice di mare (Glareola pratincola), Limicoli svernanti (Charadriiformes), Ghiandaia marina (Coracias garrulus), Calandra (Melanocorypha calandra), Calandrella (Calandrella brachydactyla), Cappellaccia (Galerida cristata), Calandro (Anthus campestris), Averla capirossa (Lanius senator), Averla cenerina (Lanius minor), Monachella (Oenanthe hispanica).
Descrizione generale della tipologia.
Gli ambienti «steppici» italiani sono costituiti da paesaggi seminaturali aridi, caratterizzati dal predominio della vegetazione erbacea. Questi ambienti, formatisi nei secoli in seguito all’esercizio del pascolo, primariamente ovino, rappresentano attualmente una delle tipologie ambientali più minacciate a livello nazionale ed internazionale. Questa tipologia ambientale è concentrata nelle aree mediterranee del meridione e prevalentemente nelle due isole maggiori, nonchè in Puglia e Lazio. Qualche esempio di ambienti riconducibili a questa tipologia può essere trovato, tuttavia, anche in altre parti d’Italia, com’è ad esempio il caso dei Magredi friulani. Si raggruppano in questa tipologia tutti gli ambienti aperti aridi, assimilabili per avifauna agli ambienti più propriamente steppici. Il fattore assolutamente preponderante nel determinare la sopravvivenza di tutte le specie steppiche è la persistenza dell’habitat. Le principali minacce alle specie steppiche sono dovute alla distruzione dell’habitat in seguito all’intensificazione agricola, ad opere di imboschimento artificiale e all’urbanizzazione.
Le specie di maggiore rilevanza per gli ambienti steppici italiani sono indubbiamente il Grillaio, specie globalmente minacciata di cui l’Italia ospita probabilmente la seconda popolazione mondiale (per dimensione) e la Gallina prataiola, specie in grave regressione, di cui la Sardegna rappresenta uno degli ultimi baluardi europei.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Presenza di habitat idoneo (tutte le specie):
1.1. associazioni vegetali di tipo steppico semiarido sfruttate a pascolo, per lo più ovino e stagionale (ad esempio Asphodeletum);
1.2. pascoli coltivati (esempio Hordeum sp);
1.3. boschi degradati con prevalenza di vegetazione erbacea (simili alle Dehesas spagnole);
1.4. monocolture cerealicole, inframmezzate da altre tipologie di vegetazione erbacea seminaturale;
1.5. terreni a riposo, prati pascoli non arati da almeno due anni.
2. Presenza di parcelle di terreno nudo durante la stagione riproduttiva: campi di colture invernali, set aside, distese di fango secco (Pernice di mare).
3. Disponibilità di centri storici, edifici rurali tradizionali, ponti in pietra o ambienti rupestri adatti alla nidificazione (Grillaio, Ghiandaia marina).
4. Permanenza di muretti a secco, utilizzabili per la nidificazione o che forniscono rifugio alle specie preda (Biancone, Monachella).
5. Assenza di disturbo alle covate (Albanella minore, Gallina prataiola, Occhione).
6. Limitata mortalità per cause antropiche: bracconaggio, collisione con elettrodotti, mortalità su strade (tutte le specie).
7. Colonie di uccelli marini
Specie ornitiche caratteristiche.
Berta maggiore (Calonectris diomedea), Berta minore (Puffinus yelkouan), Uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus), Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis), Falco della Regina (Falco eleonorae), Gabbiano corso (Larus audouini).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa i siti costieri ospitanti colonie di uccelli marini. Allo stato attuale, buona parte delle colonie di uccelli marini e di Falco della Regina incluse nei siti è localizzata su piccole isole, spesso in siti impervi, di difficile accesso o comunque scarsamente adatti alla frequentazione turistica. L’eccezione più evidente a tale situazione generale è rappresentata da alcune colonie di Gabbiano corso situate su isole pianeggianti o molto vicine alla costa, con frequentazione antropica elevata che può interessare in toto o in parte il periodo riproduttivo. Verosimilmente, l’attuale selezione degli habitat di nidificazione è almeno in parte condizionata dalla necessità di evitare il crescente disturbo antropico e l’aumentata presenza di mammiferi predatori, in molti casi introdotti ad opera dell’uomo (ratti in primis, ma anche gatti e cani inselvatichiti).
Tutte le specie considerate sono, ad eccezione del Gabbiano corso, caratterizzate da una spiccata fedeltà al sito di nidificazione; per quest’ultimo è invece più opportuno parlare di fedeltà ad un’area di nidificazione, che può comprendere diversi siti utilizzati in maniera alternativa negli anni.
La fedeltà al sito di nidificazione può determinare da un lato la persistenza di adulti che tentano di insediarsi in siti divenuti inadatti (ad esempio le colonie di Berte che continuano ad insediarsi nel medesimo sito nonostante la sistematica predazione di uova e pulli da parte di ratti), dall’altro la difficoltà a colonizzare in tempi brevi siti usualmente non utilizzati, resi nuovamente adatti da interventi di rimozione o contenimento dei predatori.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat adatto. Berte e Uccello delle tempeste necessitano di isole o tratti di costa ripidi e caratterizzati dalla presenza di grotte, piccole cavità e/o accumuli di grossi massi (esempio frane consolidate) sotto i quali scavare il nido. Il Marangone dal ciuffo e il Falco della Regina nidificano tipicamente in cavità di falesie isolate. Il Gabbiano corso si insedia su piccole isole, anche rocciose, con ridotta presenza di Gabbiano reale. La presenza di pareti rocciose con tafoni e cenge risulta indispensabile alla nidificazione del Falco della Regina e del Marangone dal ciuffo; tali ambienti vengono invece selezionati dalle altre specie solo quando l’eccessivo disturbo o la predazione impediscono la colonizzazione degli altri habitat (colonie sulla terraferma o su isole con predatori o disturbate).
2. Disponibilità di risorse alimentari accessibili in prossimità della colonia. Anche se la situazione italiana risulta poco conosciuta sotto questo aspetto, è noto che la distribuzione delle risorse alimentari condiziona in maniera forte le popolazioni di uccelli marini e la localizzazione delle loro colonie. L’unica specie, tra quelle considerate, per la quale sono disponibili dati al riguardo è il Gabbiano corso. Per questa specie è nota l’importanza di aree con acque profonde prossime ai siti di nidificazione, nelle quali la specie si alimenta di Clupeidi spinti in superficie da tonni e cetacei.
3. Assenza di predatori. La presenza di mammiferi predatori di norma impedisce l’insediamento delle colonie o ne riduce enormemente il successo riproduttivo. La predazione a carico di uova o pulli da parte del Ratto è in grado di azzerare la produttività delle colonie di Berte e Uccello delle tempeste. Il protrarsi di condizioni sfavorevoli all’involo di pulli determina di solito l’abbandono del sito di nidificazione nel breve o medio periodo. La predazione da parte di cani e gatti sembra avere un effetto più ridotto su queste specie, interessando in particolare i nidi meno profondi (la specie più soggetta a rischio per la propensione a nidificare anche in cavità esposte è la Berta maggiore). La nidificazione di Marangone dal ciuffo e Falco della Regina non sembra invece essere influenzata in maniera significativa da nessuno dei predatori sopra ricordati. I ratti non rappresentano un fattore di disturbo per il Gabbiano corso, mentre la presenza di cani o gatti domestici o inselvatichiti può costituire un serio pericolo, sia per la predazione diretta di uova e pulli che per il disturbo arrecato alle colonie.
4. Assenza di disturbo ai siti di nidificazione. Tra le specie considerate, le Berte e l’Uccello delle tempeste sembrano in grado di tollerare una certa presenza antropica e quella di mammiferi non predatori durante il periodo di nidificazione, purchè la stessa non interessi l’interno delle cavità di riproduzione. Considerazioni analoghe valgono per il Marangone dal ciuffo e il Falco della Regina, nella misura in cui i siti di nidificazione risultano di solito inaccessibili ai vertebrati di medio-grandi dimensioni. Sono invece documentati casi di abbandono o mancato insediamento di colonie di Gabbiano corso in seguito al disturbo arrecato dall’uomo o da grossi mammiferi (esempio mufloni, cinghiali, bestiame domestico allo stato brado). Un’elevata densità di Gabbiano reale può avere un impatto negativo sul Gabbiano corso, per l’occupazione dei siti più adatti alla nidificazione e per l’innescarsi di interazioni di tipo competitivo (cleptoparassitismo) o, in misura minore, predatorio nei confronti di uova o pulli.
8. Zone umide
Specie ornitiche caratteristiche.
Strolaghe (Gavia spp.), Svassi (Podiceps spp.), Marangone minore (Phalacrocorax pygmaeus), Fenicottero (Phoenicopterus ruber), Ardeidi (Ardeidae), Spatola (Platalea leucorodia), Mignattaio (Plegadis falcinellus), Anatidi (Anatidae), Falco di palude (Circus aeruginosus), Nibbio bruno (Milvus migrans), Rallidi (Rallidae), Pernice di mare (Glareola pratincola), Limicoli (Charadriiformes), Laridi (Laridae), Sternidi (Sternidae), Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa tutte le zone umide, sia salmastre che di acqua dolce. Si tratta di un’ampia categoria che include ambienti anche diversificati quali ad esempio saline, lagune, valli da pesca, laghi, invasi artificiali. Fa parte di questa tipologia il sistema di zone umide costiere dell’alto Adriatico, che si estende quasi ininterrottamente tra Trieste e Cervia, comprendendo una vasta gamma di tipologie ambientali d’acqua dolce, salmastra e salata (rami fluviali, lagune, valli da pesca, saline e bacini d’acqua dolce), spesso strettamente interconnesse, che rappresentano uno dei sistemi ambientali di maggior importanza per l’avifauna a livello europeo. L’area è altresì caratterizzata da estesi prosciugamenti, effettuati a partire dalla fine del 1800, che hanno interrotto la continuità del complesso delle zone umide costiere. Attualmente tutte le zone umide sono delimitate da argini, essendo scomparse quelle vaste superfici di stagni e bassure temporaneamente sommerse dall’autunno alla primavera che costituivano il naturale contorno di molte valli fino agli anni ’30-’50 del 1900. Le bonifiche a scopi agricoli hanno determinato anche la fine della vallicoltura basata sull’itticoltura estensiva e attualmente la maggior parte delle valli residue vengono gestite per l’attività venatoria e/o per varie forme di itticoltura intensiva e semi intensiva. La realizzazione di vasti complessi industriali a partire dal 1950 ca., all’interno e ai margini di biotopi di rilevante interesse naturalistico (Laguna di Venezia, Pialasse Ravennati), l’intensa e diffusa urbanizzazione ed antropizzazione delle coste e delle zone retrostanti, a partire dal 1960 ca., per scopi turistici, la marcata subsidenza ed il processo di erosione dei litorali rendono particolarmente problematica la tutela degli ambienti favorevoli all’avifauna.
A parte il sistema dell’Adriatico settentrionale, anche le altre zone umide costiere comprendono lanche, lagune, saline e bacini d’acqua dolce o salmastra, spesso strettamente connessi gli uni con gli altri. Tali siti sono impattati da problematiche analoghe a quelle sopra descritte. Particolarmente gravi sono i problemi legati alla diffusa e crescente urbanizzazione ed antropizzazione delle coste e delle zone retrostanti, legate al turismo balneare. Le zone umide costiere mediterranee sono spesso minacciate da diffusi fenomeni di illegalità, tra cui bracconaggio e abusivismo edilizio. Problema chiave per molte aree è inoltre quello della gestione idrica. Le regioni mediterranee sono infatti caratterizzate da climi aridi e le zone umide sono dunque soggette ad estesi prosciugamenti nella stagione estiva. Questi fenomeni naturali vengono spesso accentuati dall’eccessivo prelievo di acqua, direttamente dalle zone umide o dai fiumi e canali immissari. Va ricordato che molte regioni dell’Italia mediterranea gestiscono attualmente le proprie risorse idriche in una situazione di deficit permanente, che potrebbe aggravarsi nel futuro con l’aumento dell’incidenza dei mutamenti climatici.
La tipologia comprende inoltre le zone umide interne d’acqua dolce (laghi, stagni, paludi e invasi artificiali), che sono state le prime ad essere «bonificate» per colmata o per drenaggio. Negli ultimi due secoli i prosciugamenti e gli interventi di trasformazione fondiaria hanno tuttavia interessato tutte le zone umide ad eccezione dei laghi più profondi. Parallelamente al processo di trasformazione del territorio e alla progressiva scomparsa XX secolo, altre tipologie di zone umide di origine antropica, connesse ad attività idrauliche (casse di espansione), produttive (risaie, invasi per l’irrigazione, bacini di decantazione e depurazione delle acque e dei fanghi degli zuccherifici e degli allevamenti zootecnici, bacini per l’itticoltura, cave attive e abbandonate temporaneamente o permanentemente inondate) e ricreative (bacini per l’attività venatoria e la pesca sportiva) che spesso sono in grado di ospitare alcune delle specie vegetali e animali tipiche delle zone umide scomparse. Le potenzialità di tali aree, che soprattutto in zone densamente antropizzate e soggette a trasformazioni ambientali impattanti contribuiscono in maniera determinante alla conservazione della biodiversità (ad esempio svolgendo la funzione di siti di sosta e riproduzione per l’avifauna) dipendono da caratteristiche ambientali tra cui le dimensioni della zona umida, il tipo di attività antropica presente, la pendenza e superficie delle rive e dei fondali, le caratteristiche fisico-chimiche delle acque, la gestione della vegetazione e dei livelli dell’acqua e la ricchezza, la struttura e la copertura della vegetazione. Questi fattori sono fortemente correlati alle funzioni per le quali le zone umide sono state conservate, create o trasformate, e sono controllati dal tipo di gestione cui ogni zona umida è soggetta.
Va prestata attenzione all’adeguamento dei piani di gestione forestale e agricola, alla pianificazione delle attività estrattive, ai piani di prelievo idrico all’interno del sito e nella parte di bacino idrologico che alimenta la zona umida, alla pianificazione delle attività venatorie e di pesca sportiva, alla pianificazione delle attività ricreative e di fruizione turistica. Grande attenzione va prestata anche agli interventi di alterazione della morfologia costiera (ripascimento dei litorali, taglio di scanni e cordoni dunosi, difesa costiera) ed a quelli per il miglioramento della navigazione, e ai piani di bonifica e risanamento ambientale (siti inquinati, rimozione sedimenti, eccetera). Vanno infine adeguatamente pianificati i piani di controllo delle zanzare effettuati sia con prodotti chimici di sintesi, sia con metodi di lotta biologica (esempio Bacillus thuringensis).
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di siti idonei per la nidificazione in aree con buona disponibilità di risorse trofiche. Fattore importante per tutte le specie considerate e in particolare per le specie coloniali (Marangone minore, Fenicottero, Spatola, Mignattaio, parte degli Ardeidi, Sternidi, Limicoli, Pernice di mare):
1.1. Spatola, Mignattaio, Marangone minore, Airone cenerino, Nitticora, Airone bianco maggiore, Garzetta, Airone guardabuoi, Sgarza ciuffetto nidificano sia su alberi e arbusti sia in canneti in aree tranquille o comunque difficilmente raggiungibili da predatori e dall’uomo;
1.2. Airone rosso, Tarabuso e Tarabusino nidificano esclusivamente in canneti;
1.3. gli Svassi necessitano di zone umide con vegetazione acquatica galleggiante, semisommersa ed emergente su cui e con la quale costruire nidi galleggianti;
1.4. gli Anatidi necessitano di isole e sponde dolcemente digradanti con vegetazione erbacea e di vaste zone con vegetazione palustre sommersa, galleggiante ed emergente;
1.5. i Rallidi necessitano di zone con canneti densi e lussureggianti e con piante acquatiche semisommerse e galleggianti;
1.6. Limicoli, Laridi, Sternidi e Fenicottero necessitano di isole e zone affioranti sabbiose/fangose con vegetazione scarsa o nulla, difficilmente raggiungibili da predatori terrestri;
1.7. Mignattino e Mignattino piombato necessitano di zone umide con ricca vegetazione acquatica galleggiante, semisommersa ed emergente su cui e con la quale costruire nidi galleggianti;
1.8. la Pernice di mare nidifica su superfici sabbiose/fangose con vegetazione scarsa o nulla, costituite in genere da zone umide in corso di prosciugamento e da campi con coltivazioni tardive (soia, pomodori) o che hanno subito lavorazioni primaverili;
1.9. il Falco di palude nidifica prevalentemente in canneti e talvolta tra la vegetazione erbacea folta di prati e di fossati tra i coltivi;
1.10. il Nibbio bruno necessita di boschi, anche di piccola estensione, nei dintorni di laghi, paludi e fiumi;
1.11. il Forapaglie castagnolo necessita di canneti estesi e diversificati alternati a chiari d’acqua libera.
2. Disponibilità di isole e di zone affioranti sabbiose/fangose/ghiaiose con vegetazione scarsa o assente, difficilmente raggiungibili da predatori terrestri. Fattore chiave per assicurare, oltre che ambienti idonei per la nidificazione di Fenicottero, Limicoli, Laridi e Sternidi, siti per la sosta e il riposo di Ardeidi, Anatidi, Limicoli e Sternidi durante il giorno e la notte nel corso dell’anno. In alcuni siti il numero di isole e zone affioranti adatte alla nidificazione di Limicoli e Sternidi è fortemente diminuito negli ultimi decenni a causa della subsidenza, dell’erosione e dell’innalzamento del livello del mare.
3. Competizione del Gabbiano reale per l’uso di siti idonei per la nidificazione. Il precoce insediamento della crescente popolazione nidificante di Gabbiano reale limita fortemente il numero di siti idonei per la nidificazione di Limicoli e Sternidi che si insediano 1-2 mesi dopo.
4. Alterazione/distruzione delle aree con vegetazione elofitica e galleggiante da parte della Nutria. Fattore rilevante per le specie che utilizzano i canneti per la nidificazione, l’alimentazione e la sosta e che costruiscono nidi galleggianti: Svassi, Ardeidi, Anatidi (Moretta tabaccata), Falco di palude, Mignattino piombato.
5. Assenza/scarsità di grandi pesci fitofagi e dei fondali e comunque di elevate densità di pesci in ambiti non destinati all’itticoltura. Fattore molto importante che permette una cospicua crescita di idrofite e una buona limpidezza dell’acqua, condizioni essenziali per la nidificazione di Moretta tabaccata e Mignattino piombato e per l’alimentazione di Anatidi e Folaghe.
6. Elevata disponibilità di invertebrati tipica delle zone umide con scarso uso di pesticidi con aree circostanti coltivate in maniera estensiva. Fattore rilevante per Pernice di mare e in generale per tutti i limicoli nidificanti e migratori, per Mignattini e per alcune specie di Laridi (Gabbianello, Gabbiano comune, Gabbiano corallino).
7. Predazione da parte di ratti, Gabbiani reali, cani e gatti vaganti, Corvidi. Fenicottero, Limicoli, Sternidi, Laridi.
8. Predazione di pulcini e adulti da parte di Silurus glanis (pesce alloctono invasivo presente in alcuni corpi idrici). Svassi, Anatidi.
9. Ambienti fluviali
Specie ornitiche caratteristiche.
Ardeidi (Ardeidae), Anatidi (Anatidae), Falco di palude (Circus aeruginosus), Nibbio bruno (Milvus migrans), Succiacapre (Caprimulgus europaeus), Limicoli (Charadriiformes), Occhione (Burhinus oedicnemus), Sternidi (Sternidae), Martin pescatore (Alcedo atthis), Gruccione (Merops apiaster), Topino (Riparia riparia).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa i siti fluviali di maggior rilevanza per l’avifauna. La maggior parte di tali aree è situata in territori pianeggianti caratterizzati da elevata densità di popolazione e grado di urbanizzazione tra i più elevati in Europa e nel mondo, nei quali la libera evoluzione dei corsi d’acqua è stata massivamente contrastata ed impedita. Ciò ha comportato la progressiva scomparsa di lanche e zone umide lentiche entro le golene, la drastica riduzione delle fasce di vegetazione arborea e arbustiva ripariale e il disinnesco dei processi di continua creazione di alcuni ambienti effimeri (ad esempio, scarpate sub verticali in banchi prevalentemente di sabbia), necessari alla riproduzione di specie come il Topino. Peraltro, i crescenti problemi idraulici, conseguenti ad un incremento dei fenomeni (a seconda dei tratti) di pensilizzazione ed erosione dell’alveo, sono dovuti principalmente al mantenimento del corso d’acqua per secoli nello stesso tracciato, alla realizzazione di infrastrutture (ponti, dighe, sbarramenti eccetera), ad interventi di escavazione in alveo, alla diminuzione dei tempi di corrivazione delle acque meteoriche e alla subsidenza. Questi fattori hanno causato danni alle strutture antropiche stesse e generato ulteriori interventi antropici, spesso impattanti, sugli ultimi lembi di ambienti naturali esistenti entro le golene. In un territorio fortemente antropizzato, caratterizzato da barriere ecologiche insormontabili quali autostrade e vasti centri urbani, i corsi d’acqua costituiscono per molte specie di piante e animali i maggiori corridoi ecologici. Peraltro è proprio in tali ambienti che risultano più accentuate le problematiche di inquinamento delle acque, di introduzione e diffusione di specie vegetali e animali aliene, con effetti negativi sulle biocenosi autoctone, nonchè di gestione dei terreni golenali palesemente ostile alla fauna selvatica. Tali problematiche sono ampiamente presenti anche nei siti dell’Italia peninsulare, dove il clima prevalentemente mediterraneo rende ancora più grave il problema delle captazioni idriche, che possono persino condurre ad un completo prosciugamento dei fiumi nei periodi meno piovosi.
Gli obiettivi di conservazione di questi siti vanno integrati all’interno degli strumenti di pianificazione ed in particolar modo nella pianificazione della gestione forestale e agricola, delle attività estrattive, del prelievo idrico all’interno del sito e nella parte di bacino idrologico che alimenta il corpo idrico, delle attività venatorie e di pesca sportiva, delle attività ricreative e di fruizione turistica.
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di siti idonei per la nidificazione in aree con buona disponibilità di risorse trofiche. Fattore importante per tutte le specie considerate e, in particolare, per le specie coloniali di Ardeidi, Sternidi e Limicoli e per Gruccione e Topino.
1.1. Airone cenerino, Nitticora, Airone bianco maggiore, Garzetta, Airone guardabuoi e Sgarza ciuffetto nidificano sia su alberi e arbusti sia in canneti in aree tranquille o, comunque, difficilmente raggiungibili dai predatori e dall’uomo. In Pianura Padana spesso utilizzano anche pioppeti coltivati maturi;
1.2. Airone rosso, Tarabuso e Tarabusino nidificano esclusivamente in canneti;
1.3. gli Anatidi necessitano di isole e sponde dolcemente digradanti con vegetazione erbacea e di vaste zone con vegetazione palustre sommersa, galleggiante ed emergente;
1.4. Limicoli e Sternidi necessitano di isole e zone affioranti sabbiose/fangose/ghiaiose con vegetazione scarsa o nulla, difficilmente raggiungibili da predatori terrestri;
1.5. l’Occhione necessita di vaste praterie con vegetazione erbacea bassa e rada all’interno e ai margini dei greti fluviali;
1.6. il Falco di palude nidifica prevalentemente in canneti e, talvolta, tra la vegetazione erbacea folta di prati e di fossati tra i coltivi;
1.7. il Nibbio bruno necessita di boschi, anche di piccola estensione, nei dintorni di laghi, paludi e fiumi;
1.8. Gruccione, Martin pescatore e Topino scavano nidi a galleria nelle scarpate create dall’erosione lungo le sponde di corsi d’acqua e laghi, nei margini delle cave di sabbia/ghiaia/argilla e nei cumuli di sabbia estratta dalle cave; nel caso di Gruccione e Topino le colonie sono ubicate entro un raggio di 10-15 km dalle aree adatte per l’alimentazione;
1.9. il Succiacapre necessita di macchie arbustive e boschi ai margini di ampie zone di greto, di prati e di coltivazioni estensive utilizzabili per l’alimentazione.
2. Disponibilità di isole e di zone affioranti sabbiose/fangose/ghiaiose con vegetazione scarsa o assente, difficilmente raggiungibili da predatori terrestri. Fattore chiave per assicurare, oltre che ambienti idonei per la nidificazione di Limicoli e Sternidi, siti per la sosta e il riposo di Ardeidi, Anatidi, Limicoli e Sternidi durante il giorno e la notte nel corso dell’anno.
3. Assenza di variazioni eccessive dei livelli idrici nel periodo marzo-luglio dovute a eventi naturali e a regimazioni idrauliche. Rilevanti e/o frequenti innalzamenti del livello dell’acqua causano la distruzione dei nidi e delle uova delle specie, in particolare Limicoli e Sternidi, che nidificano sul suolo a breve distanza dall’acqua; rilevanti abbassamenti o prosciugamenti determinano il raggiungimento e la predazione dei nidi da parte di predatori terrestri e/o un’elevata mortalità dei pulcini di Anatidi e Limicoli.
4. Sensibilità dei proprietari e dei gestori di cave. Fattore fondamentale per garantire il successo riproduttivo delle popolazioni di Gruccione e di Topino che nidificano nelle cave attive.
5. Elevata disponibilità di invertebrati tipica delle zone con scarso uso di pesticidi e di quelle coltivate in maniera estensiva. Fattore chiave per il Succiacapre che caccia grandi insetti volatori notturni; fattore rilevante per Occhione, Gruccione e Topino e in parte anche per i Limicoli.
6. Predazione da parte di ratti, cani e gatti vaganti, corvidi. Limicoli, Occhione, in particolare Sternidi (specialmente Fraticello).
7. Predazione di pulcini e adulti da parte di Silurus glanis (specie alloctona invasiva in alcuni corpi idrici). Fattore marginale, localmente importante per Anatidi.
8. Competizione alimentare da parte di alcune specie di Ciprinidi (alcune alloctone) di grandi dimensioni. Fattore localmente importante per Anatidi.
10. Ambienti agricoli
Specie ornitiche caratteristiche.
Ardeidi (Ardeidae), Albanelle (Circus spp.), Falco cuculo (Falco vespertinus), Pernice di mare (Glareola pratincola), Quaglia (Coturnix coturnix), Allodola (Alauda arvensis), Averle (Lanius spp.), Ortolano (Emberiza hortulana).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che raggruppa le zone agricole della Pianura Padana e di altre aree intensamente coltivate, caratterizzate prevalentemente da seminativi e in minor parte da prati, con una discreta presenza di elementi naturali quali siepi, filari alberati e piccoli bacini. In tali ambienti, che offrono condizioni complessivamente favorevoli anche grazie ad una scarsa urbanizzazione e ad un minore impatto infrastrutturale (strade, ferrovie, linee elettriche eccetera), sono state meglio conservate ovvero ripristinate le caratteristiche ambientali e paesaggistiche tipiche del territorio rurale di pianura fino agli anni ’50-’60 del 1900. È da questo periodo infatti che sono avvenuti:
la scomparsa progressiva della sistemazione a piantata e delle siepi (per la cui gestione era necessaria molta mano d’opera) principalmente in seguito alla modernizzazione delle tecniche colturali e a causa del fenomeno di inurbamento della popolazione agricola conseguente all’industrializzazione;
l’abbattimento di quasi tutte le piante di alto fusto isolate e in filare come querce, noci, olmi, frassini, pioppi le quali, oltre ad essere di ostacolo alle lavorazioni meccaniche, divennero non più necessarie come fonte di cibo per il bestiame, legname da opera e da ardere;
la chiusura graduale delle stalle poderali, non in grado di competere con gli allevamenti del centro Europa ma che garantivano una regolare rotazione delle coltivazioni con la presenza di almeno ¼ della superficie aziendale a prato o a medica;
la riduzione progressiva della superficie a risaie, poichè altre colture come la barbabietola da zucchero e il mais divennero più redditizie; conseguentemente vennero prosciugate molte zone umide che fungevano da casse di accumulo delle acque per le risaie;
la scomparsa repentina della coltura della canapa, in seguito all’introduzione di nuove fibre tessili e conseguentemente il tombamento della maggior parte dei maceri che erano stati creati per la lavorazione della canapa;
la scomparsa dell’allevamento dei bachi da seta e conseguentemente l’abbattimento della maggior parte dei gelsi secolari.
A differenza di quanto avvenuto per le zone umide, per le quali al processo di riconoscimento come ambienti che ospitano organismi viventi molto peculiari e che svolgono importanti funzioni ecologiche ed economiche sono seguiti, a partire dal 1970 ca., atti di tutela nazionali internazionali, tuttora scarsi sono i riferimenti legislativi per un’effettiva salvaguardia degli agroecosistemi e dei loro elementi maggiormente qualificanti come siepi, boschetti e alberature, piccoli stagni. Gli obiettivi di conservazione vanno integrati in maniera adeguata in tutti gli strumenti di pianificazione ed in particolar modo nei piani di gestione forestale e agricola, nella pianificazione delle attività estrattive, nella pianificazione delle attività venatorie e nella pianificazione delle attività ricreative e di fruizione turistica. Va fatta attenzione anche ai piani di controllo delle zanzare effettuati sia con prodotti chimici di sintesi sia con metodi di lotta biologica (esempio Bacillus thuringensis).
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di siti idonei per la nidificazione in aree con buona disponibilità di risorse trofiche. Fattore importante per tutte le specie considerate e in particolare per Albanelle, Falco cuculo, Pernice di mare.
1.1. Le Albanelle (Falco di palude compreso) nidificano sia in canneti sia tra la vegetazione erbacea folta di prati, fossati e coltivi;
1.2. Il Falco cuculo nidifica in vecchi nidi di Gazza e Cornacchia grigia su siepi, filari alberati ed alberi isolati;
1.3. La Pernice di mare nidifica su superfici sabbiose/fangose con vegetazione scarsa o nulla, costituite in genere da zone umide in corso di prosciugamento e da campi con coltivazioni tardive (soia, pomodori) o che hanno subito lavorazioni primaverili;
1.4. Quaglia, Allodola e Ortolano nidificano a terra tra la vegetazione erbacea di prati, coltivi, cavedagne, incolti e fossati;
1.5. Le Averle nidificano in alberi e arbusti isolati e in siepi ai margini di prati, coltivi e strade.
2. Elevata disponibilità di invertebrati tipica delle zone con scarso uso di pesticidi e coltivate in maniera estensiva. Fattore molto importante per tutte le specie considerate e in particolare per Falco cuculo, Albanelle, Pernice di mare e Averle.
11. Risaie
Specie ornitiche caratteristiche.
Cicogna bianca (Ciconia ciconia), Mignattaio (Plegadis falcinellus), Spatola (Platalea leucorodia), Tarabuso (Botaurus stellaris), Tarabusino (Ixobrychus minutus), Airone rosso (Ardea purpurea), Airone bianco maggiore (Casmerodius albus), Garzetta (Egretta garzetta), Nitticora (Nycticorax nycticorax), Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), Falco di palude (Circus aeruginosus), Marzaiola (Anas querquedula), Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), Mignattino (Chlidonias niger), Anatre svernanti (Anatidae), Limicoli migratori (Charadriiformes).
Descrizione generale della tipologia.
Le risaie sono un ambiente artificiale che ospita una ricca avifauna acquatica. Questa coltura, per alcune specie, costituisce un habitat alternativo alle zone umide naturali da tempo presenti solo in modo residuale. Le coltivazioni risicole sono concentrate in Italia in pochi comprensori di cui quello di gran lunga più importante è quello della Pianura Padana centro-occidentale. Il sistema delle risaie italiano risulta di straordinaria importanza per gli Ardeidi coloniali, specie per le quali i comprensori risicoli padani ospitano una rilevante porzione della popolazione europea. Le risaie fungono anche da preziose zone di sosta per i limicoli migratori e rivestono un ruolo importante per molte altre specie, sia durante la riproduzione che durante lo svernamento. Il valore della risaia come habitat per l’avifauna dipende strettamente dalle tecniche colturali utilizzate. I principali fattori che influenzano la qualità ambientale di questa coltivazione sono la gestione dei cicli di allagamento, l’impiego di biocidi e la gestione delle stoppie e delle bordure. Oltre alle risaie in senso stretto, un ruolo di grande rilievo è coperto dalla rete di canali che le alimenta, che rappresentano anch’essi ambienti di alimentazione e riproduzione per un gran numero di specie e la loro gestione ne determina il grado di idoneità per l’avifauna.
La gestione di questi siti richiede una particolare attenzione ai piani di conversione agricola ed ai progetti infrastrutturali. Vanno attentamente valutati anche i piani di controllo delle zanzare effettuati sia con prodotti chimici di sintesi sia con metodi di lotta biologica (esempio Bacillus thurigensis).
Fattori chiave per la conservazione delle specie caratteristiche.
1. Disponibilità di habitat (tutte le specie):
1.1. coltivazione di riso sottoposta ad allagamento nella stagione primaverile;
1.2. canali con ricca vegetazione acquatica, non rimossa durante la stagione riproduttiva;
1.3. stoppie non arate, asciutte o allagate, lasciate durante la stagione invernale;
1.4. argini delle risaie mantenuti a vegetazione naturale.
2. Disponibilità di cibo (anfibi, invertebrati, pesci, rettili, micromammiferi, materia vegetale) strettamente legata alle condizioni di allagamento, all’utilizzo di biocidi ed alla gestione delle stoppie.
3. Disponibilità di siti di nidificazione:
3.1. boschi naturali, in particolare negli stadi di crescita intermedi (Ardeidi coloniali);
3.2. canneti naturali (Tarabuso, Tarabusino, Airone rosso, Falco di palude);
3.3. risaie allagate, non sottoposte ad eccessivi sbalzi di livello (Cavaliere d’Italia, Pavoncella, Mignattini);
3.4. canali, sponde ed argini lasciati a vegetazione naturale (Tarabusino, Anatre, Rallidi).
12. Corridoi di migrazione
Specie ornitiche caratteristiche.
Cicogna bianca (Ciconia ciconia), Cicogna nera (Ciconia nigra), Gru (Grus grus), Falco pescatore (Pandion haliaetus), Biancone (Circaetus gallicus), Nibbio bruno (Milvus migrans), Aquila minore (Hieraaetus pennatus), Falco di palude (Circus aeruginosus), Albanella minore (Circus pygargus), Albanella pallida (Circus macrourus), Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), Gheppio (Falco tinnunculus), Grillaio (Falco naumanni), Falco cuculo (Falco vespertinus), Capovaccaio (Neophron percnopterus).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia coincidente con le aree, comunemente definite «bottle-neck», in cui si concentra il transito migratorio di rapaci diurni e altri uccelli veleggiatori. La corretta gestione di questi siti richiede particolare attenzione ai progetti di costruzione di strade, vie di accesso ed altre infrastrutture viarie, in particolare lungo crinali, valichi e linee di costa, così come ai progetti di costruzione di elettrodotti e di edifici, tralicci, antenne, ponti ed altre strutture di altezza superiore ai 30 metri. Notevole attenzione va prestata anche ai progetti per la realizzazione di linee elettriche a media e ad alta tensione ed a quelli di aeroporti ed eliporti (anche di piccole dimensioni) nonchè alla pianificazione delle attività di volo a bassa e media quota.
13. Valichi montani, isole e penisole rilevanti per la migrazione dei passeriformi e di altre specie ornitiche.
Specie ornitiche caratteristiche.
Tortora (Streptopelia turtur), Gruccione (Merops apiaster), Succiacapre (Caprimulgus europaeus), Topino (Riparia riparia), Calandro (Anthus campestris), Codirosso (Poenicurus phoenicurus), Saltimpalo (Saxicola torquata), Monachella (Oenanthe hispanica), Codirossone (Monticola saxatilis), Pigliamosche (Muscicapa striata), Balia dal collare (Ficedula albicollis), Averla piccola (Lanius collurio), Averla capirossa (Lanius senator), Ortolano (Emberiza hortulana).
Altre specie: Passera scopaiola (Prunella modularis), Pettirosso (Erithacus rubecula), Usignolo (Luscinia megarhynchos), Stiaccino (Saxicola rubetra), Merlo (Turdus merula), Tordo bottaccio (Turdus philomelos), Cesena (Turdus pilaris), Tordo sassello (Turdus iliacus), Tordela (Turdus viscivorus), Forapaglie (Acrocephalus schoenobaenus), Canapino maggiore (Hippolais polyglotta), Sterpazzolina (Sylvia cantillans), Sterpazzola (Sylvia communis), Beccafico (Sylvia borin), Capinera (Syilvia atricapilla), Luì verde (Phylloscopus sibilatrix), Regolo (Regulus regulus), Fiorrancino (Regulus ignicapillus), Balia dal collare (Ficedula albicollis), Balia nera (Ficedula hypoleuca), Fringuello (Fringilla coelebs), Lucherino (Carduelis spinus).
Descrizione generale della tipologia.
Tipologia che comprende i siti interessati da flussi migratori di uccelli, in particolare ma non esclusivamente passeriformi. La corretta gestione di questi siti richiede particolare attenzione alla progettazione e alla realizzazione infrastrutturale, specie ma non esclusivamente per quanto concerne le infrastrutture a sviluppo verticale, nonchè alla presenza e gestione di fonti di illuminazione artificiale. Speciale attenzione va inoltre prestata alla pianificazione dell’attività venatoria.
(20) La Corte Costituzionale, con sentenza 30 luglio-1 agosto 2008, n. 329 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 – Prima serie speciale), ha dichiarato che non spettava allo Stato imporre alle Province autonome di Trento e di Bolzano di conformarsi al presente decreto e, per l’effetto, ne ha annullato gli articoli da 1 a 7 e relativi allegati, nella parte in cui si riferiscono anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Successivamente, l’art. 2, D.M. 22 gennaio 2009 ha disposto che negli articoli da 1 a 7 e negli allegati al presente decreto siano soppressi tutti i riferimenti alle «province autonome» o alle «province autonome di Trento e di Bolzano» comunque denominate.